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Italian Pages 154 Year 2019
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135 mm
Francesco Domenico Capizzi
Da Ippocrate al budget
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In scienza e coscienza
ISBN 978-88-491-5613-3
€ 16,00
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210 mm
Francesco Domenico Capizzi è nato a Santo Stefano di Camastra (Messina). Compiuti gli studi liceali a Palermo e universitari a Bologna, docente di Chirurgia dell’Università di Bologna, ha diretto i reparti di Chirurgia degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna. È stato ospite delle Università di Cambridge, Parigi, Montpellier, Strasburgo, Chicago, Harvard, Edimburgo, Rochester, New York. Ha eseguito oltre 21.000 interventi chirurgici. Nel 2002 viene intervistato e ripreso in sala operatoria per Report, RAI 3. È autore di 250 pubblicazioni su riviste scientifiche italiane ed estere e di 14 monografie e saggi, fra cui, nel 2010, La fabbrica della salute e la fabbrica della malattia. Nel 2015 pubblica il romanzo La parte del primo violino e nel 2017 Gnossiennes. Ha contribuito a fondare le Associazioni Candide, Simone Weil, La bottega dell’Elefante, Custos quid noctis.
Da Ippocrate al budget
Le interpretazioni e le narrazioni di ogni epoca spesso esulano dalla vita dei popoli e dai loro bisogni essenziali dando origine ad una sorta di alienazione dalla realtà. Uno scostamento dai reali bisogni di intere popolazioni che traspare in larga parte delle storiografie politico-socio-economiche tendenti ad attribuire al potere di singoli uomini ed oligarchie, impropriamente elevati ad unici protagonisti, l’inizio e l’esito di eventi succedutisi, eclissandone le cause e gli effetti con suggestivi proclami ed allettanti promesse in larga parte irrealizzate e che, anzi, oggi, sembrano allontanarsi dall’orizzonte. È quanto accade nella trasmissione e nell’applicazione accademica dell’apparato dottrinario medico, con le mirabili innovazioni apportate nei secoli, precipuamente orientato a diagnosticare e a curare malattie in larga parte evitabili che trovano origine e crescita nelle medesime variegate pieghe della società in cui il corpus medicus vive ed opera.
Francesco Domenico Capizzi
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nuovi mondi
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A mio padre, mia madre e Maddalena Capizzi, sapienti maestri di vita, Documento acquistato da () il 2023/05/03.
a Maria Teresa Cacciari, mia sposa, studiosa infaticabile, ad Alessandro Baldini, grande medico, uomo giusto, a Elena, Ginevra, Daniele e Beatrice, Sara e Davide, eredi, custodi e promotori di saggezza.
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Francesco Domenico Capizzi
DA IPPOCRATE AL BUDGET In scienza e coscienza
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In copertina: Davide Peretti Poggi, Corpo, 2013, tecnica mista su tela, 100 x 70 cm. www.davideperetti.it Progetto grafico di copertina www.studionegativo.it
© 2019 Biblioteca Clueb, Bologna www.clueb.it ISBN 978-88-491-5613-3
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Indice
Prefazione.........................................................................................................................................
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Capitolo I. Seminare dubbi, non raccogliere certezze...............................................
11
Capitolo II. Dottrina dell’omeostasi e patogenesi..........................................................
33
Capitolo III. Da Esculapio a Bombastus e oltre...............................................................
39
Capitolo IV. Dal positivismo, la medicina moderna......................................................
47
Capitolo V. Dubbi e interrogativi nell’era della tecnologia.......................................
57
Capitolo VI. Ricerca scientifica e diseconomia etica...................................................
63
Capitolo VII. Diseguaglianze, indigenza, malattia ........................................................
69
Capitolo VIII. Malattia tragica evitabile, catastrofe planetaria.................................
79
Capitolo IX. La peste nera nel secolo del progresso...................................................
93
Capitolo X. La chirurgia oncologica nell’era biotech. Radicale, curativa,
riduttiva, palliativa ...................................................................................................
107
Capitolo XI. Biotestamento, fondamentalismi, azioni caritatevoli.........................
113
Capitolo XII. Le differenti epoche della sanità pubblica italiana.............................
117
Capitolo XIII. Un esempio da evitare...................................................................................
127
Capitolo XIV. Aspettando Godot. Una medicina inedita.........................................
135
Postfazione. L’attenzione pura.................................................................................................
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Prefazione
«La storia moderna avrebbe dovuto studiare non le manifestazioni della potenza, ma le cause che la formano. Ma la storia moderna non l’ha fatto. Dopo aver respinto in teoria le credenze degli antichi, le segue in pratica». Lev Tolstoj, Guerra e pace, epilogo parte II
Queste pagine non intendono riscrivere una Storia della Medicina, ma revisionarne alcuni tratti per ricollocarla criticamente nelle varie epoche in cui si è sviluppata, soprattutto a partire dal positivismo con la rigogliosa rapida ascesa tecnico-tecnologica, sospinta dall’incalzare della grande Storia dopo la seconda metà dell’800. Le interpretazioni e le narrazioni di ogni epoca spesso esulano dalla vita dei popoli e dai loro bisogni essenziali dando origine ad una sorta di alienazione dalla realtà. Uno scostamento dai reali bisogni di intere popolazioni che traspare in larga parte delle storiografie politico-socio-economiche tendenti ad attribuire al potere di singoli uomini e oligarchie, impropriamente elevati ad unici protagonisti, l’inizio e l’esito di eventi succedutisi, eclissandone le cause e gli effetti con suggestivi proclami e allettanti promesse in larga parte irrealizzate e che, anzi, oggi, sembrano allontanarsi dall’orizzonte. È quanto accade nell’illustrare la trasmissione e l’applicazione accademica dell’apparato dottrinario medico, con le mirabili innovazioni apportate nei secoli, precipuamente orientato a diagnosticare e a curare malattie in larga parte evitabili che trovano origine e crescita nelle medesime variegate pieghe della società in cui il corpus medicus vive e opera. Si descrivono gli avanzamenti della Medicina, si illustrano le www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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10 Prefazione
gesta dei suoi protagonisti e i risultati conseguiti, si annunciano mete avveniristiche contro le ormai pandemiche malattie degenerative e neoplastiche trascurando le cause che le producono e l’incertezza degli esiti ottenibili con le terapie pur molteplici e complesse. Le ragioni di tanta indeterminazione risiedono nella collocazione culturale asimmetrica delle classi dirigenti, politiche e professionali, sempre più orientate verso un tecnicismo tecno-autocratico che assume il ruolo di entità poliedrica e immobile nel tempo e nello spazio, perciò incapace di modificare le molteplici contraddizioni in cui si dibatte la vita quotidiana, nelle sue varie forme e nelle sue proiezioni future. Intanto viene trascurato il lento e quasi impercettibile declino di ogni istanza di progresso sociale a favore di uno straordinario svettante sviluppo tecnico-tecnologico. Bisogna ammettere che perfino l’idealità di un progresso sociale, confuso con il pragmatismo economico-finanziario dello sviluppo industriale e tecnologico, si mostra in disuso nelle sedi della politica, della cultura e delle organizzazioni e aggregazioni sociali, debole e sfocato nel raggio visuale di larga parte delle persone che vivono il nostro tempo. Assimilato a sviluppo il termine progresso è andato dissolvendosi nel vocabolario quotidiano per la forte prevalenza, storica e contemporanea, dello sviluppo tecnico-tecnologico-autocratico sulle ragioni che ostacolano il realizzarsi di un vero progresso sociale auspicato dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, dalla Carta europea e dalle Costituzioni nazionali. Un fenomeno di eclissamento che non è ascrivibile soltanto a ragioni semantiche, ma ad una distrazione dalle fonti della conoscenza. Non che i due concetti, sviluppo e progresso, debbano oggi trovarsi contrapposti, anzi ambedue possono contribuire armonicamente a formare e sostenere il medesimo circolo virtuoso con il centro occupato saldamente, nella coscienza e nell’agire di ognuno, dal bene comune. In forza del suo corpus medicus, depositario di millenari codici etici e deontologici, la Medicina può assumersi il compito di contribuire a colmare la divaricazione creatasi fra progresso e sviluppo, a partire dalla promozione dell’unitarietà delle culture scientifico-tecnologica ed umanistica per giungere a concepire ogni potere esercitato nelle Istituzioni come la sommatoria di bisogni, diritti e doveri che fondano il consenso sociale di ogni stato liberal-democratico.
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Capitolo I
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Seminare dubbi, non raccogliere certezze
«La scienza del diritto considera lo Stato e il potere come gli antichi consideravano il fuoco, cioè come qualcosa che ha un’esistenza assoluta. Per la Storia invece lo Stato e il potere sono soltanto fenomeni, precisamente come per i fisici del tempo nostro il fuoco non è un elemento. Ma un fenomeno». Lev Tolstoj, Guerra e pace, epilogo parte II
Aspettando Godot in una vecchia strada di campagna, fra gelo, fame, lamentazioni, discorsi privi di senso, inerzie e frustrazioni esistenziali, due disperati sognano un mare di prossime improbabili speranze. Preludio al fallimento le folgoranti illusioni, le vaporose allucinazioni, gli innumerevoli inganni, l’assenza di prospettive future e di prossime sensate azioni da intraprendere nella vana prolungata attesa di un’imminente e decisiva svolta, senza neppure una qualche parvenza di convinzione. È il teatro dell’assurdo: mette in scena la frattura incalzante fra pensiero, parola, storia e vita quotidiana a causa dell’aleggiare di oscuri misteriosi fatalismi e di impervie frastagliate aspettative di prossime certe elargizioni di felicità, nei secoli trascorsi affidate agli strumenti propri della metafisica e dalla medesima erogate1.
Aspettando Godot, in scena a Parigi nel 1952 al Théàtre de Babylone, intende interpretare l’immobilità del tempo, congelato nella vana attesa di eventi che rivelano sempre più la loro astrazione e assurdità. Samuel Beckett riceverà il Premio Nobel nel 1966.
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12 Capitolo I
Ma Godot non raggiungerà il proscenio rivolto alla platea di moltitudini che affollano la vita quotidiana dove i cantori dell’inarrestabile marcia del progresso, da Neanderthal alla contemporaneità, dallo strepitoso sviluppo tecnologico alla pretesa immunità da eventi fatali e patologie, continuano a predicare gli imminenti eventi risolutivi e il rapido avvento della modernità trascurando le pregresse e mai sopite sperequazioni socio-politiche: ingiustizie, diseguaglianze, tirannie, distruzioni, genocidi, fenomeni regressivi e gravi malattie che intanto si rafforzano e si estendono nello spazio e nel tempo. Fondato sull’ingenua e insensata, forse anche interessata, fiducia nella dogmatica oggettività dell’esistente, l’annunciato e atteso imminente progresso genera disarmonie sociali e diseconomie etiche a causa di crescenti pragmatismi e di smisurate costruzioni economico-finanziario-industriali che trascurano e soppiantano il principio del bene comune su cui è fondato il contratto sociale, al quale ogni persona, consapevolmente o meno si affida e su cui confida. Ma, progresso o sviluppo? Il binomio si presta ad equivoci, l’un termine non equivale all’altro. Nel linguaggio corrente progresso è confuso con sviluppo, sovrapposto ed utilizzato indifferentemente nelle sedi della politica, dei corpi intermedi, delle amministrazioni pubbliche e private, della cultura e delle organizzazioni e aggregazioni civili, fino al singolo cittadino. Semplicemente, la parola progresso (sociale) si trova espunta dal vocabolario della vita quotidiana e assorbita da sviluppo (tecnico-tecnologico). Non che i due termini, con i loro significati intrinseci, debbano essere considerati alternativi, anzi è augurabile che ambedue coesistano equamente, al contrario di quanto è accaduto nella storiografia di ogni epoca: egemonico lo sviluppo, subalterno il progresso relegato ai margini dei gangli decisionali e tanto distante dal bene comune da raggiungere divaricazioni estreme ed epiloghi drammatici. Questa constatazione vale per la Scienza, la Medicina degli umori ed olistica e la Medicina scientifica, epigoni indiscussi nelle società di ogni epoca, le cui dottrine, progettualità e realizzazioni si prestano a valutazioni differenti a seconda che vengano scrutate con la lente del progresso o dello sviluppo. La Medicina moderna, scientifica, nata e cresciuta nell’epoca del positivismo, al pari delle dinamiche politiche e sociali, ha finito con il perseguire un suo sviluppo clinico-tecnologico-organizzativo, necessario ed entusiasmante, piuttosto che un reale progresso sociale per contrastare le radici delle incalzanti malattie cronico-degenerative – neoplasie, affezioni cardiocircolatorie e respiratorie, obesità, cirrosi, patologie infettive e autoimmuni e da stress, ecc. – sostenute in www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Seminare dubbi, non raccogliere certezze 13
larga parte da fattori culturali e sociali (l’80% delle malattie secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS) rimasti marginali nella trasmissione del sapere medico e nella conseguente organizzazione sanitaria e pratica medica quotidiana incentrate quasi del tutto in attività e ricerche diagnostico-terapeutiche. In altre parole, la Medicina scientifica diagnostica e cura, a volte e perfino molto spesso, con risultati deludenti tante gravi malattie evitabili ab initio come dimostrano le sue stesse secolari e sterminate esperienze. Si potrebbe affermare che nella vana attesa di un Godot sul proscenio della Storia e della vita quotidiana la Medicina mostri i limiti della sua azione, restando avulsa dai fattori sociali e ambientali che favoriscono e sostengono la malattia: molte, troppe persone continuano ad ammalarsi e a perire perché le cause patogene conservano e diffondono intatta, addirittura elevandola, la loro straripante violenza. Il Corpus medicus1 usa alleviare amorevolmente le sofferenze mentre, involontariamente, separa dalla sua stessa storia la persona malata, ora trasformata in campo d’investigazione e dominio di una dottrina scientifica e di una pratica medica che vogliono mostrarsi ed essere oggettive e neutrali attraverso la ricerca anatomo-clinica. Sorta nel positivismo con l’espansione dello studio anatomo-isto-patologico, espressione dell’avanzamento tecnologico e conseguenza della liberalizzazione definitiva delle pratiche autoptiche, la Medicina moderna che conosciamo si trova esposta al rischio di subire l’esonero dalla sua missione. La causa risiede in un fondamentalismo empirico che orienta verso la lesione anatomica e conduce verso geometrie e formule matematiche con il rischio di discostarsi, involontariamente, dal pilastro fondamentale del
Forse il più antico e possente sistema dottrinario normativo, teorico e insieme pratico costruito sul Giuramento di Ippocrate. Da olistica la Medicina diviene analitica a partire dalla metà del XIX secolo con lo svilupparsi e il progredire dell’Anatomia patologica, delle indagini strumentali e delle specializzazioni. La sua identità ha sempre coinciso con il Corpus medicus, la cui formazione, fino all’epoca dei Lumi, era basata sulle tradizioni scritte e verbali comprensive delle ippocratiche e galeniche: in sostanza, sullo studio della Storia della Medicina. La tecnologia e le ricerche strumentali biologiche e biochimiche degli ultimi due decenni le hanno impresso, alla Medicina clinica in particolare, un moto di avvicinamento a maggiori prospettive di scientificità. 1
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14 Capitolo I
Giuramento di Ippocrate che ogni medico pronuncia prima di esercitare la professione «protesa verso il bene dei malati». Alla tradizione derivata dal Corpus Hippocraticum, fin dal IV secolo a.c., si deve il rapporto etico e deontologico che lega il medico al malato, fra cui il segreto professionale e il principio che pone la Medicina al servizio di tutta l’umanità al di sopra di qualsivoglia divisione ed evento. Alcuni suoi paragrafi destano un particolare interesse: sulla Scienza medica, il cui «scopo e compito è lo scoprire qualcosa che prima non era scoperto e il cui essere scoperto è preferibile al restare ignoto»; sull’anamnesi necessaria «a ricostruire il passato del malato a vantaggio della sua condizione futura»; sugli effetti dell’ambiente «determinante su chi in esso si trova». Enunciazioni che stabiliscono l’assoluta priorità di salvaguardare la salute della persona, in quella data condizione e in quel contesto ambientale, prima ancora di ammalarsi. Nella realtà dello studio medico e accanto al capezzale del malato, in ogni ospedale e ambulatorio, segni e sintomi si materializzano, vivificati dall’esperienza analitica, nelle forme raccolte e ben ordinate della malattia, prodotta e sostenuta da quelle lesioni anatomo-isto-patologiche indovate in quel preciso punto del corpo esaminato con il metodo clinico già orientato verso un futuro prossimo fatto di diagnosi, terapie e prognosi. Assente la memoria storica della malattia da segnalare e modificare. La mente e lo sguardo del medico penetrano nell’organismo, esaminano e analizzano ogni sua declinazione: «Quali disturbi lamenta?... E in passato? Prego, si sdrai… si rilassi… Qui ha dolore?… E in questa parte?… Ora si sieda… Trattenga il respiro… respiri… respiri profondamente… tossisca… di nuovo…». L’attenta azione medica, tanto vigile sull’evento patologico, sulla sua oggettività e sulle sue possibili conseguenze, resta solitaria e passiva di fronte a connessioni fra le malattie, i fattori patogeni e le condizioni di vita, e di tante altre similari, sempre più subordinate ad esigenze produttive e a consumi crescenti, preminenti sul diritto alla tutela della salute. Un diritto spesso confuso con elevati livelli qualitativi e quantitativi di farmaci e servizi, di complessità tecnologiche e gestionali che fanno imprimere ai presidii ospedalieri espansioni svettanti, irradianti potenza, mentre si configurano plasticamente come le ragioni oggettive della malattia e imprimono nell’osservatore un involontario suggerimento: la salute si preserva, si acquisisce e si conferma in quel luogo solenne e appartato, l’ospedale, limpido contrappunto alla città che vive freneticamente, in grado di www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Seminare dubbi, non raccogliere certezze 15
apportare modifiche al corpo, riordinarlo, risanarlo e renderlo immune mediante tecnologie, tecniche e terapie sofisticate. L’edificazione e l’espansione degli ospedali vengono congegnati come fabbriche della salute che si ergono in contrapposizione alle misteriose fabbriche della malattia indovate in quartieri e vicoli della città, appartamenti e luoghi di lavoro e di studio, oltre le mura dell’imponente cittadella sanitaria effettivamente impegnata in una guerra tecnica e tecnologica senza sosta e limiti. Quel luogo complesso e appartato e quel semplice limitato punto dolente dell’organismo si congiungono e insieme prefigurano l’idea che si soffra per l’avvento accidentale di una malattia che, comunque inevitabilmente e casualmente, potrebbe capitare di contrarre nel corso della vita. La malattia viene assunta, nella concezione comune, ad evento fatale e ineluttabile come sono la forza di gravità, il trascorrere del tempo, il succedersi del giorno e della notte, l’alternarsi delle maree, il conformarsi delle quattro stagioni... L’ospedale, ricolmo di avvisi, divieti, percorsi, settori, sbarramenti, luci, telecamere, controlli, si configura come un gigantesco solido e scintillante laboratorio fantascientifico, una bene attrezzata e formidabile base di lancio verso mondi fantastici sconosciuti di benessere ma auspicati, un Cape Canaveral a portata di mano, già proiettato nel futuro prossimo delle magnifiche sorti e progressive. Allorché Bernard, Pasteur, Koch, Mendel2 dimostrarono la genesi biochimica, batteriologica ed ereditaria di alcune patologie e i medici furono in grado di diagnosticare e controllare le infezioni e numerose patologie, i chirurghi di operare, asportando, ricostruendo, innestando e trapiantando organi e tessuti, paradossalmente produssero l’effetto di oscurare le origini della malattia come accade oggi con l’enfasi rivolta al complesso dell’organizzazione ospedaliera, alle sofisticate e sempre innovate procedure tecnico-diagnostico-terapeutiche che sottraggono, involontariamente, l’attenzione verso le reali cause di larga parte delle patologie.
Louis Pasteur ottenne in permanenza la condizione di sterilità in una sostanza fermentabile se sottratta all’azione contaminante dell’aria. A Robert Koch, nel 1905, fu conferito il premio Nobel per la Medicina. Gregor Mendel comprese le leggi della trasmissione ereditaria distinguendo i caratteri dominanti dai recessivi. 2
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16 Capitolo I
Il fascino emanato dall’azione sanitaria può fuorviare. Paradossalmente e drammaticamente accadde con la scoperta del mycobacterium tubercolosis. Le procedure per combatterlo posero in un cono d’ombra il suo radicamento nelle precarie condizioni igienico-socio-economico-alimentari di una popolazione, nel sovraffollamento delle abitazioni, nelle malsane condizioni di lavoro ben descritte nei romanzi di Charles Dickens. Per combattere la tubercolosi si prescrissero, in mancanza d’altro, cure d’aria ed elioterapie sulle sdraio di esclusivi alberghi svizzeri, austriaci e meranesi e si costruirono i primi lussuosi sanatori sulle colline di Davos e Purkersdorf contribuendo, perfino, a creare un genere letterario, folto di espressioni estetiche, per merito di Alexandre Dumas, Guido Gozzano e, soprattutto, di Thomas Mann nel Tristano: «Eccoci al sanatorio ‘La Quiete’, con il suo lungo fabbricato e le ali attigue, che si stende bianco e rettilineo in mezzo all’ampio giardino assai piacevolmente adornato da grotte, pergolati e chioschetti rivestiti di corteccia d’albero, mentre sullo sfondo i tetti d’ardesia si ergono imponenti verso il cielo, i monti verdi d’abeti e digradanti in piacevoli dirupi… Tutti i mobili bianchi, ben levigati, pratici, la tappezzeria pure bianca, resistente, lavabile, il pavimento di linoleum verde chiaro ben pulito, le linde tende di lino, semplici, leggere, di gusto moderno, rubinetti nichelati… L’ordine degli sdraio suddivisi per ogni camera da tramezzi di vetro finemente opacato…». I primi sanatori pubblici furono inaugurati agli inizi del novecento quando la mortalità era crollata al 18% dal 70% di qualche decennio prima. Oggi i nuovi casi di tubercolosi in Europa sono valutati in misura di 11.4 per ogni 100.000 abitanti con un calo del 4% per anno3. Con molte analogie con la TBC il plasmodium malariae, inoculato dall’anofele, fu assunto a responsabile dell’endemia. L’insalubrità delle terre paludose rimase per molto tempo dimenticata sebbene costituisse la reale causa del binomio malattia-miseria: «L’aria non buona, la terra paludosa, le fiumare mal indirizzate e l’habitazione cattive non potevano né possono dare o conservare famiglie d’altra sorte che povere, vili, infingarde, insolenti e di mal nome, che non trovando altro luogo in che posarsi verrebbero a scaricarsi costì»4.
European Center for Diseases Control, 2017. Discorsi di cose create et non venute alla luce intorno al lago di Fucecchio e sua vicinanza, XVI secolo, in Memorie sul Padule di Fucecchio, a cura di G. Micheli e A. Prosperi, Quaderni della Fondazione Bassi, Edizioni dell’Erba, Fucecchio 1990.
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Seminare dubbi, non raccogliere certezze 17
Pur estinta in Europa agli inizi degli anni ’50, soprattutto per le opere di risanamento ambientale e il benessere crescente delle popolazioni, la malaria costituisce ancor oggi, dopo la tubercolosi, la più grave forma di parassitosi e la seconda malattia di natura infettiva del pianeta, nonostante la farmacoterapia, con 500 milioni di nuovi casi e ben oltre 2 milioni di decessi per anno di cui il 90%, in larga parte bambini, nell’Africa tropicale (OMS, 2017). Storia, letteratura e memoria popolare hanno registrato il rapporto di causa-effetto degli stati morbosi ancor prima che la ricerca epidemiologica, involontaria necrofora, disvelasse che l’origine delle malattie segue andamenti ben definiti riguardo a culture, appartenenze sociali, gruppi etnici, residenze urbane o extra-urbane, varia da un continente all’altro, da una regione all’altra, da una condizione esistenziale ad un’altra (Fig. 1): nelle società industriali prevalgono le malattie cardiovascolari, immunitarie, da stress, metaboliche, tumori, obesità, affezioni renali, lesioni traumatiche; nelle società sottosviluppate permangono le malattie infettive e disnutrizionali per insufficienze alimentari, igienico-sanitarie, abitative, fognarie, idriche, energetiche, mancanza di terre e attrezzi da lavoro, ecc.
Fig. 1 – Il livello di salute è influenzato da vari fattori, fra cui prevalgono le condizioni del mezzo esterno (v. cap. II).
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18 Capitolo I
Malattia e salute, in sostanza, risultano strettamente connessi al contesto socio-politico in cui le persone vivono, in una misura valutata attorno al 50-60%, per differenti stili di vita e condizioni socio-economiche e ambientali, al 20-30% per predisposizioni dell’organismo, spesso acquisite (v. Cap. II), al 10-15% per la qualità delle prestazioni sanitarie5. Si tratta di interrelazioni intuite già in epoche lontane: Ippocrate affermava che «la democrazia produce cittadini sani, la tirannia, al contrario, sudditi malati», Platone sosteneva che «un agente esterno rende malato un corpo già debole», Abu Ali Ibn Abdallah Ibn Sina, detto Avicenna, lasciava il suo principale contributo nel suo Canone, in cui si tratta della salute, in particolare della tisi, in termini di interazione con le condizioni psicologiche e ambientali della persona; Alfano, della Scuola medica di Salerno, appuntava la sua attenzione alle origini sociali della malattia; Ahmad Ibn Rushd, detto Averroè, riteneva che le verità scientifiche siano soggette ad interpretazione a seconda del contesto culturale in cui concretamente si vive; John Locke sosteneva che la cura e lo sviluppo del corpo e del pensiero individuale e collettivo debbano procedere di pari passo, e a supporto della sua tesi citava La Repubblica di Platone; Bernardo Ramazzini, in De morbis artificum diatriba, da considerare il prototipo istitutivo della Medicina del lavoro, affermava l’origine igienico-sociale di molteplici malattie; la Rivoluzione francese intendeva abolire la Medicina e la necessità di nosocomi mediante il contrasto all’indigenza individuando un rapporto diretto fra malattia e contesto socio-economico; il grande patologo berlinese Rudolf Virchow esortava i medici «a trasformarsi nei migliori avvocati dei poveri» contro l’insorgere di malattie6. Alcune osservazioni tratte dal Corpus Hippocraticum destano particolare interesse: sulla Scienza, il cui «scopo e compito è lo scoprire qualcosa che prima non era scoperto e il cui essere scoperto sia preferibile al restare ignoto»; sull’anamnesi per «ricostruire il passato della persona malata a vantaggio della condizione futura»; sull’influenza del contesto
B. Badura, Scientific foundations for a public health policy in Europe, Juventa, Weinheim, 1995. 6 Platone, La Repubblica; P. Fugelli, Med Rudolf Ludwig Karl Virkow som veiviser inn i den nye samfunnsmedisinen, «Tidsskrift for Den Norske Laegeforening», 115, 9 (1995), 1091-1094. Plutarco: «A chi si stupisce nel vederlo impegnato anche in lavori umili replica: “lo lavoro per la comunità, non per me”». 5
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ambientale sulle persone giungendo ad affermare che «l’ambiente determina in maniera imprescindibile chi in esso si trova». Nel suo complesso lo scritto ippocratico intende spiegare la precipua avversione dei Greci verso la tirannia per il loro carattere gioioso e solare indotto dal clima mite e dalle bellezze naturali di cui possono godere. Nella nostra epoca, pur ricca di Costituzioni e di Carte dei Diritti fondamentali a garanzia della persona, la salute, intesa come benessere e non soltanto come assenza di malattia, non appartiene ai livelli elevati dei beni supremi a causa di una disattenzione generalizzata, dalla Medicina alla Politica alla cittadinanza, sugli stretti legami fra progresso sociale e sviluppo economico, fra le malattie gravi e la loro etio-patogenesi7. Di conseguenza, le organizzazioni sanitarie incentrate su misure diagnostico-terapeutiche, essenziali per fronteggiare le patologie in atto e i relativi turbamenti, non possono soddisfare il diritto alla salute, non soltanto alle cure primarie, né le innumerevoli azioni mediche, che scrutano svelano e combattono, non incidono sulle radici e, a volte, neppure sulla percezione avvertibile di malattia da parte di chi ne è già affetto, perché la propria consapevolezza «varia in modo inversamente proporzionale a fattori sociali quali indigenza, solitudine, marginalità, ignoranza, precarietà lavorativa»8. Ecco perché i bisogni fondamentali, fra cui spicca la salute, svaniscono a vantaggio di modalità produttive e di consumo che minacciano diritti primari in cambio di consumi crescenti mentre la coscienza, individuale e collettiva, rischia di forgiarsi come semplice accessorio degli apparati economico-omnicomprensivi: «le forze materiali sembrano essere state dotate di vita spirituale e l’esistenza umana avvilita a forza materiale; in prima istanza gli strumenti vengono utilizzati per soddisfare i bisogni, poi i bisogni servono a possedere e a utilizzare gli strumenti. Quando il sistema dei bisogni risulta d’ostacolo al sistema degli strumenti, è il primo sistema e non il secondo ad essere modificato»9.
Studio delle cause di malattia (etiologia) e del meccanismo d’azione (patogenesi). 8 Organizzazione Mondiale della Sanità, 2006. 9 A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica: problemi socio-psicologici della civiltà industriale, Sugar, Varese 1967; G.W.F. Hegel, La scienza della logica (1812), Laterza, Bari 1988. 7
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20 Capitolo I
Nonostante i dati epidemiologici, l’esercizio della Medicina si esplicita come geometria anatomica e calcolo tecnico-bio-anatomo-topografico, si affida a tecnologie che generano tecnologie, a macchine che producono macchine, all’innovazione tecnica sempre più apprezzata ma svincolata dalla cultura incentrata sulla persona. Su questa strada la Medicina resta avulsa dalle situazioni esterne che influiscono sull’organismo e che favoriscono la più grave di tutte le malattie: il cancro, declinazione estrema, compimento patologico totale, non detto ma accennato, sussurrato per perifrasi, non pronunciato ma lasciato intendere con espedienti laconici, la malattia per eccellenza come eccellenti sono definite le complesse e costose strutture nosocomiali che lo diagnosticano e lo curano, con terapie multimodali, con risultati spesso deludenti che dovrebbero indurre il corpus medicus a rivedere strategie elette a verità che rispondono «in realtà a travestimenti ideativi che fanno prendere per vero ciò che è soltanto una metodica»10. Infatti la Scienza, e con essa la Medicina, «non poggia su un solido strato di roccia, la sua struttura è sostenuta da palafitte immerse in una palude. La desistenza dal conficcarle più a fondo non significa che si sia trovato un terreno solido su cui sostare. L’azione si ferma quando soddisfatti si ritiene che i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere l’intero edificio»11. Rincorrendo la via tecnico-organicistica la Medicina ha maturato, a partire dal positivismo, una concezione di malattia legata alla natura della persona e a misteriosi fattori genetici da scandagliare come il sottosuolo, il mare e lo spazio con metodiche che appartengono a geologi, fisici, astronomi e astronauti. Uno scientismo a tutto tondo che mette in ombra gli stretti legami fra malattie, culture e organizzazioni sociali. Disconoscerli equivale a scindere le fitte connessioni esistenti fra l’aereo, la forza gravitazionale, la prima avventura transoceanica e Lindberg; il triangolo, la dimensione spaziale, il metodo pitagorico e il suo fondatore siracusano; il pianoforte, il pensiero musicale romantico, la vita e l’opera di Chopin… Su questa via l’azione medica viene ridotta a puro atto tecnico, sospesa nel tempo e nello spazio fra tecnologie e tecniche in continua evoluzione, trasformata in strumento che supera lo scopo, esonerata E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1983. 11 K. Popper, La logica della scoperta scientifica (1934), Einaudi, Torino 1991. 10
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dalla sua missione ideale come la disponibilità del cavallo, della carrozza, dell’automobile e in genere dei mezzi di locomozione esonera dal camminare e sostanzialmente ne supera la stessa esigenza. Queste le fondamentali schematiche ragioni dell’ingravescente crisi di un arco storico sorto nel periodo positivista al quale è legata saldamente la Medicina, apparato dottrinario formatosi in quel periodo storico che tende a ridurre la malattia a lesione anatomica localizzata propriamente in quel punto dell’organismo, a puro processo fisiopatologico distante dall’anamnesi, a progetto ed esercizio tecnico-tecnologico. La Medicina, pertanto, è portata a considerare la corporeità un insieme di aggregazioni di organi e cellule sfociando nel darwinismo fisico e sociale: una moltitudine di hommes machines12 sostenuti da complessi meccanismi fisiologici e da atavismi fisio-gnonomici fino a rivalutare, a volte inconsapevolmente, concezioni di tipo lombrosiano13. In questo contesto culturale egemone, al medico è lasciato soltanto il ruolo di semplice funzionario e terminale di un vasto apparato dirigistico tecno-tecnologico-autocratico di fronte a comunità e gruppi sociali che assumono il ruolo cangiante di malati, pazienti, cittadini, utenti, clienti, consumatori. Chi scrive appartiene al Corpus medicus, alla disciplina Chirurgia generale ovvero alla frazione estrema della Medicina – l’artiglieria medica con teatri, campi, carte topografiche, percorsi, accessi, ispezioni, esplorazioni, mobilizzazioni, strategie, tattiche, demolizioni e ricostruzioni, addestramenti, vittorie e sconfitte – e darebbe risposte consone all’impostazione anatomo-clinica, su cui sommamente si fonda la Chirurgia, se non avesse approfondito uno scritto di John Hunter, non un sofista ma un grande chirurgo e docente britannico del XVIII secolo che all’esercizio della professione dedicò l’intera vita: per passione e coerenza giunse perfino ad inocularsi del pus davanti agli allievi per sperimentare
«L’uomo si distingue soltanto per i suoi meccanismi complessi». A sostenerlo fu il medico francese Julien Offray de la Mettrie, nel 1748, nell’epoca delle statue semoventi che si ammirano ancora nelle cattedrali di Messina, Venezia, Monaco di Baviera, Praga. 13 C. Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alla psichiatria, Bocca, Torino 1897, 5a ed.; L. Testut, Anatomia umana. Anatomia descrittiva – Istologia – Sviluppo, UTET, Torino 1945, 1a ed. francese del 1909. 12
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22 Capitolo I
se sarebbe prevalsa la blenorragia o la sifilide, optando la sua ipotesi per la prima. Si ammalò di entrambe le affezioni, ne guarì e la notizia dell’auto-esperimento fece il giro del mondo. Nello scritto di Hunter lapidariamente si legge: «La Chirurgia è come un’azione armata che conquista con la forza ciò che una società civilizzata potrebbe ottenere mediante una strategia»14. Una considerazione, antica quanto saggia e sconosciuta, che la maturità delle esperienze, ormai sterminate, stratificate e stabili da decenni, dovrebbe rendere più sapienziale la pratica clinica e la ricerca medica per le molte battaglie perdute, non per carenze deontologiche, tecniche, professionali o per insufficienze della rete sanitaria né per mancanza di nuove imponenti e raffinate tecnologie o di particolari farmaci e vaccini, ma per la scarsità di elementi resi espliciti che convincano le donne e gli uomini delle Istituzioni pubbliche e private a riformare la società nel suo modo di essere, di organizzarsi, di produrre, consumare e progredire in nome del contratto sociale e del bene comune. Una riforma preliminare è subito possibile a partire dal processo di ricomposizione in una unicità delle culture umanistica e scientifica, separate da differenti tradizioni e linguaggi, e dalla riappropriazione delle radici etiche, deontologiche ed umanitarie della Medicina: la tutela della salute come bene supremo della condizione umana oggi immersa in un contesto apolitico e astorico senza neppure possedere, come sostenuto da Simone Weil nei suoi Quaderni, «la speranza del sabato come attesa e liberazione» e anzi subendo l’incombere del rischio reale che l’intera umanità divenga «una cosa nel senso più letterale della parola: c’era qualcuno e un attimo dopo non c’è più nessuno»15. Una Medicina che restasse assoggettata alle logiche dello sviluppo tecnologico e tecnico e insensibile al progresso sociale, come strumento di giustizia e di prevenzione primaria della malattia, rischia di rimanere
John Hunter esercita la chirurgia nella seconda metà del Settecento a Glasgow e Londra, dove viene ammesso nella esclusiva corporazione dei medici perché ritenuto degno di un tale onore, per aver dimostrato cultura oltre che destrezza (M. Roberts, John Hunter, Med. Press, London 1929). Il superamento della distinzione corporativa fra medici e chirurghi avviene durante la Rivoluzione francese. È ricordato in anatomia chirurgica per il «canale femorale semimembranoso di Hunter», in cui si stendono nervo, arteria e vena omonimi. 15 S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Roma 1999. 14
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relegata nel ruolo improprio di stabilizzatore culturale e sociale e di abdicare al suo compito fondamentale. Nessun altro sapere, infatti, coniuga nel proprio motto scienza e coscienza, in forza del quale il Corpus medicus può trarre la propria piena legittimità a riclassificare molte malattie o, meglio, gruppi omogenei di persone e popoli: fumatori-non fumatori, bevitori-non bevitori, ricchi-poveri, occupati-disoccupati, lavoratori manuali-intellettuali, europei-africani, abitanti di nord-sud, occidentali-orientali, ecc.16. Ne deriverebbe che la qualità e la durata della vita sono migliorabili mediante uno sviluppo che conduca al progresso, sebbene siano indiscutibili i meriti che la Medicina scientifica ha acquisito nel travagliato e lungo processo di contrasto verso molte grandi affezioni. Sarebbe opinabile, al contrario, ritenere che esistano nessi inscindibili fra attività medica e attenuazione od estinzione di gravi patologie planetarie: la loro eradicazione va soprattutto ricercata nei risanamenti ambientali e nelle migliorate condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni, più a scelte politiche piuttosto che ad azioni mediche, spesso improntate a dedizione ed eroismo ma scarsamente efficaci od impotenti. Infatti, la morbilità e la mortalità da colera, tifo, tubercolosi, malaria, lebbra, parassitosi, morbillo, scarlattina, difterite, malattia reumatica, scorbuto, pellagra, ecc. hanno cominciato a regredire prima ancora che venissero identificati gli agenti patogeni e disponibili quei farmaci capaci di contrastarli. La progressiva scomparsa della tubercolosi in Europa, ad esempio, è da attribuirsi per il 92% al miglioramento generale delle condizioni di vita e solo all’8% agli antibiotici17. Lo stesso principio vale per la sparizione, o quasi, di malattie come pellagra, reumatismi, stomatiti, glossiti, scorbuto, scabbia, parassitosi dell’apparato digerente, pediculosi, ecc. Non soltanto l’allontanamento di intere popolazioni da tante condizioni patogene in cui erano immerse fin dalla nascita ha ridotto i tassi di malattia, ma anche l’incremento crescente delle popolazioni risultano condizionati, in maniera decisiva, dal miglioramento di nutrizione e situazioni igienico-sanitarie, prime fra tutte l’acqua potabile, la salubrità delle abitazioni, il corretto smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi delle città e delle abitazioni: «bisogna ammettere che le leggi G. Watt, The inverse care law today, «The Lancet», 360, 9328 (2002), 252-254. Ibidem.
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24 Capitolo I
di salute pubblica hanno fatto più che non i progressi della Medicina scientifica»18. Ecco perché i nosocomi non devono rimanere soltanto stabilimenti di diagnosi e cura, asylum miserorum. Tuttavia, l’ospedale prosegue imperturbato nel suo cammino di complessità e consumi crescenti di farmaci, materiali e apparecchiature, involontari suggerimenti all’equazione diagnosi + terapie = guarigione: una pillola, una puntura ed una fleboclisi per ogni male, la cura e l’intervento chirurgico efficace e miracoloso dietro l’angolo. Non è casuale che la spesa farmaceutica aumenti costantemente accompagnata, in particolare, da un significativo uso inappropriato e insensato di antinfiammatori e di antibiotici fino a raggiungere livelli assurdi di antibiotico-resistenza, che causano ogni anno oltre 500.000 decessi nel mondo, 37.000 in Europa di cui 7.000 in Italia. Nel 2015 nel nostro Paese sono state consumate 22,8 dosi giornaliere di antibiotici ogni mille abitanti e le prescrizioni mediche catalogabili come inappropriate hanno raggiunto e superato il 20%. Si fa largo abuso di farmaci, spesso inutilmente, in lombalgie, dolori articolari e addominali, sciatalgie, cefalee, diarree, stipsi, alitosi, tossi, traumi, raffreddori, mal di gola, stanchezza, ecc. tanto da conferire veridicità e concretezza all’antico detto anglosassone secondo cui «alcune affezioni spesso si risolvono in sette giorni con l’assunzione di farmaci e in una settimana senza farmaci». L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2017) ha stabilito che «i farmaci realmente utili sono poco più di 300, mentre in commercio ne esistono 200.000». Da aggiungere che tutti i farmaci, come mai in passato largamente propagandati e venduti in ogni luogo, con ogni mezzo e forma al pari di qualsiasi altro prodotto industriale di consumo, sono «potenzialmente dannosi quanto più i loro principi siano attivi»19. Nel 2015 sono stati consumati in Italia 1.791 farmaci al giorno ogni mille abitanti, vale a dire 1,8 dosi giornaliere per ogni cittadino, pari ad una spesa pro-capite di 476 euro, in totale 28 miliardi di euro, oltre il l8,6% in più rispetto all’anno precedente: 11,2 miliardi a carico dello Stato, in aumento del 24,5% rispetto all’anno precedente, e il resto a carico dei cittadini. I consumi maggiori sono stati registrati nelle regioni meridionali.
Ibidem. Agenzia italiana del farmaco, 2007-2017; Rapporto Osmed-Aifa, 2016.
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Tutte contraddizioni fischianti, che «mordono, pungono e svegliano come un pugno sul cranio, come una scure nel mare gelato che è in noi»20, alimentate dall’impalpabile minimalismo, monumento all’illusione di poter «dormire a comando… riposare e accumulare energie con il confortevole cuscino magnetico… bere un bicchiere di nettare, il delizioso prugno che ogni mattina riattiva e purifica l’organismo… seguire il trattamento super-regale a base di pappa reale… usufruire di stimolatori del sistema immunitario… riacquisitori della memoria… riequilibratori della flora intestinale… integratori alimentari ed energetici… epatoprotettori… assumere pillole ipervitaminiche… spargere spray cortisonici… utilizzare dentifrici a base di estratti d’albero per mordere e sorridere alla clorofilla… ricostituenti… supposte effervescenti… regolatori dell’intestino… rigenerarsi con massaggi alla cioccolata e al tabacco e al caffè… rimodellarsi con allungamenti, accorciamenti, rigonfiamenti…». Inquinamenti ambientali? È assodato che il micro-particolato determini un incremento generalizzato significativo e costante di neoplasie e affezioni di tipo degenerativo, specialmente in età pediatrica, a carico dell’apparato cardiovascolare – con propensioni ad aterosclerosi, infarti, ictus, ecc. –, dell’apparato respiratorio con broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) ed enfisemi, tumori polmonari e laringo-tracheali, degli apparati digerente ed uro-genitale gravati da tumori e di insufficienze funzionali, del sistema immunitario con il diffondersi costante di malattie autoimmunitarie, allergie e intolleranze, dell’apparato cerebro-neurologico con fondati sospetti orientati verso la sindrome di Alzheimer. Ciononostante il Parlamento europeo ha da tempo elevato le quote consentite21 di pulviscolo atmosferico, causa di aumentati
G. Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano 1999. Pulviscolo atmosferico: definizione generica di particolato, particolato sospeso, polveri sottili o polveri totali sospese, cioè l’insieme delle sostanze contenute nell’aria: fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi e solidi prodotti dalla combustione incompleta provenienti da industria, traffico, inceneritori e assimilabili. Il diametro delle particelle varia da pochi nanometri fino ai 500 μm e oltre. Il pericolo maggiore è direttamente proporzionale alla sottigliezza delle particelle, particolarmente se al di sotto dei 10 nanometri, perché in grado di invadere la circolazione sanguigna e diffondersi a tutti gli apparati e organi, nessuno escluso, penetrando nelle cellule e provocando perfino danneg20 21
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rischi cardiovascolari del 24% e di mortalità del 76%22. Forse la decisione deriva dal prezzo da pagare al subitaneo allargamento dell’Unione Europea? Viene ancora da chiedersi: «qu’est ce que est l’Europe? Une pensèe qui ne se contente jamais, une recherche desespérée qui fait sa gloire et sa tourmente»23. Secondo i dati della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2016 il 90% della popolazione mondiale respira inquinanti tali da causare 7 milioni di decessi ogni anno per inalazioni di polveri sottili ed ultrasottili, prodotti della combustione di carbone, legna e derivati del petrolio. Nella metà dei casi le morti avvengono per infarto miocardico e ictus cerebrali, nella restante metà per broncopneumopatie cronico-ostruttive (BPCO), enfisemi e tumori polmonari. In Europa si contano 500.000 decessi per anno dei quali il 7% bambini e ragazzi che non hanno ancora compiuto i 15 anni. In Italia 8.500 sono i decessi che equivalgono al 9-10% della mortalità fra gli adulti al di sopra dei trent’anni per tutte le cause, con esclusione degli incidenti stradali. Secondo altre stime l’inquinamento atmosferico è causa, addirittura, di 9 milioni di morti nel Mondo ogni anno, in particolare di 6,5 milioni per malattie cardiovascolari e respiratorie, di 1,8 milioni per inquinamento delle acque24. Con valori medi di particolato per metro cubo di aria ambiente, le città italiane (Torino con 39, Milano con 37, Napoli con 35) risultano fra le più inquinate d’Europa con quantità di polveri sottili (Pm10) che superano il valore
giamenti del DNA («Annals of New York Academy of Sciences», 903, 45 (2000); «Enviromental Health Perspectives», 112, 7 (2005); «Nature», 1 (2004); «Particle and Fibre Toxicology», 3, 13 (2006); «Stroke», 38, 915 (2007); «The New England Journal of Medicine», 1, 356 (2007); XXII Congresso nazionale della Società italiana di Chimica, Firenze, settembre 2007; European Respiratory Society, 2007). 22 European Respiratory Society, 10/12/2007, Ph. Awadalla in «Nature Communications», Canada 2017; «Annals of New York Academy of Sciences», 903, 45, 2000; «Enviromental Health Perspectives», 112, 7 (2005); «Nature», 1 (2004); «Particle and Fibre Toxicology», 3, 13 (2006); «Stroke», 38, 915 (2007); «The New England Journal of Medicine», 1, 356 (2007); XXII Congresso nazionale della Società italiana di Chimica, Firenze, settembre 2007; European Respiratory Society, 2007. 23 Bernard le Bouyer de Fontanelle, membro dell’Accademia delle Scienze di Parigi, in Pluralité des Mondes, 1686, The Encyclopædia Britannica 1910-1911. 24 «Lancet Public Health», 2017. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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limite dichiarato accettabile dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (cfr. cap. II) di 20 microgrammi per metro cubo di aria-ambiente. Cloruro di vinile? Tossico e cancerogeno, disponibile in commercio anche in comode bombolette spray. Carbonile di nichel e amianto? Si trovano a Porto Marghera, a Val Pescara, a Casale Monferrato e in ogni dove nonostante siano stati riconosciuti potenti cancerogeni fin dai primi anni ’70. L’azione degenerativa e mortale, segnalata dalla rivista scientifica «The Lancet» nel 1971, non fermò la Montedison nella produzione di amianto che, anzi, nel 1975 risultò incrementata del 50% non senza manifestazioni soddisfatte e plausi da parte di Governo e Parlamento italiani. Effetti dei materiali plastici sulla salute? Soltanto di recente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha manifestato l’intenzione di indagare sui possibili effetti dei microfilamenti di plastica, soprattutto polipropilene, rinvenuti dopo che «Orb Media», rivista d’inchiesta no-profit con sede a Washington, nel 2017 ne ha denunciato la presenza in misura del 93% in bottiglie di plastica di undici marche acquistate in nove Paesi differenti e nell’83% dei 159 campioni di acquedotti di città grandi e piccole di tutti i Continenti. Dagli anni ’50 ad oggi sono stati prodotti oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Eccessi nell’assunzione di alcoolici? Temute e non diffuse dettagliate informazioni, forse per i possibili conseguenti danni economici, ma restano disponibili cure rigeneranti, disintossicanti e trapianti di fegato. Secondo le ricerche pubblicate di recente dalla Washington University School of Medicine, basate su oltre 400.000 persone dai 18 agli 85 anni, uno o due bicchieri al giorno per 4-5 volte la settimana aumentano il rischio di morte precoce di almeno il 20% in più rispetto a chi beve soltanto tre bicchieri o meno la settimana o è astemio. Una ricerca analoga dell’Università di Bristol, pubblicata sullo «European Heart Journal» nel 2018, eseguita su adolescenti, ha stabilito che alcool e tabagismo producono immediati danni cardiovascolari, anche a bassi dosaggi, reversibili se i ragazzi smettono precocemente di bere e fumare. Gli eccessi nei consumi di alcoolici sono indicati da «The Lancet Public Health» nel 2016 come i più potenti fattori di rischio nel declino cognitivo prima dei 65 anni. Incidenti stradali e sul lavoro? Ambulanze, elicotteri, pronti soccorsi, assicurazioni, pubbliche doglianze... L’Istat ha registrato nel 2016 almeno 175.791 incidenti stradali con 3.283 vittime, quasi dieci al giorno, in larghissima parte dovute a velocità eccessive di marcia e www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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non curanza del codice stradale. Nel 2017 le denunce d’infortunio sul lavoro pervenute all’INAIL sono state 380.236, l’1,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Nei primi mesi del 2018 i decessi risultano ancora in incremento del 5,2%. Obesità per vita sedentaria, stress, effetti della pubblicità ingannevole, depressione, solitudine, eccessi nei consumi di fruttosio. aspartame e zuccheri sparsi nei dilaganti prodotti industriali ovunque e in tutti i modi propagandati, di sali, grassi, alcool, …? La risposta: pillole dimagranti, antidepressivi, interventi chirurgici, farmaci, pompe insuliniche, protesi vascolari, protesi ortopediche, ecc. Il 45% della popolazione italiana è in sovrappeso od obesa, di cui il 22% in età preadolescenziale con associati diabete, ipertensione arteriosa (nei bambini obesi si attesta sul 24%!), aterosclerosi, steatosi epatica, cardiopatie, osteo-artropatie...25. Cancerogeni in libera circolazione? La risposta si basa sugli effetti di farmaci anticancerogeni, sulla chirurgia e l’utilizzo di radio-chemioterapici e nella speranza, piuttosto lontana e vana, di potere disporre di vaccini, sieri e cellule staminali... Malattie da stress, ansia, fobie, attacchi di panico? Nel 2016 risultano consumati 39,87 dosi giornaliere di ansiolitici per mille abitanti con aumenti costanti a partire dal decennio 2001-2011. Il 10-15% degli italiani ne fa uso affrontando una spesa annuale personale di circa 400 milioni di euro, senza contare quanto attiene le conseguenze delle assenze lavorative, scolastiche e degli squilibri familiari e sociali che comportano. Tabagismo? Controlli clinici, pneumologie, cardiologie, interventi chirurgici e terapie adiuvanti, farmaci, ossigenoterapie, sigarette elettroniche… Nel paniere Istat, fin dal 1956, le sigarette contribuiscono al PIL italiano e garantiscono all’erario introiti del 58,5% a titolo di accise e il 17-22% per l’IVA, al rivenditore il 10%, al produttore il 14,5%. Lo Stato, con il suo monopolio esercitato attraverso le innumerevoli tabaccherie autorizzate, elude l’art. 32 della Costituzione che recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Contrasto alla dipendenza tabagica? Un recente messaggio ad intento dissuasivo curato dal Ministero della salute, simile per forma e contenuti a quelli precedenti, è stato affidato Società Italiana di Pediatria, 2017.
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ad un noto comico, Nino Frassica, che così recita: «Chi non fuma sta una favola!» C’è da chiedersi se può considerarsi congruo un tale messaggio a fronte dei drammatici dati ufficiali comunicati da un organo dello Stato, l’Istituto Superiore di Sanità: «nel 2017 i fumatori in Italia sono risultati 11,7 milioni, vale a dire il 22,3% della popolazione. Tra questi è aumentato il numero delle donne, da 4,6 milioni del 2016 a 5,7 milioni. Si tratta della differenza minima mai riscontrata tra fumatori uomini (23,9%) e donne (20,8%). Un dato sconcertante: il 12,2% dei fumatori ha iniziato a fumare prima dei 15 anni». Antibiotico-resistenza? L’Italia continua a risultare tra i maggiori consumatori di antibiotici, superata solo da Belgio, Francia, Cipro, Romania e Grecia, ed è in testa alle classifiche per le antibiotico-resistenze. Nel periodo 2000-2015 il consumo di antibiotici nel Mondo è cresciuto del 40%. Il 70% viene utilizzato negli animali d’allevamento inquinando in tal modo l’intera catena alimentare26. Denatalità? «Diamoci una mossa» la soluzione, forse volutamente ambigua, proposta in un manifesto affisso nelle città italiane, una propaganda evanescente gestita dal nostro Ministero della salute nel 2017. In realtà, disoccupazione, instabilità lavorative e preoccupazioni per il futuro, stress, povertà, errati stili di vita, tabagismo e consumi di alcool e droghe, obesità e diabete, cirrosi e malessere esistenziale rappresentano i principali e veri nemici della sessualità giovanile e delle eventuali intenzioni di concepire un figlio, senza contare le difficoltà di ogni genere che ostacolano la vita familiare. In Italia l’età media delle partorienti ha superato i trentadue anni. Infezione da virus dell’epatite C (HCV)? Farmaci e trapianti di fegato. Il 25% dei portatori del virus è affetto da cirrosi, con relativa esposizione al carcinoma epatocellulare. Si stima che l’evoluzione verso la cirrosi raggiungerà il 50% entro pochi anni se non si troverà il modo di prevenire l’infezione e rendere accessibili, sul piano economico e organizzativo, i farmaci specifici. L’HCV è incombente fino al 5% nelle popolazioni povere e poco abbienti mentre oscilla fra lo 0,05% e lo
Organizzazione Mondiale della Sanità, 2017; Agenzia italiana del farmaco, 2007-2017; Center for Disease Dynamics, Economics and Policy, Washington 2016. 26
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30 Capitolo I
0,36% in quelle ad elevato reddito con 11 milioni di casi in età pediatrica dei 150 milioni complessivi stimati nel mondo occidentale27. Steatosi-cirrosi epatica? Biomarcatori, nuove tecnologie, trattamenti farmacologici personalizzati… Principale indicazione al trapianto di fegato negli USA, in Italia è la prima causa di malattia cronica del fegato. Colpisce il 30% della popolazione in stretta associazione con il diabete e con l’obesità28. Morbo di Parkinson? Una segnalazione della rivista scientifica «BMC Neurology» dell’aprile 2008, in cui si afferma che «sussiste una correlazione fra esposizione ai pesticidi e insorgenza di morbo di Parkinson», non è stata smentita né approfondita né ha suscitato, al momento, reazioni e misure adeguate in alcuna delle sedi istituzionali preposte, nazionali e internazionali. Morbo di Alzheimer? Si studiano molecole per modificare il decorso della malattia e il controllo dei sintomi. I 400 fallimenti registrati in ricerche farmacologiche, con l’ultima rinuncia della casa farmaceutica Pfizer dopo la delusione subita dallo studio della molecola idalopirdina, hanno finalmente aperto una piccola finestra su studi epidemiologici e strategie preventive primarie. Gli attuali 50 milioni di malati nel mondo potrebbero raggiungere i 135 milioni nel 2050. In Italia i malati di Alzheimer sfiorano il milione, in Europa i 7 milioni29. Autismo? Si evidenzia una relazione con l’esposizione delle madri ai pesticidi secondo «Si-Environmental Health Perspective» del 2017. Di questi il glifosato è tuttora l’erbicida e antiparassitario maggiormente utilizzato nel settore agricolo e nell’uso domestico. Le Istituzioni preposte tendono a imporre la riduzione dei dosaggi piuttosto che ad impedirne la produzione e la libera circolazione nel commercio mondiale. Broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO)? Risposte? Al solito: «Strategie inalatorie e allo scopo di identificarne le caratteristiche ai fini di ottimizzare l’efficacia del trattamento terapeutico». Nulla viene
E.P. Sokal, Hepatitis C, «Arch Dis Child.», 102, 7 (2017), 672-675. National Institute for Clinical and Healthcare Excellence, 2015. 29 Global Observatory for Ageing and Dementia Care, 2017. Sheffield Institute for Translational Neuroscience, 2016. 27 28
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Seminare dubbi, non raccogliere certezze 31
segnalato e, soprattutto fatto, sulle molteplici origini delle BPCO: tabagismo, inquinamenti ambientali, inalazioni, ecc.30. Tumori del colon-retto? Interventi chirurgici e terapie adiuvanti. Si apprende della sperimentazione di «un concentrato di broccoli mescolato ad un probiotico derivato dall’Escherichia coli», il tutto puntualmente ingegnerizzato. Secondo l’articolo, apparso nel gennaio 2018 su «Nature Biomedical Engineering»31, il composto distruggerebbe in vitro il 95% delle cellule neoplastiche, sui ratti la massa tumorale risulterebbe ridotta del 75%. Si consuma l’ennesima attesa sul proscenio di Godot? Tumori polmonari e faringo-laringei? Rispettivamente al primo e al quinto posto in Italia per mortalità mentre il giornalista divulgatore scientifico Piero Angela è invitato a spiegare la «scoperta delle dieci proprietà biologiche, comuni ad ogni tipo di tumore, su cui la ricerca sta lavorando per migliorare la diagnosi, la prognosi e la cura dei tumori…». Appunto! Diagnosi e cura! A proposito si installano e si propagandano Tac ultrasottili ed ultrarapide e si preparano «molecole prodotte da un batterio marino antartico in grado di sopprimere selettivamente alcune cellule del tumore polmonare»32. Ottimi avanzamenti tecnologici, ma, comunque, elargizioni di speranze a futura memoria... Intanto, aspettando Godot sul proscenio della vita quotidiana, le malattie vengono percepite e sperimentate come male oscuro, individuale predisposizione, imprevedibile e fatale difetto congenito e genetico contro cui bisogna attrezzarsi nel contesto delle più affollate e drammatiche contraddizioni socio-economiche ed etico-politiche della modernità. Forse progresso e sviluppo, e il nostro stesso esistere, debbono necessariamente e soltanto incentrarsi e consistere nel comprare e vendere come teorizzato, con autoironia, toni sarcastici e molta efficacia, da Moni Ovadia33? A proposito sarebbe utile riflettere su ogni parola proclamata da un martire liberale nostro contemporaneo: «Non coglie-
P.M. Calverley, Salmeterol and fluticasone propionate and survival in chronic obstructive pulmonary disease, «N Engl J Med», 56 (2007), 775-789. 31 Chun-Loong Ho et al., Engineered commensal microbes for diet-mediated colorectal-cancer chemoprevention, «Nature Biomedical Engineering», 2, 27-37 (2018). 32 Cancro al polmone, un batterio antartico uccide le cellule tumorali, «Corriere del Mezzogiorno», 20 gennaio 2018. 33 L’ebreo che ride. L’umorismo ebraico in otto lezioni e duecento storielle, Einaudi, Torino 2008. 30
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32 Capitolo I
remo il vero scopo della nazione e le nostre personali soddisfazioni se non coincideranno con il benessere economico. Non possiamo accontentarci di misurare la felicità nazionale con l’indice Dow-Jones né il progresso con il prodotto interno lordo che comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le strade dalla carneficina dei fine settimana, che mette in conto le serrature per le porte di casa, le prigioni per coloro che le forzano e i programmi televisivi che esaltano la violenza, che cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, con i mezzi che la polizia usa per sedare le rivolte e quando si ricostruiscono i bassifondi popolari dopo averli danneggiati. Il prodotto interno lordo non apprezza la salute, la qualità dell’educazione e le gioie della vita, la bellezza della poesia e la solidità dei valori familiari, l’intelligenza e l’onestà, la giustizia nei tribunali e l’equità sociale, l’arguzia e il coraggio, la saggezza e la conoscenza né la compassione e la devozione che si devono alla comunità nazionale. Misura tutto eccetto quanto rende la vita degna di essere vissuta. Ci dice molto dell’America, ma non ci rende orgogliosi di essere americani» (Robert Kennedy, nella campagna elettorale per le presidenziali. Università del Kansas, 18 marzo 1968, ottanta giorni prima di essere assassinato).
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Capitolo II
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Dottrina dell’omeostasi e patogenesi
«Presiede al controllo di possibili alterazioni negli organismi mediante specifici recettori che concorrono a stabilizzare l’uniformità del mezzo interno, nonostante le infinite variazioni dell’ambiente esterno in cui vivono». Formulato fra il XIX e il XX secolo da Bernard e Cannon1, questo concetto di omeostasi dipana i mirabili meccanismi che assicurano l’armonia nello sviluppo ponderale e gli incredibili fenomeni del mantenimento, rinnovamento e decrescita di tutte le forme di vita: in sostanza si tratta di un autogoverno centrale, dotato di sensori periferici, che riguarda ogni parte e funzione dei corpi viventi, le loro relazioni con l’esterno, i loro equilibri interni e le dinamiche fisiologiche e fisiopatologiche degli organismi, la composizione, la vita, la durata e la missione delle cellule e di ogni loro parte, degli interstizi, di organi e apparati, dei processi riparativi, delle difese immunitarie, della evoluzione delle specie animali e vegetali e dei loro relativi adattamenti, ecc. Anche le leggi che regolano gli immensi equilibri terrestri e dell’Universo astronomico, e in fondo anche quelle alla base delle organizzazioni e delle convivenze animali, vegetali ed umane, nelle innumerevoli tipologie di aggregazioni in ogni epoca e luogo, fatte le dovute proporzioni e qualificazioni, sono ascrivibili a processi omeostatici. Nell’essere umano, in varie misure e modi, come in tutti gli esseri viventi animali e vegetali e nell’Universo intero, l’omeostasi agisce entro
C. Bernard, Recherches expérimentales sur le grand sympathique et spécialement sur l’influence de la section que ce nerf exerce sur la chaleur animale, «Memoires de la Société de Biologie», 5 (1853); W. Cannon, The supersensitivity of denervated structures, Macmillian, New York 1949, X, 245; Th.C. Ruch, J.F. Fulton, Medical Physiology and Biophysics, W.B. Saunders Company, Philadelphia 1954. 1
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limiti ben definiti, ma sufficientemente flessibili e perfino abbastanza deformabili, subordinati al mantenimento delle funzioni vitali, elastici e compensativi fino a lambire la loro rottura. In particolare, l’equilibrio omeostatico viene sottoposto a dura prova se alla precarietà delle condizioni psico-fisiche, dei modi di vivere e dell’ambiente in cui l’organismo umano cresce, agisce e si sviluppa, si aggiungono, creando fenomeni di potenziamento reciproco, logoramenti fisici, defedamenti organici e psicologici, condizioni di stress, malattie metaboliche e degenerative, obesità, alcoolismi, tabagismi, alimentazioni errate, consumo di droghe, assunzioni cospicue e continuate di farmaci immunodepressivi, inquinamenti significativi e alterazioni ambientali significative sul piano quantitativo e qualitativo, ecc. Un esempio di omeostasi facilmente riscontrabile e verificabile da ognuno? In alta quota gli atti respiratori e la frequenza cardiaca subiscono incrementi subitanei e crescenti per compensare l’inevitabile rarefazione d’ossigeno e il senso di affaticamento che ne deriva. Se il soggiorno in altitudine dovesse prolungarsi per un lungo periodo il midollo osseo, per la sua proprietà emopoietica, provvederà spontaneamente e gradualmente ad accentuare e accelerare la produzione di globuli rossi in modo da garantire una buona ossigenazione dei tessuti e nello stesso tempo permettere il ritorno alla normalità degli apparati respiratorio e cardiocircolatorio. Il noto aspetto rubizzo riscontrabile nei montanari abituali rappresenta bene gli effetti dell’omeostasi: la poliglobulia, cioè un aumento permanente dei globuli rossi circolanti come meccanismo di compenso, conferisce a queste persone il colorito rossastro della pelle. Un aggiustamento fisiologico semplice ed efficace, di fronte ad una privazione di una certa quantità di ossigeno, per ripristinare lo squilibrio creatosi fra esigenze dell’organismo e ambiente. Un semplice evento a dimostrazione della spontanea deformabilità e adattamento dei meccanismi insiti nell’omeostasi. Lo stato di malattia deriva essenzialmente da eccessive forzature, deformazioni e rotture dei processi omeostatici, relativamente al loro grado di efficienza, per contrastare un agente patogeno interno all’organismo, definibile mezzo interno, oppure presente nell’ambiente esterno, definibile mezzo esterno, in cui svolge la propria esistenza. Esaminiamo alcune condizioni di alterazione e rottura omeostatica. Una singola cellula o un gruppo di cellule possono sfuggire al controllo omeostatico, per un errore nel mezzo interno o per pressioni eccessive provenienti dal mezzo esterno, e dunque generare popolazioni www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Dottrina dell’omeostasi e patogenesi 35
cellulari autonome e anarchiche rispetto alla loro normale crescita e specificità, cioè viene a generarsi una forma di neoplasia. Prolungate insoddisfazioni esistenziali conducono ad alterazioni relazionali con conseguente decadimento psico-fisico, squilibri alimentari e consumi di sostanze potenzialmente dannose con conseguenze sul metabolismo e sulla efficienza dei meccanismi di difesa organici. Contatti frequenti e continuati con composti chimici abnormi innescano anomalie cellulari, varie forme di allergie, malattie autoimmuni, intolleranze alimentari, ecc. Traumi fisici e psichici surriscaldano i meccanismi compensativi omeostatici fino a deflagrare in patologie varie. L’assunzione impropria e prolungata di antibiotici, cortisone, antiinfiammatori, ormoni, anabolizzanti, inibitori di pompa protonica, alcool, droghe, agiscono negativamente su flora batterica intestinale, fegato, reni, sistema immunitario, apparati cardio-circolatorio e respiratorio. Gli stati di indigenza protratta attenuano e inibiscono i livelli dei meccanismi di difesa e predispongono a malattie mentre ne riducono l’intima percezione individuale e dell’intero gruppo omogeneo di persone. Queste sono soltanto alcune delle condizioni in cui si verificano aggravamenti, fino a vari livelli di rottura, dei meccanismi omeostatici insiti in un organismo in qualsiasi fase della sua esistenza, che possono sfociare in una malattia più o meno lieve e grave nell’immediato oppure nel corso di molti anni fino alla modifica dei codici genetici e dei meccanismi di trasmissione. In conseguenza di quanto descritto bisogna ammettere che se si considera lo squilibrio omeostatico dipendente esclusivamente da uno spontaneo, autonomo e casuale discostamento dalle condizioni naturali, la malattia assume il valore di un’imprevedibile e fortuita anomalia estranea a condizionamenti interni provenienti dall’ambiente: la malattia acquisisce il significato di una variante patologica di strutture anatomiche e di meccanismi fisiologici di uno o molteplici settori dell’organismo. Esulando, così, dalla sua storia trascorsa e dalla attuale, la malattia sarà riassumibile nella oggettività della lesione anatomica, in quella massa carnosa, grigia e opaca, impregnata di formalina in cui è immersa, adagiata su una delle innumerevoli cattedre di Clinica chirurgica davanti a studenti della Facoltà medico-chirurgica, dovutamente correlabile a sintomi e segni, scrutata da molteplici raffinate indagini strumentali, trattata con sofisticate e complesse azioni chirurgiche, con tecnologie avanzate, terapie farwww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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36 Capitolo II
macologiche e neoadiuvanti, in attesa di una sua propria definizione anatomo-istopatologica e di ulteriori indagini e cure, di prognosi e controlli clinici prescritti al malato in persona e raccomandati al medico curante. Questa ipotesi, definibile oggettivista, di origine positivista, esalta la oggettività della lesione anatomica nella sua origine fisiopatologica e nel suo possibile trattamento clinico e nella auspicata guarigione mentre, nel contempo, oscura in un cono d’ombra e addirittura elide, il valore soggettivo della persona malata, e di tanti altre similari per patologia e storia propria, racchiudendo così quella malattia nel guasto di quell’organo, nella solitaria dimensione biologica della persona parcellizzata, e riassunta in quel punto anomalo dolente trovato nell’organismo, ora al vaglio della cittadella sanitaria2. Se, al contrario, le alterazioni omeostatiche, che hanno prodotto quella lesione anatomo-isto-patologica in quel punto dell’organismo, vengono inquadrate nella storia passata e presente del malato, nel suo contesto culturale e socio-economico in cui è vissuto, la Medicina elabora e proietta le proprie esperienze e competenze oltre lo studio medico, ben oltre la sala d’attesa e la cittadella ospedaliera, nella società e nelle sue sedi istituzionali politiche e amministrative per affermare la soggettività della persona malata e di altre persone in condizioni analoghe nel loro contesto socio-culturale e ambientale. È questa l’ipotesi soggettivista della Medicina, la Medicina a sfondo sociale ispiratrice dei Servizi sanitari nazionali universalistici dei quali, meritoriamente, sono dotati larga parte dei Paesi occidentali, compresa l’Italia. In queste due concezioni, niente affatto alternative sotto ogni profilo, entrambe valide se integrate opportunamente fra loro, si contempla la variabilità dei concetti fondamentali di salute e malattia e delle differenti strategie politico-socio-sanitarie che si possono rappresentare e porre in atto. È limitata, infatti, l’esistenza di patologie del tutto estranee a fattori esogeni all’organismo o a condizioni di precarietà provenienti dal mezzo esterno, pur potendo coesistere fattori predisponenti individuali, probabil-
La nascita dell’idea di ospedale può essere collocata all’epoca del Concilio di Nicea del 325, che autorizzò i vescovi a istituire nosocomi in ogni città dotata di cattedrale, e nel Concilio di Cartagine del 398 che promosse la costituzione di ospizi in prossimità delle chiese, probabilmente sul modello delle Case della salute già esistenti nelle comunità ebraiche. 2
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mente anch’essi condizionabili dal mezzo esterno, che agiscono in senso patogenetico accanto alla pressione di agenti patogeni esterni. La Ricerca scientifica potrebbe chiarire il loro relativo peso specifico a condizione che la sua autonomia resti libera da influenze estranee alla sua propria missione (v. Cap. VI). La Medicina, nella sua azione quotidiana e, prima ancora, nella trasmissione del sapere, nelle Università e nei nosocomi, continua ad adottare decisamente la prospettiva oggettivista che esula dall’idea di salute e malattia condizionate dalla vita di ogni giorno, in un certo periodo storico, in determinate condizioni culturali e socio-economiche, in quella determinata società, in quella parte geografica. Non è casuale la forte carenza di etiopatogenesi3 nei primi moderni testi didattici e professionali, come il Trattato italiano di Medicina interna di Introzzi, o il Trattato italiano di Patologia chirurgica di Ceccarelli4, e nel fondamentale Surgical Pathology di Ackerman5, dotato di ben 913 illustrazioni fotografiche di pezzi anatomici, con relativi esami microscopici, ma sprovvisto del tutto di riferimenti a fattori etio-patogenetici. Nel corso dei decenni, e fino ad oggi, si sono moltiplicate le pubblicazioni ad impianto generale e specialistico senza che siano emerse reali differenze culturali: il Cancer, Principle and Practice of Oncology di De Vita, Hellman e Rosenberg6, riferimento autorevole e indispensabile per ogni medico, spesso presente nelle biblioteche pubbliche e private, nelle Per etiopatogenesi si intende la genesi della malattia a partire da uno o più fattori esterni e/o interni all’organismo. 4 G. Introzzi, Trattato italiano di medicina interna, Sadea, Firenze 1966; G. Ceccarelli, Trattato italiano di Chirurgia, Piccin, Padova 1957; H.I. Firminger, Atlas of Tumors Pathology, sponsored and supported by American Cancer Society, National Cancer Institute, National Institutes of Health, U.S. Public Health Service, Ed. Armed Forces Institute of Pathology, Washington 1982; W. Osler, Medicina interna, London 1892; H. Harrison, Principi di medicina interna, Vallardi, Milano 1976, 1978, 1983; J. Macleod, Medicina interna, Piccin, Padova 1956, 1973; R. Bodley Scott, Medicina interna, Zanichelli, Bologna 1983; D.J. Shearman, Diseases of the gastrintestinal tract and liver, Churchill Livengstone, London 1989. 5 L.V. Ackerman, Surgical Pathology, The C. Mosby Company, St. Louis 1953, aggiornato ed edito in Italia da Il Pensiero scientifico, Roma 1975, 1983. 6 V.T. De Vita jr., S. Hellman, S.A. Rosenberg, Cancer: Principles and Practice of Oncology, Linpcott-Raven publishers, Philadelphia-New York 1985, 1997. 3
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edizioni del 1987 dedicò ad epidemiologia ed etiopatogenesi il 2-3% del testo e delle voci bibliografiche. Nella sua quinta edizione del 1997 e nella nona ed ultima del 2015 accenna appena a generici fattori ambientali e stili di vita alla base delle malattie neoplastiche7. Bisogna constatare, sul piano didattico, che la Medicina scruta i corpi come i naviganti gli astri, occupa una posizione centrale, neutrale e imparziale, con le conseguenze culturali, organizzative e progettuali che ne derivano. Sul versante dell’organizzazione sanitaria il medico sostiene la parte di un quasi-prestanome, non agisce come Esculapio in solitudine8, apprende dalle esperienze altrui che mette in atto e trasmette ad altri contribuendo a produrre cultura clinica, ricerca e tradizioni che si consolidano e si stratificano ulteriormente. La responsabilità dell’esito finale gli appartiene, ma chiama in causa tutta intera la Medicina e il Corpus medicus, la sua millenaria storia, le sue scelte culturali e dottrinarie, strutturali e pedagogiche. Ogni medico, qualunque sia la sua specialità e la sua collocazione gerarchica, non costituisce che un esile segmento per bastare a ristabilire l’ordine delle priorità nella complessa organizzazione sanitaria e, specialmente, nell’ospedale dominato dalla oggettiva Medicina anatomo-clinico-diagnostico-terapeutica, la quale, per quanto tecnologicamente avanzata e perfezionata e ben organizzata, non garantisce verità scientifiche e risultati risolutivi, ma vari livelli di approssimazione nelle diagnosi, nelle cure e nelle prognosi. Intanto insistono gli annunci ottimistici e acritici che eclissano il nocciolo del problema: nonostante l’incessante ricerca scientifica e la vasta rete sanitaria, frutto di un enorme impegno organizzativo, economico, morale ed etico, le gravi malattie continuano a mantenere un loro preoccupante carattere epidemico con frequenti esiti sconfortanti che, a volte, scompaginano il patto fiduciario con il cittadino-malato-paziente-utente-cliente, fino a dissolverlo e a trasformarlo in un terreno di scontro aspro: da alleati ad avversari.
Ibidem. R. Caton, Health temple in ancient Greece and the work carried on in them, «Proceedings of the Royal Society of Medicine», 7 (1914), cit. in D. Guthrie, Storia della medicina, Feltrinelli, Milano 1977.
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Capitolo III
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Da Esculapio a Bombastus e oltre
«Un tale che si fa chiamare Esculapio ospita ogni mattina da cinquanta a sessanta malati nella sua anticamera, ascolta le loro lamentale, li dispone su quattro file e, a seconda delle sue proprie convinzioni, ordina alla prima un salasso, alla seconda una purga, alla terza un clistere, alla quarta un cambiamento d’aria»1. La metodica seguita potrebbe far ritenere superato il concetto di malattia legata alla malevolenza dell’Olimpo verso quella persona. Sono forse emersi con chiarezza quei criteri razionali necessari a denominare, classificare e curare, nei modi appropriati, etio-patogenetici e olistici e con risultati apprezzabili, raggruppamenti omogenei di malattie secondo un sistema razionale nosologico? No, ad agire è ancora la Medicina sospesa fra umori e miti, arti misteriche e dignità sacerdotali, convinzioni personali e fatalismi popolari. Bisognerà attendere almeno duemila anni. In pieno Rinascimento uno dei suoi figli prediletti, Paracelso, acquisisce una qualche nozione fisiopatogenetica: la malattia ripensata come «l’esaurirsi dell’innato potere balsamico dell’organismo di auto-guarire da sierosità, suppurazioni e necrosi». Nasce il concetto dell’autodifesa organica e di riparazione del danno arrecato ai tessuti vitali. In nuce viene annunciato il principio dell’omeostasi. Considerato il Lutero della Medicina per le profonde lacerazioni dottrinarie apportate ai codici tradizionali, sostenute da malamente occultate sue autopsie unitamente ad una frenetica pratica medica, Paracelso, al secolo Phylippus Aureplus Theophrastus Bombastus von Hoheneim, sa di essere osteggiato da tutti, proprio tutti, dai colleghi e dai cortigiani ferraresi che vuole fronteggiare contrapponendo alle loro illazioni autocompiaciuti elogi pubblici: «Non entrai nelle grazie di alcuno, salvo delle folte schiere R. Caton, Health temple in ancient Greece and the work carried on in them, cit.
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40 Capitolo III
dei malati che ho guarito… la mia barba ne sa più di voi detrattori e dei vostri scritti… le fibbie delle mie scarpe sono più sapienti di Galeno e di Avicenna…»2. Le solite contrapposte autostime e le deliranti derisioni reciproche all’interno della corporazione medica, in verità mai sopite e anzi accentuate nei secoli avvenire e, soprattutto, ai giorni nostri. Il suo stesso pseudonimo Paracelsus, nel senso di uguagliabile e addirittura superiore al grande medico Celsus3, cucitogli addosso su misura dai colleghi di Ferrara dove studiava e ha operato a lungo, fu dallo stesso medico accettato e anzi esibito pubblicamente, tanto che gli inglesi ebbero buon giuoco nel trasformare sottilmente Bombastus, uno dei suoi molteplici nomi, da sostantivo in aggettivo e in tal modo reso adatto ad indicare vari gradi di ampollosità e di vana gloria, saccenteria e autoreferenzialità che abbondano in qualsiasi corporazione di arti e mestieri in ogni epoca pregressa e attuale. Paracelso, di fatto, genererà una netta discontinuità con tutte le precedenti millenarie esperienze dominate da un’assoluta immobilità della dottrina e della pratica che obbligava di fatto le Scuole mediche a trasmettere, sul piano sapienziale e pratico, essenzialmente elementi di Storia della Medicina escludendo, comunque, dall’insegnamento ogni cenno sulle potenzialità derivabili da azioni chirurgiche. La corporazione dei barbieri-chirurghi, nata a Parigi nel 1268, venne addirittura apostrofata dalla Facoltà medica come raggruppamento di apostati e usurpatori. Vi facevano parte chirurghi ad abito lungo e barbieri ad abito corto. Tra il XV e il XVI secolo i primi, ad abito lungo, meno grezzi secondo il luogo comune dell’epoca, ottennero di poter seguire corsi di anatomia presso la Facoltà medica in un latino appositamente volgarizzato, fino a rasentare il maccheronico, adatto al loro ritenuto scarso livello culturale. Ma, data l’occasione della vicinanza fisica, di soppiatto, i medici della Facoltà incominciarono a servirsi dell’opera dei chirurghi per curare malati per patologie ben visibili, esterne o raggiungibili da orifizi naturali,
L.A. Andrè-Bonnet, Histoire générale de la chirurgie, Editions du Fleuve, Lyon 1955; P.R. Netzhammer, Theophrastus Paracelsus, Das Wissenswerteste über dessen Leben, Lehre und Schriften, Einsiedeln 1901, p. 47. Paracelso, medico e profeta, Pirmin Meier (a cura di), Salerno Editrice, Roma 2000; Paragrano, trad. it. di F. Masini, Laterza, Bari 1973. 3 Noto per il suo Trattato di Medicina del II secolo a.c.; F. Medicus, The scientific significance of Paracelsus, «Bulletin of the History of Medicine», 4 (1936). 2
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Da Esculapio a Bombastus e oltre 41
da cui la denominazione attribuita ai chirurghi di esternisti a differenza dei medici autodefinitisi da quel momento in poi, con sdegnosa superiorità, internisti4. Le pratiche dissettorie, illegali quanto da tutti ben conosciute e altrettanto apprezzate, contribuirono a far considerare la Chirurgia un’arte minore, sul piano dottrinario e formale. Se un chirurgo avesse richiesto la licenza di esercizio medico, la Facoltà medica avrebbe acconsentito a rilasciarla a condizione che un atto notarile sancisse l’impegno personale ad escludere, dal novero delle terapie praticabili, le dissezioni sui cadaveri e qualsiasi tipo di azione chirurgica. La situazione rimase nebulosa, nonostante il titolo concesso di esperti in manipolazioni chirurgiche attribuito ai chirurghi acculturati, cioè ad abito lungo, fino alla Rivoluzione francese durante la quale si realizzò, come in tutta Europa, la fusione fra le due corporazioni, la medica e la chirurgica. Paracelso anticipò in ogni maniera questo lungo processo storico non badando a regole scritte e a tradizioni orali consolidate da secoli, infischiandosi allegramente di censure ed editti della Facoltà e della potente corporazione medica ferrarese sostenuta dalla corte ducale e dai gruppi di potere locale. A partire dalla metà dell’Ottocento la Chirurgia compì un balzo in avanti, sospinta dalle conoscenze anatomiche, anatomo-isto-patologiche e dalle acquisizioni tecnologiche fino a divenire un indispensabile autorevole volano della Medicina clinica e in genere dei nosocomi. La Facoltà e i titoli di laurea relativi vennero riformulati in Medicina e Chirurgia. Fra le due discipline le tensioni non cessarono e si prolungarono fino ai giorni nostri: in sostanza, i Trattati di Patologia medica e i Trattati di Patologia chirurgica (V. Cap. II), con le relative applicazioni cliniche, si sono contesi interi capitoli di patologia e, dunque, molteplici gruppi di malati sul piano delle indicazioni terapeutiche da seguire. Semplificando e molto volendo schematizzare, i medici tendenzialmente intendono curare basandosi, quando è possibile, sull’efficacia dei farmaci e delle procedure tecniche poco invasive, i chirurghi puntano sugli atti operatori demolitivi e ricostruttivi per tentare di risolvere alla radice una serie di patologie: malattie infiammatorie intestinali, ernie iatali e malattie da reflusso gastro-esofageo, acalasie esofagee, diverticoliti e diverticoliti del T. Mckeown, The role of Medicine: dream, mirage or nemesis, The Nuffield Provincial Hospitals Trust, London 1976. 4
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42 Capitolo III
colon-sigma, calcolosi delle vie biliari, ecc. In passato le lobotomie cerebrali sono state preferite agli shock elettrici e insulinici in caso di psicopatie avanzate, nelle gravi cirrosi epatiche la Chirurgia ha attuato by-pass vascolari in modo da evitare il blocco circolatorio epatico e i sanguinamenti delle prime vie digestive, nell’ulcera peptica ha effettuato resezioni gastro-duodenali e vagotomie per ridurre il livello di acidità gastrica, nelle malattie infiammatorie aspecifiche ileo-coliche sono state eseguite ripetute resezioni intestinali, negli enfisemi polmonari l’asportazione di sciami di tessuto bolloso in modo da prevenirne la rottura e liberare lo spazio pleurico disponibile per l’espansione del polmone, ecc. Mediante le analisi delle esperienze compiute e con una rinnovata attenzione alla ricerca scientifica, la Chirurgia gradualmente ha abbandonato la sua tradizionale tendenza demolitiva valorizzando le speranze di integrità fisica delle persone malate senza ridurre i livelli di efficacia delle cure. Negli anni Sessanta, su pressione del movimento femminile scandinavo, maturò l’idea che i risultati del trattamento fortemente demolitivo dei tumori della mammella potessero sovrapporsi a quelli conseguiti con un atto chirurgico conservativo. Nella medesima epoca venne affrontato il problema degli interventi invalidanti per il carcinoma del retto e si dimostrò che le strategie multidisciplinari potessero sostituirsi alle tecniche ampiamente demolitive senza alterarne l’efficacia e i risultati a distanza. Spariscono le aggressioni indirette e dirette ai tessuti cerebrali per ragioni funzionali, i by-pass vascolari vengono largamente sostituiti da tecniche mininvasive endoscopiche, alle resezioni gastriche di principio e ileo-coliche si sostituiscono somministrazioni di farmaci e prescrizioni igienico-dietetiche, vengono abbandonate le resezioni di tessuto polmonare per gli stati di grave enfisema, il ricorso alla chirurgia segue percorsi più selettivi e conservativi. La pratica medica, intanto, tralascia l’uso estensivo di farmaci classificati come antitossici, antichetosici, antiacidi, rigeneratori e protettori epatici, l’uso di estratti di fegato bovino e di merluzzo, gli immancabili e diffusi ricostituenti primaverili a base di corteccia surrenalica e ferro, polivitaminici, complesso B, le somministrazioni periodiche di olio di ricino e le prescrizioni di clisteri a scadenza bi-trimestrali, ecc. Medicina e Chirurgia incominciano a riflettere e a dialogare fra loro seriamente e a disporre linee terapeutiche condivise. In questo contesto, tendente al rispetto di tessuti e funzioni, la laparoscopia e la toracoscopia, a seguito del perfezionamento del sistema ottico, dopo circa un secolo di tentativi, vengono accolte da chirurghi www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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pionieri con inedita rapidità. La loro nascita (Tav. 1) è il risultato di convergenze tecnologiche e di molteplici fattori: la necessità di ispezionare la cavità addominale e toracica, di limitare l’invasività e le conseguenze delle laparotomie e delle toracotomie, di ridurre e quasi annullare la sindrome che va sotto il nome di decorso post-operatorio, cioè quel complesso di fattori la cui presenza e intensità è relativa alla tipologia di intervento, alla sua durata, all’ampiezza e alla sede dell’incisione, alla perdita di liquidi e sangue, alle manipolazioni, alla rilevanza di malattie preesistenti, all’età e alle condizioni generali del malato, all’eventuale insorgenza di complicanze. In Chirurgia laparoscopica e toracoscopica la via d’accesso è minima, mediata da un sistema ottico digitale che crea una nuova interazione fra chirurgo, tecnologia e malato. Tav. 1 – La nascita e lo sviluppo della chirurgia laparoscopica, come per tutte le innovazioni mediche, è legata strettamente al progresso tecnologico. 1901 Kelling (Dresda): 1a laparoscopia sul cane utilizzando uno stetoscopio modificato e una candela. 1901 Ott (Pietroburgo): 1a laparoscopia diagnostica nella donna. 1910 Jacobaeus (Stoccolma): con sonda ottica rudimentale ispeziona peritoneo, pleura e pericardio. 1920 Ordnoff (Russia): inventa il trocar con valvola a tenuta. 1924 Stone (USA), Steiner (USA): pubblicano esperienze di peritoneoscopia. 1929 Kalk (Dresda): inventa una sonda endoscopica fornita di lenti oblique a 135°. 1934 Zollikofer (Berna): pratica il primo pneumoperitoneo. 1938 Veress (Germania): inventa l’ago protetto per provocare in sicurezza il pneumotorace. 1965 Invenzione della luce fredda. 1966 Hopkins (USA): invenzione del sistema endoscopico a lenti. 1970 Invenzione della luce alogena. 1973 Bercì (USA): pubblica la sua esperienza in peritoneoscopia. 1974 Hasson (Germania): propone un trocar che può attraversare la parete addominale senza rischi. 1977 Semm (Germania): inventa l’insufflatore automatico. 1978 Cushieri (GB): segnala l’utilità diagnostica della laparoscopia. 1986 Telecamera computerizzata. 1987 Semm (Germania): pubblica un manuale di laparoscopia operativa. 1987 Mouret (Lione): esegue la prima asportazione della colecisti con metodo laparoscopica nell’uomo.
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44 Capitolo III
I chirurghi che all’alba degli anni ’90 utilizzarono e diffusero l’accesso laparoscopico e toracoscopico si trasformarono, a giudizio di parte dei colleghi, in tanti nuovi Lutero della Chirurgia, tanti Bombastus per interderci, contrastati e a volte derisi. Qualcuno giunse a dichiarare pubblicamente, con risolutezza, che «mai avrebbe operato attraverso il buco della serratura», chi inorgoglito e impettito rimpianse la tradizione, la nobiltà e l’estetica del bel gesto chirurgico, chi sconsolato e dolente continuò a ripetere un assioma di antica quanto ampollosa forgiatura, alla Bombastus di cinque secoli or sono: «grande taglio grande chirurgo»! Nella realtà dell’accesso laparoscopico e toracoscopico i requisiti per la sicurezza e il successo dell’intervento sono i medesimi dell’intervento tradizionale: la giusta indicazione terapeutica, l’esperienza dell’équipe, la disponibilità di una vasta gamma di apparati tecnologici, dalle suturatrici meccaniche al bisturi ad ultrasuoni fino a strumenti e apparecchi a volte inutilmente robotizzati5. L’occhio e l’azione del chirurgo si trasferiscono all’interno della cavità addominale e toracica, che restano chiuse all’aria-ambiente ed estranee a manipolazioni e microtraumi, avendo l’insufflazione di anidride carbonica calda e sterile trasformato, elevando la parete addominale, la cavità addominale (la toracica possiede già una sua struttura una volta collassato il polmone) in un mini-endoblocco operatorio con conseguenze positive: esigui traumi dei tessuti, assenza o quasi di dolore, riacquisizione immediata dell’autonomia personale, riduzione dei tassi di infezione, assenza di ernie post-incisionali e di sindromi aderenziali, dimissioni precoci, rapida convalescenza, ecc. Tutte le patologie benigne sono candidabili all’accesso laparoscopico; obbedendo a severi criteri di selezione-esclusione la procedura mininvasiva può essere estesa anche a malati oncologici. I risultati complessivi si rivelano eccellenti per la patologia benigna, migliorativi per la patologia oncologica per quanto attiene il decorso post-operatorio e la convalescenza, ma nulli per una qualche influenza sul tempo libero da tumore e sulla prognosi a distanza di tempo.
Il termine robot – dal ceco robota: schiavitù, sfacchinata – viene usato per la prima volta nel lavoro teatrale in tre atti di Karel Čapek, I robot universali di Rossun, del 1920. È l’alba della fantascienza: «Non so chiamare quei lavoratori artificiali, avevo pensato a labori, ma il termine mi pare troppo libresco. Chiamali robot…».
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Con la laparoscopia e la toracoscopia la chirurgia diviene gentile e, se utilizzate appieno, anche strumento per rendere più efficiente e meno invasivo il servizio reso ai cittadini. È necessario, però, evitare che gli entusiasmi suscitati dalla tecnica, dalla tecnologia e dai risultati immediati ottenuti, anche come sostegno all’umanizzazione dell’ospedale e alla sua organizzazione, contribuiscano, come involontariamente è avvenuto in passato per elevati avanzamenti tecnici e tecnologici, ad offuscare la visibilità della via che conduce alle origini, e alla sua evitabilità, della malattia che l’atto chirurgico intende contribuire a combattere. La Chirurgia mininvasiva risponde giustamente alle offerte tecnologiche in rapida e costante evoluzione, a fronte di una espansione della domanda di prestazioni, con molti vantaggi, per i malati e i nosocomi, che i soliti limiti dottrinari sottendono: la possibile e non auspicata formazione di un cono d’ombra sulla genesi di larga parte delle patologie.
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Capitolo IV
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Dal positivismo, la medicina moderna
L’Europa della seconda metà dell’Ottocento, pacificata, produttiva con scambi commerciali intensi, dotata di tecnologie industriali e ad uso scientifico, ricca di città che si espandono insieme all’incessante crescita demografica, irradia nel mondo intero l’idea di un progresso scientifico generato dalla raggiunta egemonia della ragione, l’auspicata e percepita razionalità da immettere in ogni momento pratico della vita quotidiana e nella prospettiva, ritenuta certa, di un prossimo futuro assai luminoso per tutti (Fig. 1).
Fig. 1 – Effetti della prevenzione con vaccino su due malattie epidemiche che hanno seminato il terrore fra le popolazioni (Istituto Superiore di Sanità – CNEPS, 2006).
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48 Capitolo IV
Tav. 1 – Alcuni dati significativi in due differenti periodi. Per raggiungere in Europa un incremento demografico di 80 milioni sono occorsi cinque secoli a partire dal XIII secolo. Inizi 1800 Fine 1800 Popolazione europea 188.000.000 390.000.000 Rete ferroviaria in Europa 1000 km 35.000 km Produzione di carbone in Francia 500.000 tonn. 28.000.000 tonn. Volume di scambi in franchi francesi 10 miliardi 60 miliardi Titoli quotati in borsa a Parigi 28 (anno 1850) 273 (anno 1890) Popolazione italiana 20.000.000 (1800) 35.000.000 (1901) Popolazione di Milano 120.000 (1820) 500.000 (1901) Popolazione di Roma 245.000 (1861) 424.000 (1901) Popolazione di Napoli 430.000 (1861) 548.000 (1901) Analfabetismo 78% (1861) 50% (1901) Corpo elettorale 2% (1861) 6% (1882) Mortalità infantile 175/1000 (1850) 168/1000 (1901) Mortalità puerpere 13/1000 (1852) 9/1000 (1901) Attesa di vita 40 anni (1861) 46 anni (1901) Fonte: R. Martuell et al., La Rivoluzione industriale, UTET, Torino 1967; M. Livi Bacci, Storia minima delle popolazioni, Loescher, Milano 1989; A. Cobalti, Disuguaglianze ed equità in Europa, Laterza, Bari 1993; A. Jansen, Famiglia e industria, Mondadori, Milano 1994.
L’innalzamento dell’età media di vita (Tav. 1) derivò dalla sparizione delle grandi epidemie, fra cui misteriosamente la peste che aveva flagellato per secoli tutte le classi sociali senza alcun discrimine, ma soprattutto dal diffuso e crescente miglioramento del livello di vita per molteplici fattori: primeggiò, fra i tanti, la riduzione dei tassi d’interesse sul denaro preso in prestito, utilizzabile con minore parsimonia in consumi e con inedito slancio in attività commerciali e imprenditoriali a lungo termine con conseguente creazione e ampliamento di opportunità lavorative e incrementi dei redditi familiari. Lo storico Thomas Ashton1 nel suo volume La rivoluzione industriale così descrive le mutate condizioni di vita quotidiana: «La migliore Th.S. Ashton, La rivoluzione industriale, Laterza, Bari 1998. Il fenomeno della sparizione della peste, che flagellava indiscriminatamente tutte le classi sociali, è tuttora avvolto da mistero. 1
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pulizia personale, derivante dalla maggiore disponibilità di sapone e dal modico prezzo della biancheria di cotone, diminuì il pericolo di infezioni; le città furono lastricate e dotate di fognature e acquedotti, maggiore attenzione fu prestata ai servizi come l’eliminazione delle immondizie e la sepoltura dei morti». Ignorate od accantonate la metafisica e le confessioni religiose, il metodo scientifico divenne portatore di certezze, ritenute assolute, nella conoscenza e nell’esperienza quotidiana, ovunque. Esibendo e seminando fra la gente di ogni livello sociale l’idea di un crescente ottimismo, ogni meta sembra raggiungibile, tutto diviene spiegabile, misurabile, espansibile, risolvibile, migliorabile, guaribile. Il positivismo, guidato da élites del capitalismo industriale insieme a chimici, medici, ingegneri, architetti, archeologi, zoologi, farmacisti, che godevano di un vasto e incondizionato credito popolare, si affermò come visione ottimistica della realtà incamminata verso l’incalzante inevitabile progresso materiale, intellettuale e morale dell’individuo e dell’intera umanità presente e futura. Un rimedio universale a portata di mano adatto ad ogni situazione di disagio e pericolo di ogni genere, personale e della comunità civile (Tav. 2). Scienza e Medicina si specializzarono in discipline, abbracciarono il metodo della logica induttiva e della sperimentazione, divennero empiriche e oggettiviste, pervasero ogni piega della cultura e della società. In pieno illuminismo un grande anatomista e chirurgo francese, François Xavier Bichat, massimo progenitore della moderna isto-patologia, sostenitore dell’origine tissutale di organi e apparati, interpreta la malattia come discontinuità funzionale di un organo e dell’intero organismo: «La vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte, perciò la malattia altro non è che la morte resa possibile, per molteplici avversioni, nel corso della vita»2. Il passo è decisivo rispetto alla dogmatica, statica, tradizionale Medicina degli umori, persistendo in auge fino all’alba del XIX secolo, secondo cui «il corpo contiene sangue, flegma, bile gialla e bile nera ed è in questi umori che risiede la causa della malattia e del mantenimento della salute: la salute allorché questi umori siano in giusta proporzione tra loro per qualità, quantità e mescolanza, malattia quando uno degli umori si
D. Guthrie, Storia della medicina, cit.; P. Darmon, Il furto dei cadaveri, in Per una Storia della malattia, Dedalo, Bari 1996; G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina, Laterza, Bari 1997. 2
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50 Capitolo IV
Tav. 2 – Principali invenzioni e realizzazioni scientifico-tecniche nella seconda metà dell’Ottocento
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1846 1851 1854 1856 1857 1860 1864 1866 1867 1871 1877 1879 1881 1883 1885 1888 1889 1890 1891 1895 1897 1898 1899
Anestesia generale con etere; Prima asportazione del gozzo tiroideo Macchina rotativa per la stampa Motore a scoppio Fabbricazione dell’acciaio Telefono Individuazione del centro del linguaggio Scoperta dei batteri Collegamento telefonico Europa-USA; Leggi sui caratteri ereditari Dinamite Antisepsi Prima asportazione dell’esofago Disco fonografico Lampadina elettrica; prima resezione gastrica Ciclostile, Scoperta del Mycobacterium tubercolosis, Vaccino contro il carbonchio Penna stilografica; Colorazione per visualizzare i batteri Vaccinazione antitetanica Onde elettromagnetiche; Vaccinazione contro il carbonchio in Italia Calcolatrice a schede perforate Asepsi Telegrafo; Raggi X; Cinema Telescrivente Proprietà del Radio Registratore magnetico; Aspirina
Fonte: A.E. Musson, E. Robinson, Scienza e tecnologia nella rivoluzione industriale, il Mulino, Bologna 1970; H.J. Habakkuk, M. Postam, La rivoluzione industriale ed i suoi sviluppi, a cura di V. Castronovo, Einaudi, Torino 1974; E. Hobisbawn, Rivoluzione industriale e rivolte nelle campagne, Editori Riuniti, Roma 1992.
isola e permane nel corpo anziché rimanere mescolato agli altri»3. Ancora un passo in avanti è compiuto per merito di Claude Bernard, primo medico ad insediarsi nella novella cattedra di Fisiologia della Sorbona di Ippocrate, Polibio, Cos V secolo a.c., Sulla natura dell’uomo, Storia della medicina, Laterza, Roma-Bari 2011.
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Parigi, in Leçons sur les phénomènes de la vie (1778), secondo cui «la malattia si realizza per una interdipendenza tra ambiente interno ed esterno», cioè tra l’organismo e l’ambiente. Bernard verrà portato ad esempio da Dostoevskij ne I fratelli Karamazov come simbolo di scienza atea e nichilista e da Émile Zola, nel suo Le roman expérimentale del 1880, come metodo scientifico adatto anche alla narrazione letteraria al fine di approfondire le vicende umane con l’auspicabile oggettività. Una oggettività che in Italia si esplicita anche nella istituzione della prima cattedra di Anatomia microscopica presso l’Università di Pavia voluta dall’anatomico e medico Bartolomeo Panizza, dopo avere raccolto molteplici esperienze nelle Università di Padova e Bologna e prima di essersi dato volontario nell’esercito napoleonico in marcia verso Mosca. Alle nuove formulazioni di Bichat e Bernard seguono le azioni del patologo berlinese Rudolf Virchow il quale, nel 1858, sostiene che tutti gli esseri viventi sono formati da una o più cellule, che ogni cellula, unità organizzativa autonoma, derivi da una preesistente cellula, costituendo il fondamento essenziale di organi e tessuti fra loro interconnessi e in stretta relazione con i contesti ambientale e socio-economico: «La Medicina scientifica ha come oggetto le mutate condizioni dell’intero organismo reso sofferente e di gruppi di cellule in particolari organi malati»4. La malattia è intesa da Virchow come riflesso della povertà, binomio inscindibile e aberrazione che interroga e coinvolge la Medicina e l’intera società a partire dalle sue classi dirigenti: «gli ospedali rappresentano l’estremo rifugio dei bisognosi. Le cure migliori consistono nell’istruzione e nella prosperità di tutti». Continua Virchow: «Altro che devianza e sventura! La fatalità consiste nel nascere poveri!» Per questo suo orientamento del tutto controcorrente, rispetto alla politica prussiana, la Rivista da lui fondata e diretta, «Die medizinische Reform», è censurata e chiusa. Entrato in contrasto diretto con il cancelliere Bismarck, Virchow viene deposto dalla Cattedra di Patologia generale dell’Università di Berlino per disposizione del ministro alla Cultura Adalbrecht von Ladenberg. Le forti proteste degli ambienti accademici e delle comunità scientifiche portano alle dimissioni del ministro e alla subitanea proposta di reintegra R. Virchow, Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf physiologische und pathologische Gewebenlehre; L.R. Angeletti, V. Gazzaniga, Storia, filosofia ed etica generale della medicina, Elsevier Masson, Milano 2008.
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zione del grande patologo, che rifiuta decisamente l’offerta preferendo impegnarsi nella politica attiva. In qualità di consigliere eletto della municipalità di Berlino, dopo avere preso atto delle conseguenze patogene di povertà e lavoro nelle concerie, nelle miniere e negli ambienti saturi di vapori di carbon fossile e petrolio, coerente con il principio che «la Medicina è innanzitutto scienza sociale su larga scala», ottiene una serie di provvedimenti quali la costruzione di impianti fognari e idrici, l’istruzione pubblica gratuita e il divieto di lavoro per i ragazzi sotto i sedici anni. La sua politica, considerata una conversione riformista, è irrisa dai circoli intellettuali radicali e osteggiata dagli avversari politici che gli attribuiscono, in questa sua nuova veste, il ruolo di «cavallo di Troia della sedizione». Pesa sul suo conto la partecipazione ai moti del 1848 durante i quali, secondo la pubblica accusa, era giunto a «costruire barricate con ruote impregnate di sterco fatte girare vorticosamente, dossi di fanghiglia e pietrisco, trappole d’acqua, catapulte di tavolacci e botti, fionde con pallettoni di pece e materiali organici…roccaforti, barbacani… fossati… dongioni… tornelli…» tanto da poter rievocare le leggendarie difese dei castelli. Virkow era stato imprigionato soltanto due settimane per l’appartenenza all’alta borghesia berlinese. Mai cesserà di dolersi pubblicamente di questo privilegio involontariamente goduto e ineludibile. Una tanta coerenza personale non si era mai vista in nessun settore delle professioni emergenti5. Senza dubbio il periodo positivista segna progressi in Medicina, soprattutto in Chirurgia, per l’avanzamento tecnologico dovuto alla fabbricazione dell’acciaio e alle acquisizioni anatomo-isto-patologiche, a misure antisettiche e, non ultimo, al contesto culturale che subordina il progresso sociale all’esaltazione di scienza e tecnologia. Billroth a Zurigo e poi a Vienna, Kocher a Berna, Trendelemburg a Berlino, Pèan a Parigi, Lister a Edimburgo, Durante a Roma, Rizzoli e Loreta a Bologna, Bassini a Padova, Bigelow a Boston, e contemporaneamente, e a seguire, molti altri chirurghi in tutte le città del mondo eseguono resezioni intestinali, gastro-duodenali, colon-rettali, operano su fegato, vie biliari, pancreas, milza, reni, cervello, apparato scheletrico. Si racconta che in quel periodo aureo circolasse, negli ambienti chirurgici, il motto «ammalatevi pure, noi vi guariremo».
F.D. Capizzi, La parte del primo violino, Edizioni medico-scientifiche, Torino 2015.
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Theodor Billroth lega particolarmente il suo nome ad un intervento resettivo-ricostruttivo per la risoluzione dell’ulcera peptica e del cancro gastrico; appartiene, come gli altri colleghi, alla buona borghesia: suona pianoforte, violino e violoncello, è amico personale di Brahms, che gli dedica il quartetto per archi op. 51. Nello stesso tempo, membro del Consiglio della corte asburgica, è fra gli esponenti liberali e progressisti più di spicco della borghesia illuminata viennese, come traspare da una lettera inviatagli dal più famoso chirurgo e anatomista russo, il sanpietroburghese Nicolàs Pirogoff, dopo un congresso scientifico celebrato e presieduto da Billroth a Vienna nel 1881: «Lei, caro Theodor, è il primo a dire tutta la verità sui risultati che la Chirurgia è in grado di conseguire dispiegando un’analisi rigorosa dell’esperienza clinica. Ha ragione Lei, stimatissimo Theodor, la Chirurgia, che entrambi amiamo e pratichiamo, deve essere considerata l’ultima difesa contro le malattie. La prima spetta ai progressi sociali e alle correzioni motivate e affidate alla libera scelta consapevole di ognuno del proprio modo di vivere»6. Pierre e Marie Roentgen nel 1901 annunciano l’utilità dei raggi X, ricevono il Premio Nobel, il cui importo di 50.000 corone versano volontariamente e interamente all’Università di Wurzburg dove insegnano, mentre rifiutano di brevettare la scoperta nella convinzione che «ogni invenzione appartiene all’umanità intera». I coniugi Curie illustrano gli effetti terapeutici del Radio e nel 1910 pubblicano il Trattato di radioattività. Dopo la morte accidentale del marito, Marie viene insignita nel 1911 di un secondo premio Nobel per la chimica. Morì pochi anni dopo contaminata dalle radiazioni ionizzanti7. A partire dal 1873 era subentrata la delusione verso l’inevitabile, intrecciata, ascesa di benessere e progresso: una spirale recessiva agricola riverberava i suoi effetti sulle attività industriali e finanziarie nonostante il potenziale produttivo e tecnologico avesse raggiunto i più alti livelli, mentre il riemergere dei dazi protettivi riesumava le tradizionali conflittualità fra Nazioni tenute a freno dagli effetti elusivi delle con-
Ibidem. A. Manbachi, R.S.C. Cobbold, Development and Application of Piezoelectric Materials for Ultrasound Generation and Detection, «Ultrasound», 19, 4 (2011); J. Hurwic, G. Bernardini, Maria Sklodowska Curie, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1968; E. Cotton, Les Curie, Seghers, Parigi 1963. 6 7
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quiste coloniali e dalla finanza internazionale8. La costruzione della Torre Eiffel intendeva esibire al Mondo intero una grande capacità tecnologica ed estrattiva del ferro, una apoteosi resa visibile a tutti proiettata su tutto il pianeta. In realtà, il lento declino è già iniziato. Risulta mitigato in maniera poco significativa il tasso di mortalità infantile e puerperale ed è molto modesto l’incremento dell’attesa di vita e, dunque, demografico. Sopra tutti soffre l’Italia rispetto all’insieme dei Paesi europei a causa dei ritardi nel miglioramento delle condizioni ambientali, nutrizionali, igienico-sanitarie e sociali. Per reazione la politica risveglia i nazionalismi e subisce la pressione degli apparati militari forti di tecnologie aggressive inaudite mentre le popolazioni continuano a permanere affamate, stanche e afflitte da malattie che imperversano, deluse nella speranza ventilata a lungo di una prossima promozione sociale e di una raggiungibile felicità esistenziale (Fig. 2).
Fig. 2 – Nonostante le promesse, e le attese, il reddito pro-capite non cresce negli anni del fervente positivismo (Università del Sannio – Facoltà di Economia).
A.E. Musson, E. Robinson, Scienza e tecnologia nella rivoluzione industriale, il Mulino, Bologna 1970; H.J. Habakkuk, M. Postam, La rivoluzione industriale ed i suoi sviluppi, a cura di V. Castronovo, Einaudi, Torino 1974; E. Hobisbawn, Rivoluzione industriale e rivolte nelle campagne, Editori Riuniti, Roma 1992; J. Rioux, La rivoluzione industriale 1770-1880, Garzanti, Milano 1976; G. Luzzato, Problemi di storia del capitalismo, Einaudi, Torino 1974. 8
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Sperimentata da Edward Jenner, medico della campagna inglese, la vaccinazione viene adottata in Francia e in Baviera nel 1805, dopo la pubblicazione del 1801 The Origin of the Vaccine Inoculation, in Gran Bretagna nel 1853, in Danimarca e in Svezia nel 1855, in Italia soltanto nel 1889. I ritardi sono dovuti, in larga parte, ad un misto di sciatteria, snobismo accademico, spirito di sufficienza e diffidenza verso la scoperta dell’oscuro medico di campagna. La cultura razionalista continua ad interpretare la malattia come segno di decadenza, corruzione e inadeguatezza individuale e di interi strati sociali: «Tutto non è che sifilide, le psicopatie sono in aumento: nel 1830 vi erano 10.000 pazzi, nel 1874 ve ne sono 80.000»9. Carlo Maggiorani, clinico medico romano, in audizione al Senato il 12 marzo del 1873 affermerà coraggiosamente davanti ad una platea sbigottita: «La tisi, la scrofola, la rachitide tengono il campo più di prima, la pellagra va estendendo i suoi confini, la malaria coi suoi tristi effetti ammorba gran parte della penisola, la sifilide serpeggia indisciplinata fra i cittadini e in ispecie fra le milizie, il colera ha facile adito e attecchisce facilmente, il vaiolo rialza il capo, la difterite si allarga ogni giorno di più. La mortalità infantile, pari a circa il 50% della mortalità generale, è dovuta ad infezioni gastroenteriche legate alla pessima situazione igienica di molte aree del Paese e al lavoro protratto nei mesi alti della gravidanza»10. La recessione raggiunge il culmine. Mancano pane e lavoro, gli ulteriori rincari degli alimenti provocano una collera popolare irrefrenabile che si manifesta in manifestazioni di piazza e rapine di generi alimentari: il pane ha raggiunto i 50 centesimi per chilogrammo mentre il salario di un operaio si aggira sui 3-4 franchi al giorno. Nel 1898 il generale Fiorenzo Bava Beccaris ordina alle milizie di sparare sulla folla esasperata ed è repressione feroce. Lamberto Borghi, pedagogista che ha dedicato un particolare impegno nell’affermare il nesso fra scuola e società e fra educazione e progresso sociale, riporta a proposito un discorso nefastamente esemplare di un membro ultra-
Des Esseintes, in J.K. Huysmans, Controcorrente, 1884, cit. in G. Le Bon, Psicologia delle folle, Longanesi, Milano 1970. 10 C. Maggiorani, clinico medico romano, in audizione al Senato il 12 marzo 1873, in G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia 1348-1918, Laterza, Bari 1994. 9
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conservatore della Camera dei deputati: «D’altra parte abbiamo ragione di credere che il principale godimento delle classi minute stia nel non conoscere la loro umiliante inferiorità e gli ingiusti svantaggi, che non sarebbero svantaggi qualora passassero inavvertiti. Dalla religione emergono la vera sapienza, l’animo sinceramente fratellevole, la ben intesa non inorpellata eguaglianza, indarno sperata nei fremiti anarchici, nel virulento mendacio, nelle opere egoistiche dell’uomo e nel disordine»11. Politica e Istituzioni non si avvedono od omettono di rilevare che morbilità, mortalità e miseria restano a livelli elevati e concomitanti per insufficienze alimentari, inadeguatezze abitative e strutturali, mancanza di cure e assistenza. Jane Pierre Rioux, ne La rivoluzione industriale del 1770-1880, giunge alla conclusione che «la rivoluzione industriale porta a fenomeni di disoccupazione favoriti dalla meccanizzazione dei processi produttivi, poi ad una caduta del potere d’acquisto e infine al deterioramento ingravescente delle condizioni di vita e di salute di larga parte della popolazione»12. Ragioni di opportunità politica, e in definitiva di conservazione dell’ordine politico-sociale esistente, prevarranno sulla costruzione dell’effettivo bene comune. Il rischio, mai sopito, è di favorire e scambiare le opinioni e le percezioni con la verità dei fatti.
L. Borghi, Educazione e autorità nell’Italia moderna, La Nuova Italia, Firenze 1951; D. Bertoni, Storia della scuola popolare in Italia, Einaudi, Torino 1954; G. Raffaele, Istruzione ed educazione nell’ultimo cinquantennio borbonico, in Contributi per un bilancio del Regno Borbonico, Fondazione Lauro Chiazzese, Palermo 1990; P. Ziliani, F. De Sanctis e la riforma scolastica del 1861: sette lettere inedite a Quintino Sella, Libreria dello Stato, Roma 1998. 12 J. Rioux, La rivoluzione industriale 1770-1880, Garzanti, Milano 1976. 11
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Capitolo V
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Dubbi e interrogativi nell’era della tecnologia
L’istintiva esaltazione della tecnologia conduce alla sua elevazione a criterio di giudizio, a confondere progresso tecnologico con crescita culturale e sociale, ad emarginare l’impegno puramente intellettuale. Le qualità umane materialmente non percepibili divengono sempre più considerate entità misurabili. Un orientamento che ancor più vale per Scienza e Medicina con il rischio di essere catalogate come complesse pratiche tecnicistiche. Vale anche per Politica e Istituzioni nell’essere concepite mere amministrazioni contabili e gestionali. In questo quadro di esaltazione tecnologica tutto sembra riconducibile al primato dei tecnicismi e delle tecnicalità. Gli apparati tecnologici, nella Storia trascorsa e contemporanea, hanno impresso cambiamenti culturali e antropologici tali che i livelli di civiltà e i progressi scientifici vengono comunemente identificati con i gradi raggiunti dallo sviluppo tecnologico, oggi particolarmente diffuso ed entusiasmante: per sommi capi, si possono indicare l’Era delle palafitte, del ferro, del bronzo, della ruota, del motore a vapore e a scoppio, dell’elettricità, del telefono, del computer, ecc. Nell’ambito della Medicina e della Chirurgia l’espansione dei sistemi tecnologici ha assunto i connotati di una vera e propria rivoluzione così da scompaginare le tradizionali procedure sanitarie in una profondità e ampiezza tali da potere accostare, per la somiglianza dei mezzi utilizzati, i chirurghi e i medici degli anni ’60 ai cerusici-barbieri e ai fisiatri dell’epoca galenica. L’inappagante avanzamento tecnologico irrompe nella trasmissione del sapere accademico e del popolare fare quotidiano creando un involontario cono d’ombra sul quel proscenio in cui si realizza l’incontro con il paziente-utente-cittadino-cliente-malato, anzi con la sua corporeità che va a configurarsi come un insieme di organi e apparati indagati, contemplati nelle loro fissità, mediante sofisticate immagini www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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58 Capitolo V
computerizzate e direttamente attraverso straordinari strumenti esploratori anch’essi computerizzati. La storia della persona, e le sue condizioni socio-culturali, terreno di cultura di larga parte delle malattie, progressivamente, di pari passo agli avanzamenti tecnologici, sembrano allontanarsi e appannarsi fino a sparire nell’orizzonte dell’articolata e complessa pratica clinica. Non senza conseguenze. Alla percezione di distacco, a volte associata all’inefficacia terapeutica, nel rapporto medico-malato è dovuto il favore popolare verso le cosiddette medicine alternative, non per la loro efficacia intrinseca, che non posseggono perché mai dimostrata, ma per la propensione all’ascolto, dai modi inconsueti, da parte del nuovo terapeuta incontrato sulla strada della ricerca affannosa di una soluzione positiva. Infatti, ad esempio, i risultati dell’agopuntura cinese vengono percepiti ugualmente positivi, dal malato che vi si sottopone, nonostante gli aghi siano stati disposti casualmente1. Suggestione? Forse, ma funziona! Altrettanto vale per gli effetti benefici della pratica omeopatica, proporzionali al grado di attenzione prestata alla persona che ne usufruisce. L’omeopatia, in verità, non risponde a nessuno dei requisiti di scientificità: dati di laboratorio che chiariscano il meccanismo d’azione, risultati desunti da una sperimentazione animale, studi clinici a doppio cieco su persone volontarie gravate di una qualche affezione altrimenti curabile. L’omeopatia, nella realtà, non risponde a nessuno di questi requisiti. Il meccanismo d’azione? Ignoto. Dati sull’animale? Nessuno. Studi su volontari? Nessuno. Ad un osservatore imparziale e senza pregiudizi gli effetti non appaiono differenti da un effetto placebo riscontrabile in trattamenti farmacologici e fisici di alcune situazioni cliniche che hanno sullo sfondo stanchezza fisica e psicologica, squilibri relazionali e difficoltà negli ambiti dello studio e del lavoro, incertezze sul futuro... È quanto afferma su «The Lancet», nel 1984, l’editoriale mai smentito: «verifiche attendibili sotto ogni profilo hanno stabilito che la pratica omeopatica possegga soltanto un’azione ad effetto placebo». Dopo quella data, a tutt’oggi, non esistono studi in grado di contrastare una conclusione tanto drastica. A proposito un caso esemplificativo noto a chiunque: Di Bella, fisiologo docente presso l’Università di Modena, non un clinico, aveva esercitato D. Bringhaus et al., Agopuncture in patients with chronic low rach pain, a randomized and controlled trial, «Archives of Internal Medicine», 166 (2006), 450. 1
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tutt’altro che la Medicina clinica e in particolare quella oncologica, ma il suo metodo indusse molti malati ad entrare in un percorso del tutto privo di scientificità. La sperimentazione del 1999, promossa dal Ministero della Salute, stabilì «l’inefficacia del multitrattamento Di Bella», il quale nel 2002 verrà definito Dr. Hope dal britannico «Newsweek». Affermerà successivamente la prestigiosa rivista: «Nulla distingue il dr. Luigi Di Bella. Non è alto, il suo abito scuro, per gli standard italiani, è piuttosto semplice, anche il ristorante dove sta bevendo il caffè è banale. Ma è facile capire perché un paziente affetto da cancro possa essere attratto da questo medico di circa novanta anni con gli occhi da nonno ed una faccia da koala. Di Bella è effettivamente un uditore eccezionale, ascolta i malati con pazienza, anzi vuole che malati e familiari si dilunghino ad esporre i loro sintomi, le loro storie, le loro aspettative prima di prescrivere un vero cocktail di chemioterapici, melatonina, vitamine, ormoni, integratori proteici e farmaci omeopatici, seguite da varie raccomandazioni e consigli che inducono ottimismo. Per molti medici le pratiche di Di Bella niente hanno a che fare con la Medicina scientifica e assomigliano alle magie di Harry Potter. Silvio Garattini, farmacologo, ricercatore e a lungo direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, sostiene che la cura Di Bella consista in un miscuglio irrazionale di farmaci privo di qualsivoglia significato ed evidenza scientifica. Tuttavia, nel 1999 il Parlamento italiano approvò l’inclusione nel Servizio Sanitario Nazionale del trattamento Di Bella salvo ripensarci nel 2007 a seguito della definitiva bocciatura da parte del Consiglio Superiore di Sanità, avendo stabilito che non esiste alcun elemento che dimostri l’efficacia della multiterapia messa in opera da Di Bella, anzi giudicandola nociva». Ma, allora, perché i pazienti e i parenti si affollavano attorno al medico-fisiologo e le piazze si riempivano di suoi sostenitori appartenenti ad ogni parte d’Italia? Il fenomeno potrebbe rappresentare l’universalità dell’illusione popolare? Ma, le sole suggestioni di piazza non spiegano appieno il fenomeno. Di Bella e le sue prescrizioni non curavano l’organo malato né l’organismo e, per dirla tutta, neppure la neoplasia; si limitava a prendere in carico, sulle sue spalle di anziano, la persona assillata dall’angoscia per il suo futuro nella sua interezza. Ma, la Medicina come apparato dottrinario e corpus medicus non può accontentarsi soltanto dell’attenzione puntuale e affettuosa rivolta ai malati che gli stanno di fronte, ai quali vengono prescritte massicce quantità di indagini e terapie basate su tecnologie sofisticate che consowww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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lidano la convinzione di trovarsi di fronte ad un reale progresso scientifico (riecheggia la leggendaria frase: «ammalatevi pure, noi vi cureremo») in grado di sconfiggere quelle gravi malattie in continua ascesa, in particolare le malattie cronico-degenerative e neoplastiche che sfiorano il 90% di tutte le patologie. Eppure la sola semplice limitazione a non più di 5 grammi di consumo quotidiano di sale da cucina salverebbe molti dall’ipertensione arteriosa, e addirittura la vita a moltitudini di persone, e ridurrebbe nello stesso momento l’impiego di complessi e dispendiosi sistemi diagnostico-terapeutici (OMS, 2010). Si calcola che in Italia si registrino per anno oltre 100.000 decessi prima del compimento dei settantacinque anni a causa di infarti, ictus, epatiti, infezioni, e per inciso incidenti stradali, evitabili in larga misura con una prevenzione primaria che riguardi ambiente, abitudini e stili di vita come tabagismo, alimentazione errata, consumi di alcool e droghe come stabilito dal Rapporto MEV-i 2018 (acronimo di Mortalità Evitabile con Intelligenza, elaborato da Nebo Ricerche PA su dati Istat del gennaio 2018). Il rapporto fa notare un’Italia divisa a metà: Trentino, Rimini, Treviso e il nord in testa per una significativa minore mortalità per malattie evitabili; Campania, Napoli e l’intero sud in fondo alla tabella. La strategia sanitaria a posteriori, inoltre conduce a distorsioni culturali, errori progettuali e a incompatibilità economiche2. Il lievitare delle malattie, l’incremento tecnologico e l’espandersi della popolazione anziana fanno prevedere un appesantimento della spesa sanitaria e assistenziale. Entro il 2035 quasi due anziani su dieci saranno affetti da quattro o più malattie, passando da una prevalenza del 9,8% registrata nel 2015 al 17% del 2035, un terzo soffrirà di depressione o di danni cognitivi. Gran parte degli anni di vita guadagnati dopo gli ottantacinque saranno impegnati a combattere contro quattro o più comorbilità e con incrementi delle diagnosi di neoplasia del 179,4% e di diabete del 118,1% a causa di un accresciuto tasso di obesità (circa 5 milioni in Italia) e di inattività fisica, peraltro fattori di rischio per l’attivazione di molte altre malattie3. A questi fattori bisognerà
D. Callahan, False Hopes. Why America’s Quest for Perfect Health Is a Receipe for Failure, Baldini e Castoldi, Milano 1998; G. Maciocco, Politica, salute e sistemi sanitari, Dipartimento di Sanità pubblica, Università di Firenze, 2008. 3 A. Kingston et al., Projections of multi-morbidity in the older population in England to 2035: estimates from the Population Ageing and Care Simulation (PACSim) model, «Age and Ageing», 47, 3, (2018). 2
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aggiungere l’incremento delle comuni patologie della bocca degli anziani esposti ad un declino fisico e ad una maggiore vulnerabilità a causa degli effetti negativi sulla idoneità a nutrirsi, a deglutire, a mantenere un corretto apporto dietetico, sulla capacità di parlare, sorridere e restare in relazione con altre persone. Circa la metà degli anziani soffre già di patologie gengivali e della sindrome delle fauci secche e non possiede la dentizione ritenuta appena sufficiente che è di almeno venti denti4. Nel 2017 la Johns Hopkins School of Public Health ha pubblicato su «Bmc Public Health» una ricerca secondo cui nel Mondo la speranza di vita si è ulteriormente ridotta dal decennio 1950-1960 al decennio 2000-2010 da 7,4 a 6,8 anni. Questo dimostra – conclude l’articolo – che per migliorare la salute nel suo complesso «non basta inventare più cose. Le nuove tecnologie sanitarie sono state importanti, ma negli anni ’50 furono compiuti più progressi con sapone, servizi igienici e interventi di salute pubblica». Nel 2050 si prevede che gli ultrasessantacinquenni costituiranno in Italia il 34% della popolazione contro l’attuale 17%, un quarto dei quali manifesterà pluralità di malattie, necessiterà di molteplici supporti terapeutici e fisici, complesse tecnologie sanitarie e consumi doppi di farmaci rispetto all’insieme di tutte le altre età (CENSIS, 2016). Non è casuale che nelle sedi istituzionali e della politica si insista a parlare di livelli di sanità sostenibile a fronte di richieste esponenziali di prestazioni ad alto contenuto tecnologico, incompatibili con il nostro regime socio-economico perché strutturate in complessi e costosi sistemi diagnostico-terapeutici e, per giunta, con un rapporto insoddisfacente fra costi e benefici. Infatti, viene osservato che «la Medicina moderna sta diventando troppo cara per essere vitale, la spesa sanitaria italiana cresce più rapidamente del PIL al punto che la forbice tra finanziamento statale e spesa prevedibile rischia di aprire una voragine nei conti pubblici» (CENSIS, Rapporto 2017). Sostanzialmente, le malattie cronico-degenerative risultano in crescita costante fino a rappresentare oggi larga parte della patologia umana. Per fronteggiarle la spesa sanitaria, in Italia come in altri Paesi industrializzati, è essenzialmente quasi tutta destinata alla loro diagnosi e alla S. Ramsay et al., Influence of Poor Oral Health on Physical Frailty: A Population‐ Based Cohort Study of Older British Men, «Journal of the American Geriatrics Society», 66, 3 (2018). 4
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loro cura dovendo ricorrere a sistemi tecnologici complessi e piuttosto onerosi per la fiscalità generale. Il costo da affrontare è un problema da risolvere e di non facile soluzione. Un altro aspetto preliminare piuttosto importante si affianca alla crescente questione economica: la concezione di principio del Sistema sanitario oggi fondato essenzialmente su strutture e apparati tecnologici. Bisogna, infatti, chiedersi se nel Servizio sanitario pubblico e convenzionato questi sistemi, sul piano ideale ed economico, detengano un ruolo del tutto neutrale (cioè non suggeriscono nulla?) a parte gli effetti benefici su una malattia iniziale o conclamata. Contribuiscono ad oscurare, spostando il baricentro patogenetico, la patogenesi di larga parte delle malattie e, come conseguenza, ad indebolire il patto sociale basato sulla reciproca solidarietà, poiché gli interessi e le risorse dei singoli cittadini spesso non sono sincroni e collimanti con quelli della collettività creando ulteriori divaricazioni nelle diseguaglianze sociali e l’alienazione di un diritto fondamentale della persona: il diritto alla salute, inteso non solo come assenza o diagnosi e cura di una malattia ma come pieno benessere raggiunto e preservato (Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS). Queste le principali inadeguatezze culturali e organizzative che finiscono per allontanare la Medicina dalla realtà sociale e rinchiuderla in una bolla di indifferenza e di abdicazione dal suo compito precipuo: «la tutela della salute come primo pensiero» (Nuovo giuramento medico, Ginevra 1983). La riscoperta della cultura incentrata sull’uomo può creare i presupposti per orientare la potenza tecnologica verso i bisogni del vero oggetto di attenzione che «non è la persona e neppure la persona umana né la sua sacralità, è semplicemente lui, quest’uomo», l’uomo in carne e ossa con i suoi molteplici bisogni e con tutte le sue contraddizioni che portano Simone Weil, con palese sarcasmo nel volume antologico Morale e Letteratura5, a criticare certe posizioni filantropiche puramente verbali muovendo dalla citazione di un versetto de I fratelli Karamazov di Dostoevskij: «Amo l’umanità, ma quanto più ami l’umanità tanto meno amo gli uomini. Mi sono spinto fino a concepire di servire l’umanità al punto da salire sulla croce se ciò fosse necessario. Divento nemico degli uomini appena mi vengono a contatto. Quanto più odio gli uomini, tanto più si infiamma il mio amore per l’umanità». Morale e Letteratura, a cura di G. Gaeta, ETS, Pisa 1990.
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Capitolo VI
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Ricerca scientifica e diseconomia etica
«In principio il Signore creò un paradiso di delizie nel quale mise l’uomo ornato di veste candeggiante, segno di perfettissima e perpetua libertà». Il 25 agosto 1256 la campana dell’Arengo del Palazzo del Podestà di Bologna, nel pieno centro di piazza Maggiore dove trovava sede l’autorità statale del libero Comune, chiamò a raccolta i cittadini per annunciare, con quello straordinario preambolo, la fine della servitù della gleba, cioè la liberazione di 5.855 servi, destinati dalla legge vigente a rimanere tali per tutta la loro vita e quella dei discendenti, appartenenti a circa quattrocento famiglie bolognesi di rango socio-economico elevato. L’onere del riscatto fu assunto interamente dal tesoro comunale: in totale 54.014 lire bolognesi, otto lire il valore attribuito ai bambini, dieci ai maggiori di quattordici anni1. Paradigma universale di libertà e fondamento giuridico dell’inedita grande riforma, la promulgazione del Liber Paradisus marca la fine anticipata, rispetto alla lentezza dei secoli (bisognerà attendere la Rivoluzione francese), dell’atroce umiliante sudditanza popolare fino a raggiungere le successive faticose emancipazioni delle classi subalterne e oppresse e la conquista di diritti civili fondamentali, come richiesto dall’antica liberale coscienza civica, frutto di un progresso che «ha condotto alla dialettica dell’Illuminismo, al contrasto fra la libertà e le libertà, fra uguaglianza materiale e formale, nel tentativo di dare concretezza al sentimento emozionale della fraternità»2. In questo paradigma, adatto ad una riflessione sul significato autentico di salute e malattia, nel contesto liberal-democratico in cui l’Occi A. Antonelli, M. Giansante, Il Liber Paradisus e le liberazioni collettive nel XIII secolo. Cento anni di studi (1906-2008), Marsilio, Venezia 2008. 2 H. Mayer, I diversi, Garzanti, Milano 1977. 1
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64 Capitolo VI
dente da oltre un secolo è immerso, è contenuto il ruolo di Scienza e Cultura, che dovrebbero pretendere di essere pienamente libere e di ricercare in completa autonomia, rispetto ai poteri economici e politici, e al riparo da reprimende di tempi che ormai appaiono lontani. Non tanto lontani se l’idealità scientifica trovasse ostacoli fino, addirittura, a vanificarne l’indipendenza. Una libertà ed un’autonomia di pensiero e d’azione sostenute con forza e determinazione, come nella Bologna della Torre dell’Arengo oltre cinque secoli prima, a partire da Francis Bacon, medico e filosofo inglese, che assume toni critici verso tutti coloro che si adagiano «dichiarando incurabili certe malattie anziché ammettere la loro ignoranza e immergersi nella ricerca che deve essere finanziata dal sovrano e da enti pubblici a garanzia di libertà di pensiero e di azione, sul piano delle finalità e dell’organizzazione, con l’obbligo di mettere a disposizione di chiunque tutti i risultati ottenuti, positivi o negativi che siano»3. Nella realtà dello sviluppo industriale, nell’espandersi di forti concentrazioni finanziarie e delle crescenti esigenze di immensi profitti le aspettative industriali e belliche detengono la possibilità di blandire il campo scientifico, patrocinandolo sotto varie forme, per acquisire obiettivi predeterminati solidali ad interessi del tutto particolari. È vero che investire in ricerca comporti competitività e che un mancato suo sviluppo in termini di risultati utili può condurre ad arretramenti economici e sociali, ma è altrettanto vero che la libertà di ricerca scientifica deve essere garantita e incoraggiata per progredire sulla via della verità disinteressata, mentre l’industria, principale mecenate, appare sempre più disposta a finanziare, nelle intenzioni e nella pratica comune, redditizi programmi finalizzati allo scopo di produrre, pubblicizzare e commercializzare prodotti sulla base di risultati positivi ottenuti che garantiscano introiti e profitti piuttosto elevati. Oggi larga parte della ricerca biomedica, come sostenuto dalla Rivista scientifica «The Lancet», fra le prime nel mondo per attendibilità e importanza, si svolge presso laboratori industriali che prevedono la subitanea secretazione dei protocolli e dei risultati fintantoché il prodotto non sia pronto per essere propagandato e immesso nel mercato. Sostiene «The Lancet» che «l’industria condiziona i meccanismi di validazione dell’infor M. Bobbio, che è anche autore del libro Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza, Medici e industria, Einaudi, Torino 2004. 3
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Ricerca scientifica e diseconomia etica 65
mazione garantendosi la presenza di uomini di fiducia incaricati di redigere le linee-guida che condizioneranno le scelte professionali e terapeutiche di decine di migliaia e migliaia di medici. Bisogna riconoscere che le Riviste scientifiche si dedicano sostanzialmente ad interventi di riciclaggio di materiale esplicativo curato e comunque vagliato, direttamente o indirettamente, e fornito dalle industrie farmaceutiche»4. Una subordinazione incontrollabile. Lo stesso meccanismo si ripete in congressi nazionale e internazionali organizzati da committenze associative mediche e chirurgiche che si trovano di fronte alla necessità di usufruire di patrocini interessati alle loro logiche commerciali. Una Scienza subordinata ai poteri politico-economico-industriali privilegia interessi di parte e contribuisce alla progressiva decadenza della sua autonomia che, al contrario, andrebbe garantita e difesa con flussi programmati di finanziamenti nazionali e internazionali e quanto meno da sponsor tenuti lontani da possibili interferenze, che attingano alla fiscalità generale e a fondi anonimi per garantire una ricerca davvero libera e autonoma basata sulla curiosità scientifica e sull’interesse generale, come del resto chiaramente sostenuto dalla Carta europea promulgata nel 20075. Nonostante in tutte le sedi si ritenga l’investimento pubblico nella ricerca scientifica una necessità per il rilancio dell’Italia, ad oggi soltanto l’1,29% del prodotto interno lordo risulta investito nella ricerca scientifica contro il tasso del 2,03% della media europea. L’obiettivo programmato nel breve-medio periodo, evidentemente irraggiungibile quest’anno e nel prossimo futuro dal nostro Paese, sarebbe del 3% entro il 2020 (Miur, 2018). La ricerca finanziata e gestita direttamente da entità private, sebbene comunque meritoria, pone seri dubbi di genuinità in assenza di garanzie e bilanciamenti nei protocolli da adottare, nelle verifiche e nella raccolta dei risultati. Basterà ricordare le burrascose passate vicende dei brevetti sui farmaci salvavita disponibili soltanto a fronte di ingenti risorse economiche da impiegare: per la prima volta, nel 1997 il Mandela Medical Act fronteggiò l’emergenza AIDS con una moratoria verso i brevetti mentre l’azienda farmaceutica indiana Cipla, nonostante le numerose diffide ricevute, offrì ai Governi africani il farmaco al prezzo R. Horton, The prosperity of virtue, «The Lancet», 2005. Decisione del Parlamento Europeo del 29 novembre 2007 sulla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (2007/2218).
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di 600 $ per ogni malato contro i 10-15.000 $ richiesti dalle industrie occidentali. Tre dozzine di compagnie multinazionali denunciarono sul piano legale il Mandela Act, ma nel 2001 prevalsero gli effetti della pressione dell’opinione pubblica schierata con le ragioni impersonate da Mandela. Davvero, bisogna concludere che «mai nulla merita di essere comprato a prezzo di sangue umano»6. Un vero eroe Richard Smith, da 25 anni direttore della prestigiosa Rivista «British Medical Journal», che in un editoriale manifestò l’allarme per una possibile pericolosa e definitiva deriva subordinata delle Riviste scientifiche «diventate la longa manus dell’ufficio marketing delle industrie farmaceutiche… che rendono per un articolo mirato più che la pubblicità esplicita di molte migliaia di pagine». Il direttore fu immediatamente licenziato. Alle conseguenze di queste manipolazioni sono ascrivibili «episodi gravissimi in cui certe aziende sembrano badare più alla borsa che alla salute e alla incolumità dei cittadini. La casa farmaceutica Merck ha sempre sostenuto di non conoscere i gravi rischi cardiocircolatori dell’antinfiammatorio denominato Vioxx sino alla scoperta dello scandalo che portò al ritiro dal mercato dell’antinfiammatorio il 30 settembre 2004». L’articolo del «New York Times» del 24 aprile 2004 aveva smentito le rassicurazioni fornite dalla casa farmaceutica Merck pubblicando uno scambio di e-mail avvenuto nel 2000 tra un ricercatore di Merck, che aveva segnalato la morte di una donna settantatreenne attribuibile al Vioxx, e il responsabile delle ricerche cliniche della compagnia che gli intimò ripetutamente di cambiare opinione e di «classificare come sconosciuta la causa della morte, in modo da non sollevare preoccupazioni fra la gente». Tra il 1999 e il 2004, il Vioxx è stato utilizzato da oltre 80 milioni di americani, è stato causa di infarto cardiaco o di ictus cerebrale fra le 88.000 e le 139.000 persone in cinque anni di commercializzazione. Nell’ultimo anno di vendita, prima del ritiro dal commercio, il Vioxx ha fruttato 2,5 miliardi di dollari raggiungendo un totale di almeno 10 miliardi di dollari. Coloro che hanno denunciato Merck sono stati oltre 4.600 nel solo territorio degli Stati Uniti d’America7.
J.J. Rousseau a F. Ivernois, «Modern Intellectual History», 3, 385, Cambridge University Press, Cambridge 2006. 7 G.A. Fitzgerald, Coxibs and Cardiovascular Disease, «The New England Journal of Medicine», 351 (2004), 1709; FDA, 2005: Summary minutes for the February 16, 17 and 18, 2005, Joint meeting of the Arthritis Advisory Committee and 6
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Ricerca scientifica e diseconomia etica 67
Nel passato si sono verificati parecchi altri casi di occultamento di dati scientifici. Nel 1957 venne immesso sul mercato con il nome di Contergan, della Grünenthal, il Talidomide, tranquillante consigliato alle gestanti come «innocuo, visti i sette anni di ricerca sugli animali». Quattro anni dopo si rivelerà responsabile di focomelia in oltre 10.000 bambini e di un numero incalcolabile di aborti spontanei. Fino al novembre del 1962 circa 5 milioni di persone ne assumeranno, si calcola, 300 milioni di dosi. Nel 2002 i giornali riportarono la notizia che le azioni di borsa dell’industria farmaceutica Wyeth subivano un crollo del 19%, dopo che il Governo americano aveva bloccato una ricerca su 16.000 donne in seguito alla scoperta che il Prempo sembrava determinasse un incremento nel rischio di contrarre tumori al seno e infarti miocardici. Attualmente sono 6 milioni le donne americane in menopausa che assumono questa cura, prescritta per ridurre le improvvise vampate di calore, con un fatturato che ha superato i 2 miliardi di dollari. Nonostante i rischi segnalati il farmaco non è stato ritirato dal commercio, ma, in compenso, nel bugiardino sono contenuti lunghe avvertenze sui rischi e sui benefici della sua somministrazione8. Il Viagra non è stato ritirato nonostante negli USA, nei primi 14 mesi della sua commercializzazione, siano stati segnalati 1.473 eventi avversi gravi dopo assunzione, tra cui 522 decessi, 517 infarti del miocardio, 199 the Drug Safety and Risk Management Advisory Committee. Published online, March 2005; P. Jüni et al., Risk of cardiovascular events and rofecoxib: cumulative meta-analysis, «The Lancet», 2004, published online; J. Karha, The sad story of Vioxx, and what we should learn from it, «Cleveland Clinic Journal of Medicine», 71 (2004), 933; D. Michaels, DOUBT Is Their Product, «Scientific American», (2005), 292; S. Okie, Raising the safety bar-The FDA’s coxib meeting, «The New England Journal of Medicine», 352 (2005), 1283; J. Lazarou, B.H. Pomeranz, P.N. Corey, Incidence of adverse drug reactions in hospitalized patients. A meta-analysis of prospective studies, «The Journal of the American Medical Association», 279 (2005), 1200; J.S. Cohen, Should patients be given an initial low test dose of Sildenafil?, «Drug Safety», 35 (2000), 25; M. Mitka, Some men who take Viagra die-why?, «The Journal of the American Medical Association», 283 (2000), 592; T.J. Moore, Time to act on drug safety, «The Journal of the American Medical Association», 279 (1998), 1571; J. Arou, Incidence of adverse drug reactions in hospidalized patients. A meta-analysis of prospective studies, in «The Journal of the American Medical Association», 279 (2004), 1200. 8 Ibidem. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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accidenti cerebrovascolari, 271 casi di sincope e ipotensione e 161 casi di aritmie cardiache. In breve tempo segnalazioni simili sono avvenute in Australia, Canada, Germania, Olanda e in altre nazioni. Risulta notevole anche l’incidenza di effetti collaterali quali cefalee (11-16%), vampate di calore (4-8,5%), dispepsie (4-8,5%), diarree (4-5%), disturbi della vista (311%), congestioni nasali (1-5%), priapismi, vertigini, ecc.9 Nel 2000 la Bayer, dichiarato insicuro dalle autorità USA l’Alka-Seltzer Plus, mise a punto un «Piano di azione per la crisi della PPA Alka-Seltzer» per continuare a contrastare, come faceva già da venti anni, le prove di un legame fra somministrazione del prodotto e ictus cerebrale. Documenti ritrovati negli uffici della compagnia hanno dimostrato come «la Bayer conoscesse da decenni i rischi legati all’uso di PPA e che la strategia della casa farmaceutica sia costata la vita a centinaia di persone». Fu lanciata una campagna pubblica di rassicurazione alla cui ombra mantenere i risultati dello studio e continuare a bloccare l’intervento del Governo. Ciononostante, la casa introdusse sul mercato formulazioni edulcorate dedicate ai bambini e, dopo aver appreso che lo studio del 1999 stabiliva un legame tra PPA e ictus cerebrale, lanciò un assalto spietato alla metodologia e all’integrità dei ricercatori dell’Università di Yale che lo avevano condotto, malgrado i ricercatori fossero stati scelti in proprio dalla stessa Bayer fra coloro che in precedenza avevano espresso il loro scetticismo sul legame tra PPA e ictus cerebrale. Il mercato della PPA è stato stimato tra 500 milioni e 1 miliardo di dollari per anno10. Soltanto negli USA, circa 100.000 persone all’anno soccombono per reazioni avverse da farmaci, quarta-sesta causa più frequente di morte. Una strage ingiustificabile che chiama in causa la politica, le istituzioni e la ricerca scientifica alla quale va garantita la più totale autonomia prendendo atto dei risultati e agendo di conseguenza, senza interpretazioni teleguidate e occulte mediazioni lobbystiche11.
Ibidem. Ibidem. 11 Ibidem. 9
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Capitolo VII
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Diseguaglianze, indigenza, malattia
Il Corpus medicus, nelle intenzioni, da sostituire con funzionari e le strutture di cura considerate «paternalistiche e autoritarie», prima di decretare il loro smantellamento con la decisione unanime, nel 1793 parigino, di istituire il Comitato per l’abolizione di mendicità e malattie. Alla base la convinzione che le malattie derivino direttamente «dalla indigenza e pertanto destinate a sparire con l’avvento di libertà, uguaglianza e fraternità»1. Le intenzioni dichiarate – giustizia sociale al posto del tocco regale2 e del medico carismatico – naufragheranno in mezzo ad interessi politici, corporazioni e instabilità istituzionali e sociali. Il Direttorio abrogherà le improvvide norme liquidatorie della pratica medica e dell’assistenza per permettere a tanti un ricovero e così continuare a trovare un tetto, un giaciglio ed un po’ di cibo, un conforto se non molto altro. La Medicina, nonostante gli intendimenti rivoluzionari annunciati dal nuovo potere politico, sopravviverà nelle Accademie continuando ad impartire insegnamenti dottrinari astratti e pratiche aleatorie utili ai ceti benestanti. Mistificare le origini di larga parte delle malattie le permetterà, more solito, di rinnovare il patto tacito, già intrattenuto con il precedente sistema di potere, con il nuovo assetto istituzionale appena insediatosi, che sul terreno delle riforme sociali tenderà a rallentare la propria azione, inizialmente turbolenta, per allinearsi all’antico regime. Povertà e malattia rimangono, come nel passato, a parte gli annunci dal valore demagogico, continuati fino ai giorni nostri, un binomio inscindibile alla cui base sussistono fatalità, sventura e devianza: «l’u M. Vovelle, La mentalità rivoluzionaria, Laterza, Bari 1987, in Abolire la miseria, Laterza, Bari 2001. 2 M. Bloch, I Re taumaturghi, Einaudi, Torino 1989. 1
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guaglianza formale davanti alla legge resterà distinta dall’uguaglianza delle prospettive di vita»3. «La miseria è una malattia infettiva. Chi ne è colpito demoralizza tutti coloro con cui si trovano ad essere in contatto» afferma Ernesto Rossi nel suo libro Abolire la miseria del 19454. Nell’Europa odierna, che comprende ventotto Paesi, un quinto dei minori al di sotto dei 18 anni è esposto a povertà, in Italia un quarto dei minori è indigente con punte massime nelle regioni del meridione. La povertà minorile, che molto spesso viene sottovalutata e trascurata, non è legata soltanto ai beni disponibili: vivere in povertà vuol dire non solo non disporre di risorse economiche, ma vivere con minori opportunità educative in condizioni di incerta e quasi inesistente sicurezza sociale, sanitaria e relazionale, e approssimarsi ad una riduzione della speranza di vita. I Paesi del sud del Mondo, in generale, restano in coda in quanto a diseguaglianze, le quali si riversano su qualità di vita e benessere. Non è un caso che la Sicilia e, in genere, il meridione d’Italia di recente abbiano accusato l’incidenza più elevata di malati di morbillo, di cui circa metà con complicanze broncopolmonari di rilievo, rispetto al resto d’Italia: età mediana 25 anni con il 91% degli infetti mai vaccinati ed ulteriori 4,5% sottoposti ad una sola dose di vaccino specifico5. Non è un caso che in Italia l’attesa di vita risulti differente a seconda del luogo di residenza e del livello d’istruzione: in genere, una minore speranza di vita viene registrata nel Sud. A Firenze, ad esempio, mediamente si vive più a lungo di oltre tre anni rispetto a Napoli e Caserta; se si pongono a confronto i dati fra Trentino e Campania si constata per quest’ultima una differenza in difetto di oltre tre anni. Nel complesso, la maggiore attesa di vita si registra nei territori del Nord-Est, notoriamente dotati di una economia vigorosa, dove la speranza di vita per gli uomini si prolunga fino ad 81,2 anni e per le donne ad 85,6 anni mentre nel Mezzogiorno d’Italia rispettivamente si attesta a 79,8 e ad 84,1 anni, ulteriormente variabile e direttamente proporzionale rispetto alla posizione sociale occupata e al grado d’istruzione conseguito. Risulta anche che il parametro che indica il livello di istruzione, sia al
H. Mayer, I diversi, Garzanti, Milano 1977. E. Rossi, Abolire la miseria, Laterza, Bari 1977. 5 Bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità, www.epicentro.iss.it/problemi/morbillo/Infografica2017.asp. 3 4
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sud che al nord d’Italia, detiene un peso importante sulla decisione personale e familiare di aderire oppure rinunciare alle terapie proposte in corso di malattia6. Non è neppure un caso che, nel Mondo, i Paesi meno longevi siano fra i più svantaggiati sul piano sociale e che non abbiano incontrato un innalzamento della speranza di vita, ma anzi un suo peggioramento: fra il 1960 e il 2015 in Russia l’attesa media di vita ha raggiunto i 70,9 anni mentre in Gran Bretagna gli 81,6 anni e negli Stati Uniti d’America i 78,7 anni. Ancora qualche dato: in Venezuela dopo il primo caso di poliomielite verificatosi nel 1989, allorché si è acuita la crisi economia del Paese, sono stati registrati 1.716 casi nel 2018 di pari passo con il crollo politico-economico del sistema sociale, con almeno 160 decessi negli ultimi due anni; conseguenza diretta della complessiva crisi attuale del sud America, secondo i dati forniti dalla Pan-American Health Organization e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2018), sono da rilevare i multipli focolai epidemici di poliomielite segnalati in Brasile, nella Repubblica Dominicana, nello Yemen, in Haiti e in Colombia. Si tratta di constatazioni che permettono di confermare, senza tema di smentite, che larga parte delle cause di malattie infettive e cronico-degenerative risiedono soprattutto nella iniqua distribuzione delle risorse economiche e strutturali, nell’organizzazione sociale e negli stili di vita, nell’assetto ambientale e nella disponibilità e qualità dell’organizzazione sanitaria. Una constatazione statistica, storico-politico-geografica, che contrasta il concetto, di derivazione positivista, secondo cui la salute si raggiunge inventando ed utilizzando più cose. Nuove tecnologie, tecniche e farmaci più efficaci siano ben venuti, ma tenendo conto che i nostri predecessori hanno compiuto straordinari progressi nella lotta contro le malattie contando su «maggiori disponibilità di sapone, vestiari, servizi igienici e interventi di salute pubblica» (OMS, 2017). Del resto, le tradizioni scientifico-umanistiche da Ippocrate a Plutarco a Ibn Khaldun, e a medici di tutte le epoche, hanno già sostenuto l’influenza di fattori sociali ed economici su salute e malattia: Plutarco replica a chi si stupisce nel vederlo impegnato anche in lavori umili sostenendo che «sta lavorando per la comunità, non per se stesso»; Abu Ibidem.
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Ali Ibn Abdallah, detto Avicenna, affida il suo principale contributo alla Medicina nel suo Canone, in cui tratta della salute, in particolare della tisi, in termini di interazione con le condizioni psicologiche e ambientali; Alfano, della Scuola medica salernitana, medico e abate nel monastero di San Benedetto, presta una particolare attenzione alle origini sociali della malattia; Ibn Rushd ritiene che «le verità scientifiche siano soggette ad interpretazione tenendo conto del contesto culturale in cui si producono»; John Locke, medico e filosofo inglese, fondatore dell’ideale liberale e precursore del razionalismo illuminista, sostiene che «la cura del corpo e del pensiero individuale e comunitario debbano andare di pari passo». A supporto della sua tesi cita La Repubblica di Platone, principalmente dove si afferma che «il male proviene dall’ignoranza, dalla tirannia delle passioni, dall’eccesso di desiderio e di piacere, dal disequilibrio e dal disordine»7. Veri e propri paradigmi che diventano oggetto di studio e di attuazione della politica riformista di sovrani particolarmente illuminati che individuano come principali obiettivi delle loro politiche l’incremento demografico e la prosperità fisica da raggiungere con provvedimenti igienico-sanitari, istituzione di condotte sanitarie, decreti per evitare il consumo di cibo avariato e l’uso di recipienti inidonei per il trasporto e la conservazione degli alimenti. In piena epoca illuminista Tissot von Swieten e Johan Peter Frank, tra i principali fondatori della Medicina sociale, si mostrano consapevoli che il pieno successo dei programmi politici dipende dalla risoluzione del vero sostanziale problema: l’indigenza, causa principale di malattia e di disordine sociale. Frank in particolare, direttore dell’Ospedale policlinico di Vienna e autore in sei volumi, fra il 1779 e il 1819, del System einer vollständigen medizinischen Polizey, un vero manuale di medicina preventiva e sociale, fu il primo a sostenere una rigorosa legislazione igienica e sanitaria da parte di uno Stato, quello austriaco di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, adottata a partire dal 1779 e compiuta nel 1848 in tutto l’Impero asburgico8.
D. Guthrie, Storia della Medicina, cit. J.P. Frank, System einer vollständigen medizinischen Polizey, 1779-1819; Id., De Populorum miseria, morbum genitrice, Pavia 1790; A. Scotti, Malati e strutture ospedaliere dall’Età dei Lumi all’Unità, in Storia d’Italia, malattia e medicina, Einaudi, Torino 1994. . 7 8
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L’assistenza pubblica dell’epoca, tuttavia, continua a subire forti contrasti da parte di potentati commerciali ed economici fino a giungere all’attuazione di norme che attenuano le quarantene contro le possibili epidemie. Ogni giorno d’attesa negli scali portuali comportava perdite economiche e spese consistenti da sostenere9. I rischi epidemici per la popolazione aumentarono a dismisura. Comunque destinati ai ceti alti, che potevano sostenere le spese piuttosto esose, i rimedi terapeutici continueranno a risentire per lungo tempo di vecchie e fantasiose prescrizioni – salassi, clisteri, erbe, unguenti, pietre preziose sminuzzate, impiastri – tornite da accorate raccomandazioni: «Ogni preservativo è ottimo, ogni rimedio lodevole, ma i voti, i digiuni, le orazioni e le elemosine sono l’adeguato antidoto»10. Per una calcolosi renale: «Polvere di millepiedi, emulsione di semi di mefione, di viole rosse, di alchechengi, e, per cibo, brodo di gamberi bolliti e spremuti nel brodo di pollo, una gelatina formata con raspatura di corno di cervo ed infuso di vipere». La prescrizione diviene davvero complicata e difficile, se non impervia, da realizzare quando viene sottolineata la necessità che il fiore da utilizzare «spicchi nel periodo che va dal 28 al 30 luglio, non un giorno in più né uno in meno». In caso contrario la mistura avrebbe smarrito, a detta dei medici e dei loro assistenti, le proprietà curative. Per una condizione di asma la via da seguire si presenta davvero tortuosa e fortemente scoscesa con la prescrizione di: «latte di capra nera o rossa, da assumersi subito dopo un bicchiere di acqua stibiata purché la terapia sia intrapresa sotto il segno zodiacale del Leone con il latte allungato con un terzo di acqua di viole e di bettonica»11. Restano davvero profetiche le osservazioni sarcastiche del grande medico Bernardo Ramazzini, docente nelle Università di Modena e Padova: «Si propinano lenitivi, poi eccitanti, sciroppi di cui sarebbe doveroso non conoscere l’esistenza, indi purganti, ripetuti salassi e mille altri fastidi, tutto secondo il principio che non passi giorno che non sia stata prescritta una nuova ricetta. Suonano bene i versi di Orazio:
L. Del Panta, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX), Loescher, Torino 1980. 10 M.L. Betri, A. Pastore, L’arte di guarire. Aspetti della professione medica tra Medioevo ed Età contemporanea, Clueb, Bologna 1993. 11 Ibidem. 9
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come sanguisuga che, non appena ha afferrato qualcuno, non lascia la pelle se non quando è sazia di sangue»12. Fra decotti e intrugli variopinti per i ricchi, fra commiserazioni e doglianze per i poveri e sofisticate mistificazioni per tutti, i medici non discostano il proprio operato dall’ambito prettamente assistenziale, a volte caritatevole. Se anche avessero voluto con coraggio, avrebbero mai potuto sottrarsi al ruolo, da secoli sostenuto, di stabilizzatori della società di cui facevano parte e chiedere riforme di sistemi politici, da secoli cristallizzati, a favore dei ceti più deboli e dei poveri? «La prevenzione è preferibile alla cura… evitare droghe, eccitazioni e il ridere fino a scoppiare»: suggerimenti provenienti da Erasmus da Rotterdam, sul finire del XV secolo, all’amico Pieter Gillis, poi suggeriti ai prìncipi e ai governanti per impedire la vendita e il consumo di vini acidi e di pesci putridi. Prescrizioni di salute pubblica che i medici avrebbero potuto impartire senza timore perché queste norme, prive di accenti politici e di pretese vere riforme, erano compatibili con i sistemi politico-sociali di cui essi stessi costituivano una consistente parte. Non avrebbero osato spingersi oltre, sebbene conoscessero le reali cause delle più diffuse malattie e apparissero «gli uomini più potenti, perché papi et imperatori debbono sottostare ai loro ordini»13. Nel corso della visita a Bologna, appena conquistata con la spada nel pugno da Giulio II, Erasmus da Rotterdam si chiedeva se «il papa ha più a che fare con Gesù Cristo o con Giulio Cesare avendo constatato un pesante fiscalismo verso i contadini delle campagne bolognesi, la cui intera fortuna consiste nel poter mungere due mucche e che fanno fatica a sostentare la famiglia, ai quali gli esattori papali chiedono impietosamente un ducato a testa». Osservazioni ardite, anche per Erasmus, che risentivano di un contesto culturale in trasformazione: la Chiesa romana subiva la Riforma protestante ed era impegnata a contrastare, con un suo proprio stile, la svolta culturale che da tempo si
B. Ramazzini, De morbis artificum diatriba, Modena 1700 in G. Franco, La lezione di Bernardino Ramazzini, medico sociale e scienziato visionario, Acc. Naz. Sci Lett. Arti di Modena - Memorie Scientifiche, 18 (2015), 49-62: prototipo istitutivo della Medicina del lavoro, il libro sostiene le origini igienico-sociali delle malattie. 13 Citazioni di R.H. Bainton, La Riforma Protestante, Einaudi, 2000 in Erasmo della cristianità, Sansoni, Firenze 1970. 12
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andava configurando. Pretenderà di «fermare la terra che si muove» processando Galileo per il suo intento di diffondere le prove che, per dirla con Brecht, «la terra allegramente ruota intorno al sole e insieme a lei ruotano pescivendoli, mercanti, prìncipi e cardinali e perfino il papa»14. Per la cattolicità si prefigurava un vero sconquasso politico-sociale che, dal suo punto di vista, andava impedito negando con violenze e somme nefandezze l’evidenza scientifica che andava affermandosi. L’umanesimo erasmiano e l’universo newtoniano diffusero, al di là delle enunciazioni culturali e delle acquisizioni scientifiche, speranze da molti ben percepibili di riscatto e di giustizia sociale. Presto le delusioni, chiare e forti, che proverranno dall’insospettabile innovatore Lutero dopo avere effuso robuste speranze di riscatto fra le classi disagiate, promettendo loro un diverso regime in opposizione alla condizione di fame e schiavitù. Contro i contadini che avevano preso sul serio quanto ascoltato nelle prediche dell’ex monaco agostiniano, lo stesso Lutero giunse a dichiarare pubblicamente e a gran voce istigare: «Venuta è l’ora che un principe possa con le armi meritarsi il paradiso più facilmente che con la preghiera. Sterminate questi cani rabbiosi»15. Il germe di riscatto coltivato nella miseria sfociò in violenze e furie omicide, la povera gente dovette fronteggiare e subire a mani nude fra le più dure e sanguinose repressioni che la storia ricordi. Il protestantesimo intendeva tracciare una netta separazione fra la riforma religiosa e l’ordine sociale esistente, alla cui base sarebbe stata confermata la dura condizione dei servi della gleba con tutte le conseguenti iniquità cariche di violenza ed umiliazione. Il cattolicesimo pretendeva da Galileo l’abiura mentre inaspriva la stagione inquisitoria. Due fenomeni repressivi vissuti dai potenti dell’epoca come necessità, ideale e politica, di restaurazione del naturale corso attribuito alla storia. In definitiva, alla loro personale storia. In questi contesti culturali e politici la Medicina continua a tacere e curare, il principio di fraternità viene sostituito con una rituale e formale giustizia, Scienza e Cultura umanistica divorziano prevalendo l’idea che Scienza e Medicina debbano mantenersi imperturbabili rispetto al corso della storia e ai bisogni reali della popolazione: neutre, Ibidem. Parole di Lutero nel corso della «Guerra dei contadini», che traccia una netta separazione fra riforma religiosa e sociale. 14 15
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impegnate soltanto in questioni strettamente accademiche e tecniche. Il binomio razzismo-colonialismo viene innalzato ad ottima ricetta contro il sottosviluppo, le necessità delle produzioni minerarie e agrarie finiscono con il piegare la dignità delle persone, bambini compresi costretti a lavorare nelle miniere dove, con costi esigui, potevano calarsi e districarsi più facilmente nei cunicoli rispetto agli operai adulti. A partire da Engels e Marx le denunce delle miserevoli condizioni dei lavoratori britannici e tedeschi sono recepite dai governi conservatori obtorto collo, per rintuzzare il favore popolare verso le istanze socialiste, come occasione di programmi migliorativi fuori e dentro la fabbrica: decreti per costruire sistemi di fognature e idrici nelle Città, per proibire il lavoro infantile e garantire una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro. Bismarck, cavalcando l’onda crescente di protesta che si batte per le riforme, favorisce lo sviluppo della Sanità pubblica e nel 1883 introduce l’assicurazione obbligatoria contro le malattie e gli infortuni a carico del datore di lavoro. Si diffonde la Medizinalpolizei, ma le terapie adottate risultano inefficaci, le malattie falcidiano, le epidemie si rivelano fenomeni biologici e, nello stesso tempo, sociali per le modalità di crescita e di diffusione legate al permanere, nonostante l’attuazione delle riforme, di condizioni di scarsa igiene, sovraffollamento, carestie e denutrizione delle masse popolari. Il colera e il vaiolo, che sostituiscono la peste misteriosamente scomparsa, indifferente ed equanime nel colpire i vari strati sociali, propendono per una selezione sociale prediligendo particolarmente le classi meno abbienti e i quartieri poveri e popolosi, confermando le teorie sostenute dalla Medicina sociale sulla efficace influenza delle scelte politiche su malattia e salute. «La Miseria è una malattia infettiva, chi ne è colpito demoralizza tutti coloro che vi entrano in contatto» scrive Ernesto Rossi, economista liberale, nel 1946 dopo il confino nell’isola di Ventotene, e così continua: «la miseria non è il risultato necessario del sistema capitalistico, ma appunto occorre che i capitalisti stiano lontani dalla tentazione di credere che la povertà di larghi strati della popolazione sia la condizione necessaria per raggiungere lo sviluppo economico generale. Dunque, bisogna avere il coraggio di predisporre un progetto politico complessivo per abolire la miseria»16. E. Rossi, Abolire la miseria, cit.
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Diseguaglianze, indigenza, malattia 77
Nonostante la diffusione di idee egualitarie, le accresciute conoscenze storiografiche e la maggiore consapevolezza civile espressa nelle Dichiarazioni universali per i Diritti dell’Uomo e nelle Costituzioni democratiche, nell’attuale Europa a ventotto Paesi il 20% dei minori al di sotto dei 18 anni è esposto a vari livelli di povertà. In Italia circa uno su quattro. La povertà minorile, che molto spesso viene sottovalutata o trascurata e non denunciata a sufficienza, non è legata soltanto alle risorse materiali ed economiche disponibili: «vivere in povertà significa vivere con minori opportunità educative, in condizioni di scarsa o assente sicurezza sociale, sanitaria e relazionale» (http://www.andareoltre. org/). Anche le democrazie liberali avanzate e la crescita inaudita e diffusa di attività intellettuali non hanno favorito la «presa di coscienza delle basi socio-economiche della malattia» e garantito «a tutti il modo di procacciarsi il necessario per vivere e prosperare con il lavoro, rinverdendo le montagne, risanando le campagne, costruendo case sane, sviluppando industrie che producono beni e ostacolando quelle che producono mali. Infatti, l’esercizio del diritto alla tutela della salute è legato alla conquista della dignità umana, paradigma del superamento dell’indigenza»17. È bene, a questo punto, ricordare alcuni capisaldi del diritto internazionale, della Costituzione italiana e della Carta europea. Il XXV capoverso della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo varata dall’ONU nel 1948: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà». La Costituzione italiana all’articolo 32 recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti»; e all’articolo 38: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale».
T. Rossi Doria, Medicina sociale e socialismo, Mongini, Roma 1904.
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78 Capitolo VII
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La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 26 ottobre 2012: «L’Unione riconosce e rispetta il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurino protezione in casi quali maternità, malattia, infortuni sul lavoro, dipendenza e vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro». In sostanza, ogni Dichiarazione di principio riconosce ad ogni cittadino il diritto ad un adeguato e dignitoso livello di vita come garanzia di benessere indipendentemente dalle condizioni economiche proprie e della famiglia di appartenenza.
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Capitolo VIII
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Malattia tragica evitabile, catastrofe planetaria
Le lobby del tabacco ignorano ogni limite nel contrastare i risultati della sperimentazione animale, che confermano i ben noti e consolidati dati epidemiologici sul tumore polmonare, con lo sbrigativo e volutamente sarcastico: «I topi non devono fumare!». I chiari rapporti di causa-effetto, da oltre un secolo accertati e sempre confermati (Fig. 1), non avrebbero neppure richiesto il completo dipanamento degli specifici processi patogenetici da tabagismo perché, per sé stessi, così tanto sono esplicativi: il 90% dei malati risulta fumatore da 15-20 anni, dal 1950 al 1980 il tasso di mortalità è balzato in alto del 225% nei maschi e del 330% nelle femmine per l’incremento del numero di fumatori e fumatrici, dal 1987 il tumore polmonare è divenuto la principale causa di morte per cancro in Italia e nel Mondo, nel periodo 2004-2010 la sopravvivenza globale a cinque anni dalla diagnosi s’è attestata fra il 10 e il 16,8% a seconda dello stadio clinico della diagnosi, la cui precocità è contrastata dalla sottrazione di sintomi: accessi di tosse affliggono spesso il fumatore di lungo corso per la presenza di una bronchite cronica da fumo1. Secondo i dati dell’indagine Doxa-Istituto Superiore di Sanità del giugno 2016, presentati in occasione della «Giornata mondiale contro il tabacco», in Italia si contano 11,6 milioni di fumatori (22% della popolazione), di cui quasi 7 milioni maschi (27,3%) e circa 5 milioni femmine (17,2%) con la maggiore diffusione fra i venticinque e i quarantaquattro anni, in prevalenza significativa nei ceti considerati medio-bassi e negli abitanti delle regioni del centro-sud. La quota più SEER American Cancer Society Cancer Statistics, 2014; Airtum, 2014. J.M. Samet, Smoking Kills: Experimental Proof from the Lung Health Study, «Annals of Internal Medicine», 142, 4 (2005), 299. 1
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elevata viene raggiunta nei maschi tra i venticinque e i trentaquattro anni attestandosi al 33,5%, nelle femmine tra i cinquantacinque e i cinquantanove anni con il 20,4%. Il consumo medio giornaliero consiste in dodici sigarette a testa, ma un fumatore su quattro utilizza più di un pacchetto, oltre 7 milioni (13,5%) risultano le persone che hanno rinunciato a fumare di cui oltre 4 milioni maschi e circa 3 milioni femmine.
Fig. 1 – Relazione fra tabagismo e insorgenza del cancro polmonare (National Cancer Institute, 2003). Le compagnie produttrici di tabacco hanno contrastato questi dati sebbene risultino chiari e incontrovertibili da un secolo. Da 40 anni le multinazionali conoscono la presenza nel tabacco di Polonio 210, che hanno cercato inutilmente di rimuovere, nascondendo i tentativi dei loro scienziati, per «non svegliare il gigante che dorme» («American Journal of Public Health», settembre 2008; SanitaNews.it).
È ormai accertato che il tabagismo induca differenti aspettative di vita: circa settanta anni nel 50% dei forti fumatori contro l’80% dei non-fumatori con una riduzione di ben oltre sette anni per i fumatori moderati e di dieci anni e oltre per gli accaniti. Nonostante le notizie www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply. 5613_Capizzi.indd 80
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Malattia tragica evitabile, catastrofe planetaria 81
Tav. 1 – Sindrome da astinenza da nicotina. La sua intensità è condizionata dalla durata del tabagismo e dal contesto ambientale.
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Irrequietezza, irritabilità e insonnia Rabbia, frustrazione, depressione Deficit di concentrazione e difficoltà a lavorare Desiderio impellente di fumare Aumento dell’appetito e incremento ponderale Stipsi
che trapelano, non a sufficienza rese note e difficilmente ascoltate, in Italia il fumo continua ad essere causa di morte in 85-95.000 persone per anno, di cui oltre la metà per tumore. Infatti, il tabagismo non produce soltanto tumori (Tav. 1). La mortalità femminile risulta minore rispetto all’evidente e incalzante diffusione del fumo di sigarette tra le donne. Il fenomeno si spiega con l’epoca d’inizio della carriera di fumatore del genere femminile, piuttosto recente rispetto alla lunghezza dei meccanismi fisio-patogenetici valutabili in circa 15-20 anni e oltre2. Il tumore polmonare, raro nei non fumatori, a parte gli esposti sistematicamente al fumo passivo e al cosiddetto «fumo di terza mano» (v. sotto), è divenuto nel corso degli ultimi trenta anni la prima causa di morte per tumore nei Paesi industrializzati con una ascendenza attribuita al fumo del 90-95% (Tav. 2), dimostrando una stretta relazione fra probabilità di insorgenza del tumore, lunghezza e costanza della carriera di fumatore e in proporzione alla dose giornaliera, anche minima, di sigarette consumate. Uno studio dell’«American Journal of Public Health» del marzo 2007 conferma i rischi di tumore polmonare che risultano incrementati del 24% in persone esposte al fumo passivo3.
A.B. Ezzati, Estimates of global mortality attributable to smoking in 2000, «The Lancet», 362 (2003), 847. 3 R. Doll, Mortality in relation to smoking, «British Medical Journal», 328 (2004), 1519. 2
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Tav. 2 – Dati attuali riguardanti il fumo in Italia e i suoi effetti. N. Fumatori Età fumatori
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Consumo di tabacco
Inizio fumo: In minore reddito e scolarità per area geografica Pneumologi-fumatori Medici-fumatori Infermieri-fumatori Acquisto di sigarette 1961 Acquisto di sigarette 1962 Acquisto di sigarette 1985 Acquisto di sigarette 1986-1992 Acquisto di sigarette 1996-2000 Acquisto di sigarette 2016-2018 Vendita di contrabbando Fumatori che rinunciano a fumare o che non hanno mai fumato Ex-fumatori Fumatori che desiderano smettere di fumare Attuali fumatori che hanno tentato almeno una volta di smettere di fumare Fumatrici in gravidanza
11.600.000-15.000.000 (5.500.000 donne) da 15 a 24 anni: 33% da 25 a 44 anni: 39% da 45 a 64 anni: 26% nel 51%: 20 sigarette/die nel 44%: 10-20 sigarette/die nel 5%: < 10 sigarette/die media/die: 14 sigarette media pro-capite n./anno: 1.550 (come in Europa) sigarette vs pipa-sigaro: 99% vs 1% 80% in età adolescenziale > fumo > sud 37%; < nord-est 18% 59%, di cui il 25% fuma ancora, il 34% ha fumato in passato tra il 33% di Trento e il 44% di Palermo tra il 31% di Trento e il 38% di Genova 63 miliardi di lire 56 miliardi di lire (anno del divieto di pubblicità dei prodotti del tabacco) 105 miliardi di lire 88 miliardi di lire per anno 90 miliardi di lire per anno 7.5 miliardi di euro per anno +13% del totale venduto (stima Guardia di Finanza) 60% 18% 75% (di questi l’80% ha tentato almeno una volta) 36% 62% (70-80% ricomincia a fumare subito dopo il parto)
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Fumatori che hanno chiesto aiuto al medico Fumatori che ricordano la scritta sui pacchetti Fumatori che si dichiarano colpiti dalle scritte sui pacchetti e riducono il numero di sigarette fumate: Dopo la Legge Sirchia (10.1.2005):
Vantaggi smettendo di fumare:
In quale misura il fumo influisce su:
Decessi Rischi da fumo passivo:
4.6% 83% 12% decisi a smettere: 19% riduzione vendite di sigarette: 5-6% il primo anno favorevoli al divieto Sirchia: 2005: 90,4; 2006: 93,6 fumatori favorevoli al divieto: 85% < 40 anni di età si evita la quasi totalità del rischio da fumo dopo 2 anni di astensione < 50 anni di età si riducono i rischi di tumore del polmone e delle altre patologie dopo 2 anni di astensione ca. polmonare: > 90%; ca. laringe: > 95%; ca. lingua: > 95%; ca. esofago: 3560% (sinergia con alcool); ca. pancreas: 25-29% ca. stomaco: 15-25% (sinergia con alcool); ca. colon-retto: 25%; ca. rene e vescica: 25-30%; arteriopatie: > 90%; neuriti: 30%; enfisema polmonare: > 80%; Morbo di Crohn: 300%; malattia da reflusso gastro-esofageo e ulcera gastro-duodenale: 200%; infarto cardiaco: 4 su 5 infarti; ictus: +20 volte (soprattutto se il fumo è associato a contraccettivi orali); diabete: 20%; cataratte: 20%; sordità: 10-20% 90-93.000/anno, 1/6 delle morti/anno, 250 persone al giorno dal 24 al 100%
Anche il fumo della sigaretta elettronica non sembra esente dal provocare danni alla struttura del DNA, che consiste nel suo «sfilacciamento» con le conseguenti anomalie che ne derivano e impedimenti alla capacità riparativa normalmente insita negli organismi: produce le www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply. 5613_Capizzi.indd 83
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medesime alterazioni del tabacco, ma non è ancora dato sapere in che misura su polmoni, vescica e cuore4. Mancano, infatti, sufficienti dati epidemiologici a causa del breve periodo di osservazione. È necessario attendere, paradossalmente, 5-10 anni perché l’epidemiologia possa fornire dati corretti. Ciononostante, corre voce insistente che la sigaretta elettronica verrà prossimamente commercializzata anche nelle farmacie italiane allo scopo, annunciato e tutto da dimostrare, di combattere il tabagismo. Gli effetti del fumo di tabacco costituiscono uno dei più gravi problemi di salute pubblica nel Mondo e, secondo i dati diffusi dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2018), è responsabile del decesso di 6-8,5 milioni di persone ogni anno, che si traduce in oltre un decesso ogni sei secondi. In particolare, almeno 5 milioni di queste morti sono il risultato dell’esposizione diretta al tabacco mentre più di 600.000 sono causate dall’esposizione al fumo passivo. I dati sulla diffusione di quest’abitudine tabagica tra la popolazione stabiliscono in oltre 1.000.000.000 i fumatori nel Mondo i quali, per l’80%, vivono in Paesi a basso reddito. Soltanto il 16% della popolazione mondiale risulta protetta da leggi smoke free nazionali e oltre il 40% dei bambini ha almeno un genitore che fuma. Inoltre, è accertato che, nelle zone in cui insistono piantagioni intensive di tabacco, bambini provenienti da famiglie povere vengono impiegati nella raccolta del prodotto grezzo e, dunque, esposti alla «malattia da tabacco» causata dalle molteplici sostanze assorbite dalla pelle e respirate nel contatto con il fogliame. Da aggiungere, secondo la rivista «Clinical Science» del 2016, la pericolosità degli effetti devastanti del cosiddetto «fumo di terza mano», cioè il fenomeno dell’assorbimento, tramite gli apparati respiratorio, digerente e tegumentario, di sostanze derivate dalla combustione del tabacco depositate su mobili, tende, tappeti e su ogni dove negli appartamenti e nei locali frequentati da fumatori. A questo specifico rischio sono esposti tutti coloro che abitano e frequentano assiduamente le case di fumatori per la volatilità della patina tossica, in particolare vale per i bambini e i più piccini che gattonano e che comunque hanno H.W. Lee et al., E-cigarette smoke damages DNA and reduces repair activity in mouse lung, heart, and bladder as well as in human lung and bladder cells, «Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA», 115, 7 (2018), 1560-1569.
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maggiori opportunità di maneggiare, odorare e venire a contatto con pavimenti e oggetti contaminati (OMS, 2016). Quando il fumo di tabacco era riservato alle classi abbienti, come i maestosi britannici setter gordon agli aristocratici, segno distintivo di un potere visibile, agli inizi dello scorso secolo si comprese precocemente che l’uso continuativo della pipa fosse correlato al tumore del labbro inferiore, della lingua e delle mucose buccali con i caratteristici aspetti di leucoplachia e di tubero violaceo. Già nel 1922 Luigi Pirandello descriveva ne L’uomo dal fiore in bocca una tragedia umana che ancora oggi è rappresentata in teatro: «Venga... le faccio vedere una cosa... Guardi, qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo…? Ah!, un nome dolcissimo... più dolce d’una caramella... Epitelioma si chiama. Pronunzi, sentirà che dolcezza: epitelioma... La morte… capisce? È passata! M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: tientelo… caro… ripasserò fra otto o dieci mesi!». A quell’epoca, forse, si poteva attribuire ancora il destino di un essere umano al capriccio del fato incombente. Molto era ignoto o debolmente affiorante nella letteratura medica. Non al calore della combustione, bensì alle sostanze bruciate erano e sono da ascrivere le origini di tumori buccali, tracheali e polmonari, enfisemi, infarti miocardici e arteriopatie che tendevano, e continuano, con frequenza progressiva preoccupante, a verificarsi in tanti e troppi tabagisti, borghesi e aspiranti tali alla moda. Allora si fece strada l’ipotesi che i danni potessero estendersi alle capacità intellettive, mentre raccoglieva un certo credito la tesi opposta che attribuiva effetti benefici, soprattutto a favore dell’intelligenza e delle capacità lavorative e speculative, a fumo e nicotina, all’epoca unica sostanza conosciuta del tabacco. Nel Regno Unito seri dubbi, dopo qualche anno di incertezza, erano prevalsi tantoché nel 1908 (sic!) venne emanato il divieto di fumare ai minori di sedici anni. Nel 1938, dicasi ottanta anni or sono, il medico ricercatore S.T. Pearl dimostrerà sulla rivista «Science» che il fumo di tabacco riduce l’aspettativa di vita di circa dieci anni rispetto ai non fumatori. Nel descrivere la vasculopatia che porta il suo nome, il chirurgo Leo Buerger, direttore al Mount Sinai Hospital di New York, già nel 1907 stabilì che la «tromboangite obliterante» si manifestava in soggetti forti fumatori provocando lesioni ischemiche e incessante dolore agli arti inferiori a causa della compromissione, su base infiammatoria evolutiva e irreversibile, di terminazioni nervose, piccoli vasi artero-venosi e dotti www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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linfatici. Pur confermata da tempo l’origine tabagica dell’affezione descritta da Buerger, da allora conosciuta come morbo di Buerger, ancor oggi si registrano 12,6 nuovi casi per anno su 100.000 persone adulte, delle quali la metà deve essere sottoposta ad amputazione degli arti inferiori nel volgere di pochi anni dall’insorgenza della malattia, senza considerare le sofferenze immani e i casi di ostruzione dei vasi miocardici coronarici con le gravi conseguenze che inevitabilmente ne conseguono5. Segnalazioni di un’evidente aumento della frequenza di tumori polmonari e di infarti miocardici in fumatori, da due a quattro volte in più, non produrranno inopinatamente ricerche fino alla metà del secolo scorso allorché verranno alla luce alcuni studi epidemiologici altamente significativi che confermeranno i gravi rischi dovuti al fumo: 25-30 volte maggiori obbedendo, in genere ma non sempre, al principio della proporzionalità fra quantità giornaliera di tabacco consumato e tempo trascorso in questa pratica ormai di moda, simbolo di modernità, eleganza, snobismo, virilità e successo6. I dati statistici (Fig. 1), sempre confutati con argomenti pretestuosi dalle potentissime lobby produttrici di tabacco e sigarette, che sostituiscono largamente pipa e sigaro per la raffinatezza e la praticità d’uso, il basso costo e il fascinoso aspirabile e aromatico fumo sottile azzurrognolo, vengono confermati da ricerche biochimiche che identificano una pluralità di sostanze attive nel processo cariocinetico: nitrosamine, idrocarburi policiclici aromatici, benzene, i pericolosissimi cancerogeni citocromi P4502A6, CYP2A6, l’isotopo radioattivo Polonio 210 e i molteplici prodotti della combustione di nicotina e di altre componenti, che insieme, e sono 7.000 (sic!), possiedono, oltretutto, azioni spasmizzanti sui piccoli vasi arteriosi di tutti gli organi, compresi quelli cardiaci e cerebrali, la proprietà di fare aumentare la temperatura corporea, di ridurre l’appetito e le ore di sonno goduto, suscitare vere e
L. Buerger, Thrombo-angiitis obliterans: a study of the vascular lesions leading to presenile spontaneous gangrene, «The American Journal of the Medical Sciences», 136 (1908), 567; G. Ceccarelli, Trattato Italiano di Chirurgia, Piccin, 1961; J.W. Olin, Thromboangiitis obliterans Buerger’s disease, «The New England Journal of Medicine», 343 (2000), 864. 6 R. Doll, A.B. Hill, Smoking and carcinoma of the lung. Preliminary report, «British Medical Journal», 30, 2, 4682 (1950), 739. 5
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proprie dipendenze tossicologiche corredate da sindromi da astinenza, e attivare effetti analgesico-eccitatori, ecc. (Tav. 1)7. Da oltre quaranta anni le multinazionali sono consapevoli della presenza di cancerogeni nel tabacco, hanno cercato inutilmente di farne rimuovere almeno una parte, hanno nascosto i tentativi falliti dei loro chimici, da loro stessi designati, per «non svegliare il gigante che dorme», come si può leggere su documenti che erano destinati alla riservatezza8. Non si tratta, dunque, di un vizio qualsiasi, come comunemente si definisce il consumo di tabacco, ma di una vera e propria tossico-dipendenza tanto da danneggiare la qualità del sonno e il ritmo sonno-veglia a causa della sindrome da astinenza da nicotina. Questa constatazione induce a consigliare l’uso di farmaci che sostituiscano la nicotina, per poi escluderla definitivamente, in un programma complessivo di svezzamento da fumo9. La ricerca epidemiologica ha stabilito che il fumo di tabacco, in stretta relazione con il numero di sigarette fumate e della quantità di tabacco consumato, agisce da potente cancerogeno e da fattore degenerativo e cariocinetico su tutti gli apparati e organi, nessuno escluso, favorisce l’insorgenza di forme di leucemia e di linfomi, l’ulcera peptica, l’ipertensione arteriosa, l’infarto e l’ictus cerebrale di tipo ischemico nei giovani e negli anziani, l’aterosclerosi, il diabete mellito, le cataratte, le paradontopatie e la carie, le ipoacusie, riduce la fertilità, ritarda lo sviluppo embrionale e fetale, crea disturbi al normale ritmo veglia-sonno, possiede effetti anoressizzanti, eccitanti ecc. Le circa 7.000 sostanze chimiche, di cui 70 strettamente connesse alle patologie neoplastiche, che si sprigionano durante la combustione del tabacco, rendono le
S.S. Hecht, Tobacco carcinogenesis, their biomarkers and tobacco-induced cancer, «Nature Reviews Cancer», 3, (2003), 733-744; B. Rego, The Polonium Brief: A Hidden History of Cancer, Radiation, and the Tobacco Industry, «Isis», 100, 3, (2009), 453-484. 8 M.E. Muggli, Waking a Sleeping Giant: The Tabacco Industry’s Response to the Polonium-210 Issue, «American Journal of Public Health», 98, 9 (2008), 16431650. 9 OMS, International Classification Disease, X. The General Surgeon of USA ammise, soltanto nel 1988, che la nicotina porta alla dipendenza come l’eroina e la cocaina e a vere crisi di astinenza. 7
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sigarette fra i prodotti maggiormente pericolosi e costosi, sotto ogni punto di vista, disponibili oggi sul mercato mondiale. Molti dati dimostrano, inoltre, come il fumo di tabacco aggredisca, riducendone l’efficacia, i meccanismi di difesa dell’organismo mediante gli stessi agenti cancerogeni che si diffondono in ogni parte del corpo, su organi apparentemente distanti quali il colon-retto, ad esempio, il cui impianto neoplastico avviene in fumatori con maggiore frequenza e almeno sette anni prima rispetto ai soggetti non fumatori. È ormai accertato che i tumori del colon – al terzo posto per frequenza – derivano nel 75% dei casi da mutazioni cellulari dovute a vari fattori, fra cui è importante il ruolo sostenuto dal tabagismo10. Bisogna notare, inoltre, come spesso l’associazione di stupefacenti, alcoolici, sigarette e guida spericolata di moto e autovetture si riscontri specialmente fra gli adolescenti per una sorta di un insieme di protagonismo e ribellismo. La rivista «Nature online» di recente ha segnalato un tasso di mortalità, in tutto il Mondo, superiore del 35% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 19 anni rispetto a quella fra i 10 e i 14 anni. Questo fenomeno allarmante non può essere spiegato per le sole ragioni di differenza di età. Le motivazioni di tanta discrepanza sembrerebbero risiedere propriamente in questo miscuglio di consumi tossici e propensioni al rischio tanto che studiosi dell’Università di Philadelphia hanno invitato le autorità americane a vietare l’acquisto di tabacco almeno fino al compimento dei 21 anni e ad impedire la vendita di alcoolici per un raggio di oltre 300 metri da ogni tipo e grado di scuola pubblica e privata. Ignorare il complesso tragico di questi dati, lasciarli in un bieco cono d’ombra e non portarli a conoscenza di tutti i cittadini conduce a considerazioni erronee, come l’addebitare l’incremento dei tumori polmonari al solo inquinamento ambientale o indulgere, anche da parte di medici un po’ troppo sbrigativi e faciloni, sull’abitudine di fumare poche sigarette al giorno. Infatti è noto che «la rottura del DNA e l’inizio del processo degenerativo nel polmone o in altri organi, per doppie sfilacciature che si fondono con altri cromosomi nella cellula, possono avvenire anche con quantità di fumo di sigarette ritenute comunemente davvero esigue»11. S. Inchcoombe, Advancing discovery, «Journal of Cancer Research and Clinical Oncology», Editoriale, pubblicato online, 9 febbraio 2008. 11 L. Zhang et al., Power Spectral Analysis of EEG Activity During Sleep in Cigarette 10
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La realizzazione di un programma vasto, articolato e incisivo contro il fumo ridurrebbe i rischi individuali, eviterebbe, nell’arco di soli dieci anni, l’insorgenza di tumori del polmone in misura di circa il 60% e a carico di altri organi del 15-20%; inoltre, dimezzerebbe le bronco-pneumopatie croniche ostruttive (BPCO), le arteriopatie, le cardiopatie acute e croniche, senza contare le altre numerose affezioni che rendono la qualità di vita scadente e senza la speranza di un invecchiamento soddisfacente. Non è raro incontrare persone, che sono state tabagiste oppure lo sono ancora, obbligate ad ossigenoterapia ad intermittenza o continua a causa di una insufficienza respiratoria da fumo di tabacco. Oltretutto, un malato su tre affetto da BPCO tende a non aderire alle prescrizioni mediche, contrariamente a quanto avviene per altre malattie croniche di tipo cardiovascolare, digestivo ed urinario che registrano regolari controlli al di sopra del 70%. I due obbiettivi precipui che la Medicina deve raggiungere, in particolare in questo campo, vanno individuati nel risparmiare vite umane, e disabilità, in un numero soltanto confrontabile con i caduti delle due guerre mondiali, senza considerare i disabili e le conseguenze interne alle famiglie colpite, e nel recuperare gigantesche risorse economiche impegnate finora per limitare, con un rapporto inaccettabile fra costi e benefici, i danni provocati da un’abitudine i cui effetti devastanti ormai si configurano come quelli di una catastrofica pandemia. Fra le malattie evitabili, quelle tabacco-correlate occupano il primo posto ed un triste primato: nelle classi sociali disagiate e a bassa scolarità la mortalità è attribuibile per il 50% all’uso di tabacco e risulta doppia rispetto ad altre cause12. Dal 10 gennaio 2005 in Italia, giorno della promulgazione della Legge Sirchia che proibiva il fumo nei luoghi pubblici, si è verificata una riduzione nelle vendite di sigarette senza il paventato crollo delle attività di ristorazione e di intrattenimento. Nel 2006 e 2007, come segnalato dall’Istituto Superiore di Sanità, il calo si è attestato attorno al 5%, con un recupero successivo di vendite dell’1%, dimostrando che non basta un solo provvedimento per convincere le persone a non fumare. Lo stesso
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risultato si è verificato in Irlanda, dove la legge è entrata in vigore il 29 marzo del 200413. Sul piano della deterrenza, la rivista scientifica «The Lancet» ha proposto di aumentare il prezzo delle sigarette del 50% per ottenere la contrazione della domanda, concludendo con un’amara considerazione: «Se la causa del tumore al polmone si fosse dimostrata di natura infettiva, già milioni e miliardi di euro sarebbero stati impegnati in campagne di eradicazione farmacologica»14. Anche il nostro Istituto Superiore di Sanità, avvalendosi di uno studio della DOXA del 2006, concorda sulla capacità di inibizione proveniente da un maggior costo di almeno cinque euro per pacchetto: gli effetti precoci derivati dal maggior costo provocherebbero, si prevede, la riduzione del 30-40% del consumo di tabacco. A misure dissuasive ben motivate e diffuse, tuttavia, bisogna affiancare un’opera capillare di educazione a partire dalle Scuole materne per rivolgersi ai luoghi di lavoro, alle comunità, alle famiglie e ai singoli cittadini con lo scopo di contrastare i modelli relazionali ispirati alla cerimonia del fumo15. Queste prospettate misure cautelative a favore della salute delle persone potrebbero creare il sospetto che si vogliano ridurre le libere scelte personali. Niente di tutto questo. Al contrario, si vorrebbe porre in atto l’Articolo 32 della Costituzione italiana: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Informare, educare, indirizzare i
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consumi cercando di ostacolare quelli chiaramente dannosi significa, appunto, tutelare la salute individuale e collettiva pur rispettando appieno la libertà delle persone. Un passo ben più invasivo nell’ambito delle libertà individuali, in un certo modo dal sapore coercitivo, è stato compiuto con l’obbligatorietà nell’uso delle cinture di sicurezza da parte di conducenti e passeggeri in vetture private e ad uso pubblico, a partire dal Nuovo codice della strada varato con il decreto legislativo del 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni fino al decreto n° 150 del 13 marzo 2006 che prevedono sanzioni pecuniarie e penalizzazioni a carico della fruizione della patente di guida, fino alla sua sospensione per due mesi, e l’obbligo di seguire corsi di aggiornamento di guida automobilistica. Piuttosto, c’è da chiedersi come si possa conciliare l’articolo 32 della nostra Costituzione con la vendita di tabacco da parte dello Stato attraverso l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) che dichiara quanto qui di seguito riportato? «I prodotti in commercio vengono distinti, ai fini impositivi, nelle seguenti categorie: le sigarette, i sigari e i sigaretti, il tabacco da fumo trinciato, il tabacco da fiuto e da mastico. Tali prodotti, accomunati nella più generale categoria dei tabacchi lavorati, sono gravati da diverse imposte: l’IVA, che è pari al 22% del prezzo di vendita al pubblico al netto dell’IVA stessa; l’imposta di consumo, più comunemente detta accisa, correlata al prezzo di vendita al pubblico, varia in relazione alla categoria del prodotto, il dazio, che si applica solo qualora i prodotti provengano da Paesi situati fuori dalla Unione Europea. Possiamo quindi dire che il prezzo finale di vendita al pubblico di un prodotto risulta dalla somma di più componenti, quelle fiscali sopracitate alle quali si aggiungono l’aggio del rivenditore, nella misura fissa del 10% del prezzo, e la quota di spettanza del produttore. Facciamo un esempio per chiarire quanto detto. Se consideriamo, per le sigarette, un prezzo pari a 100 avremo, con i valori arrotondati, che: 58,5 verranno versate nelle casse dell’erario a titolo di accisa, 17 andranno, ugualmente, allo Stato per il pagamento dell’IVA, 10 ricompenseranno il rivenditore, 14,5 costituiranno l’incasso per il produttore. Come si può evincere, lo Stato interviene in modo deciso sui tabacchi lavorati penalizzandone il consumo con una tassazione che sfiora il 75% del prezzo finale. Per chi fosse interessato ad un calcolo esatto delle componenti del prezzo dei prodotti, riportiamo le tabelle di ripartizione per le sigarette, i sigari e i sigaretti, il tabacco da fumo trinciato e il tabacco da fiuto e da mastico fissate con decreto del Direttore Generale dell’Amministrazione www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Autonoma dei Monopoli di Stato e pubblicate nella «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana». Nelle tabelle di ripartizione, i prezzi e le sue componenti sono riferiti ad un chilogrammo convenzionale di prodotto. Per chilogrammo convenzionale si intendono 1.000 pezzi per le sigarette, 200 pezzi per i sigari, 400 pezzi per i sigaretti» (AAMS, 31 luglio 2007). I problemi posti dalla produzione e dal consumo di tabacco non sono circoscrivibili alla sola salute e a un tratto di territorio adibito alla coltivazione. Il mercato del tabacco, infatti, si avvale dello sfruttamento di moltitudini di bambini, contribuisce alla desertificazione del Pianeta in misura di oltre il 5% e allo spargimento di pesticidi, assorbe risorse economiche considerevoli soprattutto a danno di popolazioni meno abbienti e culturalmente meno difese: in Bulgaria e nelle parti rurali della Cina una famiglia giunge a spendere il 20-25%, e oltre, del reddito annuo per l’acquisto di sigarette e similari. Inoltre, l’industria del tabacco tende ad impoverire i Paesi già poveri, o in via di sviluppo, per l’impiego infruttuoso di risorse umane, territoriali ed economiche e consegnando loro un disvalore dagli effetti devastanti16. Il mercato del tabacco sta dirigendosi rapidamente verso le Nazioni in via di sviluppo rappresentando già il 70% del consumo globale. Il suo previsto allargamento nei consumi prevede che entro i prossimi 20 anni il tasso di mortalità per tumori fumo-dipendenti raggiungerà il 75% del totale sul Pianeta se non verranno attivate misure serie in grado di limitare e fermare il mostruoso fenomeno. A questo dato va aggiunta la proiezione epidemiologica secondo cui entro 12-15 anni le gravi bronco-pneumopatie cronico-ostruttive (BPCO) da fumo di tabacco diverranno la quinta causa di malattia e la terza causa di mortalità mondiale (www. smoke-freerupe.com), mentre le morti da fumo nel 2020 raggiungeranno quota 8.400.000 e nel 2030 i 10.000.000 per anno17. Nessuna Istituzione pubblica e privata, tantomeno la Medicina, con l’intero suo corpus medicus, può distrarsi in una situazione tanto drammatica quotidianamente osservata negli ospedali e nelle case e permettersi di ignorare ed esimersi dal divulgare dati e fatti concreti largamente sconosciuti ai cittadini di ogni angolo della Terra (Fig. 1).
Health For All, 2006. Health For All, 2006.
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Capitolo IX
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La peste nera nel secolo del progresso
Se nel corso della vita è previsto che una persona su tre risulterà affetta da neoplasia, subendo una prospettiva di mortalità che lambisce il 50%, sorgono spontanee le similitudini con gli effetti nefasti della peste nera: una tragedia planetaria, una vera pandemia che imperversò in Europa, in Asia e in Medio oriente dal 1347 al 1352 portandosi via, nella sola Europa, un terzo della sua popolazione, 20-25 milioni, nella nostra epoca 4-5 milioni di persone decedute per tumore per anno fra tutte le età e appartenenti ad ogni condizione sociale (Fig. 1 e Tav. 1). Una ricerca del Royal Cancer Research, in collaborazione con la «London Queen Mary University», pubblicata sul «British Journal of Cancer» nel 2015, è giunta alla conclusione che risulta peggiorato il precedente dato statistico esistente secondo cui è prevedibile che un cittadino britannico su due si ammalerà di tumore in un qualche segmento della vita: nei maschi della classe di età 1930 il rischio subisce un incremento del 38,5%, del 53,5% nella classe 1960, nelle femmine il fattore rischio oscilla rispettivamente fra il 36,7% e il 47,5%. In definitiva, i cittadini britannici sotto i sessantacinque anni hanno oggi le probabilità di sviluppare un tumore nel corso della vita di oltre uno su due. Le probabilità di guarigione risultano, purtroppo, all’incirca del 50%. La questione complessiva nel nostro Paese si pone in termini similari al Regno Unito. L’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) nel 2016 ha segnalato che il rischio di ammalarsi di un tumore nel corso della vita riguarda un maschio su due e una femmina su tre. Di questi, il 10% in persone con età sotto i quarantanove anni, il 39% dai cinquanta ai sessantanove anni, il 51% negli ultrasettantenni. Mediamente in Italia, secondo i dati ISTAT del 2016, circa la metà delle persone scompaiono a causa di un tumore maligno su mille diagnosticati ogni giorno. L’esito infausto è differente nei due sessi per le relative specifiche frequenze e prognosi. Nel 2017 in Italia sono stati stimati circa 369.000 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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94 Capitolo IX
nuovi casi di cancro, cioè oltre 1.000 al giorno, in crescita nel 2018 con oltre 373.000 nuovi casi, e la spesa per i soli farmaci oncologici è passata nell’ultimo decennio da 1 miliardo di euro a 4,5 miliardi di euro con un incremento di 400 milioni per anno. Nel complesso, le patologie oncologiche assorbono le voci maggiori delle risorse economiche destinate al Servizio Sanitario Nazionale che attualmente ammontano, con il novero dei complessivi iter diagnostici e terapeutici, a 19 miliardi di euro per ogni anno solare. «International Agency for Research on Cancer» ha registrato, a partire dal 2007, una tendenza delle neoplasie a colpire in modo crescente i Paesi in via di sviluppo con oltre 7 milioni di nuovi casi e 5 milioni di decessi per anno a fronte di 12 milioni di nuovi casi per anno nel Mondo intero che comportano oltre 8 milioni di decessi, ben oltre il 50%. Di fronte a questi dati, a quali calamità si può pensare se non agli effetti nefasti della peste nera? Oppure, se non all’ecatombe provocata dalle due guerre mondiali con circa 100.000.000 di morti e gravi disabili in trent’anni, senza contare le infelicità familiari e le immani sofferenze comunitarie che hanno condizionato la vita futura di centinaia di milioni di persone di tutti i continenti, ancor oggi percepibili e forse mai eradicabili? Le età avanzate, in costante aumento per la crescita dell’aspettativa di vita mediamente di 2-3 mesi per anno trascorso, rappresentano uno dei fattori di rischio che configurano tradizionalmente le cosiddette «patologie tipiche dell’invecchiamento». Condurrebbe, però, ad un grossolano errore valutativo il fermarsi alla pura statistica, per dirla con Claude Bernard: «una disciplina basata sulla probabilità che serve a guidare l’osservatore nella ricerca di una causa indeterminata senza arrivare ad una legge reale. Infatti le circostanze non sono mai identiche e perciò la statistica non può essere altro che una classificazione empirica di osservazioni compiute»1. Se lo studio statistico ci informa che un maschio su otto sviluppa un tumore alla prostata e uno su nove al polmone e che una femmina su otto alla mammella e uno su trentasette al polmone, evidentemente, non ci sta spiegando le ragioni intrinseche e le origini della malattia ma, appunto, costituisce un allarme ed una «guida per l’osservatore alla ricerca di una causa». Se i dati statistici C. Bernard, Scienza, filosofia, letteratura, importanza della ragione, Bertani, Cavriago 1982.
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Fig. 1 – Trends in Death Rates by Sex Overall and for Select Cancers, United States, 1930 to 2014 (CANCER J CLIN 2017; 67: 7-30); Trends in Cancer Incidence (1975 to 2013) and Death Rates (1975 to 2014) by Sex, United States (CANCER J CLIN 2017; 67: 7-30).
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96 Capitolo IX
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Tav. 1 – Quota di tumori attribuibili a vari fattori di rischio Tabacco Dieta Obesità Inattività Abuso di bevande alcoliche Fattori occupazionali Infezioni Radiazioni ionizzanti e raggi UV Inquinamento ambientale
USA, 2012 (%) 33 5 20 5 3 5 8
Regno Unito, 2010 (%) 19 19 5 1 4 4 3
2
5
2
2
Fonte: American Association for Cancer Research, 2013.
stabiliscono che sei casi di tumore su dieci riguardano oggi persone che hanno superato i sessantacinque anni, con un incremento del 179.4%, non autorizzano a ritenere che il solo processo d’invecchiamento per sé stesso rappresenti un significativo e determinante fattore di rischio (Tav. 1). Bisogna affinare le indagini e procedere ulteriormente. C’è da chiedersi, infatti, se le età attempate siano davvero la principale delle ragioni di incremento delle neoplasie in tutto il Mondo, di pari passo con l’allungamento della vita media e il crescente numero di persone anziane come mai prima era accaduto in tutta la storia dell’umanità. Potrebbe influire la lunghezza del periodo di esposizione dell’organismo («mezzo interno», cfr. Cap. II), con tutto il suo corredo anamnestico, a fattori esterni («mezzo esterno», cfr. Cap. II). Il prolungamento della vita contribuisce, certamente, ad esporre maggiormente l’organismo agli effetti dei cancerogeni sparsi nell’ambiente, unitamente alla nota riduzione delle capacità di difesa e dei meccanismi di riparazione degli organismi nelle età attempate. Si deduce, da queste considerazioni, la necessità che il dato statistico debba essere affiancato e interpretato dalla Epidemiologia, cioè dall’analisi scientifica di cause ed eventi che influiscono su salute e malattia in una specifica popolazione, nella sua organizzazione sociale, in quell’ambiente, in quel contesto storico perdurante e cangevole. Gli studi epidemiologici, infatti, rivelano che le cause di tumore sono ascrivibili a vari fattori fra cui il consumo, il tempo di esposizione e la quantità di tabacco e alcool, la vicinanza ai cancerogeni riscontrabili nei folti www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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elenchi in uso in agricoltura, industria alimentare, produzione di energia, scarichi industriali e delle automobili. La «International Agency Research of Cancer» nel 2014 ha individuato 120 agenti sicuramente carcinogenetici, oltre ad 81 dagli effetti probabili e a 299 dagli effetti possibili che comportano rischi su ampi strati di intere popolazioni. È interessante confrontare queste constatazioni con le dichiarazioni, del tutto contraddittorie, della «Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA)» che si trovano nel documento Diffondere la radioterapia nei Paesi poveri, non prima di premettere che notoriamente cancerogeni e modelli di vita e consumi distorti, alla base delle impennate dei tassi tumorali in quelle regioni del Mondo, sono stati importati dai Paesi definiti ricchi ad elevata industrializzazione. Afferma la AIEA: «Già investiti 180 milioni di dollari tra il 1980 e il 2006, di cui 55 milioni in Africa. L’AIEA, da anni impegnata nella promozione dell’atomo contro il cancro nei Paesi a basso reddito, ammonisce che la crescita dei casi di tumore rischia di essere particolarmente alta nei Paesi in via di sviluppo e recentemente industrializzati e stima che oltre il 70% di tutti i decessi si verificheranno per tumore nei Paesi a medio e basso reddito. Tuttavia, pur essendo per molti casi di cancro la radioterapia una cura decisiva, nei Paesi in via di sviluppo molti malati non vi hanno accesso. C’è infatti una carenza di oltre 5.000 apparecchi per la radioterapia nel Mondo e più di 30 Paesi africani e asiatici non ne dispongono affatto. La radioterapia costituisce un’opzione effettiva nel 50% dei pazienti. Per questo l’AIEA ha creato il Programma di azione per la terapia del cancro, che in collaborazione con l’OMS mira ad aiutare i Paesi a basso reddito ad accrescere le capacità di terapia del tumore. Si stima che 1 miliardo di dollari sarebbe necessario per affrontare la crisi del cancro nei Paesi in via di sviluppo»2. La AIEA definisce, errando clamorosamente, «decisiva» la radioterapia, spesso deludente e quasi sempre in associazione con l’atto chirurgico che resta del tutto centrale e imprescindibile nella terapia dei tumori solidi, e punta su investimenti di somme ingenti non sulla prevenzione primaria e neppure sulla prevenzione secondaria (diagnosi precoce) che assicurerebbero un vero risparmio di sofferenze e di vite umane, Unesco World Forum, 12/5/2007, Conferenza «Knowledge for Sustainable Development: The Future», sessione Science, Technology and Innovation, Perspectives for Africa. 2
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senza contare la liberazione di risorse economiche utili per popoli che abbisognano di tutto e di qualsiasi somma per progredire. Nel 2005 la AIEA ha ricevuto il Premio Nobel per la pace, immaginiamo per altre ragioni e non per la posizione suddetta. Nel 1971, nel corso della campagna elettorale per il suo secondo mandato, Nixon aveva lanciato il National Cancer Act con l’obiettivo di «sconfiggere il cancro». Nei vent’anni successivi la mortalità negli USA risulterà aumentata del 6,3%. Anche Berlusconi, il 9 giugno del 2010 durante una campagna elettorale, ha affermato che «il cancro verrà sconfitto entro tre anni». In netto contrasto con le lusinghiere promesse, nel giugno 2015 la prestigiosa rivista «Nature» in Change the Cancer Conversation affermerà perentoriamente che «la battaglia contro il cancro è ben lungi dall’essere vinta» e che purtroppo «la strategia d’attacco è di fatto totalmente incentrata su test diagnostici e terapie anziché su più efficaci ricerche etiologiche e prevenzioni primarie». In contraddizione con gli intenti più volte annunciati dalle autorità, gli Stati Uniti, paradigma di riferimento per tutti i Paesi dell’occidente, ha quasi dimezzato i fondi destinati alla prevenzione primaria della massima Istituzione nel campo oncologico: i finanziamenti del National Cancer Institute sono passati dall’11% del 2003 al 6% del 2013. L’indirizzo generale, politico e gestionale, sembra orientato a concentrare risorse sulla ricerca e l’applicazione di nuovi test diagnostici e complessi terapeutici forse autorizzando il teorema di una convergenza con gli interessi della produzione industriale e alimentando il sospetto che «la prevenzione convenga soltanto ai cittadini e che le lobby e le Istituzioni pubbliche siano interessate soprattutto a produrre sostanze antineoplastiche, facendo finta di ignorare l’esistenza un po’ dappertutto di inquinanti ad effetto cancerogeno»3. Alcuni ricercatori, addirittura, giungono ad avanzare molte riserve sull’ipotesi che gli incrementi della patologia tumorale siano principalmente da attribuire al consumo di tabacco e di cibi ricchi di grassi animali e che questi fattori siano utilizzati come copertura dei fattori ambientali ancor più nocivi che «vengono ignorati sistematicamente, mentre i cancerogeni dilagano ampiamente
R. Sharpe, The Cruel Deception, Thorsons Publishing Group, U.K. 1988; D.M. Parkin, The fraction of cancer attributable to lifestyle and environmental factors in UK in 2010, «Br J Cancer», 2011.
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nelle catene alimentari e inquinano aria e acque, spostando l’attenzione soltanto sugli stili di vita e sul campo delle diagnosi e delle terapie»4. Di recente è stato pubblicato e presentato un libro Il cancro ha già perso, la rivoluzione da Nobel dell’immunoterapia dei tumori (ed. Piemme) che, a differenza dell’annunciato trionfo insito nel titolo, si limita a raccontare la storia di una mezza dozzina di persone affette da melanomi cutanei (particolari «capricciosi» tipi di tumore) trattate variamente e con immunoterapia con esiti riportati piuttosto vaghi e ambigui, in assenza di una casistica dal valore scientifico. Per gli altri tipi di cancro, dato per sconfitto, che rappresentano la quasi totalità dei tumori, l’autore ha ritenuto bastevole un accenno ad effetti presumibilmente efficaci, sostanzialmente un auspicio e un annuncio di successo nel futuro. In «Le Scienze», edizione italiana di «Scientific American» del maggio scorso, un articolo dal titolo Colpire un gene per curare il cancro spiega come in futuro sarebbe possibile «progettare farmaci di precisione e dare concretezza alla Precision Medicine Iniziative del presidente Obama: una cura su misura». Nell’articolo si parla anche di aziende e brevetti industriali. Si pone, dunque, il problema dei controlli e dei rapporti fra produttori e istituzioni. Da tempo avvengono fusioni, che conferiscono una ulteriore straordinaria capacità d’azione ad ampio spettro, un cartello monopolistico fra colossi della chimica per l’agricoltura che prepongono interessi economici a problematiche ambientali come l’inquinamento diretto e la sparizione di insetti e animali di piccola taglia necessari all’eco-ambiente, con conseguenti impatti negativi sulla filiera alimentare umana e animale, per l’esigenza commerciale di incrementare l’uso di pesticidi e concimi nocivi alla salute. Si viene così a creare un circolo vizioso micidiale. Ad esempio, con la nuova fusione tra Bayer e Monsanto, insieme ai già avvenuti accorpamenti fra Chem-China e la svizzera Syngenta e fra Dow Chemical e Dupont, il dominio commerciale si estende al 70% dei prodotti chimici per l’agricoltura e al 60% del mercato delle semenze nel Mondo con la più ampia possibilità di creare, di fatto, appunto, un cartello monopolista indifferente a qual-
http://www.politico.eu/pro/draft-eu-competition-commissioner-margrethe-vestager-green-challenge;http://thehill.com/business-a-lobbying/314559-trump-team-touts-8-billion-bayer-investment. 4
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siasi alternativa di produzione e capace di penetrare in tutti i mercati condizionandoli decisamente nelle possibili scelte5. Le legislazioni vigenti, pur ammettendo implicitamente la pericolosità di composti chimici, hanno imboccato la via della riduzione dei rischi, non di annullarli, introducendo il concetto di soglia minima costruita su cifre arbitrarie, frutto di mediazioni politico-economiche fra principi etici, tecnici ed esigenze di mercato, come avvenne all’epoca di Chernobyl con le lunghe e mai risolte controversie sulle tracce radioattive e gli intrecci su effetti territoriali, temporali e livelli di pericolosità, accompagnate da vari tentativi mediatici di sminuire gli effetti del disastro. Non solo i circa 3.000 chilometri quadrati attorno alla centrale atomica furono colpiti da radiazioni, e gli effetti si presume tali rimarranno per molte migliaia di anni, ma anche parti cospicue d’Europa, compresa l’Italia, e il Nord America con conseguenti decessi per cancro e leucemie stimati da 40.000 a circa 100.000 senza considerare le imprevedibili ripercussioni genetiche sulle future generazioni e l’incidenza sull’insorgenza di malattie note e sconosciute6. Avendo analizzato 4.000 bambini di seconda generazione dopo Chernobyl, il medico Yury Bandazhevsky, duramente perseguitato dal regime sovietico, ha stabilito la presenza di gravi problemi cardiovascolari e ormonali nell’80% dei soggetti esaminati esposti alle radiazioni7. Non basta: quel medico ha previsto che la radioattività protragga i suoi effetti per molte generazioni come un’ombra nera che continua ad estendersi provocando innumerevoli effetti con conseguenti possibili mutazioni genetiche e malformazioni. Il concetto di soglia minima è costruito su cifre arbitrarie. Infatti, è noto sul piano scientifico che «le probabilità di trasformazione cellulare in relazione allo stimolo oncogeno devono partire da zero, cioè non
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esiste in realtà una soglia minima se non convenzionale tanto è vero che aumentando lo stimolo oncogeno le probabilità di trasformazione cellulare raggiungono il 100%»8. Un concetto che viene riconosciuto a livello legislativo nel documento Definizione di Rischio art. 2, lettera s, del D.L. 81/08 in cui si stabiliscono «le probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione». Prosegue il Decreto legislativo italiano chiarendo che «il rischio è un concetto probabilistico, è la probabilità che accada un certo evento capace di causare un danno alle persone. La nozione di rischio implica l’esistenza di una sorgente di pericolo e delle possibilità che essa si trasformi in un danno». Appunto, la valutazione del rischio intesa come soglia minima convenzionale è il frutto di mediazioni politico-economiche. Il Parlamento italiano ha recepito le direttive 1999/45/CE e 2001/60/CE, confermate nel 2004, e tuttora in vigore, «relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura dei preparati pericolosi: L’Istituto Superiore di Sanità è l’organismo incaricato di ricevere le informazioni relative ai preparati immessi sul mercato e considerati pericolosi per i loro effetti sulla salute o in base ai loro effetti a livello fisico e chimico, compresa la composizione chimica, disciplinati dal presente decreto. Qualora l’Istituto Superiore di Sanità riscontri che per un prodotto vi sono state ripetute richieste di informazione, ne dà immediata comunicazione al responsabile dell’immissione sul mercato, nonché al Ministero della Salute. L’Istituto Superiore di Sanità e i centri antiveleni ritenuti idonei tengono una registrazione delle richieste di informazioni concernenti i prodotti contenuti nell’archivio. L’Istituto Superiore di Sanità trasmette periodicamente, e comunque con una frequenza non superiore ad un anno, una relazione al Ministero della Salute in merito alla consultazione dell’Archivio preparati-pericolosi da parte dei centri antiveleni e alle eventuali problematiche connesse, evidenziando i dati epidemiologici anomali per l’eventuale attivazione delle attività di vigilanza del Ministero della Salute». Dunque, i controlli di tossicità sulle sostanze commercializzate sono basati sostanzialmente su comunicazioni e dati a posteriori derivati dalle segnalazioni delle risultanze epidemiologiche.
G. Prodi, La biologia dei tumori, Ed. Ambrosiana, Milano 1979.
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102 Capitolo IX
Eventuali verifiche preliminari, effettivamente difficili da effettuare a fronte di una mole immensa di sostanze prodotte, sulla potenzialità cancerogenetica vengono eseguite mediante prove semplici e ripetibili come il più usato ed economico test di Ames, basato sul livello di capacità mutagene di provocare la reversione di un carattere auxotrofo, cioè in grado di stimolare la crescita cellulare, in culture di colonie di salmonella9. Non mancano le critiche imperniate su più punti: una piccolissima parte dei circa 70.000 agenti chimici presenti nell’ambiente, e delle 1.000 nuove sostanze prodotte ogni anno, viene effettivamente testata. Strumenti adatti a sperimentare tante sostanze chimiche non sono disponibili e, in ogni caso, quando i test fossero realmente eseguiti verrebbero condotti su sostanze isolate e per un tempo limitato, mentre l’esposizione di ogni persona può avvenire continuamente, spesso per tutta la vita e ad opera di un vero e proprio cocktail di molteplici agenti che insieme potenziano la singola capacità oncogena, che in laboratorio è testata separatamente. Inoltre, può verificarsi un periodo di latenza tra l’esposizione e lo sviluppo di una malattia fino a quaranta anni e oltre, oppure configurarsi nelle generazioni successive come malattia congenita. Un esempio: gli effetti cancerogeni dell’amianto. Naturalmente le indagini, su una mole di composti chimici passata da 1 milione di tonnellate del 1930 a oltre 500 milioni di tonnellate di oggi e a fronte di sostanze registrate nel solo mercato comunitario che superano le 100.000, costituiscono un problema serio che può essere risolto mettendo in campo tutte le risorse scientifiche, deontologiche e politiche, innanzitutto con scelte chiare ed efficaci che non si intravedono tuttora all’orizzonte10. Da aggiungere che l’origine della malattia non risiede soltanto in mutazioni insorte nel DNA verificabili nel chiuso di un laboratorio e in vitro in un terreno di cultura, ma è addebitabile a centinaia di migliaia di modificazioni epigenetiche attraverso cui una cellula normale, denominata differenziata perché ha acquisito specifiche caratteristiche e funzioni, sotto la pressione esterna di una pluralità di agenti fisici e so-
G. Ames, An improved bacterial test system for the detection and classification of mutagens and carcinogens, «Proceedings of the National Academy of Sciences», 70, 3, 1 marzo 1973. 10 E. Goldsmith, Ecology of Urban Arthropods: A Review and a Call to Action, «Ecologist», marzo 2009. 9
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stanze chimiche, può riprogrammarsi e divenire onnipotente e svincolata da ogni controllo e logica organica, ancor prima di strutturarsi in modo specifico per una data funzione (appunto differenziata e in armonia con le altre), promuovendo la clonazione di intere platee di cellule anomale (indifferenziate, cioè anarchiche) a partire dal loro nucleo. Bisogna ammettere che la peste nera, quella sì, fu davvero una maledizione collettiva e imparziale «sempre uguale a se stessa»11. Il cancro si propone, manifestandosi, come malattia del progresso, del secolo e del millennio del progresso illimitato, suo misterioso lato oscuro e corollario. Innominabile, sussurrato o indicato per allusioni e parafrasi, non appare epidemico, agisce per decimazione silente, sembra appartenere alla moderna organizzazione sociale e alla cultura dei popoli evoluti, paradigma dell’entropia e segno di contraddizione: da un lato vengono implorati e ricercati antidoti per contrastare il male assoluto e sconfiggerlo, dall’altro sono prodotte e inconsapevolmente desiderate sostanze che lo provocano. Si annunciano tecnologie, antivirus, vaccini, sostanze anti-neo-angio-genetiche, markers. nuovi farmaci, statine, terapie geniche, immunoterapie, scoperte di fattori ereditari e razziali, programmi per riparare i danni del DNA che posseggono, tutti, un loro valore teorico e, forse, nel futuro una qualche funzione operativa, che spesso e molto presto cadono nel dimenticatoio mentre si continua a seguire la prassi secondo cui ogni nuova sostanza chimica è ammessa sul mercato, fatte salve alcune formalità imposte dalle leggi in vigore, finché non si dimostri la sua pericolosità12. C’è da chiedersi perché tutto ciò accada nonostante il cosmo assomigli sempre più all’orticello di casa, il genoma venga smontato e rimontato come un meccano ed un lego, le clonazioni si gestiscano come gli elettrodomestici e le cose di ogni giorno che passano di mano in mano, la vita si generi facilmente nella provetta di un laboratorio e si difenda e si mantenga sospesa per anni con artifici meccanici e farmacologici oltre ogni limite immaginabile... Una spiegazione alla sorta di inerzia culturale va ricercata anche nel metodo per affrontare il problema: l’utilizzo di animali da laboratorio tra H. Ruesch, in Naked Empress. The Great Medical Fraud, L’Imperatrice nuda, dal passato al presente, idee che hanno cambiato il mondo, Prentice Hall, New Jersey 2003. 12 F. Coulston, Human Epidemiology and Animal Laboratory Correlations in Chemical Carcinogenesis, Scientific American in New York 1997. 11
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104 Capitolo IX
scurando i dati epidemiologici e la constatazione che «i modelli animali rappresentano un’imitazione della condizione umana». Gli esperimenti su animali si dimostrano, spesso, accorgimenti retorici: differenti tipi di animali e di protocolli possono sostenere o confutare teorie, provarle o negarle. Ecco un esempio illuminante: alla fine degli anni Cinquanta, sebbene fosse noto il potere cancerogeno del catrame sullo scroto – che genera un tipo di cancro soprattutto tra gli spazzacamini – alcuni ricercatori applicarono catrame sulle orecchie di conigli e topi allo scopo di provare un dato già ampiamente noto sugli esseri umani: i conigli svilupparono il cancro, non i topi. Cosa si sarebbe dovuto dedurre, stando ai dati di laboratorio, che i conigli sono simili agli spazzacamini e i topi no? Le reazioni degli animali ad una sostanza, infatti, possono essere molto differenti da quelle registrate sull’uomo: la penicillina risulta dannosa per la cavia, l’aspirina per topi, cavie, scimmie, cani e gatti; la clorpromazina è velenosa per l’uomo, ma non per i comuni animali da laboratorio; la stricnina non è mortale per scimmie, cavie e polli; il fungo amanita falloide è rosicchiato senza danni dal coniglio, la cicuta risulta del tutto innocua se mangiata da cavalli, capre e topi; l’insulina genera malformazioni in conigli, galline e topi; diete ricche di calorie riducono l’aterosclerosi nei conigli; l’arsenico non avvelena le pecore, ecc. Un evento emblematico, chiarificatore e di una gravità inaudita fra i tanti: sebbene la capacità cancerogena dell’amianto fosse nota a partire dal 1918 e nel 1964 la «New York Academy of Science» avesse confermato l’alto rischio di mesotelioma pleurico e peritoneale nei lavoratori dell’asbesto-amianto13 e mentre le persone continuavano a morire, in Italia, soltanto con la legge 257 del 27 marzo 1992, dopo che vent’anni prima il Parlamento aveva applaudito il presidente della Montedison Eugenio Cefis per l’incrementata produzione, vennero proibiti l’estrazione, l’importazione e la lavorazione dell’amianto. Ciononostante, in un quarto di secolo dal varo del Piano nazionale amianto: stato di attuazione e prospettive future e del Programma nazionale di bonifica del Ministero dell’Ambiente (legge 426/98) in Italia permangono ancora, in luoghi pubblici e privati, 32 milioni di tonnellate di amianto, si verificano 4 mila decessi per anno, in media 10 al giorno, si contano 75 mila ettari di territorio su cui è accertata la presenza di amianto in costruzioni pubbliche e private. La prevista mappatura dei siti di amianto è stata conclusa soltanto in metà delle Regioni: Campania, Emilia Romagna, H. Coleman, «Journal of the Royal Society of Medicine», 99 (2006), 463.
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Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e, sembrerebbe, in via di completamento nelle province di Bolzano e Trento14. Se l’amianto fosse stato debellato avremmo potuto parlare oggi di una meritevole azione di prevenzione primaria! Intanto, dubbi sorgono nei confronti di strategie preventive esistenti, tutte di tipo secondario, cioè tendenti a stabilire una diagnosi precoce. Meritoria intenzione se pienamente realizzata, sebbene comunque da ritenere insufficiente. Esperienze pluriennali dimostrano la deludente efficacia degli screening di massa nel ridurre il tasso di tumori in stadio conclamato. Per i tumori del colon-retto il test del sangue occulto nelle feci (FOBT: Faecal Occult Blood Test) può raggiungere il 40% di falsi negativi nei tumori iniziali e il 70% per gli adenomi non degenerati, Se si considera che l’adesione media nazionale al FOBT sfiora il 50%, con punte massime di circa il 70% in Emilia Romagna e minime nelle regioni del meridione (8-10%), che il tumore maligno del colon-retto colpisce per anno circa 50 mila persone con guarigione presunta dopo cinque anni di circa la metà, che gli adenomi sono i precursori della degenerazione maligna che avviene nel corso di 10-15 anni, che lo screening è in grado di diagnosticare soltanto il 50% dei tumori in stadi iniziali, che la diagnosi precoce è decisiva per la sopravvivenza (94% dei casi se la malattia possiede soltanto uno sviluppo locale), si comprende come l’asportazione endoscopica del polipo di piccole dimensioni sia la migliore diagnosi precoce e prevenzione secondaria. Non può esserla pienamente il FOBT perché insufficiente, in certa misura, fuorviante15. Gli screening e i percorsi terapeutici hanno ridotto la mortalità nell’anno 2000 del 37% e nel 2012 del 49% con attribuzione di questi migliori risultati in misura uguale a screening e terapie. Secondo altre ricerche non sarebbe lo screening a ridurre gradualmente la mortalità del 5-6% per anno, ma la riduzione dell’esposizione a fattori di rischio (tabacco, ormoni, alcoolici, alimentazione). Inoltre, in molti Paesi la diminuzione della mortalità per il cancro al seno si sarebbe registrata prima dell’introduzione dello screening16.
INAIL, Legambiente 2016. A.F. Goddard, Guidelines for the management of iron deficiency anemia, «GUT», 60 (2011), 1309; T. Morikawa et al., FOBT and total colonscopy in the asyntomatic population, «Gastroenterology», 129 (2005), 422. 16 K.J. Jørgensen, Breast cancer mortality in organised mammography screening in 14 15
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106 Capitolo IX
Altri dubbi sono sorti per la prevenzione secondaria, basata su Tomografie assiali computerizzate (TAC) seriali, dei tumori del polmone: «I risultati nello screening evidenziano soltanto una decuplicazione degli interventi chirurgici» ha affermato un gruppo qualificato di ricercatori americani17. Sebbene sia subentrata alla classica TAC la più efficiente TAC a piani ultrasottili, diventa difficile organizzare uno screening di massa specifico per la quantità impressionante di persone sottoposte a vari rischi, fra questi l’inquinamento ambientale. Ai limiti presentati dagli screening va aggiunta la scarsa risposta dei cittadini, in generale: il Pap test è utilizzato in Italia dal 60,8% della popolazione. Preminente esiste un altro aspetto da sottolineare: gli screening alimentano l’idea rassicurante che si stia compiendo un’azione preventiva primaria mentre, in realtà, consistono in un tentativo di realizzare una sequenza di diagnosi precoce-terapia-guarigione basata sul principio biologico e clinico che un tumore piccolo sia dotato di una minore aggressività. Ma purtroppo non sempre: il suo grado intrinseco di pervasione tissutale, che si esprime nella progressione crescita-invasione locale-diffusione a distanza (metastasi), e le piccole dimensioni possono non collimare con una presunta minore aggressività. Le delusioni e le contraddizioni devono indurre a prendere atto che la nuova e altrettanto tremenda peste si combatte soprattutto con scelte politico-economico-sociali adatte a superare le compassate inutili antitesi fra misure che prevengono e azioni che curano evitando «l’accorciarsi della distanza tra ricerca medica, industria e profitto, che, se percepita e dimostrata, conseguentemente alimenta la crescita di sfiducia verso le Istituzioni pubbliche»18.
Denmark: comparative study, «BMJ», 340 (2010), 41; P. Autier, Disparities in breast cancer mortality trends between 30 European countries: retrospective trend analysis of WHO mortality database, «BMJ», 341 (2010); P. Autier, Breast cancer mortality in neighbouring European countries with different levels of screening but similar access to treatment: trend analysis of WHO mortality database, «BMJ», 343 (2011); A. Bleyer, US breast cancer mortality is consistent with European data, ivi. 17 B. Bach et al., Computed tomography screening and lung cancer outcames, «The Journal of American Medical Association», 297 (2007), 953. 18 H.G. Gadamer, Dove si nasconde la salute, Cortina, Milano 1994.
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Capitolo X
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La chirurgia oncologica nell’era biotech Radicale, curativa, riduttiva, palliativa
La chirurgia, pur con i limiti imposti dalla preponderante biologia nella malattia per eccellenza dei tempi nostri, possiede un ruolo centrale strategico nel trattamento dei tumori solidi: del 50% di guarigioni, due terzi sono attribuibili al solo intervento chirurgico, un terzo alla combinazione chirurgia-terapie adiuvanti (radioterapia e chemioterapia), soltanto il 2-3% alle sole terapie adiuvanti. Per comprendere la sostanziale staticità dei risultati che la chirurgia oncologica ha ottenuto, nel corso di decenni, è necessario appellarsi alla biologia dei tumori. La chirurgia delude, pur ottenendo una metà delle guarigioni sperate, perché possiede una sua ineludibile primitiva inefficacia: nel 15-70% delle persone affette da neoplasia si trovano già, occulte ma presenti, cellule tumorali nel torrente ematico, nel midollo osseo, nei vasi linfatici, nei linfonodi e nelle cavità peritoneale e pleurica, oltre che in vari organi, già al momento della diagnosi del tumore primitivo. Tassi tanto elevati non devono portare a concludere, affrettatamente, che tutte le cellule migrate si impianteranno efficacemente come agglomerati metastatici: in realtà si annidano e si sviluppano in qualità di metastasi soltanto in pochi casi per merito dell’efficace costante vigilanza dei meccanismi difensivi immunitari i quali fanno parte dei meccanismi omeostatici (cfr. Cap. II). L’eventuale comparsa di metastasi tardive, anche dopo alcuni anni dall’asportazione del tumore primitivo, è spiegabile ammettendo lo sviluppo di colonie neoplastiche già annidate in tessuti e organi che andranno ad assumere velocità varie di crescita, anche arresti, per poi manifestarsi, in tempi differenti anche molto lunghi, per ragioni insite negli specifici e imprevedibili caratteri biologici delle cellule e dei meccanismi che regolano i rapporti esistenti fra tumore e ospite,
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cioè con l’insieme dei suoi meccanismi di difesa (tuttora in massima parte ignoti)1. Questi presupposti pre- e post-clinici sono alla base delle incertezze che accompagnano sempre la completa efficacia dell’intervento chirurgico demolitivo, anche se eseguito a regola d’arte per raggiungere la radicalità oncologica e favorire le migliori condizioni oncologiche2. Infatti, l’asportazione del tumore nella fase iniziale e pre-infiltrativa (cioè, prima che il tessuto neoplastico debordi dal suo alveo) garantisce la sopravvivenza media, a cinque anni, di circa il 50% dei malati oncologici, di cui il 12-16 % se portatori di carcinoma del polmone, del 70-75% del colon-retto, del 40-60% con localizzazione gastrica, del 90% della mammella, del 6% dell’esofago, del 4% del pancreas3. Dati che indicano,
S. Braun et al., A Pooled Analysis of Bone Marrow Micrometastasis in Breast Cancer, «The New England Journal of Medicine», 353 (2005), 793-802; P. Hermanek, Classification of isolated tumor cells and micrometastasis, in «Cancer», 86 (1999), 26682673; Cancer staging manual, 6th ed., Springer-Verlag, New York 2002. 2 R0 è la condizione a cui aspira la chirurgia: il raggiungimento dell’assenza macro-microscopica di tumore al momento dell’esecuzione dell’intervento. R1 indica la permanenza di un residuo microscopico, R2 di un residuo macroscopico. In questi due casi l’intento exeretico assume un significato palliativo. Si tratta naturalmente di convenzioni empiriche che non possono tenere conto della eventuale presenza di iceberg neoplastici che permangono occulti. La classificazione clinica dei tumori per stadi si avvale del sistema TNM: T sta per tumore, con gradazioni da 1 a 4 a indicare diversi livelli di infiltrazione nell’ambito dell’organo interessato, con eventuale coinvolgimento di un organo limitrofo (T4); N ha il significato di linfonodi con gradazione 1-2 per intendere l’impegno neoplastico dei linfonodi regionali (N1) o extraregionali (N2); M significa presenza di metastasi in altri organi. Lo stadio I si caratterizza per una infiltrazione superficiale del tumore con assenza di metastasi linfoghiandolari (N0) e d’organo (M0). Le indagini pre-operatorie tendono a sottostimare l’iceberg neoplastico («Journal of Computer Assisted Tomography», 23 (1999), 913; «American Roentgen Ray Society», 187 (2006), 1557; «Radiology», 232 (2004), 773; «Journal of Computer Assisted Tomography», 31 (2007), 853; «American Journal of Roentgenology», 183 (2004), 421; «The British Journal of Radiology», 81 (2008), 10; «Annals of Surgical Oncology»; 10 (2003), 954; «Chest», 200: 132). 3 «Il carcinoma del pancreas si colloca al quinto posto tra i tumori che sono causa del maggior numero di morti: 8.4 per 100 mila abitanti. L’incidenza e la mortalità sono in continuo aumento sin dagli anni Trenta, i rischi maggiori 1
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appunto, una significativa limitazione del principio di radicalità chirurgica nel trattamento del tumore: la sua completa asportazione, anche se estesa a tessuti viciniori e a stazioni linfatiche, evidentemente non equivale alla sua completa eradicazione nelle situazioni iniziali e specialmente nelle situazioni infiltrative, localmente e diffusamente avanzate, facendo registrare in questi casi un drammatico crollo del tasso di guarigione in proporzione, sommariamente, al grado di estensione e infiltrazione della massa neoplastica. L’auspicabile, ricercata e presunta radicalità chirurgica, ottenuta con tecniche impegnative e sofisticate, non coincide evidentemente con la radicalità oncologica. La biologia risulta prevalere sulle finalità tecniche demolitive. Con il trascorrere del tempo dall’intervento la possibile divaricazione fra intenti exeretici e principi biologici può rendersi maggiormente evidente dovendo registrare flessioni, a volte crolli, nei diagrammi di sopravvivenza. Un fenomeno dovuto a vari fattori, fra cui le caratteristiche biologiche, la sede primitiva del tumore, le condizioni psico-fisiche del malato che condizionano il sistema immunitario. Man mano che lo stadio neoplastico raggiunga i livelli superiori, il tasso medio di sopravvivenza decade fino a valori davvero sconfortanti con sopravvivenze inferiori al 40% per le localizzazioni colon-rettali, renali, vescicali e prostatiche, fra il 10 e il 20% per le localizzazioni gastriche, della mammella e dell’apparato femminile, attorno allo 0% per polmone, esofago, fegato, pancreas, vie biliari. La diffusione cellulare, locale e a distanza, cioè il complesso anatomo-patologico
sono legati al tabacco, all’alcool, al diabete, diete ad alto contenuto di carne, obesità, esposizione a pesticidi e derivati della benzina. La diagnosi tardiva, per la vaghezza dei sintomi iniziali, è responsabile di metastasi al momento della diagnosi nel 90% dei casi. Per questa ragione e per l’inutilità di asportare le metastasi, perché non migliorano minimamente la prognosi, soltanto il 4-15% dei malati risulta operabile con una sopravvivenza inferiore al 4% dopo 5 anni» (P.A. Wingo et al., Cancer statistics, «A Cancer Journal for Clinicians», 45 (1995); «The New England Journal of Medicine», 350 (2004), 1200-1210; J.S. Macdonald, «The New England Journal of Medicine», 2001; D. Cunningham, «The New England Journal of Medicine», 2006; J.E. Krook, «The New England Journal of Medicine», 1991; «British Journal of Medicine», 1995; J.P. Pignon, LACE Metanalysis, «Journal of Clinical Oncology», 2006; «The New England Journal of Medicine», 2004; «American Society of Clinical Oncology» 2005; ICO, 2006). www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply. 5613_Capizzi.indd 109
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110 Capitolo X
definibile iceberg neoplastico, minaccia l’efficacia dell’intervento e delle terapie adiuvanti fin dalle prime fasi dell’iter terapeutico. Nonostante possieda le caratteristiche del trattamento locale con una efficacia in tanti casi non assoluta, l’azione chirurgica continua ancor oggi a rivelarsi, comunque, la migliore delle terapie oncologiche esistenti. La sua essenza positiva risiede sostanzialmente in due fattori embricati fra loro: il primo è di tipo anatomo-topografico, su cui la chirurgia fonda la propria azione con la rimozione effettiva della sorgente di cellule tumorali; il secondo è di tipo biologico sostanziato da una modifica significativa del rapporto di forza esistente nel conflitto fra tumore e ospite, negli intenti terapeutici piegato a vantaggio di quest’ultimo. Una strategia indotta da effetti realmente positivi, ma in parte costruita su ipotesi di lavoro e di prossime e future speranze che si ripongono su diagrammi purtroppo incombenti su malati, parenti, chirurghi e medici coinvolti nel complesso e sfaccettato iter diagnostico, multi-terapeutico e riabilitativo. Allo scopo di ottenere la condizione anatomo-patologica di assenza di neoplasia, l’azione chirurgica mette in atto l’asportazione totale di tessuti malati in modo da escludere quelli sani; nella medesima direzione si muove l’asportazione di ghiandole e di vasi linfatici regionali, potenziali e reali sedi di localizzazione metastatica. È intento della chirurgia, infatti, raggiungere l’assenza macro-microscopica di tessuti neoplastici nel corso dell’intervento (Ro) ed evitare la permanenza di residui microscopici (R1) e, tantomeno, macroscopici (R2). Le ultime due situazioni isto-anatomo-patologiche, micro- e macroscopiche, conferiscono all’intervento chirurgico un significato palliativo non avendo raggiunto l’R0. Si tratta, naturalmente, di convenzioni empiriche che non possono tener conto dell’eventuale presenza di iceberg neoplastici, viciniori o distanti dal punto di inizio, che permangono criptici, sul piano morfologico e del quadro clinico e diagnostico, per le minute dimensioni o per l’insufficienza insita nei mezzi d’indagine. Si seguono protocolli diagnostico-terapeutici codificati, si applicano modelli collaudati di tecniche chirurgiche che, tuttavia, possono non fornire risultati soddisfacenti rispetto alle attese relative allo stadio di appartenenza del tumore e all’impegno professionale profuso. Le ragioni sono molteplici e risiedono in parte nella limitata attendibilità degli stessi metodi e criteri di indagine pre- e post-operatoria: la filiera di esami diagnostici strumentali, per quanto sofisticata e innovativa, risulta approssimativa nei risultati rivelati. Lo studio anatomo-istopatowww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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La chirurgia oncologica nell’era biotech Radicale, curativa, riduttiva, palliativa 111
logico del tumore, eradicato con l’intervento demolitivo, costituisce il dato più affidabile per chiarire la stadiazione neoplastica4 e la capacità di crescita cellulare. La medesima affidabilità relativa vale per il tessuto linfatico asportato: sono differenti le modalità tecniche di asportazione e i metodi isto-patologici adoperati. Quantità di tessuto linfatico e numero di linfonodi studiati possono, inoltre, variare per possibili salti della stazione linfatica oppure per sottrazione alle normali indagini isto-patologiche: il numero di linfonodi positivi per metastasi è suscettibile di variazioni fino al 50% in più o in meno a causa della quantità e la localizzazione di tessuto linfatico effettivamente asportato e del numero di linfonodi esaminati, a seconda delle procedure tecniche operatorie e isto-patologiche adottate. Si tratta di variabili che imprimono una tendenza generale a sotto-stadiare il tumore, non senza conseguenze: errori prognostici, esclusioni improvvide da terapie adiuvanti, difficoltà nella valutazione dei risultati ottenuti. Le stesse statistiche, alla base delle previsioni prognostiche, mantengono un alone di incertezza perché costruite sui soli parametri dettati dalla sopravvivenza a cinque anni, senza tenere conto di eventuali recidive neoplastiche in corso e della qualità di vita del malato). L’asportazione estesa in blocco del tessuto linfatico loco-regionale, allo scopo di eliminare eventuali metastasi, non si avvale comunque di una certezza scientifica sulla sua effettiva utilità ai fini della prognosi, ma dimostra comunque un vantaggio in termini di tempo libero da tumore e di sopravvivenza in ragione di qualche punto percentuale, ma sempre nell’ambito di risultati troppo spesso insoddisfacenti. Ecco perché il tumore deve essere considerato una malattia d’organismo piuttosto che d’organo ed ecco perché in questa constatazione va riposta la ragione fondamentale, a volte, dell’incompleta efficacia terapeutica dell’azione chirurgica, alla quale va il merito della larghissima parte delle guarigioni ottenute, a cui si cerca di porre rimedio con le terapie adiuvanti (radioterapia e chemioterapia) ad essa ancillari. Il più potente armamentario clinico di cui la Medicina dispone nella lotta contro il cancro troppo spesso si frantuma contro l’invisibile iceberg biologico-neoplastico in quel dato momento sommerso, che può emergere e rivelarsi a distanza di tempo nonostante il gesto chirurgico F.D. Capizzi, Quaderni di chirurgia oncologica. Radicalità chirurgica, radicalità oncologica: tradizione o strategia?, cit. 4
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sia stato ineccepibile sul piano tecnico-anatomo-topografico, ad intento radicale, magari eroicamente condotto dai chirurghi, e inquadrato nei protocolli terapeutici più accreditati per efficacia5. In queste constatazioni risiedono le ragioni che rendono insufficiente il solo metodo diagnostico-terapeutico nella lotta contro i tumori, nonostante l’introduzione di tecnologie avanzate nelle diverse fasi diagnostico-terapeutiche, comprese le vie d’accesso chirurgiche mininvasive laparoscopiche e toracoscopiche e robotizzate che garantiscono molti vantaggi, associati però ai soliti limiti dell’azione chirurgica di cui sopra sono state esposte le ragioni. Queste tecniche, possibili avendo a disposizione una tecnologia molto avanzata, producono risultati complessivi eccellenti per la patologia benigna, migliorativi per la patologia oncologica per quanto attiene il superamento della malattia postoperatoria6 e la convalescenza, ma nulli per una qualche influenza sul tempo libero da tumore e sulla aspettativa di vita. L’entusiasmo suscitato dalle nuove tecnologie e dai risultati conseguenti, in termini di minore invasività, non contribuisca ad offuscare la strada che conduce alle origini basilari della malattia. Ancora va ribadito che, senza sminuire il valore della Prevenzione secondaria (procedure per raggiungere la diagnosi precoce), è alla Prevenzione Primaria – difesa della salubrità degli ambienti di vita e di lavoro, riduzione e annullamento dell’esposizione agli agenti inquinanti e ai cancerogeni, reale consapevole aggiustamento degli stili di vita – che va rivolta la strategia principale per la reale difesa della salute presente e futura nella guerra contro il cancro da tanti dichiarata e combattuta quotidianamente, ma con risultati complessivi troppo spesso non soddisfacenti.
Ibidem. Si intende un complesso di fattori la cui presenza e intensità è relativa al tipo di intervento chirurgico, alla sua durata, all’incisione, alla presenza di malattie preesistenti, all’età e alle condizioni generali del malato, alla insorgenza di complicazioni. Un tipico decorso post-operatorio per un intervento addominale di impegno medio-grande prevede dolore, immobilità intestinale per due-tre giorni con relativa astensione da acqua e cibo, possibile rialzo termico d’origine traumatica, difficoltà a lasciare il letto precocemente. La tecnica laparoscopica sminuisce o addirittura annulla questa condizione di «malattia post-operatoria» (F.D. Capizzi, Quaderni di chirurgia oncologica. Radicalità chirurgica, radicalità oncologica: tradizione o strategia?, cit.). 5 6
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Capitolo XI
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Biotestamento, fondamentalismi, azioni caritatevoli
Nel recente e annoso dibattito dal largo richiamo mediatico sul fine vita, legge sul Biotestamento approvata in via definitiva il 14 dicembre del 2017, la Medicina ha voluto esimersi dal discutere di eutanasia per l’ambito socio-culturale in cui l’esercizio clinico sconfina, interagendo con morale ed etica contrari al giuramento ippocratico insito nell’esercizio della professione medica: «Giuro che non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio…». Intervento intenzionale e programmato, infatti, l’eutanasia si prefigge lo scopo di interrompere la vita su richiesta della persona o di un suo fiduciario indicato formalmente in piena coscienza. La sua realizzazione, sul piano giuridico, fa scattare l’accusa di omicidio intenzionale per gli articoli 575 e 579 del Codice Penale o di istigazione e aiuto al suicidio per l’articolo 580, nonostante il movente poggi su sentimenti di compassione e la volontà del medico si collochi nella direzione opposta rispetto all’omicidio volontario: la pietà non può giustificare l’atto medico. Diversamente, i sostenitori dell’eutanasia, attiva e passiva, fondano la loro convinzione giuridica sul diritto soggettivo e personalistico sancito dall’articolo 13 della Costituzione: «La libertà personale è inviolabile». La società civile in larga maggioranza, ad eccezione di coloro che levano la loro voce definendo «sancita la morte di Stato», approva il contenuto della legge passata in Senato significativamente con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti. Gli oppositori muovono dall’art. 2 della Costituzione che, sancendo il valore normativo della persona e del diritto alla vita, esclude l’introduzione di leggi che violino in ogni circostanza l’intangibilità della vita in quanto questa si eleva al di sopra della stessa decisione personale a causa del limite invalicabile che risiede, appunto, nella tutela della vita.
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114 Capitolo XI
La Conferenza episcopale italiana mantiene le distanze dalla legge dichiarando in un documento, e attraverso suoi esponenti, di «non potersi riconoscere nel testo», definendo la legge «inaccettabile… censurabile… poco efficace nella tutela dei sofferenti… non un segno di civiltà…» e continuando a ritenere, a partire dal caso Eluana, «azioni caritatevoli» e «supporti vitali», non «terapie», l’idratazione e la nutrizione artificiale nelle condizioni di irreversibilità biologica, dunque come tali non suscettibili di sospensione. In realtà si tratta di terapie ad ogni effetto e fra le più sofisticate, complesse e costose, prescritte ed eseguite soltanto da medici1. Alla base del rifiuto cattolico il principio secondo cui titolare della vita è soltanto Dio, che, in tal modo chiamato in causa, diviene il vero ostacolo alla condivisione e all’applicazione della legge. Dissentendo da queste posizioni il giurista cattolico Francesco D’Agostino, sul «Sole 24Ore» dello scorso dicembre, ha definito, al contrario, «pregiudizi infondati» le critiche rivolte al dispositivo di legge. In queste parole, forse, potrebbe riconoscersi un segmento di cattolicità italiana. Con un certo tasso di semplificazione si può giungere ad affermare che fra i progressisti la legge viene giudicata uno strumento per estendere la libertà individuale di scelta e promozione del diritto all’autodeterminazione della persona, nello schieramento opposto risulta prevalente il timore che la legge diventi l’occasione per aprire le porte all’eutanasia attiva: la legge appena approvata assumerebbe le forme di un cavallo di Troia. I medici, in generale, sono contrari all’eutanasia attiva, mentre in larga parte sono disponibili ad accettare l’eutanasia passiva volontaria intesa come non-accanimento diagnostico-terapeutico, cioè una posizione che coincide con la legge sul Biotestamento appena varata. In precedenza la Corte di Cassazione aveva definito i casi in cui fosse lecito sospendere un certo trattamento terapeutico e di supporto vitale: «Quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento, secondo gli standard scientifici riconosciuti, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche sia pur flebile recupero della coscienza e di ritorno alla percezione del mondo esterno; sempre che la richiesta sia realmente espressiva, sulla base di elementi di prova F.D. Capizzi, Manuale di nutrizione parenterale ed enterale, Il Pensiero scientifico, Roma 1984. 1
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Biotestamento, fondamentalismi, azioni caritatevoli 115
chiari, concordanti e convincenti, della reale volontà del malato tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, prima di cadere in uno stato di incoscienza» (Sentenza n. 21748, 19/10/2007). In sostanza, la legge ora in vigore ha recepito interamente quanto stabilito, già da due lustri, dalla Corte e ha confermato le raccomandazioni della Convenzione europea su Diritti umani e sulla Biomedicina nel consesso svoltosi in Oviedo il 4 aprile del 1997: «La sospensione dei trattamenti che si configurino in accanimento terapeutico è possibile se esiste il consenso scritto del malato o dei familiari qualora egli non si trovi nelle condizioni di intendere e di volere». Nonostante l’articolo 32 della Costituzione italiana stabilisca che «nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge», nonostante nel 2001 l’Italia avesse ratificato la Convenzione di Oviedo e la nota sentenza esemplare della Corte di cassazione, sono stati necessari decenni per approvare una legge che disciplinasse la materia. La Convenzione era stata promossa dal Consiglio d’Europa e firmata, il 4 aprile del 1997, da Francia, Italia, Svezia e Svizzera, non sottoscritta da Austria, Belgio, Germania e Gran Bretagna. Il Parlamento italiano, pur avendo recepito la Convenzione con legge del 28 marzo 2001, non ne predispose l’attuazione. A rallentare, per almeno dieci anni, l’iter parlamentare un orientamento espresso dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici del 2005 che ha manifestato pregiudizi verso una legge che concepisca una qualche forma di testamento biologico in quanto «nulla deve intervenire nelle dinamiche della relazione medico-paziente, meno che mai una rigida previsione legislativa che verrebbe a violentare l’autonomia e la responsabilità dei contraenti, gli unici in possesso di tutti gli elementi per una scelta eticamente, civilmente e tecnicamente giusta. L’autonomia e la responsabilità sono da ricondurre all’interno della relazione medico-paziente: tale relazione è unica e irripetibile nel momento in cui rappresenta non solo un’alleanza sulle scelte terapeutiche, ma anche una consapevole condivisione di valori etici, prospettive, sofferenze e speranze». Mentre le decisioni legislative segnavano il passo circolava, dagl’inizi del nuovo millennio, un modulo sostenuto dal Consiglio Nazionale dei Notai che intendeva assumere valore di supplenza del testamento biologico. In assenza di una legge ad hoc il documento non possedeva alcun valore vincolante per il medico, tuttavia se disatteso il rappresentante del malato avrebbe acquisito la facoltà di chiederne conto in tutte le sedi. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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116 Capitolo XI
La discussione sul testamento biologico, intanto, ha pervaso tutta l’opinione pubblica, in special modo dopo i casi di Welby ed Eluana: in gioco la libertà di coscienza e il principio del diritto all’autodeterminazione. Risulta interessante che il 73% degli italiani risultasse favorevole all’istituzione del Biotestamento e che larga parte si sia mostrata contraria all’eutanasia attiva senza registrare differenze significative tra credenti e non credenti in un sondaggio a cura di «Observer, Science in Society», realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo nel 2007. Rimane, comunque, difficile, sul piano scientifico ed etico, distinguere il limite sottile che corre fra non-accanimento terapeutico, sedazione terminale ed eutanasia attiva: la coscienza e le assunzioni di responsabilità travalicano le definizioni, le normative e gli stessi atti istituzionali. Soprattutto, la questione mai dovrebbe essere affrontata utilizzando fondamentalismi giuridici e religiosi e tantomeno tattiche politiche. Occorrerebbe, piuttosto, partire dalla constatazione che malati ridotti a gusci pietrificati percorrono sentieri di sofferenza in tempi e spazi desolati e immobili. In questi casi, e solo in questi casi, la morte diviene un evento naturale, un atto caritatevole e compassionevole. A molti si è presentata l’occasione di osservare queste condizioni estreme e confessarsi nell’intimo della coscienza che cosa sarebbe stato auspicabile per quella persona. Chi è riuscito a restare estraneo a questa voragine non dovrebbe disquisire astrattamente su diritti e doveri, speranze e testimonianze. Il medico che fermasse la sua opera intenzionalmente prima dell’accanimento terapeutico, anche in assenza di un testamento biologico, non dovrebbe essere giudicato passibile di reato, ma pienamente medico e non esecutore di condanne capitali su chi ha perduto ogni coscienza di sé stesso: le accuse sarebbero ideologiche e inumane. La carità e la compassione, qualunque sia la loro fonte, giustificano l’operato responsabile di medici agnostici e religiosi, innanzitutto ispirati a libertà di coscienza e al principio dell’autodeterminazione, accomunati dai vincoli umani di una immanente debolezza e povertà.
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Capitolo XII
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Le differenti epoche della sanità pubblica italiana
All’anno 1888, con l’istituzione della Direzione generale di sanità a cui vengono affidate responsabilità gestionali, e all’anno 1890 con la Legge Crispi, che trasforma Ospedali, Case di assistenza e Opere pie in Istituti pubblici, risalgono i primi riconoscimenti dell’importanza sociale della malattia e della salute in Italia. Nel 1945 l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità acquisisce il mandato di «Tutela della sanità pubblica con coordinamento e vigilanza su organizzazioni sanitarie ed enti che hanno lo scopo di prevenire e combattere le malattie sociali»: si da inizio alla via assicurativo-previdenziale con Enti mutualistici per impiegati statali nel 1953, per coltivatori diretti nel 1954, artigiani nel 1956, commercianti nel 1960, addetti all’agricoltura e alle foreste nel 1963, a seguire magistrati, giornalisti, medici, lavoratori di singole aziende e fabbriche, ecc. Si consolidano forme assistenziali differenti, di fatto incontrollabili tanto che in un’indagine ministeriale del 1967 risulta che le persone assistite ammontano a 68 milioni (sic!) su una popolazione di 52 milioni di abitanti e riscontra diffuse sperequazioni e disuguaglianze, frammentazioni organizzative e dispersione di risorse. Con la Legge 132/68, nota come Legge Mariotti, si istituiscono gli Enti ospedalieri, attribuendone la competenza alle future Regioni. Già a partire dal 1947 in Gran Bretagna e dal 1964 in Canada viene riconosciuto il diritto dei cittadini alla tutela della salute con il National Health Service (NHS). Intanto in Europa va affermandosi il «welfare state», risultato di un compromesso fra istanze capitaliste e socialiste, patrocinato da forze socialdemocratiche e progressiste di ispirazione cristiana e liberale e basato sullo sviluppo di una economia mista presieduta da apposite politiche governative. Non appare come un semplice processo istitutivo, ma come percorso accidentato a causa di resistenze ideologiche, corporative ed economiche. La Gran Bretagna, come altri Paesi (basti pensare agli USA di Clinton e di Obama), www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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conosce l’opposizione fortissima delle associazioni mediche, non tanto per l’estensione dell’assistenza a tutti i cittadini, ma soprattutto per l’egemonia dello Stato nella gestione della Sanità. Il Royal College of Physician stigmatizza la dura opposizione medica al National Health Service con queste parole: «I metodi della British Medical Association non sono appropriati alla leadership di una grande professione. Un’intera generazione di medici è educata a denigrare la Medicina inglese, a considerare il ministro della Sanità come un suo nemico e a parlare con disprezzo dei servizi sanitari pubblici»1. In Italia, nel 1978, epoca di forti coalizioni politico-sociali, nasce il Servizio Sanitario Nazionale (SSN, legge 833/1978) con caratteristiche politico-organizzative e obiettivi assimilabili ai corrispondenti di Gran Bretagna e Canada: diritto universale alla salute e all’assistenza sanitaria con distribuzione equa, omogenea e unitaria di attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione erogate da Unità Sanitarie Locali (USL) con il coinvolgimento dei Consigli comunali ai quali viene attribuito il compito di eleggere i comitati di gestione delle USL con funzioni di indirizzo e controllo. La Riforma verrà di fatto applicata in chiave campanilistico-burocratico-clientelare, indebolita dall’emergere di interessi particolari e per i mai sopiti pregiudizi, e gravata di accuse: accentuazione delle disuguaglianze fra Nord e Sud, crescita vertiginosa dei costi, disservizi e allungamenti spropositati delle liste d’attesa, costruzione di un nuovo baraccone burocratico. Le giustificazioni agli inconvenienti non mancano: principalmente, l’impegno economico limitato al 6,5% del PIL nazionale, fra i più bassi dei Paesi industrializzati, e il bilancio debitorio ereditato dagli Enti disciolti. A partire dal 1991 (legge n. 517/1993 che integra il D.Lgs. n. 502/1992, entrambi derivazione della legge delega n. 421/1992) le USL vengono commissariate dalle Regioni e nel 1994 trasformate in Aziende sanitarie (Legge 724): il SSN entra in una logica di mercato come Aziende Ospedaliere (AO) e Aziende Unità Sanitarie Locali (AUSL) che assumono personalità giuridica di tipo privatistico, acquisiscono beni nosocomiali comunali e provinciali e si dotano di bilanci autonomi. Una svolta legislativa analoga a quella attuata dal governo Thatcher nel Regno Unito dove per decenni prevalse fra i medici la mentalità C. Webster, The BMA and the NHS, «British Medical Journal», 317 (1998), 45.
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Le differenti epoche della sanità pubblica italiana 119
difensiva da bunker, attenuatasi con il passare del tempo fino ad una radicale inversione di rotta, allorché il governo Thatcher, nel suo tentativo di smontare il Servizio pubblico, dovette fare i conti con i nuovi medici divenuti, nel frattempo, meritoriamente difensori del carattere universalistico del National Health Service. Dal 1994 la Sanità italiana assume un carattere aziendale, formalmente non mettendo in discussione i principi universalistici e unitari dell’assistenza, ma nei fatti si, con l’intento di imprimere efficienza, autonomia gestionale e risparmio svincolandola da interessi locali e acquisendole un dinamismo insito nel costruendo sistema dualistico: le Aziende Unità Sanitarie Locali (AUSL) rese capaci di prestazioni territoriali di igiene e diagnostico-terapeutiche di base e complesse da acquisire dalle AO avvalendosi dei finanziamenti statali-regionali proporzionati al numero di cittadini residenti secondo la quota capitaria di (all’epoca) lire 1.550 mila annue; le AO rese capaci di prestazioni complesse da vendere alle AUSL secondo importi fissati dal sistema dei DRG (Diagnosis Related Groups) utilizzato dagli Ospedali privati degli Stati Uniti d’America per ricevere dalle assicurazioni gli emolumenti per ogni singolo trattamento. Questo sistema, adottato per il mutamento sostanziale di un principio contenuto nella Riforma del 1978 («I livelli delle prestazioni sanitarie devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini») viene subordinato, dalla riforma aziendalistica del 1994, agli «obiettivi della programmazione socio-sanitaria nazionale e all’entità del finanziamento assicurato al SSN». L’introduzione del tetto di spesa e della programmazione delle attività e prestazioni sanitarie hanno portato necessariamente alla quantificazione della remunerazione prevista dai DRG, basati su «categorie di pazienti ospedalieri definite in modo che presentino caratteristiche cliniche analoghe e richiedano per il loro trattamento volumi omogenei di risorse ospedaliere» (Ministero della Salute2). Il sistema dei DRG diventa ed è operante
Per assegnare ciascun paziente ad uno specifico DRG sono necessarie le seguenti informazioni: la diagnosi principale di dimissione, tutte le diagnosi secondarie, tutti gli interventi chirurgici e le principali procedure diagnostiche e terapeutiche, l’età, il sesso e la modalità di dimissione». La versione attualmente utilizzata è la dodicesima e ne subentreranno altre poiché è indispensabile aggiornare continuamente il valore assegnato ai DRG per le modifiche tecnico-gestionali, l’evoluzione della pratica medica e, sostanzialmente, per le ripercussioni che determinano sul finanziamento della Sanità regionale. Il sistema di pagamen2
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nelle AO per ottenere i fondi regionali ed extraregionali per prestazioni a cittadini di AUSL ed extraregionali, nelle AUSL come semplice indice di produttività e per gli emolumenti per prestazioni godute da residenti di altre AUSL o di altre Regioni. Detta anche controriforma, la Riforma aziendalistica non è stata pienamente attuata per quanto concerne la differenziazione delle funzioni, e il relativo finanziamento, in AUSL e AO: gran parte delle AUSL sono rimaste dotate di più Ospedali e solo 102 Ospedali sono AO e come tali svincolati amministrativamente dalle AUSL e finanziate con criteri differenti, cioè a seconda del numero e dell’importanza delle prestazioni sanitarie. Esistono oggi in Italia, pertanto, due regimi economico-gestionali nell’ambito dello stesso Sistema sanitario aziendalizzato: le AUSL territoriali con o senza Ospedali e le AO incentrate sul solo proprio Ospedale che si autogestisce sul piano amministrativo-finanziario. Le prime ricevono emolumenti per quota capitaria, cioè in proporzione al numero di residenti nel territorio della AUSL, indipendentemente dalla quantità e dal peso delle prestazioni erogate, comprese quelle erogate dagli Ospedali di cui sono dotate e che operano sul suo territorio; le seconde sono finanziate in ragione dei DRG prodotti, cioè a seconda della quantità e del peso delle prestazioni erogate. Di conseguenza le AUSL, con o senza Ospedale, devono propendere per un numero limitato di prestazioni dovendo tendere, almeno, al pareggio di bilancio: l’Ospedale di una AUSL è soggetto a subire, dunque, restrizioni nelle attività e negli investimenti sulla base delle disponibilità di risorse economiche elargite indipendentemente dalla
to basato sui DRG ha come riferimento il Prospective Payment System in uso negli Stati Uniti dal 1983, adottato dalla Health Care Financing Administration. La tariffa di un DRG deriva da due elementi: il pagamento standardizzato nazionale aggiustato e il peso relativo attribuito a ciascun DRG. Il primo rappresenta il costo medio di un paziente ricoverato in un ospedale americano medio, il secondo indica l’indice di costo associato a ciascun DRG ed esprime il grado di «costosità relativa» del DRG rispetto al costo medio nazionale per dimissione. Il risultato ottenuto dal calcolo di questi elementi rappresenta il costo medio complessivo dell’assistenza ospedaliera per i ricoveri attribuiti a quel DRG, che comprende il costo della degenza intesa come servizio alberghiero, assistenza infermieristica, esami diagnostici, terapie mediche e interventi chirurgici, ricoveri in reparti di terapia intensiva e rianimazione, ecc.
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domanda, con possibili allungamenti delle liste d’attesa e deperimenti strutturali. Infatti, uno fra i più gravi problemi del Servizio sanitario è la lunghezza delle liste d’attesa. Ritardi inaccettabili inducono molte persone, che non si trovano nelle condizioni di attendere, a rivolgersi alle attività libero-professionali o alle strutture private in un rapporto di un ricovero privato su tre nel pubblico: nel privato le attese di mesi o di anni possono tramutarsi persino in un solo giorno. A questo punto le strutture AUSL entrano in una contraddizione di notevole entità: rispondere alle richieste dei cittadini-utenti con efficienza ed efficacia e contemporaneamente rispettare il budget loro assegnato. Per quanto possano essere dotati di intraprendenza economico-organizzativa, per riuscire a coniugare il massimo numero di prestazioni con il più basso costo senza comprometterne la qualità, medici e amministratori si trovano a subire una situazione penalizzante sul piano etico, incomprensibile ai cittadini sul piano dei bisogni, per l’allungamento inaccettabile delle liste d’attesa per le visite, gli accertamenti diagnostici, i ricoveri e gli interventi chirurgici. I cittadini si trovano a dovere affidare le proteste, che possono derivare da questa situazione, alla propria individuale iniziativa e a missive inviate ad associazioni, giornali e dirigenze delle AUSL e AO per ricavarne risposte piuttosto generiche e insoddisfacenti. Le AO, percependo denaro dalla Regione di appartenenza, e da altre per prestazioni extraregionali, in proporzione ai DRG esibiti, hanno la necessità, al contrario delle AUSL, di erogare il maggior numero di prestazioni anche attingendo nei bacini territoriali delle AUSL dotate di Ospedali con strutture analoghe e spesso sovrapponibili a quelle delle AO. Questa situazione, tipica di molte Città in cui convivono AO e AUSL, viene riequilibrata sul piano economico dal meccanismo della compensazione: la AUSL rifonde sul piano finanziario l’AO mediante il sistema dei DRG. Aumenta il carico del lavoro burocratico senza alcun vantaggio per i cittadini, i quali, del tutto estranei e indifferenti ai meccanismi economici ripartitori fra AUSL e AO, compiono scelte basate su criteri propri: vicinanza abitativa, presenza-assenza di specialità, liste d’attesa, conoscenza diretta della struttura e del medico. L’aziendalizzazione del Servizio sanitario pubblico favorisce così una gestione fondata sulla contabilità finanziaria. Afferma in un editoriale del «New England Journal of Medicine» il suo direttore scientifico: «L’assistenza sanitaria regolata dal mercato crea conflitti. Da una parte ci si attende che i medici forniscano un ampio ventaglio di servizi www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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e i migliori trattamenti, dall’altra per contenere le spese al minimo devono limitarne l’uso e ridurre il tempo dedicato a ciascun malato… Questa dicotomia diverrà sempre più evidente e aspra: i medici saranno costretti a scegliere tra l’interesse del malato e la propria sopravvivenza». Le polemiche seguite alla pubblicazione dell’articolo provocarono il licenziamento del suo autore3. È importante sottolineare che la filiera organizzativa prodotta dalla Medicina diagnostico-terapeutica rappresenta un onere molto importante nei Paesi occidentali, in Italia, fra pubblico e privato, il 10,7% del PIL con quasi 2,5 milioni di addetti pari al 10% dell’occupazione complessiva, cioè un lavoratore su dieci è impiegato in funzioni sanitarie. Un gigantesco centro di affari e di potere pubblico e privato che dal 2008 al 2015 ha incrementato il fatturato del 14.3%, con un’occupazione del 3,3%. Dati che, secondo Farmindustria, sono a dimostrare che «la salute non è affatto un costo ma un’opportunità straordinaria di crescita per l’economia». (Rapporto Confindustria, 2018). Appunto, la Medicina regolata dal mercato crea conflitti e, infine, costringe a scegliere tra l’interesse dei cittadini e gli incrementi del PIL e dell’occupazione lavorativa. Da segnalare, a proposito, i dati forniti dal Medical Focus di Padova del 2017: circa 35 milioni gli italiani che nel 2016 hanno sostenuto spese sanitarie in ragione di mille euro a testa, di cui uno su quattro utilizzando tutti i risparmi familiari disponibili, uno su sette fronteggiando l’onere con assicurazioni integrative, gli anziani lambendo i 1500 euro di spesa propria ed un numero imprecisabile di cittadini italiani che hanno difficoltà ad affrontare qualunque spesa sanitaria a pagamento. La relazione ISTAT disponibile (4 luglio 2017) chiarisce ancor meglio la situazione complessiva della spesa sanitaria: nel 2016 la spesa sanitaria corrente è stata di 149.500 milioni di euro, con un’incidenza sul Pil dell’8,9%, impiegata in misura del 75% dal settore pubblico e per la restante parte dal settore privato, cioè 37.318 milioni di euro pari al 2,2% del Pil; la spesa sanitaria privata è sostenuta direttamente dalle famiglie con un carico del 90,9%; la spesa sanitaria pro capite risulta pari a 2.466 euro con un aumento medio annuo dello 0,7% rispetto al 2012 pur restando significativamente inferiore rispetto a Gran Breta J.P. Kassirer, Managed Care and the Morality of the Marketplace, «The New England Journal of Medicine», 333 (1995), 50.
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gna, Francia, Germania, Danimarca, Olanda, Svezia con 3-5 mila euro per abitante e 10-11% di Pil. Nel 2001, mediante modifica dell’articolo V della Costituzione, il Parlamento italiano attribuisce alle Regioni l’intera gestione sanitaria trasformando il Servizio Sanitario Nazionale in Servizio regionale, anche se è sembrato a molti osservatori improbabile che l’attribuzione potesse reggersi sulle proprie gambe in assenza di un fondo nazionale specifico, come subito dopo dimostrato dal costituirsi e l’affermarsi di un tavolo Stato-Regioni per addivenire alla ripartizione delle risorse nazionali. Alle previsioni pessimistiche da aggiungere la relazione della Corte dei Conti del 2007: «L’attribuzione di tanta responsabilità alle Regioni ha comportato la definizione di Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) come garanzia per ottemperare ai principi universalistici. Permane l’interrogativo sulla possibilità delle Regioni di assicurare il complesso delle prestazioni individuate come essenziali». Non è un caso che prendano corpo il principio del federalismo fiscale e il concetto di «sanità compatibile» con le caratteristiche economico-produttive di ogni Regione, aprendo la strada al concretizzarsi di tante realtà differenziate sul piano nazionale senza risultati apprezzabili sotto il profilo di efficienza, risparmio e soddisfazione di cittadini e operatori sanitari, anzi addivenendo ad una generale contrazione delle prestazioni in tempi accettabili e ad una notevole conseguente sofferenza sociale. Il fabbisogno sanitario degli italiani, infatti, va crescendo e ridefinendosi per l’invecchiamento della popolazione e l’accresciuto tasso di malattie croniche a fronte di una riduzione del numero di medici e infermieri. Dal 2009 al 2016, secondo la Ragioneria generale dello Stato, i piani di rientro e il blocco del turnover hanno ridotto di 45mila unità il personale della sanità pubblica. Questo il commento del sindacato Anaao-Assomed: «I numeri raccontano di un sistema chiaramente disegnato per strangolare la sanità pubblica. Aumentano le liste d’attesa e i disagi per i cittadini che, arrabbiati, non possono fare altro se non rivolgersi al privato». Le cifre del Ministero dell’Economia del 2017 vanno nella direzione di un calo della forza lavoro nelle amministrazioni pubbliche rispetto all’anno precedente con la Sanità che occupa il secondo comparto in ordine di riduzione del personale: quasi 5.000 medici in meno nel 2016 rispetto al 2015, una perdita pari a poco meno della metà di quella registrata nell’anno precedente, la più consistente dell’intero periodo che risulta essere di meno 10.325 unità in servizio». Inoltre, non solo si è contratto il numero del personale saniwww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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tario, ma al suo interno s’è ampliato il tasso di precarietà lavorativa. Si registrano anche ben 12.000 infermieri in meno, «numeri che incidono sulla qualità del servizio» come denuncia la Federazione italiana degli Infermieri sottolineando che «secondo un recente studio britannico, il tasso di mortalità risulta del 20% inferiore quando ogni infermiere ha in carico un numero di malati pari a non oltre 6, rispetto a quelle condizioni in cui ogni singolo infermiere ha in carico 10 o più malati. In Italia il rapporto medio è di un infermiere per 12 malati». Gli effetti negativi non tardano a farsi percepire. Si allungano i tempi per ottenere una visita medica nella sanità pubblica. Secondo lo studio de «L’Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni sanitarie nei Sistemi sanitari Regionali» nel periodo 2014-2017: nel pubblico l’attesa media è di 65 giorni a fronte di un’offerta privata di 7 giorni con costi sempre meno distanti o nulli tra pubblico e privato, 6 giorni con la libera attività intramoenia, 32 giorni d’attesa rivolgendosi al privato convenzionato. Riecheggiando qualche esempio: da 23 giorni di attesa per un Rx articolare nel pubblico si passa a 9 giorni nel privato e a 4 giorni nell’attività privata intramoenia, da 96 giorni per una colonscopia nel pubblico a 7 giorni nell’intramoenia e a 46 giorni nel privato convenzionato, una visita oculistica nel pubblico richiedeva nel 2014 tempi di attesa di 61 giorni mentre nel 2017 sono ammontati a 90 giorni a fronte di 7 giorni nell’ intramoenia e di 55 giorni nel privato convenzionato. Nel rapporto Demoskopika 2017 risulta che su 13 milioni di italiani il 10,9% dei casi rinuncia a curarsi per motivi economici, che in 320.000 si sentono obbligati ai «viaggi della speranza» dalle regioni del Sud verso regioni del nord con un costo complessivo aggiuntivo di 1,2 miliardi di euro. La reiterazione dei mancati obiettivi della Riforma aziendalistica merita un commento a partire dalla riforma progenitrice istitutiva delle AUSL e delle AO. L’aziendalizzazione della Sanità pubblica avrebbe dovuto esercitare l’effetto di rimuovere il monopolio delle strutture pubbliche collocando il Servizio Sanitario Nazionale in un contesto competitivo, secondo criteri di mercato, e attivare meccanismi e metodi tipici dell’imprenditoria privata: responsabilizzazione diretta nelle decisioni programmatiche ed economiche, efficienza e qualità, destrutturazione burocratica e innovazioni organizzative con recupero di risorse da reimpiegare, introduzione di sistemi premianti e sanzionatori verso gli operatori di ogni ordine e grado. I risultati mostrano differenze significative rispetto alle attese: sono cresciute le diseguaglianze www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Le differenti epoche della sanità pubblica italiana 125
fra Nord e Sud e fra le stesse Regioni, sono lievitate le liste d’attesa, incrementati i costi, anche le spese private, alle stelle insoddisfazioni e inefficienze. La stessa denominazione azienda sollecita perplessità circa la collocabilità sul mercato, con il meccanismo della domanda e dell’offerta, del Servizio sanitario di un intero Paese. I direttori generali di AUSL e AO rivestono il ruolo di vertice strategico e di responsabili della gestione complessiva: monocrati che redigono l’atto aziendale, nominano il direttore amministrativo, il direttore sanitario, i direttori di dipartimento, il collegio di direzione, la direzione infermieristica, i direttori dei servizi amministrativi e di unità operative complesse e semplici di tipo medico, infermieristico, organizzativo e amministrativo, in assenza di un consiglio di amministrazione e a fronte di budget spesso superiori a quelli di Città in cui le AUSL e le AO sono ubicate. Gli interlocutori dei direttori generali sono i vertici regionali che, di fatto, si trovano a gestire il 60-70% e oltre delle risorse complessive della Regione avvalendosi di un numero esiguo di direttori generali da loro stessi nominati: una semplificazione eccessiva con verticismi da capogiro, nel settore pubblico come in quello privato. Nel contesto della struttura fortemente piramidale i medici sono esclusi da elaborazioni e progettazioni4, nonostante la responsabilità verso il malato resti immodificata e sia costretta all’interno di quadri di riferimento organizzativi predefiniti calati dal vertice. La configurazione organizzativa fortemente verticale ed economico-tecnicistica, in assenza di forti segnali deontologici e politici, difficilmente lascia immaginare la formulazione di progetti a medio e a lungo termine adatti a proporre e attuare programmi che valorizzino la prevenzione primaria della malattia accanto alla Medicina diagnostico-terapeutica. Gli ostacoli si annidano anche nel sistema-azienda applicato alla Sanità: le aziende sanitarie entrano nel mercato, agiscono in esso, si muovono nella logica della domanda e dell’offerta, i cittadini ricevono prestazioni che necessitano di ingenti capitali – per tecnologia, edilizia, manutenzione, beni di consumo, organizzazione, sicurezza – che ab-
Empoli, novembre 2007. La denuncia viene qui presentata come emblematica della emarginazione medica in ogni processo decisionale. Il problema è sentito acutamente su tutto il territorio nazionale, sebbene emerga molto raramente. 4
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126 Capitolo XII
bisognano di tempi lunghi di ammortamento conferendo significative dosi di rigidità e passività al sistema sanitario. Per questo coacervo di ragioni le delusioni lievitano nell’opinione pubblica e in coloro che lavorano nelle strutture sanitarie: le tasse per la salute vengono vissute come onere superfluo, Ospedali e poliambulatori pubblici rischiano la loro credibilità, la politica continua ad amministrare l’esistente, l’organizzazione sanitaria a collocarsi nel solo ambito anatomo-clinico rendendo statico il primo comma dell’articolo 32 della Costituzione fondamento della legge 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…». Medici e operatori sanitari avvertono la loro crescente marginalità, i cittadini accolgono, abbastanza inconsapevoli ma con impazienza, quanto è loro offerto.
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Capitolo XIII
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Un esempio da evitare
Una testimonianza di Ignazio Marino, sì proprio lui, l’ex senatore e sindaco deposto (con atto notarile preliminare) di Roma, esimio collega che ha lavorato per molti anni negli USA come chirurgo e trapiantologo, è adatta perfettamente per illustrare la situazione dell’organizzazione sanitaria americana e delle conseguenze palpabili che ne derivano riversandosi, con tutto il suo carico di iniquità, sull’intera convivenza civile. Richiesto un commento su Sicko, film-documentario di Michael Moore presentato nel 2006 al 60º Festival di Cannes, Marino così risponde al giornalista che lo intervista: «Bello e agghiacciante. Ma negli USA ho visto anche di peggio! Cosa c’è di peggio di una bambina lasciata morire perché senza assicurazione o di una donna la cui polizza viene annullata perché nello stipularla non aveva confessato di aver avuto la candida, cioè una banale infezione? Oppure di un’infermiera che ha avuto bisogno di un trapianto. Lavorava in un grande ospedale, era assicurata e quindi fu trapiantata. Quando dopo un anno la rividi, in un baretto di quelli che ci sono vicino ad ogni ospedale, scoppiò in lacrime: dopo il trapianto aveva perso il posto di lavoro perché non poteva sostenere i carichi richiesti e con il lavoro aveva perso l’assicurazione sanitaria e quindi non riusciva più a pagarsi i farmaci antirigetto. Dopo qualche mese è morta»1. Non è un caso che la Sanità degli USA si trovi collocata al 37° posto nella graduatoria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: le persone sprovviste di copertura medica sono, dopo la riforma varata dall’Amministrazione Obama, 27,3 milioni, cioè l’8,6% della popolazione2 (Tavv. I
«La Repubblica», 17 agosto 2007. Karen Davis, presidente del Commonwealth Fund, USA, 2007. Noam N. Levey, Kyle Kim, A side-by-side comparison of Obamacare and the GOP’s replacement plan, «Los Angeles Times», 4 maggio 2017. 1 2
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e II). Con Obama il numero dei non assistiti è stato dimezzato, contraddicendo le previsioni che indicavano incrementi costanti (Tav. II). Con Trump il tasso dei non assistiti rischia un’impennata nel quadro di misure restrittive intraprese per annullare i costi della riforma Obama stimati in circa il 25% in più del budget sanitario federale. Le spese militari, al contrario, aumenteranno del 10% come stabilito nel programma Nuove fondamenta per la grandezza dell’America, incurante delle diseguaglianze tra quanti vivono in Stati con premi assicurativi di alto valore assistenziale (Alaska e Arizona) e quanti in Stati con premi di basso valore assistenziale (Massachusetts e Washington), tra le fasce dei giovani e dei vecchi che subiranno aumenti di spese assicurative fino a tre volte quelle pagate finora, incurante delle problematiche lavorative e assistenziali delle donne incinte, dell’infanzia, di coloro che hanno perso il lavoro, che non hanno un tetto sotto cui ripararsi, di coloro che soffrono di disturbi mentali, ecc.3. Tav. I – Confronto fra Sistema sanitario degli USA e di altri Paesi riguardante la spesa complessiva pubblica e privata Stati Uniti Canada Italia Francia Germania Gran Bretagna
Spesa procapite (£) 6401 3326 2532 3287 3100 3374
Spesa/PIL (%) 15.3 10.1 8.9 11.1 10.7 9.1
Fonte: N. Watzman, Multinational Monitor, maggio 1992.
Tav. II – L’Assistenza Sanitaria Americana in numeri Spesa sanitaria complessiva: Privata Pubblica Incremento di spesa previsto nel 2014:
16,5% del Pil 54% 46% 18.7% Pil
WHO, 2007.
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Un esempio da evitare 129
Su 340 milioni di americani: – 46 milioni sono assistiti da Medicaid: gestita dai singoli Stati, copre gli indigenti (per un reddito inferiore a 25.000 $ a New York, a 4.800 in Texas) e, dall’epoca di Clinton, i minorenni. Una scelta tuttora aspramente contestata. – 43 milioni sono assistiti da Medicare: a gestione federale, assicura l’assistenza in qualsiasi ospedale ai cittadini al di sopra dei 65 anni e in pensione. Alcuni ospedali e medici, comunque, chiedono al malato un supplemento di spesa pari al 15%. Le tariffe concordate a priori fra Stato federale e ospedali divengono il DRG, che costituisce il parametro di riferimento per il pagamento di prestazioni analoghe da parte di assicurazioni private. – 203 milioni da assicurazioni fornite dal datore di lavoro (60%), la cui estensione, in quanto a qualità e opportunità di assistenza, è variabile a seconda del ruolo svolto e dalla ricchezza dell’azienda da cui si dipende. In questo ambito sono spesso offerti pacchetti di assistenza globale a basso costo: le Health Maintenance Organizations (J. Pear, in «The New York Times», 12 agosto 1992). – 47 milioni sono privi di copertura, di questi circa la metà riesce ad acquistare una qualche forma di assicurazione, l’altra metà può soltanto accedere all’ospedale pubblico. Ospedali di Contea: dipendono dal Comune Gli Ospedali Pubblici rappre- – sentano il 7% del potenziale e sono tenuti ad assicurare assistenza a tutti i cittadini. nazionale e si dividono in: – Ospedali militari: dipendono dal Governo federale e si occupano dei cittadini che hanno prestato servizio militare. Fondazioni: sono i grandi Ospedali come il Massachusetts di Boston, lo Sloan Kettering di New York, la Mayo Clinic di Rochester, ecc. – Ne gode a vario titolo l’84% degli americani. Medici di famiglia: – Ben oltre la metà ha avuto difficoltà nell’assistenza notturna. – I farmaci sono spesso a carico del malato. Fonte: G.F. Anderson et al., Health Spending In the United States and the rest of Heffers, «Journal of Health Affairs», 2005. «The New England Journal of Medicine», 353 (2005), 1516. Commonwealth Fund, 2006, 2007. World Health Education Initiative: http://www.health-care-reform.net/causedeath.htm. www.medicinenon.it.
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130 Capitolo XIII
Il costo medio assicurativo di una polizza nel 2017, circa 5.000 $ per anno per una singola persona, è proporzionato all’età, alle condizioni di salute e ai rischi per malattie preesistenti e per esposizioni e predisposizioni a contrarle. Una persona fra i 55 e i 64 anni si trova a pagare premi assicurativi di circa il 30% in più. Le assicurazioni, infatti, tendono a privilegiare le prestazioni semplici, a basso costo e a rendimento elevato mentre trascurano quelle che potrebbero rivelarsi gravate da complessità assistenziali, alti costi e dai profitti complessivi imprevedibili. Non c’è da meravigliarsi, dunque, che nell’ampia platea dei non assistiti si ritrovi quasi un milione di famiglie del ceto medio nonostante gli introiti annui ammontino mediamente a 75-80.000 $. Questi criteri generali, applicati con precisione aritmetica sempre a maggior garanzia delle compagnie assicurative, creano una caduta della tutela sanitaria e assistenziale proprio in quelle fasce socialmente deboli che presentano maggiori rischi di ammalarsi e necessità di protezione. Le differenze sociali ed economiche risultano evidenti nelle disuguaglianze delle opportunità e dei diritti ad accedere al sistema diagnostico, curativo e assistenziale: le famiglie dalle condizioni socio-economiche precarie e medio-basse ne sono di fatto escluse. Nel complesso, oggi, per merito delle amministrazioni Clinton e Obama, 46 milioni di americani sono assistiti dal Medicaid, gestito dai singoli Stati, in quanto minorenni o detentori di un reddito inferiore a 25.000 $ in New York e a 4.800 $ in Texas; 43 milioni sono assistiti da Medicare, a gestione federale, che assicura l’assistenza in qualsiasi ospedale ai cittadini al di sopra dei 65 anni in pensione pagando un supplemento di spesa pari al 15%; 203 milioni sono assistiti dalle Health Maintenance Organizations a carico del datore di lavoro in misura del 60%, la cui variabilità della quota pagata in proprio dipende da qualità e opportunità di assistenza offerte, dal ruolo lavorativo svolto e dall’importanza sul mercato aziendale; 47 milioni sono privi di copertura, di questi circa la metà è in grado di acquistare una qualche forma minima di assicurazione, l’altra metà può soltanto accedere agli ospedali pubblici, di Contea e militari, che rappresentano il 7% dell’intera rete. Gli ospedali gestiti da Fondazioni, come i grandi ospedali Massacchussetts di Boston, Cancer Memorial Sloan Kettering di New York, Mayo Clinic di Rochester, ecc., lavorano esclusivamente attraverso il sistema assicurativo. Dell’attività medica di base ambulatoriale, equivalente all’attività dei nostri medici di famiglia, ne gode a vario titolo l’84% degli americani, ma i farmaci quasi sempre gravano sul malato. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Sebbene poche e insufficienti, per una feroce opposizione trasversale e occulta nei due schieramenti congressuali. le riforme della Sanità varate dalle Amministrazioni Clinton e Obama tuttora subiscono aspre contestazioni ed corrono il rischio di annullamento, soprattutto per quanto concerne l’assistenza ai minorenni. Arretramenti, dopo l’amministrazione Clinton, furono attuati dalla presidenza Bush nel 2006 e nel 2007 con tagli importanti nella già esigua spesa sanitaria destinata alle classi meno abbienti ed esercitando il veto presidenziale sulla legge approvata dai democratici che intendeva estendere l’assistenza ai bambini poveri. La sua contrarietà fu motivata da una presunta mancanza di copertura finanziaria, nonostante i fondi fossero già previsti in bilancio e, in aggiunta, si sarebbero avvalsi di ulteriori 35 miliardi provenienti dalla prevista maggiorazione delle tasse sul consumo di sigarette. La decisione di Bush ha mantenuto esposti agli effetti devastanti della non-assistenza oltre 4 milioni di bambini e almeno 30 milioni di persone che già si trovavano sotto la soglia di povertà. «Il Sole 24 ore Sanità» del febbraio 2006 scrive: «Intanto le disuguaglianze nella copertura sanitaria uccidono negli USA 84.000 persone per anno, a causa di razza e povertà». Anche le assicurazioni private a basso costo (Health Maintenance Organizations), varate da Reagan e Bush, che permettono ad aziende medio-piccole di garantire ai propri dipendenti il medico di famiglia, con esclusione del costo di farmaci, compresi i salvavita, degli esami diagnostici e del ricovero in determinati ospedali, lasciano permanere una situazione di preoccupante precarietà contraria ad ogni elementare principio di solidarietà umana che appartiene diffusamente alla cultura occidentale4. È bene sottolineare che in quella società, pur fondata su individualismi e competitività sfrenate segnate da imponenti fenomeni di appropriazione ed espropriazione di diritti, sparute istanze sociali volontarie tendono ad emergere in forma solidale per iniziativa di gruppi o istituzioni-fondazioni che surrogano lo Stato nel suo ruolo di promotore e garante dell’interesse collettivo. L’American College of Physicians of USA nel 2007 ha dichiarato a proposito: «Nello sforzo di migliorare la qualità e controllare i costi della Sanità, non possiamo perdere di vista il nostro impegno primario nei confronti dei malati, che è quello di N. Bristol, Bush propose cutting Medicare budget, «British Medical Journal», 332 (2006), 379.
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tutelarne il benessere e gli interessi, inclusa la sensibilità per priorità e situazioni di vita». Enunciazioni, proposizioni e dispositivi di legge che sono stati preceduti da una lunga storia di ipotesi, proposte e opposizioni: Roosevelt nel 1935 e Truman nel 1945 avevano cercato, invano, di costruire un Sistema assicurativo nazionale all’interno di un programma noto come Social Security Act. L’attuale sistema in vigore, il Medicare e il Medicaid, si deve al periodo kennediano, concretizzato allorché Johnson poté avvalersi di una larga maggioranza democratica nel Congresso, nonostante l’opposizione frontale di holding assicurative e farmaceutiche, delle lobby mediche riunite nell’American Medical Association, dei parlamentari repubblicani e, sotto sotto, di gruppi di politici democratici5. Nel 1992 il 70% degli americani si dichiarò favorevole all’adozione di un Sistema sanitario di tipo universalistico come quello del Canada6, tanto che il «New York Times», il 7 dicembre 2002, scrisse: «Se non facciamo qualcosa riguardo ai non assicurati l’intero Sistema sanitario andrà incontro al collasso e il Governo ne pagherà le conseguenze perché la gente dirà: quando è troppo è troppo!» Nulla fu fatto. Il voto popolare, con il consueto astensionismo, riconfermò l’amministrazione in carica. Lo stesso giornale dieci anni prima aveva scritto che agli americani «va insegnato riconoscere i propri reali bisogni»7. Le critiche più radicali a questa situazione di precarietà assoluta per i ceti meno abbienti provengono dalle stesse fonti americane: «Il nostro fallimento nell’offrire un’assicurazione sanitaria a tutti e a garantire un rapporto stabile e duraturo fra medici e malati si manifesta in un livello basso di qualità: accesso, efficienza, equità e risultati delle cure. Considerate le significative risorse devolute alla Sanità dovremmo aspettarci un sistema sanitario migliore»8. Infatti, gli americani non godono di buona salute nonostante i costi della loro organizzazione sanitaria abbiano superato il 18% del
Organization for Economic Co-operation and Development, indicators 2005 the industrialized world, «Journal of Health Affairs», 24, 4 (2005). 6 4. N. Watzman, Multinational Monitor, maggio 1992. J. Pear, «The New York Times», 12 agosto 1992. 7 G.F. Anderson et al., Health Spending In the United States and the rest of Heffers, «Journal of Health Affairs», 2005. 8 Karen Davis, presidente del Commonwealth Fund, USA, 2007. 5
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PIL. Una spesa tanto elevata potrebbe preludere ad una maggiore efficienza ed efficacia assistenziale rispetto ad altre Nazioni. L’Europa impegna nel pubblico mediamente l’8-9%, l’Italia meno del 7%. Il Sistema sanitario degli USA, oltretutto, non ha dimostrato capacità di protezione da disservizi ed errori verso gli utenti, anzi sembra avere svolto paradossalmente un ruolo attivo nell’insidiare la salute degli americani: negli ultimi dieci anni 225.000 americani, su 40 milioni di ricoveri annuali, hanno perduto la vita in conseguenza di infezioni nosocomiali, disservizi e trattamenti sanitari inopportuni o errati. Questi decessi rappresentano la terza causa di morte negli USA dopo le malattie dell’apparato cardio-circolatorio e le neoplasie, e precedono per rilevanza l’ammontare dei casi mortali da incidente stradale9. Al di là delle enunciazioni di principio provenienti dai media, da ceto politico e professionale, la situazione di precarietà sociale poggia su uno storico e solido modello prettamente liberista gravato dal più alto tasso di privato che si conosca in ogni ambito dell’organizzazione sanitaria dell’occidente10 (Tav. I). Si comprende, dunque, perché il film-documentario di Michael Moore, nonostante sia stato invitato al Festival internazionale di Venezia ottenendo un largo successo, testimoniato da introiti superiori ai 30 milioni di dollari, per restare nell’ambito dei criteri liberistici di giudizio prediletti dai ceti dirigenti americani, ha subìto aspre critiche da parte della «American Medical Association», una delle più importanti associazioni mediche, ampiamente citata da Moore per la dichiarata propensione a collegare un’estensione gratuita dei diritti assistenziali ad un «possibile deragliamento del sistema verso un modello d’impianto socialista del Paese»11.
P.J. Neumann e al., Medicare and Cost-Effectiveness Analysis, «The New England Journal of Medicine», 353 (2005), 1516-1522; Commonwealth Fund, 2006, 2007; IOM (US) Committee on Quality of Health Care in America Report: To err is human, 2000, 483. 10 Editorial: Postmarketing Surveillance—Lack of Vigilance, Lack of Trust, «Journal of the American Medical Association», 2004. 11 B. Obama, Il Pensiero scientifico, Roma 2007. American Institute of Medicine, 2007. 9
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Capitolo XIV
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Aspettando Godot Una medicina inedita
«Colui che si crede sottomesso ad una natura capricciosa è schiavo, colui che si riconosce sottomesso ad una natura determinata da leggi rigorose è cittadino del Mondo» Marco Aurelio, II secolo d.c.
Ma Godot e le speranze di imminenti e decisive svolte non si manifestano sul proscenio mondiale, sebbene i cantori dell’inarrestabile marcia del progresso continuino ad illustrare la teoria smithiana dell’approssimarsi della agognata «diffusione a macchia d’olio di ricchezza e benessere per tutti»1. Eppure, le conoscenze scientifiche hanno vissuto una crescente accelerazione secondo determinati cicli evolutivi: la Cultura aristotelica ha dato origine al sistema tolemaico, la newtoniana al copernicano, l’illuminismo al positivismo inaugurando rapidamente l’era tecnologica e la conseguente Medicina anatomo-clinico-diagnostico-terapeutica che oggi ben conosciamo. Nel corso dei secoli le espansioni scientifiche e tecnologiche hanno interagito, necessariamente, con antropologia, etica, politica e istituzioni, e influito su tutto lo scibile umano pervadendo la vita quotidiana di ogni generazione e di ognuno di noi. In particolare, il rapido sviluppo tecnologico su cui si fonda la Medicina moderna ha reso prevalente la convinzione che le grandi malattie possano essere curate muovendo da basi empiriche, affidandosi all’alta tecnologia in continua straordinaria evoluzione, su prodotti della farmacologia e su complesse pratiche chirurgiche disponibili nella A. Smith, La ricchezza delle nazioni (1776), Editori Riuniti, Roma 1991.
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136 Capitolo XIV
encomiabile organizzazione sanitaria incentrata su obbiettivi diagnostico-terapeutici. In sostanza, la malattia viene affrontata come spesso si fronteggiano i conflitti sociali, nei modi emergenziali e senza tenere conto dell’origine degli stessi e anzi derubricando la loro gestione nell’ambito del solo mantenimento dell’ordine pubblico. Concentrando l’attenzione in netta prevalenza sulla lesione anatomica le grandi malattie vengono considerate, sul piano culturale e organizzativo, di esclusiva pertinenza medica. Intanto le malattie angustiano, creano panico, assumono caratteri pandemici tanto crescenti quanto, molto spesso inconsapevoli i cittadini, evitabili in larga misura mediante l’adozione di misure politiche, preventive e informative che garantiscano, comunque, la personale libertà di scelta. In molte persone malate, inoltre, la coesistenza di una molteplicità di fattori patogenetici, spesso indotti da contesti culturali-ambientali ostili (v. Cap. II), favorisce e aggrava la storia naturale della malattia pur sottoposta a multi-terapie per tempi indeterminati che agiscono frequentemente mediante meccanismi compensativi, correttivi e palliativi sui guasti subiti da organi e apparati. Su questa via si instaura una visione meccanicistica della malattia e dei provvedimenti da attuare, la patogenesi prende forma a partire dalla lesione anatomica prodottasi, la storia della persona malata rimane in un cono d’ombra. Su questa via di oggettiva impostazione sanitaria il diritto alla salute viene confuso, nel pensare comune, con rigogliose attività cliniche, neutre e imparziali, nonostante le molteplici ascendenze patologiche, di cui la Medicina possiede cataloghi di entità sterminate che la configurano come il più antico e imponente apparato dottrinario, encomiabile corpus medicus guarnito di normative, procedure e associazioni per la difesa del proprio ruolo, Istituzione ricca di innumerevoli collezioni di importanti casi clinici ben documentati e curati da raffinati ed efficienti apparati tecnici e tecnocratici, ma dalla efficacia complessiva insoddisfacente se le mirabili esperienze restano inutilizzate, non rielaborate e non rese note con tutte le conseguenze che ne derivano. La Medicina scientifica ha dimostrato di essere in grado di disegnare il genoma, manipolare cellule, clonare, demolire e ricostruire tessuti e organi, permettere la loro sopravvivenza a lungo, trapiantarli, migliorare la condizione dei malati, alleviarne le sofferenze, guarirli e prolungarne la vita. Ma non basta se la passione verso la professione non è soverchiata dalla compassione rivolta alle moltitudini di malati www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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che troppo spesso non trovano soluzioni risolutive e definitive. Non può bastare se la pratica medica non testimonia e non denuncia nelle sedi istituzionali e pubblicamente i limiti della sua azione clinica, se non promuove e difende la salute, non solamente intesa come assenza di malattia, con azioni orientate a prevenire e combattere la malattia propriamente nei substrati culturali e sociali che la generano. Non sono in gioco particolari forme di medicalizzazione della società né l’assoggettamento delle libertà e delle scelte individuali e comunitarie a decisioni altrui. Al contrario si vuole affermare il primato del diritto alla salute senza sminuire il valore dell’azione diagnostico-terapeutica che ogni giorno viene resa possibile da medici, infermieri, tecnici, amministratori. È stato sostenuto, impropriamente, che le istanze preventive siano da accostare alle «politiche sanitarie del nazismo» e a supporto viene citato il testo di R.N. Proctor La guerra di Hitler contro il cancro2. Lo Stato etico perseguiva, nella sua disumanità totalizzante, «il bene supremo della razza ariana, la sua salute e la sua purezza»; la prevenzione della malattia rappresenta, diversamente in Stati liberali basati su Costituzioni e istanze democratiche, un diritto inalienabile e pilastro fondante del patto democratico. Nella Costituzione italiana si legge all’articolo 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Ulteriori espansioni delle attività diagnostico-terapeutiche nel futuro prossimo non saranno probabilmente sostenibili a causa dell’incremento crescente di prestazioni sanitarie e le conseguenti accresciute esigenze di investire in apparati tecnologici destinati molto presto a divenire insufficienti e obsoleti. Oltretutto, per il 2019 la spesa sanitaria italiana pubblica è destinata a subire decurtazioni: dal 6,6% attuali al 6,4% del Pil sebbene l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) consideri il 6,5% il «livello minimo sufficiente per garantire la tutela della salute». Ulteriori espansioni delle attività diagnostico-terapeutiche neppure appaiono giustificabili di fronte ai risultati incerti e al lievitare di gravi malattie che impongono i loro pesi specifici alle singole persone e alle loro famiglie: angustie e precarietà esistenziali, arretramenti della R.N. Proctor, La guerra di Hitler al cancro, Cortina, Milano 2000.
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ricchezza generale, impoverimenti ulteriori della povertà. Secondo il XIII rapporto CEIS del 2017 il 72% delle famiglie di malati neoplastici denuncia danni economici dovuti a permanenze in ospedale, cure, controlli clinici, debilitazioni fisiche e psicologiche: «il 38% subisce perdite fra i 700 e i 1.000 euro al mese, il 25% oltre i 1.200 euro, il 22% dei malati lascia definitivamente il lavoro e il 13% è costretto a mettersi in aspettative prolungate dall’attività lavorativa. Le famiglie che si sono impoverite per spese sanitarie impreviste, di cui hanno dovuto farsi carico, sono l’1,5%, cui si aggiungono il 3,7% delle famiglie costrette a fare i conti con spese catastrofiche per i loro già magri bilanci». Le malattie conclamate avvicinano povertà e ricchezza, finanche le uniscono nella comune speranza di guarigione. Il disconoscimento delle loro origini divarica e consolida le divisioni sociali, cristallizza e alimenta le diseguaglianze, allontana e disperde le Istituzioni sulle problematiche connesse all’equità e al bene comune, favorisce soluzioni individuali, diseguali e comunque d’incerta efficacia, a volte disperate, mentre il diritto alla tutela della salute sottace, sconosciuto, non proclamato né rivendicato nei modi sufficienti e percepibili. Si realizza un vero paradosso: in luoghi definiti si diagnostica e si cura, in altri si conserva e si riproduce l’humus in cui la malattia si genera, si sviluppa e si propaga. Palesi drammatiche incongruenze che vengono ricondotte, involontariamente, a specifiche e solitarie problematiche medico-assistenziali che si tramutano in riforme e innovazioni strutturali, correzioni e riorganizzazioni di sistema, nuove modalità per la ripartizione delle fonti di finanziamento. In sostanza, l’origine della malattia risulta marginalizzata e occultata a causa di una ridondanza di tecnicalità politica, gestionale e finanziaria. Contraddizioni fischianti che conducono al decadimento del Sistema sanitario, ai suoi prodromi maturati nello snaturamento del primitivo e robusto ideale preventivo-diagnostico-terapeutico-riabilitativo della legge 833 del 1978, soprattutto alla crisi della Politica e delle Istituzioni e alla rarefazione dell’autonomia scientifica a causa della crescente centralità indotta dai consumi più disparati, in particolare quelli sanitari pubblicizzati in modo crescente, che ormai sovrastano ogni dinamica politico-sociale fino ad indebolire il «contratto sociale come forma di uguaglianza»3 e, pertanto, le stesse fondamenta su cui J.J. Rousseau, Il contratto sociale (1762), Rizzoli, Milano 1994.
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è costruita la nostra democrazia che rischia di ridursi a «vuota apparenza»4. La derubricazione del diritto alla salute, sostanzialmente, a diritto ad ottenere una diagnosi ed una cura lascia trasparire la rinuncia di Politica e Medicina all’esercizio di una coscienza critica, e di una tensione morale, verso modelli di vita usuali e verso sviluppi sociali e condizioni ambientali che appaiono rapidamente dispiegarsi contro la persona e contro intere popolazioni. La tutela della salute sotto ogni forma, al contrario, rappresenta una grandiosa occasione per orientare ad impegni deontologici, etici e morali e per divenire campo di investimento per la salvaguardia delle risorse umane e perfino di risparmio di risorse materiali. In Europa, e sull’intero Pianeta, i malati di cancro sono in aumento costante. La notizia, riscontrabile sul sito del Parlamento europeo, ampiamente sconosciuta dai cittadini, creerebbe turbamento e allarme se diffusa con adeguatezza: oltre 2 milioni di persone per anno nella sola Europa si ammalano di tumore, dal quale, come ormai avviene da circa mezzo secolo, soltanto la metà guarisce. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel corso della vita almeno un terzo della popolazione occidentale viene colpita da malattie cronico-degenerative, in costante crescita, in larga parte evitabili, difficilmente guaribili, probabilmente trattabili con terapie riequilibratrici e palliative. Fra queste le malattie cardiovascolari, che nei Paesi europei sono causa di oltre 4.300 vittime per anno, in continua ascesa. Di fronte ad una tale situazione di precarietà e incertezza, che ogni persona informata e responsabile non esiterebbe a definire catastrofica, «il compito degli uomini di cultura è più che mai quello di seminare dubbi, non di raccogliere certezze», come affermato da Norberto Bobbio nel suo testamento etico e morale5. Una Medicina inedita può realizzare questo compito se intende riflettere la propria formidabile immensa esperienza su Istituzioni e Società con ogni mezzo e in ogni sede, permeandoli in forza del suo corpus medicus ippocraticus dotato del più antico codice etico e deontologico: le proprie poliedriche conoscenze e la propria Scienza e Coscienza critica N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1990. N. Bobbio, Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955.
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riversate sulle forme molteplici della Conoscenza e della Coscienza individuale e collettiva. Una svolta epocale, di cui tutti, cittadini e istituzioni, hanno impellente necessità, che richiede per realizzarsi particolari virtù, forse desuete e in larga parte ignorate, ma esemplari perché ispirate a molteplici testimonianze, microstorie, immagini e metafore appartenenti alla nostra cultura, di cui spesso ci mostriamo fieri portatori, che la Medicina dovrebbe far proprie: –– l’umanesimo liberale di Erasmo da Rotterdam quando, pur avendo ricevuto il titolo di cardinale, sùbito da questi rifiutato, avversò la Scolastica e giunse a proclamare che la fede in Cristo, e non i rituali della Chiesa cattolica, rappresenti la vera garanzia per la salvezza e che la «follia» di scienziati, poeti, filosofi, politici, teologi e preti rappresentino l’impedimento al libero arbitrio incompatibile con la «pretesa onnipotenza di Dio». Come conseguenza di tale ardimento gli venne sospesa la prebenda e ciononostante mostrerà la forza di affermare, a proposito dell’«alter Deus» papa Giulio II, conquistatore di Bologna con la spada nel pugno, che il pontefice «si atteggia a Giulio Cesare». Senza pentimenti definirà «peste della cristianità» il suo successore papa Leone X. Ebbe anche l’ardire di dichiarare avversità alla guerra nonostante i grandi entusiasmi suscitati dalla scoperta e dall’uso della polvere da sparo. Il 19 gennaio 1543, a Milano, i libri di Erasmo furono scherniti e bruciati in piazza insieme a quelli di Lutero6; –– la coerenza di Thomas More quando sfidò il suo re Enrico VIII rifiutando l’annunciato scisma dalla Chiesa romana. Canonizzato dalla Chiesa cattolica, compare fra i martiri della Chiesa anglicana7; –– il coraggio di Martin Lutero quando, definito «cinghiale nella vigna del Signore», affermò che «il papa e i cardinali sono colpevoli di impoverire i cristiani e di rubare i frutti del sudore della povera
Erasmo da Rotterdam, Giulio, a cura di S. Seidel Menchi, Einaudi, Torino 2014. 7 E.M. Ganne, Tommaso Moro. L’uomo completo del Rinascimento, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004; L. Bouyer, Tommaso Moro. Umanista e Martire, Jaca Book, Milano 1994. 6
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gente per spenderlo in milizie e bombarde e cavalli…8 e quando osservò che «coloro che han capito il significato del richiamo alla pura e semplice parola divina non danno nessuna importanza che io sia un briccone oppure un santo»9; la libertà che il cardinale Roberto Bellarmino, poi divenuto San Roberto, avrebbe conquistato e forse condiviso se avesse voluto prestare il suo occhio al telescopio, puntato verso il cielo, invitato ripetutamente da Galileo. Avrebbe attribuito alla teoria copernicana un ruolo superiore, a quanto da lui stesso riconosciuto, di semplice strumento matematico «per descrivere fenomeni fisici». A suo giudizio questi fenomeni dovevano restare subordinati alla teologia agostiniano-tomistica; la genialità di Brunelleschi quando la sua architettura «fece sì che il cielo sopra la cupola subisse invidia ché continua a bersagliarla con saette, credendo che la sua fama abbia vinto l’altezza dell’aria»10; la franca risolutezza di Friedrik Haydn quando, comunicata al principe Estherazy, alla cui corte prestava servizio, l’intenzione di comporre liberamente al di fuori delle influenze di palazzo, in risposta ricevette dal potente aristocratico un vero e proprio «calcio nel sedere» e l’ordine di lasciare subito il castello; l’umiltà di Bach quando si recò a piedi da Lipsia a Lubecca per incontrare Dietrich Buxtehude, il più grande organista dell’epoca, ma, pur affascinato dalla sua arte, rifiutò la figlia offertagli in sposa insieme al suo posto di maestro di cappella della cattedrale. La sua musica diverrà la più rappresentativa dell’epoca, culmine e superamento; l’arditezza di Mozart allorché la corte viennese, intendendo contrastare le sue idee progressiste, suggerì a Giuseppe II che il musicista «ha usato troppe note» ne Il flauto magico. L’insito smantellamento del canone musicale fondante di Christoph Willibald Gluck avrebbe potuto contagiare l’intera società, così invogliata dall’esempio a demolire tradizioni e gerarchie. Mozart non cambierà nulla e avrà ragione;
A. Prosperi, Lutero, Mondadori, Milano 2017. D. Cantimori, Discorsi a tavola, Einaudi, Torino 1969. 10 Vasari, in G. Fanelli, M. Fanelli, La Cupola del Brunelleschi. Storia e futuro di una grande struttura, Mandragora, Firenze 2004. 8 9
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–– il nonconformismo di Fryderyk Chopin allorché continuò ad insistere nelle «dissonanze che oltrepassano i limiti della convenienza», dopo essere stato sollecitato dall’amico Fontana a prendere atto del contesto salottiero aristocratico-altoborghese in cui si trovava. Dopo la scomparsa del grande compositore, per decenni, per puro conformismo, gli accordi dissonanti dell’incipit della Prima Ballata verranno aggiustati in prevedibili e banali accordi di quarta e di sesta; –– lo spirito di abnegazione del grande patologo Rudolf Virkow quando, nello scontro frontale con Bismarck, rifiutò di essere reintegrato nella cattedra di Patologia generale di Berlino preferendo la via Politica attiva allo scopo di meglio contrastare le origini sociali di larga parte delle malattie; –– l’audacia e la coerenza di Theodor Billroth quando fra il 1871 e il 1881, per la prima volta nel mondo, eseguì le asportazioni, e relative ricostruzioni, di esofago, laringe e tratti di stomaco pur restando convinto che la patogenesi fosse dominata dal binomio povertà-malattia; –– l’arditezza di Erick Satie quando giudicò «musique burocratique» le composizioni «pedissequamente perfette ma inanimate di Muzio Clementi», grande musicista e teorico a cui si deve molto della moderna tecnica pianistica; –– la coerenza di Arturo Toscanini quando, la sera del 15 maggio 1931 nel Teatro comunale di Bologna alla presenza di gerarchi dell’importanza di Ciano e arpinati, nonostante la loro insistenza e determinazione, rifiutò perentoriamente di dirigere Giovinezza giovinezza e L’inno reale prima di essere aggredito, schiaffeggiato e scacciato dal teatro e dalla Città11; –– l’anelito alle libertà democratiche di Aleksandr Isaevič Solzženicyn nonostante decenni di prigionia, lavori forzati, esili ed un subìto tentativo di avvelenamento12; –– la determinazione di Robert Kennedy, ottanta giorni prima dell’assassinio, il 18 marzo 1968 nell’università del Kansas, quando, no-
L. Bergonzini, Lo schiaffo a Toscanini. Fascismo e cultura a Bologna all’inizio degli anni Trenta, Il Mulino, Bologna 1991. 12 Una giornata di Ivan Denisovič, Garzanti, Milano 1963; Il cervo e la bella del campo; Una candela al vento, Einaudi, Torino 1970. 11
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toriamente antirazzista, affermò che «…il Pil misura tutto eccetto quanto rende la vita degna di essere vissuta»; –– la compassione del Samaritano nella sua azione profondamente umana, libera, solidale e gratuita13; –– il coraggio del medico bielorusso Yury Bandazhevsky nel denunciare le conseguenze sulla vita di migliaia di bambini a seguito dell’incidente di Chernobyl, sebbene duramente perseguitato dal regime sovietico; –– la generosità di moltitudini di medici e operatori sanitari, di giustizia e di pace, che hanno agito, agiscono e testimoniano quotidianamente nel silenzio e nel travaglio delle proprie coscienze.
Vangelo di Luca 10, 25-37.
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Postfazione
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L’attenzione pura
Ricordati dello sguardo che tu gettavi sui campi dopo una giornata di raccolto. Come era diverso dallo sguardo del passante per il quale i campi non sono che un fondale! Simone Weil, Cahiers 1941
Un titolo forse insolito a conclusione di un libro, scritto da un medico che ha scelto di professare la chirurgia, intenzionato a sollecitare una riflessione sulle conseguenze di uno smisurato sviluppo tecnologico estraneo alle reali esigenze primarie della vita quotidiana. Un proposito di riflessione sulla possibile costruzione di un poderoso edificio tecno-tecnocratico e autocratico svincolato e autonomo rispetto alla ricerca del bene comune, il cui peso crescente tende a sopravanzare la Politica, le Scienze naturali ed umanistiche, la Medicina e le Istituzioni che si trovano gradualmente spinte ad assumere ruoli tecnici e subalterni. Il rischio esiste ed è attribuibile al forte crescente connubio fra lo sviluppo impetuoso, a volte addirittura afinalistico, dell’apparato tecnologico e l’affermazione soverchiante di logiche economicistiche e consumistiche che, insieme e sempre più, costringono ad un processo di graduale emarginazione dell’impegno intellettuale e allo snaturamento dell’ideale baconiano di una ricerca scientifica, negli ambiti delle Scienze naturali ed umanistiche, libera da condizionamenti di poteri pubblici e privati e non dominata da sole finalità commerciali prestabilite. In questo quadro di radicali cambiamenti nel sistema dei valori, che tanto hanno inciso sui percorsi culturali e sociali, si sviluppano le crescenti contraddizioni del Medico, in qualsiasi specialità e posizione agisca, che risiedono principalmente nella progressiva restrizione www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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professionale in una sorta di funzionariato subalterno, fin dall’acquisizione e dalla trasmissione del sapere, in un’attività equivalente ad un terminale di un sistema tecnico-tecnocratico-autocratico che lo esonera dall’aderire al principio fondante di «Scienza e Coscienza». Nessuna sorta di neo-luddismo in queste pagine. È evidente, infatti, a chiunque voglia soffermarsi sui secoli e i millenni trascorsi, che la tecnologia è nata e si è sviluppata dall’intelligenza dell’essere umano e che mai si è collocata all’esterno della sua storia, nel bene e nel male, e anzi sempre è rimasta, per necessità e opportunità, la propria stessa essenza a causa della sua debole intrinseca dotazione strutturale e istintuale, inadeguata all’elevato grado di intelligenza e coscienza di sé stesso rispetto alla crudezza dell’ambiente in cui vivere e all’inevitabile relazione conflittuale con le altre forme di vita con le quali necessariamente è dovuto entrare in stretto contatto. La tecnologia ha pertanto condizionato ogni momento dell’essere umano, ne ha marchiato l’identità, perfino forgiandola sul piano culturale e antropologico fino a emendarne la soggettività primitiva. In ragione di quanto constatato si può addirittura ritenere che in assenza delle millenarie infinite invenzioni e realizzazioni tecnico-tecnologiche, a partire da quelle che oggi potrebbero apparire fin troppo elementari ma che furono determinanti per lo sviluppo e il progresso compiuti, l’Umanità intera non avrebbe potuto neppure sopravvivere, svilupparsi e progredire fino ai nostri giorni, non senza contraddizioni. Il problema che qui si pone è in sostanza sollecitato dall’attuale sviluppo tumultuoso e, per certi versi, quasi casuale e anarcoide della tecnologia e dei suoi imponenti apparati e il rapporto inedito che si va ponendo con la persona e l’organizzazione sociale nel suo complesso. È comprensibile, pertanto, che la loro inaudita espansione e capacità di penetrare in ogni piega della società dèstino alcune preoccupazioni qui riassunte: –– in primo luogo, un rischio consiste nel produrre una profonda alterazione del rapporto quantità-qualità, nel senso che la tecnologia, di principio intesa come mezzo posto al servizio della persona, possa gradualmente divenire una finalità per sé stessa e per giunta dominante o addirittura controproducente, come qualvolta accade, ad esempio, per il denaro che da mezzo di scambio viene a trovarsi trasformato in bene supremo; –– in secondo luogo, l’intera realtà materiale e ideale che ci circonda, compresi il pensiero, le istanze di giustizia e in genere le qualità non www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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direttamente e materialmente percepibili, potrebbe essere considerata del tutto misurabile e valutabile con un semplicistico algoritmo e con procedure strumentali elette a criterio unico di giudizio nella ricerca di un orientamento, di una verità; –– in terzo luogo, la Politica, le Scienze naturali ed umanistiche, la Medicina, l’Arte, nel loro più alto significato culturale e civile, rischiano di trovarsi ridotte al rango di una amministrazione tecnico-tecnocratica-autarchica, ad essa medesima subordinate: in definitiva, entità amorfe incaricate di un routinario esercizio di tecnicalità contabile e rendicontabile; –– in quarto luogo, a fronte di un’Etica e di una Deontologia scarsamente definibili e incisive per i loro caratteri nel tempo divenuti sfumati, in parte per il ridursi del principio di autorità e in parte per l’allontanarsi di riferimenti unici tradizionali e per l’inevitabile multiculturalismo diffuso nelle società contemporanee, potrebbero condurre a depotenziare la consapevolezza di intere popolazioni su utilizzazioni tecnologiche in campi particolarmente sensibili quali, ad esempio, la ristrutturazione dei patrimoni genetici, la risoluzione armata delle controversie internazionali, gli approvvigionamenti di energia che possano comportare rischi incalcolabili, la creazione di organismi geneticamente modificati, di cibo e acqua sintetici, la produzione di sostanze dannose all’ambiente e alla salute, introduzioni di stili di vita pericolosi, incursioni non giustificate nella vita privata, ecc. –– in quinto luogo, l’affievolimento di previsioni e riferimenti rassicuranti per il futuro prossimo può indurre molte persone a difendere senza condizione l’esistente e a guardare insistentemente al passato, non tanto remoto e in una certa dose fuorviante di nostalgia, rapite dal desiderio di volere compensare le assenze percepite con la ricerca e il consolidamento di quei vincoli pregressi costruiti e condivisi in epoche lontane, in contesti storici ormai superati dalla contemporaneità. Va sorgendo e amplificandosi nell’opinione pubblica, di conseguenza, una diffusa interpretazione pessimistica della realtà futura che tende ad oscillare fra fuorvianti moralismi conservatori e ingiustificate ostilità verso le tante diversità culturali e antropomorfiche esistenti nel genere umano, da sempre ricco del suo innato desiderio di conoscenza ancor oggi ben rappresentato dai miti della classicità e da tante vicende storiche esemplari che hanno assunto un valore universale: Prometeo in contrasto con Zeus sul fuoco, Dedalo e arianna alle prese con il loro gomitolo di lana, Icaro con le ali di cera, Adamo ed Eva decisi a www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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proseguire nel loro cammino di ribellione davanti all’albero carico di mele, Davide contrapposto a Golia, i sacrifici di Giordano Bruno, di Thomas Moore, di Giacomo Matteotti, la resistenza dei ragazzi della Rosa Bianca, di Dietrich Bonhoeffer, le pericolose provocazioni avanzate da Erasmo da Rotterdam, da Galileo Galilei, da Mahtma Gandhi, da Martin Luther King, da Nelson Mandela e dall’impegno esistenziale di tanti uomini e donne che nella solitudine e con l’impegno delle proprie coscienze hanno perennemente cercato la libertà e la verità nonostante le prevedibili tribolazioni patite, fino alla morte. Dopotutto, il fuoco, la tecnica, la conoscenza, il libero arbitrio e la facoltà di autodeterminarsi, sono divenute conquiste essenziali e capisaldi della vita quotidiana a disposizione di ogni essere umano libero e consapevole del suo stato d’essere, nonostante l’Umanità abbia dovuto sperimentare la distanza dal paradiso terrestre e subìto angherie, violenze, sconfitte e tragedie per mantenere alta la propria dignità di uomini e donne. Ancor più oggi, rispetto al passato e in piena modernità, all’Umanità intera spetta la decisione sulle modalità e le forme dello sviluppo da adottare, sull’equilibrio da conferire al binomio progresso-sviluppo e sull’uso degli innumerevoli strumenti conquistati a duro prezzo, che, in apparenza colorati di una tinta neutra, nella realtà sono in grado di servire sia il bene comune come il male assoluto. Da questa osservazione discende l’auspicata unificazione delle Scienze naturali ed umanistiche in un unico indiscriminato e condiviso sistema culturale, superando l’artificiosa secolare divaricazione. Questa via faciliterebbe l’approdo ad una personale e collettiva coscienza critica più consapevole dei propri diritti e dei propri doveri fondamentali, la riscoperta di uno spazio interiore da rivolgere a tutti, il desiderio di partecipare ad Istituzioni e aggregazioni civili in ogni angolo della società trasformando il senso del dovere contrattuale in un perenne spontaneo impegno etico e deontologico come disposizione d’animo al bene comune: vocazione, compassione, solidarietà, universalismo. È quanto auspicato da Simone Weil con l’espressione «L’attenzione pura» nei suoi Quaderni1, scritti in un periodo catastrofico per l’Europa e per il Mondo intero.
S. Weil, Quaderni, a cura di Giancarlo Gaeta, Biblioteca Adelphi 1993.
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Francesco Domenico Capizzi
Da Ippocrate al budget In scienza e coscienza
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Francesco Domenico Capizzi è nato a Santo Stefano di Camastra (Messina). Compiuti gli studi liceali a Palermo e universitari a Bologna, docente di Chirurgia dell’Università di Bologna, ha diretto i reparti di Chirurgia degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna. È stato ospite delle Università di Cambridge, Parigi, Montpellier, Strasburgo, Chicago, Harvard, Edimburgo, Rochester, New York. Ha eseguito oltre 21.000 interventi chirurgici. Nel 2002 viene intervistato e ripreso in sala operatoria per Report, RAI 3. È autore di 250 pubblicazioni su riviste scientifiche italiane ed estere e di 14 monografie e saggi, fra cui, nel 2010, La fabbrica della salute e la fabbrica della malattia. Nel 2015 pubblica il romanzo La parte del primo violino e nel 2017 Gnossiennes. Ha contribuito a fondare le Associazioni Candide, Simone Weil, La bottega dell’Elefante, Custos quid noctis.
Da Ippocrate al budget
Le interpretazioni e le narrazioni di ogni epoca spesso esulano dalla vita dei popoli e dai loro bisogni essenziali dando origine ad una sorta di alienazione dalla realtà. Uno scostamento dai reali bisogni di intere popolazioni che traspare in larga parte delle storiografie politico-socio-economiche tendenti ad attribuire al potere di singoli uomini ed oligarchie, impropriamente elevati ad unici protagonisti, l’inizio e l’esito di eventi succedutisi, eclissandone le cause e gli effetti con suggestivi proclami ed allettanti promesse in larga parte irrealizzate e che, anzi, oggi, sembrano allontanarsi dall’orizzonte. È quanto accade nella trasmissione e nell’applicazione accademica dell’apparato dottrinario medico, con le mirabili innovazioni apportate nei secoli, precipuamente orientato a diagnosticare e a curare malattie in larga parte evitabili che trovano origine e crescita nelle medesime variegate pieghe della società in cui il corpus medicus vive ed opera.
Francesco Domenico Capizzi