Cronaca di Pietroburgo


113 7 4MB

Italian Pages 111 Year 1981

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
Pagina vuota
Pagina vuota
Recommend Papers

Cronaca di Pietroburgo

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

titoli originali: Peterburgskaja Letopis' e Peterburgkie snovidenija II sr,­ ,ha�h iprose. Traduzione e note di Mili Romano. Proprietà letteraria riscr· nua. Copyright© by SugarCo Edizioni, Viale Tunisia 41, Milano. ltaly.

Sl'(;ARCo

s

EDIZ/Oi\1

PREFAZIONE

li mese di maggio del I83 7, accompagnato dal pa­ dre,, insieme al fratei/o Michail, Fl!dor Dostoevskij, an­ cora adolescen1e,, arriva a Pietroburgo per studiare alla scuola d'ingegneria. I palazzi multicolori lungo la Nevà, le ampie e dritle prospettive che si offrivano brulicanti di gente, rie­ cheggiavano i nomi di Quarenghi, Rossi, Rastrelli, Le­ blond, e di tutti gli architetti stranieri chiamati ad edi­ ficare la città di pietra, schieffo alle vecchie case di le­ gno di Mosca e dell'antica Russia. Pietroburgo, la «finestra aperta sull'Europa», 1 la concretizzazione di un 'idea, sorta «per calcolo>> dopo un 'aspra lotta con la paludosa natura circostante,, si presentava in tutta la sua magnificenza. Tutto un mondo d'infanzia si lasciava alle spalle, il giovane Dostoevskij. Un mondo che risuonava ancora dei racconti delle balie contadine e delle pagine di Pu­ lkin, Ann Radcliff e Walter Scott che la madre, mite figura assoggettata al burbero carattere paterno, gli leggeva la sera prima di andare a dormire. 2 Un mondo in cui le immagini dei baracconi da circo e dei saltim� banchi, intravisti, nei giorni di festa, dalla finestra sul 7

mercato di Smolensk a Mosca della casa dello z,io ma­ terno, si a/ternavano a quelle malinconiche dei volti della Boi.edomka, / Jospeda/e per i poveri dove il padre, medico, lavorava. Adesso s'imponeva Pietroburgo. Città diversa. Non un ricordo d'infanzia serbavano per lui le strade nuo­ ve. Non un angolo in essa che risvegliasse una memoria né un odore conosciuto. Unici punti di riferimento il passato e i sogni utopici. «Mio fratello ed io», ricorderà molti anni più tardi in Il diario di uno scrittore (1876), >, «la città più astratta e premedita­ ta di tutta la sfera terrestre», dirà l'uomo del sottosuo­ lo (1864); è «la città dei mezzi paui... Di rado si trove­ ranno altrove tanti tenebrosi, incisivi e bizzarri influssi esercitati sull'anima dell'uomo come a Pietroburgo», replicherà Svidrigai/ov in Delitto e castigo (1866). Nel momento in. cui prendeva come oggetto di di­ scussione la cittàlì il feuilleton non poteva non tener conto da un lato della «storia» della città, e dall'altro della ((nuova)) città che in quegli anni stava comincian­ do a disegnarsi. Il problema non poteva più essere quello di «far co11oscere Pielroburgo» nel suo insieme di «palpitanti novità cittadine>>, in ogni suo avvenimento. Lo scarto fra la città e la descrizione di essa diveniva più profon­ do. Nella disperata corsa alle «novità», alle , a qualunque cosa abbia la parvenza de/l'emo­ zione che soltanto una cosa nuova può regalare, nella schematicità inte//e/tuale delle tendenze critiche del momento, nel «vuoto» culturale e sociale con ironia messo in rilievo da Dostoevskij nella Cronaca e nei So­ gni di Pietroburgo, si percepisce quell'esperienza del «sempre uguale», di quPlla ripetitività e vacuità cui co­ si lontà11a sembra essere la vera vita della città. 11

Ironizzando e scherzando:, il feuilleton diventa per Dostoevskij un occhio puntato a distanza ravvicinata su spezzoni di pellicola urbana nei quali però la città non è oggetto di descrizione pura e semplice. È essa stessa che, nel suo antropomorfismo, appare ora «cu� pa e imbronciata come una stizzosa fanciulla mondana resa gialla dall'invidia al ballo della sera prima>>, ora «rampollo viziato di un paparino rispettabile» che ha fatto proprie le mode dell 10ccidente, ora «infuriata dalla testa ai piedi», echeggiante di pettegolezzi e chiacchiere, di profonde discussioni che rimbalzano fra le pareti dei «circoli», del fru.scìo dei balli e del/ 'an­ naspare umano continuamente oscillante fra «perbeni­ smo», «conservatorismo» e «trasgressione>>, molto si­ mile agli altri personaggi di Dostoevskij. Pietroburgo sembra procedere come una forza della natura, tanto ad essa sono legati i fenomeni naturali. La sua vita sembra scandita dall'alternanza delle sta­ gioni che determinano i tratti del suo carattere, i suoi «mutamenti di umore»J· le sue notti bianche stimolano le illusioni e le fantasie, i suoi tramonti dipingono a tratti l'immagine di una città irreale, del tutto poetica. Ma le stagioni battono lente, come i carillons della città, gli stati d'animo, la vita, il destino di chi vi passa. la sua morte, la sua f oliio. È la città reale che in quel momento ha il sopravven­ to. Lq città come forza, come «produzione». con un suo disegno nascosto che nessuno può arrestare. Città piena di oggetti, di piccole storie, su cui scorre, quasi a conferma della sua labilità, la città dell'acqua e dellll pioggia, fluida, che scivola sulla sua burocrazia e la sua poverlà. Nella notte piovosa, scandita dai rintocchi di un 12

orologio, si manifesta un tratto dell'«anima» di Pie­ troburgo, capace di portare alla pazzia un personag­ gio, un altro al suicidio. Jn «un'orribile notte di novembre, umida, nebbiosa, gravida di flussioni, d'infreddature, di febbri, di angi­ ne,>. se ne andava correndo il signor Goliadkin (11 so­ sia, 1846), mentre alle torri di Pietroburgo batteva la mezzanotte. E correvo fuggendo ai nemici, agli incubi di persecu­ zione che gli venivano dall'ombra di quella burocratica città. Fuggiva ossessionato dalla figura del suo sosia. La notte autunnale, il vento, l'acqua, sembrano continuamente far ricordare che sotto la città, alle sue fondamenta, in agguato, sta sempre l'antico caos della palude, il fiume pronto a stFaripare, a trascinare ogni cosa. Spesso la musica di sottofondo dei racconti di Do­ stoevskij è, nel silenzio notturno in cui si aggirano i suoi personaggi-sognatori, lo scrosciare dell'acqua, il tintinnl'o della pioggia, il persistente rumore dell'acqua che ca. E, con la notte piovosa e gli orologi, ogni tempo morto, che nella città è estraneo alla «produzione»: le domeniche, i giorni festivi, l'estate, quando, nella città deserta vagabonda non «un uomo», ma «quello strano essere di genere neutro». quell'individuo «senza sto­ ria>> che è il sognatore. Chi come lui si alimenta dei tempi ,norti di Pietro­ burgo, degli istanti in cui le strade si fanno deserte, e nutre i suoi sogni della giallognola nebbia delle notti bianche,. rimane irrimediabilmente staccato dalla città. La città utopica, teatro per una vita «immensa, gi13

gantesca, inaudita, meravigliosa come un sogno>>, che durante la notte sembra essersi intessuta col gioco della fantasia, s'infrange al mattino di fronte ai ru,nori, alle voci, al movimento della vita cittadina, che così poco spazio concede ai sogni e alle fantflSticherie. S'infrange il sogno, rimane la città. Quasi a conferma della realtà della città, Dostoev­ skij indica con precisione i nomi delle strade. Una città è fatta di strade, ogni strada ha un nome, e i nomi ri­ chiamano ad una storia; storia di pietre, di solidità, di sfario, di cambiamenti. Sono nomi nei quali vagabon­ dano i viandanti distratti, affaccendati, fo/li, gestico­ lanti, sognatori «senza storia». Ognuno, in un modo o nell'altro, reca in sé la sua follia, sia essa la moda del momento, il proprio sogno nascosto, la corsa verso un 'attività socialmente utile, sia essa la propria esclusione. I percorsi tracciati si ripetono: i quartieri attorno al Voznesevskij Prospèkt, pieni di edifici per abitazioni, di strade strette, di vicoli, la Sennaja Prosèad, la piaz­ za del mercato del fieno che ritroveremo in Delitto e castigo, la Fontanka, i canali. Il Nevskij Prospèkt, la «prospettiva dei cortei impe­ riali e delle passeggiate», quando viene nominato, è lontano dall'essere il posto fantastico, mercato di so­ gni, quale appariva nel racconto omonimo di Gogol'. In Dostoevskij non ha più alcun elemento fantasti­ co, non è più il luogo dove passeggiano tipi che sem­ brano usciti «dalle illustrazioni alla moda» e dove il diavolo in persona sembra divertirsi ad accendere i fa­ nali «per mostrare ogni cosa nel suo aspetto fantasti14

co>>. Nel 1861, quando vi incontriamo Dostoevskij in cerca di suggestioni per il suo feuilleton da pubblicare sulla rivista « Vremja» (li Tempo) di cui era redattore insieme al frate/lo Michail, il Nevskij è il luogo di con­ centrazione della folla, di eleganza e di estrema pover­ tà, di ogni tipo di falsilà e di arroganza, e il distacco dai personaggi che casualmente vi capitano è netto. Una nuova «/orza naturale» sembra essersi aggiun­ ta. È la folla in una città senza più percorsi stabiliti. Simile in questo il suo destino a quello di molte altre capitali europee sul cui modello era stata costruita, Pietroburgo cominciava rapidamente a mutare il suo aspetto esteriore, si allargava in sobborghi e in perife­ rie. Le ristrutturazioni, gli ampliamenti cominciavano a tracciare un disegno di città senza più percorsi stabilili, data la loro moltiplicazione. Una seconda, eterotopica città, cui né le stesse prospettive, né il rigore geometri­ co nel quale era stata pianificata, né i monumenti, riu� scivano a dare un ordine. Al di là dello scenario teatrale delle sue facciate, alla minaccia del caos della palude e dell'acqua, si aggiun­ geva il caos delle isole e delle periferie, /,onda del/a/ol­ la che si riversava nelle strade. Se in Cronaca di Pietrc;>burgo ci troviamo di fronte alla città pronta ad «andare in vacanza», a «rijarsi bel­ la», a «cambiare pelle», e lo spazio è «d'estate,,, la Pietroburgo deserta nelle cui strade scivola lento un funerale, «di un qualche consigliere» che si osserva fra l'annoiato e l'ironico, nel 1861 lo spazio è la Pietrobur­ go degli oggetti e del denaro, del Passage e del Gostinyi Dvor.' La folla, soggetto emergente in ogni città colta da lS

«sindrome di modernità», s'impone anche a Pietro· burgo e Dostoevskij feuilletoniste si fa largo fra la fol· la con l'occhio del flineur. , «Lo sguardo dell uomo che cammina nella città, senz'altro oriuonle che lo spettacolo, senz.'altro pote­ re. che quello dei suoi occhi» (Roland Barthes, Essais CritiquesJ. E la flinerie, itinerario senza meta, percor· so a zig-zag, perdersi sospinto dal mare di passanti, of­ frire loro uno sguardo� permettendo che un frammen­ to della propria immagine se ne vada negli occhi di molti altri, è l'unica ((di.scesa nel tempo pieno della cit­ tà». 6 Tutti i personaggi di Dostoevskij sono flaneurs, vagabondi, distratti, gesticolanti, semifolli, e la città s'identifica a tratti con quel mare di passanti: una gras­ sa signora incerta sul giocattolo da comprare, schiere di mendicanti, un vecchio dagli occhi cadaverici che scivola accanto in un logoro paltò chiaro, barcollante, per le strade di Pietroburgo. È lui realtà anche se sembra Iantasma. È anche lui, come tanti altri, compagno dell'«uomo della/olla».' È lui la vita, anche se sembra più somigliante ad una par­ venza di morte,· è lui stesso città, la nuova città bruli­ cante di falsità, ladri, usurai e strouini e «uomini nuo­ vi>, preludio alla scena di Delitto e castigo. E i sogni? E le fantasticherie? Poco spazio è rimasto perché potessero sopravvivere ancora. Eppure sulla città sporca, sulla città della povertà e della morte, è pronta ad alzarsi un'altra «fantastica>, città; pronta ad «alzarsi nella nebbia e a sparire come fumo>,. Sulla Pietroburgo reale si costruisce la città della visione. E Pietroburgo è doppia, ha una duplice essenza. È realtà , e fantasmagoria. E pronta a dileguarsi nell aria, a tes16

sere al di sopra del suo fumo e della sua 1niseria, al di sopra dei suoi affumicati casermoni. una città irreale che prende corpo nelle nuvolé. È ordine architettonico e caos primordiale. È città della povertà e della ricchezza, del denaro, dei contra­ sii sociali inaspriti, ma è anche la città ) e della nebbia, pronta ad ovartare ogni cosa. E città che, nel 1875, in L'adolescente è pronta a ritrasformorsi in sogno: «Ebbene, se questa nebbia si dissolvesse e salisse, forse se n'andrebbe insieme ad essa tutta questa putri­ da città umida, s'innalzerebbe con la nebbia e rimar­ rebbe il pantano finnico dei tempi passati, e in meuo ad esso, come fosse là per bellezza, s'innalzerebbe il cavaliere di bronzo col suo cavallo ansante e stanco? «Non so esprimere bene le mie impressioni, poiché tutto questo è fantasia, poesia, infine, e perciò stupi­ daggine. Ma spesso mi si presentava e mi si presenta tuttora alla mente un quesito del tutto insensato: Ecco che loro tutti si agitano e corrono, mo forse, chissà, non potrebbe esserè tutto ciò il sogno di qualcuno? e qui non c"è nemmeno un solo autentico essere umano, nemmeno una sola azione reale. Qualcuno ad un tratto si sveglierà, cioè si sveglierò colui che tutto questo vede come in delirio, e tutto a un tratto sparirò».• Non un disegno completo di Pietroburgo si delinea nelle opere di Dostoevskij. Ora luogo cupo e grigio di miseria. costrizione, folla, ora pronta a trasformarsi in visione, fantasmagoria, Pietroburgo è sempre «al limi­ te», 9 come contraddittoriamente spaccata fra ordine e caos, ordine della realtà e disordine del sogno, fra di­ vieto e impulso, oscillante fra realtà e sogno. Come su Goliadkin è in agguato il suo doppio, su 17

Pietroburgo, sulla città notturna del sognatore, sulla città che si costruisce a poco a poco sollevandosi in aria in nuvole di fumo, � in agguato la città delle periferie. della folla, degli >, per sostituirla con un'altra, assai più interessante: «Che giomatina, eh?». Ora, sappia­ mo bene che a Pietroburgo, oltre a com'è il tempo, specie se è cattivo, la domanda più inopportuna è: «Che c'è di nuovo?». Mi è capitato spesso di osservare che quando due amici pietroburghesi s'incontrano, do­ vunque si trovino e, dopo essersi salutati reciproca­ mente, si domandano alPunisono: «Che c'è di nuovo?», nelle loro voci si percepisce un che di fqrte­ meote malinconico, qualunque sia l'intonazione con la quale hanno iniziato la conversazione. Alla base di questa domanda pietroburghese sta veramente la di­ sperazione più assoluta. Ciò che più dà noia però, è che spesso chi rivolge simile domanda è una persona del tutto indifferente, un indigeno pietroburghese che conosce perfettamente l'usanza e sa in anticipo che non gli verrà risposto nulla, che non c'è niente 4i nuo­ vo, che ha già domandato la stessa cosa più o meno un migliaio di volte e che già da tempo avrebbe dovuto mettersi l'animo in pace - invece continua a doman· dare, quasi fosse spinto da un interesse reale, quasi che una certa etichetta l'obbligasse a prender parte alla so22

cialicà e ad avere degli interessi pubblici. Per quanto ri­ guarda gli interessi pubblici ... be', è chiaro che li abbia­ mo anche noi, non lo contestiamo. Tutti noi amiamo ardentemente la Patria, amiamo la nostra ·cara Pietro­ burgo, amiamo giocare un po' quando capita - a dir­ la in breve, gli interessi pubblici sono molti. Ma da noi sono più in voga i circoli. Pietroburgo del resto non è che un insieme di un gran numero di circoli ., ciascuno con il proprio regolamento, la propria logica e il pro­ prio oracolo. Tutto ciò in un certo senso non è che il prodotto del nostro carattere nazionale che rifugge an­ cora un po' la vita in società e guarda soltanto alla pro­ pria casa. Per la vita sociale poi è necessaria l'arte, è necessario mettere in pronto così tante condizioni che... in breve, a casa è meglio. C'è più tranquillità, tutto è più naturale, non c'è bisogno di arte. Alla domanda: «Che c'è di nuovo?», al circolo viri­ sponderanno sveltamente. La domanda acquisterà su­ bito un senso privato e vi si risponderà con un pettego­ lezzo, uno sbadiglio, oppure con qualcosa alla quale voi stessi sbadiglierete cinicamente e patriarcalmente. Al circolo è possibile trascinare una vita utile nella ma­ niera più tranquilla e più dolce, fra uno sbadiglio e un pettegolezzo. fino al momento in cui un raffreddore o una pleurite verrà a far visita al vostro focolare, al quale direte addio stoicamente, nel modo più indiffe­ rente e nella beata ignoranza di tutto ciò.che fino ad al­ lora vi è accaduto e del perché sia accaduto. Si muore nell'oscurità, al crepuscolo, in una giorna­ ta piagnucolosa e senza un raggio di luce, nell'assoluta incoscienza di come tutto si sia combinato in modo ta­ le che, ecco, si è vissuto (sembra si sia vissuto), si è riu­ sciti più' o meno in qualche cosa, ma adesso, così, chis23

sà per quale ragione, qualcosa obbliga senza remissio. ne ad abbandonare questo piacevole e tranquillo mon. do per raggiungerne uno migliore. In alcuni circoli d'altra parte si discute molto di af. fari; alcuni uomini colti e benpensanti si riuniscono con fervore; ecco che vengono inesorabilmente bandite tutte le distrazioni più innocenti, come i pettegolezzi e le préférences (non nei circoli letterari, s'intende), e con incomprensibile entusiasmo si discute di vari argo. menti importanti. Infine, dopo aver conversato un po', scambiato punti di vista, chiarito qualche proble­ ma d'utilità generale, dopo aver fatto valere reciproca· mente le proprie opinioni, l'intero circolo cade in pre· da a una certa agitazione, ad una spiacevole depressio· ne. Alla fine tutti cominciano ad irritarsi, vengono det­ te alcune brusche verità, si mettono in mostra alcune personalità dure, larghe e libere e - va a finire che tut­ to si disperde, si ristabilisce la calma, si raccoglie il tranquillo t sicuro buonsenso della vita di ogni giorno e a poco a poco si ricomincia a riunirsi in circoli come quelli sopradescritti. Certo è piacevole vivere così, ma alla fine diventa noioso, spaventosamente noioso. Ciò che più mi dà fa· stidio, nel nostro circolo patriarcale, è il fatto che in es­ so si viene sempre a creare, direi quasi, viene forgiato, un signore della più insopportabile specie. Voi, cari Si· gnori, lo conoscete benissimo. Il suo nome è Legione. È il signore che ha un buon cuore, e che non ha altro all'infuori di questo suo buon cuore. Quasi fosse una rarità, nella nostra epoca, avere un buon cuore! Come se, in fin dei conti, fosse poi cosi necessario avercelo, questo sempiterno buon cuore! Questo signore, dotato di una qualità così bella. si fa avanti nel mondo piena24

.mente convinto che il suo buon cuore possa bastargli per essere eternamente felice e contento. È così sicuro del proprio successo da aver trascurato ogni altro mez­ zo attrezzandosi per il cammino della vita. Egli non co�osce, per esempio, né freno né ritegno. In lui tutto è sbottonato, tutto è palese. Quest'uomo è oltremodo incline ad affezionarsi im­ provvisamente, a fare amicizia, ed è pienamente con­ vinto che tutti, a loro volta, gli si affezioneranno, pro­ prio per il solo fatto che lui riesce ad affezionarsi a tut­ ti. Neanche in sogno il suo buon cuore è mai stato sfio­ rato dall'idea che non basta amare ardentemente, e che bisogna avere l'arte di farsi amare, senza la quale tutto svanisce, la vita non è vita, sia per il suo cuore appas­ sionato, sia per l'infelice da lui prescelto come oggetto di irrefrenabile affetto. Se quest'uomo si farà un ami­ co, ecco che l'amico si trasformerà per lui in un mobi­ le, in qualcosa di simile a una sputacchiera. Ecco che tutto, proprio tutto, «qualsiasi porcheria egli abbia dentro», come dice Gogol', volerà direttamente dalla sua bocca al cuore dell'amico. L'amico sarà a sua volta obbligato a prestare orecchio a tutto e a tutto compati­ re - che il nostro signore sia deluso dalla vita, deluso dalla propria amata o abbia perduto al gioco ., egli, sempre, senza alcun indugio, irrompe, con la delicatez­ za di un orso, con fare del tutto indiscreto, nell'animo dell'amico, dando sfogo senza alcun ritegno a tutte le sue sciocchezze, molte volte senza affatto rendersi con­ to che anche l'amico ha la testa piena dei propri gratta­ capi, che gli sono morti i bambini, che è successa una disgrazia a sua moglie, e che di lui stesso poi, signore dal cuore affettuoso, il suo amico ne ha già fin sopra i capelli. e puzza ormai come una radice amara. Ed è co25

sì che alla fine, con modi più o meno delicati, verrà fat. ta allusione al tempo magnifico del quale si potrebbe approfittare per una solitaria passeggiata. Se poi gli capiterà di innamorarsi di una donna, mi­ gliaia di volte la offenderà col proprio carattere istinti· vo e naturale prima di rendersi conto (se mai sarà capa· ce di farlo) che questa donna ne ha già fin sopra i ca­ pelli del suo amore, che prova quasi ripugnanza a star con lui, che non resiste più e che le ha avvelenato tutta l'esistenza con le inclinazioni da rozzo cavalier serven· te cui lo spinge il suo cuore appassionato. Già, è solamente nell'isolamento, sia esso il suo can­ tuccio o, ancor meglio, il suo circolo, che nasce questa splendida opera della natura, questo campione della nostra materia prima, come dicono gli americani, che non possiede un briciolo d'arte e in cui tutto è natura­ le, tutto è talento innato, senza freno né ritegno. Nella sua assoluta ingenuità un uomo simile dimentica, addi­ rittura non sospetta, che la vita è tutta un'arte, che vi­ vere significa fare di se stessi un•opera d'arte, che sol­ tanto nena comunione degli interessi, nella simpatia per la massa della società e per i suoi più diretti e im­ mediati bisogni, e non nel torpore e nell'indifferenza che disgregano la massa, non nell'isolamento, il suo buon cuore, suo capitale e suo tesoro, potrà diventare un diamante autentico e prezioso! Signore mio Dio! Dove sono andati a finire, Signori miei, i vecchi ribaldi dei melodrammi e dei romanzi del bel tempo andato! Com'era bello quando a questo mondo c'erano anche loro! Ma bello era soprattutt� il fatto che al loro fianco c'era sempre, subito, lì sotto­ mano, il più virtuoso degli uomini, sempre pronto alla fine a difendere l'innocenza e a castigare il male. Que26

ribaldo, questo tiranno ingrato, era tale sin dalla nascita, già bell'e pronto per chissà quale misteriosa e del tutto incomprensibile predestinazione della sorte. Tutto in lui era l'incarnazione del male. Era malvagio sin dal ventre della madre; e questo è niente: i suoi an­ tenati, probabilmente presentendo la sua venuta al mondo, avevano intenzionalmente scelto per lui un co­ gnome del tutto appropriato alla posizione sociale del loro futuro rampollo. Così, già soltanto dal cognome, si sentiva che quest'uomo andava in giro con un coltel­ lo, a sgozzare la gente, cosi, semplicemente, senza al­ cun interesse, Dio solo sa perché. Quasi fosse una mac­ china per sgozzare e distruggere. Quello sì che era bel­ lo! Comprensibile almeno! Adesso invece Dio solo sa di cosa ci parlano gli scrittori. Ecco che adesso, all'im­ provviso, accade che l'uomo più virtuoso, e quanto virtuoso, assolutamente incapace di far del male, risul­ ta improvvisamente essere un vero e proprio malfatto­ re, così, senza che egli stesso se ne renda conto. La co­ sa più irritante però è che nessuno sembra accorgerse­ ne, nessuno ne parla, nessuno glielo fa notare; lo si ve� drà così vivere a lungo, del tutto rispettabilmente, e morire alla fine fra così tante lodi e così tanti onori da suscitare invidia, spesso sinceramente e teneramente compianto, ma, cosa ancor più ridicola, compianto dalla propria vittima. Eppure al mondo esiste ancora tanta saggezza, che è proprio difficile comprendere co· me essa abbia potuto trovar spazio fra di noi. Quanto è stato fatto, a tempo perso, per il bene degli uomini! Eccovi, a mo' di esempio, un avvenimento di questi giorni: Julian Mastakovi�, mio caro conoscente, mio ex benefattore e un po• anche mio protettore, ha deci­ so di sposarsi. A dire il vero, è difficile sposarsi in 510

27

un'età più ragionevole. Non si è ancora sposato, man. cano tre settimane alle nozze, ma ogni sera indossa il suo gilet bianco, la parrucca, tutte le decorazioni compra un mazzo di fiori e delle caramelle, e va a ren. dere omaggio a Graftra Petrovna, sua futura sposa . fanciulla di diciassette anni, del tutto pura e nient'af. fatto incline al male. Il solo pensiero di quest'ultima circostanza dipinge sulle dolci labbra di Julian Masta. kovic un ghiotto sorrisetto. No, c'è poco da dire, è per. sino piacevole sposarsi a questa età. A mio avviso, se proprio devo dire tutta la verità, è addirittura di cattivo gusto sposarsi in gioventù, cioc prima dei trentacinque anni. Un'età da uccellino. Ma quando un uomo è arrivato a quasi cinquant'anni stabilità, decoro, tono; buona posizione fisica e mora· le - be', è un bene, è proprio un bene! E che idea! Un uomo ha vissuto, ha vissuto a lungo, e alla fme se l'è proprio meritato... Per questo mi domandavo perples· so perché mai giorni fa J ulian Mastakovié se n'è stato per tutta un'intera serata a camminare avanti e indie­ tro nel suo studio, con le braccia incrociate dietro la schiena, e con in viso un'espressione così cupa e aspra­ mente stravo1ta che, se nel carattere di quell'impiegato seduto in un angolo deHo stesso studio. assorto in quintali di pratiche urgenti da sbrigare, ci fosse stato qualcosa di fresco, si sarebbe subito inevitabilmente inacidito ad un solo sguardo del suo protettore. Ho ca· pito soltanto adesso cosa stesse rimuginando. Non vorrei neppure parlarne. è una circostanza così futile e insulsa e non riguarda per nulla la gente benpensante. In via Gorochovàja,' al quarto piano che dà sulla strada, c'è un appartamento. Anch'io una volta volevo prenderlo in affitto. Esso è attualmente occupato daJla ,

28

I

moglie, cioè dall'ex moglie, dal momento che è vedo­ va di un assessore, giovane e brava signora dall'aspet­ to 'assai piacevole. Così, ecco che Julian Mastakovic si tor men tava al pensiero di come, una volta sposato, po­ ter continuare ad andare come di solito, sebbene più saltuariamente, a trascorrere la serata da Sof'ja lva­ novna, per discutere con lei della sua causa in tribuna­ le. Due anni fa Sof'ja lvanovna depose in tribunale una certa domanda della quale si occupa Julian Masta­ kovic, che ha molto buon cuore. Ecco perché tante ru­ ghe corrugavano la sua fronte di uomo saggio. Ma alla fine egli indossò il suo gilet bianco, prese il mazzo di fiori e le caramelle, e con aria felice si recò da Grafira Petrovna. Càpitano di queste fortune ad un uomo, pensavo io, ricordando Julian Mastakovic! Già nel fio­ re della sua età matura, un uomo trova una compagna che lo capisce alla perfezione; una fanciulla di dicias­ sette anni, innocente, colta e uscita di collegio da un mese soltanto. Ecco un uomo che vivrà e la cui vita tra­ scorrerà in serenità. e gioia! Ecco, fui preso dall•invi­ dia! La giornata era cosi fangosa e smorta. Me ne an­ davo per la Sennaja. • Ma, io sono unfeuilletoniste, Si­ gnori, è mio dovere parlarvi delle novità più fresche, più palpitanti. Cosi ho dovuto adoperare questo vec­ chio e rispettabile epiteto, probabilmente creato con la speranza che il lettore pietroburghese possa cominciare a palpitare dalla gioia per qualche palpìtante notizia, come per esempio questa: che Jenny Lind" va a Lon­ dra. Già, ma cos'è Jenny Lind per il lettore pietrobur­ ghese? Notizie di questo. tipo ne ha fin troppe, ma qualcosa che lo riguardi più da vicino, qualcosa di ve­ ramente.proprio no. Signori, decisamente non c'è. Ec­ co dunque che io me ne andavo a spasso per la Senna-

29

ja, riflettendo su cosa poter scrivere. La malinconia rni struggeva. Era una mattinata umida e nebbiosa. Pie. troburgo si era svegliata cupa e imbronciata come una stizzosa fanciulla mondana ingiallita dalla collera al ballo della sera prima. È infuriata dalla testa ai piedi. Forse non. ha dormito bene, forse durante la notte ha avuto uno spropositato travaso di bile, forse ha preso freddo e le è venuto un raffreddore, forse la sera prece. dente ha perduto tutto al gioco, come u�n ragazzaccio, fino al punto di doversi alzare, la mattina dopo, con le tasche completamente vuote, inferocita contro le mo. gli cattive e viziate, contro i bambini svogliati e imper· tinenti, contro la rozza marmaglia di servitori irsutL contro i creditori ebrei, i consiglieri canaglie, i calun· niatori e altri delatori - è difficile dirlo con precisio. ne. Ma Pietroburgo era così infuriata che faceva quasi pena guardare le sue umide, immense mura, i suoi marmi, i suoi bassorilievi, le statue, le colonne, che sembravano anch'esse incollerite contro il cattivo tem· po. tremavano e riuscivano appena a serrare i denti tanta era 1•umidità, e il granito nudo e bagnato dei marciapiedi, che sembrava incrinarsi dalla rabbia sotto i piedi dei passanti, e alla fine gli stessi passanti, pallido-verdognoli, cupi, come terribilmente in collera, per la roaggior parte bellamente e accuratamente rasa· ti, e che si affrettavano in qua e in là per adempiere ai propri obblighi. Tutto 1•orizzonte di Pietroburgo aveva un aspetto co·

sì acre ., ma così acre... Pietroburgo teneva ì1 broncio. Era evidente che moriva dalla voglia. come spesso accade in certi casi ad alcuni irascibili signori, di con· centrare tutta la propria malinconica stizza sulla prima persona innocente che gli capitasse sottomano, di litiJO

gare, accapigliarsi senza alcun ritegno con qualcuno una volta per sempre, insultare qualcuno, e dopo svi­ gnarsela, dovunque, ma non rimanere più a nessun co· sto nella selvaggia palude di lngermanland. Persin o il sole, che, per ineluttabili motivi, si era as· sentato durante la notte, agli antipodi, e che era sem· brato volersi affrettare con un cosi affabile sorriso, con un così splendido amore, a baciare il suo marmoc· chio malato e viziato, anche il sole si era fermato a me· tà strada; con stupore e dispiacere aveva guardato il brontolone scontento, il bambino malaticcio e di catti· vo umore, e tristemente si era nascosto dietro nuvole di piombo. Soltanto un raggio chiaro e gioioso, quasi avesse strappato il permesso di andare dagli uomini, fuggi con vivacità per un istante dalla spessa, livida fo· schia, con vivacità cominciò a tintinnare sui tetti delle �e. baluginò sui muri tetri e pieni di umidità, scoppiò in miriadi cli scintille in ogni goccia di pioggia e svanì poi, quasi offeso di tanta solitudine - svanì, come un entusiasmo improvviso, posatosi per caso sulla scettica anima slava, che non potrà fare a meno di vergognar­ sene subito e di disconoscerlo. Su Pietroburgo si stese subito il più malinconico crepuscolo. Era Puna e i ca­ rillons della città sembravano anch'essi incapaci di comprendere con quale diritto li si obbligava a battere una tale ora con una simile oscurità. A questo punto incontrai un convoglio funebre e, da buonfeuilletoniste, subito mi ricordai che febbre e raf· freddore sono a Pietroburgo il problema di maggiore attualità. Erano dei funerali sontuosi. L'eroe di tutto il convoglio, in una ricca bara, solennemente e cerimo· nios amente, piedi in avanti, �i recava nella dimora più comoda del mondo. 31

ja, riflettendo su cosa poter scrivere. La malinconia rni struggeva. Era una mattinata umida e nebbiosa. Pie. troburgo si era svegliata cupa e imbronciata come una stizzosa fanciulla mondana ingiallita dalla collera aJ ballo della sera prima. È infuriata dalla testa ai piedi. Forse non. ha donnito bene, forse durante la notte ha avuto uno spropositato travaso di bile, forse ha preso freddo e le è venuto un raffreddore, forse la sera prece. dente ha perduto tutto al gioco, come ùn ragazz:accio. fino al punto di doversi alzare, la mattina dopo, con le tasche completamente vuote, inferocita contro le mo­ gli cattive e viziate, contro i bambini svogliati e imper. tinenti, contro la roua marmaglia di servitori irsuti, contro i creditori ebrei, i consiglieri canaglie, i calun­ niatori e altri delatori - è difficile dirlo con precisio­ ne. Ma Pietroburgo era così infuriata che faceva quasi pena guardare le sue umide, immense mura. i suoi marmi, i suoi bassorilievi, le statue, le coloMe, che sembravano anch'esse incollerite contro il cattivo tem· po, tremavano e riuscivano appena a serrare i denti tanta era l'umidità, e il granito nudo e bagnato dei marciapiedi, che sembrava incrinarsi dalla rabbia sotto i piedi dei passanti, e alla fine gli stessi passanti, pallido-verdognoli, cupi, come terribilmente in collera. per la maggior parte bellamente e accuratamente rasa· ti, e che si affrettavano in qua e in là per adempiere ai propri obblighi. Tutto l'orizzonte di Pietroburgo aveva un aspetto co­ si acre, ma così acre... Pietroburgo teneva il broncio. Era evidente che moriva dalla voglia, come spesso accade in certi casi ad alcuni irascibili signori, di con­ centrare tutta la propria malinconica stizza sulla prima persona innocente che gli capitasse sottomano, di liti· 30

gare, accapigliarsi senza alcun ritegno con qualcuno una volta per sempre, insultare qualcuno, e dopo svi­ gnars ela, dovunque, ma non rimanere più a nessun co­ sto nella selvaggia palude di lngerm.anland. Persino il sole, che, per ineluttabili motivi, si era as­ sentato durante la notte, agli antipodi, e che era sem­ brato volersi affrettare con un cosi affabile sorriso, con un cosi splendido amore, a baciare il suo marmoc­ chio malato e viziato, anche il sole si era fermato a me­ tà strada; con stupore e dispiacere aveva guardato il brontolone scontento, il bambino malaticcio e di catti­ vo umore, e tristemente si era nascosto dietro nuvole di piombo. Soltanto un raggio chiaro e gioioso, quasi avesse strappato il permesso di andare dagli uomini, fuggi con vivacità per un istante dalla spessa, livida fo­ schia, con vivacità cominciò a tintinnare sui tetti delle case, baluginò sui muri tetri e pieni di umidità, scoppiò in miriadi di scintille in ogni goccia di pioggia e svanì poi, quasi offeso di tanta solitudine - svanì, come un entusiasmo improvviso, posatosi per caso sulla scettica anima slava, che non potrà fare a meno di vergognar­ sene subito e di disconoscerlo. Su Pietroburgo si stese subito il più malinconico crepuscolo. Era l'una e i ca­ rillons della città sembravano anch'essi incapaci di comprendere con quale diritto li si obbligava a battere una tale ora con una simile oscurità. A questo punto incontrai un convoglio· funebre e, da buonfeui/letoniste, subito mi ricordai che febbre e raf­ freddore sono a Pietroburgò il problema di maggiore attualità. Erano dei funerali sontuosi. L'eroe di tutto i1 convoglio, in una ricca bara, solennemente e cerimo­ niosamei;ite, piedi in avanti, si recava nella dimora più · ·· comoda del mondo. 31

Una lunga schiera di cappuccini, spezzando co n le I pesanti scarpe i ramoscelli di abete sparsi, effondeva lungo tutta la strada un acre odore di resina. Il cappe}. lo a pennacchi, poggiato sulla bara, secondo il rituale, rendeva noto ai passanti il grado dell'alto funzionario. Dietro di lui, su alcuni cuscini, si dispiegavano le deco­ razioni. Accanto alla bara, singhiozzava, inconsolabi­ le, un colonnello dai capelli ormai canuti, probabil­ mente genero del defunto, o forse anche un cugino. Nella lunga ftla di carrozze apparivano, com'è d'uso, dei volti forzatamente tristi, bisbigliava il pettegolezzo che sfida la morte, e allegramente ridevano i bambini. come bianche prefiche. Mi prese un po' d'angoscia, di insofferenza e, nello stato d'animo di uno desideroso di prendere qualcuno a parolacce, senza avere invece nessuno con cui rifarsela, persino profondamente tur­ bato in volto, accolsi con allegria la cortesia di un ca­ vallo che se ne stava tranquillamente in fila sulle sue quattro zampe, flemmatico e sfinito, il quale, avendo già da tempo finito di masticare l'ultimo ciuffo di fie­ no rubato al carro vicino, aveva deciso, non sapendo più che fare, di fare una cosa spiritosa, cioè di scegliere il più burbero e assorto fra i passanti (per il quale mi aveva molto probabilmente scambiato), di afferrarlo leggermente per il collo o per la manica per poi tirarlo a sé e, come se nulla fosse stato, dopo avermi fatto tra­ salire e avermi completamente distolto dal mio ango­ scioso pensiero del mattino. mettermi in mostra tutto il suo muso virtuoso e peloso. Povero ronzino! Tornai a casa e mi accinsi a scrivere la mia cronaca ma, senza • •• • • • • • sapere 10 stesso come, apru una nv1sta e com1nc1a1 a leggere un racconto. _ Vi era descritta una tetra famiglia moscovita del ceto 32

nicdio. Vi si discuteva anche di amore, n1a l'amore .:: Lln argomento che io non amo nelle n1ie letture, Signo­ ri non so voi. Fui come trasportato a Mosca, nella 1dn1ana patria. Se non avete letto questo racconto, Si­ anori, leggetelo. In verità, cosa potrei dirvi di più nuo­ :0 e di migliore? Che sul Nevskij Prospekl fioriscono nuovi omnibus, che la Nevà è stata al centro dell'atten­ zione generale per l'intera seuimana, che nei salotti si continua ancora a sbadigliare, a giorni stabiliti, atten­ dendo con impazienza l'estate? Questo forse? Ma que­ sco, Signori, credo vi sia già venuto a noia da un bel po'. Ecco che avete appena fini10 di leggere la descri­ zione di un mattino nordico. Non è vero che c'è parec­ chia malinconia? Allora, in un'ora piovosa, di un mal· tino ugualmente piovoso, leggete questo racconto su una piccola famiglia moscovita, e sulla rottura di uno specchio in famiglia. È come se io, nella mia infanzia, avessi già visto questa povera Anna lvanovna, la ma­ dre di famiglia, e mi sen1bra di conoscere anche Ivan Kirilovié. Ivan Kirilovié è· un buon uomo; soltanto che, nei n1on1enti in cui è più brillo, quando si sente più spaval­ do, ama qualche scherzetto. Per esempio, sua moglie è malata e ha sempre paura della morte. Ecco che lui co­ mincia a scherzare davanti alla gente e per ridere fa ca­ dere il discorso su come si risposerà quando rimarrà vedovo. La mogJie tiene duro, 1iene durò e abbozza un sorriso, con enorme sforzo, che fare? Che carattere terribile ha il marito! Ecco che si è rotta la teiera; costa parecc hio, è vero, ma comunque davanti ad estranei è imbarazzante quando il marito comincia a rimprove­ rarla e ijd accusarla di goffaggine. Ecco che è cominciata la settimana grassa. Ivan Kiri33

lovic non era in casa. Per la serata si sono riunite, quii. si di nascosto. molte giovani amichette di Olen'ka, la figlia maggiore. C'erano anche molti giovanotti, e dei bambini piuttosto vivaci; c'era anche un certo Pav el Lukiè, il quale si adatterebbe proprio bene ad un ro. manzo di Walter Scott. Fu questo Pavel Lukic a creare uno scompiglio vero e proprio organizzando una mosca cieca. Come se la povera malata Anna lvanovna lo avesse presentito� Eppure, trascinata dal desiderio generale, aveva per. messo che si giocasse a mosca cieca. Ah, Signori, m\· parso di tornare a quindici anni fa, quando anch'io giocavo a mosca cieca! Che gioco! E questo Pavel Lu­ kiè! Non per nulla Sasenka dagli occhi neri, amica di Olen'ka, spalle al muro e tremando nell'attesa, sussur­ ra che ormai è perduta. È terribile questo Pavel Lukic, ed è lui che ha gli ·occhi bendati. Successe così che i bambini più piccoli si rannicchiarono in un angolo dic· tro una sedia e fecero del rumore vicino allo specchio; Pavel Lukic si precipitò in direzione del rumore, lo specchio vacillò, si staccò dai ganci arrugginiti e volò, al di sopra della sua testa, giù sul pavimento, fran1u­ mandosi in mille pezzi. Ebbene! Leggendo mi sembra· va quasi di essere stato io a rompere lo specchio! Quasi fossi io colpevole di tutto. Anna lvanovna impallidì. Tutti furono presi da timor panico e si sparpagliaro· no in qua e in là. Cosa sarebbe accaduto? lo attendevo con ansia e paura il ritorno di Ivan Ki· rilovic. Pensavo ad Anna Ivanovna. Ecco che verso la mezzanotte lui torna a casa ubria· co. La velenosa e pettegola nonna, un tipo mosco vita vecchio stampo, gli andò incontro sul pianerottolo e 34

.,li bisbigliò qualcosa all'orecchio, verosimilmente :un'accaduta sciagura. Il mio cuore cominciò a battere : all'improvviso si scatenò la tempesta, all'inizio con ;uo ni e fulmini, poi sempre più piano; sentivo la voce di Anna lvanovna, cosa sarebbe accaduto? Tre giorni dopo la poveretta giaceva a letto, il mese dopo moriva di !isi maligna. Ma come? Così, per uno specchio rotto? E davvero possibile? A quanto pare sì; lei morì. La descrizione degli ultimi istanti di questa vi­ ta mite e silenziosa emanava un certo fascino alla Dick­ ens! È un buon uomo anche Ivan Kirilovi�. Perse quasi la ragione. Egli stesso correva in farmacia, litigava col dottore e non finiva di lamentarsi della pena nella qua­ le la moglie lo lasciava. Già, mi ha ricordato molte co­ se. Di famiglie del genere a Pietroburgo se ne trovano molte. Ho conosciuto personalmente un Ivan Kirilo­ vic. E dappertutto non mancano. Se vi ho parlato di questo racconto, Signori, è perché io stesso avevo in1enzione di raccontarvene uno... Ma sarà per un'altra volta. A proposito di letteratura. È corsa voce che molti siano soddisfatti della stagione letteraria invernale. Non c'è stato nulla che abbia fatto clamore, nessuna parcicolare vivacità, né dispute all'ultimo sangue; ep­ pure sono apparse delle nuove riviste e dei nuovi gior­ nali. È come· se tutto fosse fatto con più serietà, con pili rigore: in tutto c'è più armonia, più maturità, più riflessione e più accordo. È vero, il libro di Gogol' ha destato molto scalpore all'inizio dell'inverno. Par­ ric olar mente rilevante è il fatto che quasi tutti i gior­ nali e le riviste, le cui tendenze sono costantemente in contraddizione, siano stati questa volta unanimi nel �iudizio. 6

35

Scusate, dimenticavo la cosa più importante. Ci ho pensato sempre mentre raccontavo e poi mi era sfuggi. ta. Ernst dà un altro concerto; l'incasso andrà a favore della Società di soccorso ai poveri e a favore della So. cietà germanica di beneficenza. Inutile dire che il teatro sarà pieno. ne siamo con. vinti.

36

11 maggio 1847 Sapete, Signori, cosa significhi, nella nostra grande capitale, un uomo che ha sempre in serbo qualche noti­ zia, ancora da tutti ignorata, e che per di più possieda il talento di saperla raccontare in maniera piacevole? A mio avviso. è quasi un grand'uon10! Avere in serbo una notizia è senza dubbio meglio che possedere un ca­ J)ilale. Un pietroburghese .sente già in anticipo una ve­ ra voluttà spirituale quando viene a conoscenza di qualche notizia rara e vola a raccontarla: la voce gli si affievolisce, trema dal piacere, e il suo cuore sembra immergersi in un bagno di essenza di rose. In quell'istante, nell'istante in cui non ha ancora reso no­ ta la notizia, mentre si sta precipitando dai suoi amici sul Nevskij Prospèk 1, si sente come liberato di colpo da tutti i suoi guai; arriva persino a guarire (a quanto risulta) dalle più radicate malattie, e perdona anche con piacere i suoi nemici. È sereno e grande. Perché mai? Perché in quest'attimo così solenne il pietrobur­ ghese percepisce tutta la sua dignità, la sua importanza e si rende giustizia. Ma non è tutto. Conosco, ma pro37

babilmente conoscete anche voi, Signori. n1ohe per,,.,. ne alle quali mai (se non in circoslanze eccezionali) ,i permetterebbe di varcare per la seconda volta la ponc1 dell'anticamera e neanche di far visita al vostro carne. riere. Male! Questa stessa persona capisce di essere lu1 stesso colpevole, e somiglia molto a un cagnolino con la coda fra le gambe, le orecchie abbassate, e aspcua In svolgersi degli eventi. Ed ecco che improvvisamente ar­ riva il momento: quella stessa persona suona alla \'l). stra porta fieramente e con aria soddisfatta passa al·· canto al lacchè stupefatto, vi porge la mano con disin­ voltura e col volto raggiante; capirete subito allora che egli è nel pieno diritto di agire cosi, dal momento che� in possesso di una notizia, di un pettegolezzo o di qual­ cosa di veramente piacevole; senza un simile motivo. questo signore non avrebbe mai osato entrare da voi. E voi lo ascoltate anche con piacere, sebbene in ciò non somigliate affatto a quella rispettabile dama del gran mondo, che, pur non amando le notizie, ascoltava con piacere raneddoto della moglie che aveva fatto impa ­ rare l'inglese ai bambini e picchiava il marito. Il pette· golezzo e cosa stuzzicante, Signori! Mi son detto spc�­ so: e se apparisse qui da noi, a Pietroburgo. un simil� talento, che rivelasse qualcosa di veramente nuovo per il piacere della vita in società, qualcosa di così nuovo che non ci sia stato ancora niente di simile in alcun paese? - Be', non so proprio quale fortuna non riu· scirebbe ad accumulare un uomo simile. Ma -noi dob­ biamo cavarcela con i nostri miseri animatori, i nostri scrocconi e i nostri burloni. Che maestri! La natura umana è veramente un prodigio! All'improvviso, e, at· tenzione, niente affatto per bassezza, l'uomo fa di se stesso qualcosa che non è un uomo, ma un insetto . il 38

più umile e p!ccolo degli insetti. li suo �iso si tras_forma e si ricop re di umore, ma no, no, che dico, non d1 umo­ re. ma di un particolare colorito raggiante. All'im­ pro \'viso la sua statura si fa incomparabilmente più bassa della vostra. Si annienta totalmente ogni indi­ pendenza, egli vi guarda negli occhi proprio come un cucciolo che aspetta lo zuccherino. Ma non basta: per quanto indossi uno splendido frac, in un momenco di grande espansività, si stende per terra, batte gioiosa­ mente la coda, mugola, si lecca e non addenta lo zuc­ cherino fino alla parola