Contro i diritti umani


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Contro i diritti umani

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Slavoj ZiZek Contro i fliritti umani

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* Cominciamo con il fondamentalismo. In questo caso, il male (per parafrasare Hegel) spesso risiede nello sguardo che lo percepisce. Prendiamo a esempio il caso dei Balcani durante gli anni novanta, teatro di diffuse violazioni dei diritti umani. In quale momento i Balcani, da regione sudorientale dell'Europa, sono diventati "i Balcani", con tutto ciò che significa oggi per l'immaginario ideologico europeo? La risposta è: a metà del XIX secolo, proprio quando i Balcani furono investiti dagli effetti della modernizzazione europea. Lo scarto fra le prime percezioni dell'Europa occidentale e l'immagine "moderna" è impressionante. Già nel XVI secolo il naturalista francese Pierre Belon notava che «i turchi non costringono nessuno a vivere come turchi». Non c'è da sorprendersi, quindi, che tanti ebrei abbiano trovato asilo e libertà religiosa in Turchia e in altri paesi mu12

sulmani, dopo che Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia li avevano espulsi dalla Spagna nel 1492; con il risultato che, per un sublime ribaltamento ironico, i viaggiatori occidentali erano infastiditi dalla presenza degli ebrei nelle grandi città turche. Scegliamo, tra i molti esempi possibili, un racconto di N. Bisani, un italiano che visitò Istanbul nel 1788:

Uno straniero che abbia visto l'intolleranza di' Londra e Parigi, sarebbe senz'altro molto sorpreso nel trov{J,re qui una chiesa situata tra una moschea e una sinagoga, e un derviscio a fianco di un frate cappuccino. Non so come questo governo possa aver accolto nel suo seno religioni tanto diverse dalla propria. Dev'essere a causa della degenerazione della religione di Maometto che può prodursi questo felice contrasto. Ancora più sorprendente è riscontrare che questo spirito di tolleranza è molto diffuso tra la gente comune; 13

si possono vedere turchi, ebrei, cattolici, armeni, greci e protestanti trattare insieme di affari o conversare con molta più armonia e benevolenza che se fossero della stessa nazione e religione. 1 La caratteristica che oggi l'Occidente celebra come segno della sua superiorità culturale - lo spirito e la pratica della tolleranza multiculturale - viene dunque condannata come un effetto della "degenerazione" islamica. Lo strano destino dei frati trappisti di Étoile Marie è altrettanto significativo. Espulsi dalla Francia sotto il regime napoleonico, si stabilirono in Germania, ma furono cacciati nel 1868. Poiché nessun altro stato cristiano era disposto ad accoglierli, chiesero al sultano il permesso di comprare del terreno vicino a Banja Luka, nella parte serba dell'odierna Bosnia, dove vissero felicement_e, almeno finché non furono coinvolti nei conflitti fra cristiani nei Balcani. 14

* Da dove hanno avuto origine, dunque, i tratti fondamentalisti - l'intolleranza religiosa, la violenza etnica, la fissazione su un trauma storico- che ora l'Occidente associa a "i Balcani"? Evidentemente dall'Occidente stesso. In un chiaro esempio di "determinazione riflessiva" hegeliana, gli europei occidentali nei Balcani osservano e deplorano ciò che essi stessi vi hanno introdotto; ciò che combattono è la loro stessa eredità storica finita fuori controllo. Non dimentichiamoci che i due grandi crimini etnici imputati ai turchi nel XX secolo, il genocidio armeno e la persecuzione dei curdi, non sono stati compiuti da forze politiche musulmane tradizionaliste, ma dai modemizzatori militari che tentavano di liberare la Turchia dalla zavorra del suo vecchio mondo e di trasformarla in uno stato-nazione europeo. La vecchia battuta di Mladen Dolar, «l'inconscio europeo è strutturato come 1 15

Balcani», che si basa su una puntuale lettura dei riferimenti di Freud a questa regione, è dunque letteralmente vera: attraverso l' Alterità dei "Balcani", l'Europa prende coscienza dello "straniero dentro di sé", del proprio

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rllnOSSO.

Possiamo verificare inoltre come l' essenzializzazione "fondamentalista" di caratteristiche contingenti sia essa stessa una peculiarità della democrazia liberal-capitalista. Va di moda lamentarsi che la vita privata è minacciata, o che addirittura sta sparendo di fronte ali' abilità dei media nell'esporne in pubblico i dettagli più intimi. È vero, a condizione che si ribaltino i termini della questione: ciò che sta effettivamente sparendo è la vita pubblica, la sfera pubblica in senso proprio, nella quale ciascuno opera come agente simbolico che non può venir ridotto a individuo privato, a un fascio di attributi, desideri, traumi e 16

idiosincrasie personali. Il luogo comune della "società del rischio,, secondo il quale l'individuo contemporaneo si sente completamente "denaturalizzato,,, considerando anche i tratti più "naturali" quali l'identità etnica e le preferenze sessuali come oggetti di scelta storicamente determinati, è profondamente fuorviante. Oggi stiamo assistendo al processo opposto: un'inaspettata naturalizzazione. Tutte le grandi questioni pubbliche vengono tradotte in misure per la regolazione di idiosincrasie "naturali,, o "personali,,.

Questo spiega perché, a un livello più generale, i conflitti etnico-religiosi pseudonaturalizzati sono la forma di lotta che meglio si adatta al capitalismo globale. Nell'epoca della postpolitica, in cui la politica vera e propria viene progressivamente sostituita da un' amministrazione sociale specializzata, le tensioni culturali (religiose) o naturali (etniche) sono l'uni17

ca fonte legittima di conflitto rimasta. E la "valutazione" è la regola di promozione sociale che più si adatta a questa rinaturalizzazione. Forse è giunto il momento di riaffermare, come verità della valutazione, la logica perversa cui Marx si riferisce ironicamente nella sua descrizione del feticismo della merce, citando l'ammonimento di Dogberry a Seacol, alla fine del primo capitolo del Capz'tale: «Essere un uomo di bell' aspetto è un dono delle circostanze, ma saper leggere e scrivere è cosa che ci viene dalla natura!». Oggi, essere un esperto di computer o un manager di successo è un dono di natura, ma avere belle labbra o begli occhi è un fatto di cultura.

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Scelta non libera

A proposito di libertà di scelta, ho già parlato altrove della pseudoscelta offerta agli adolescenti delle comunità amish che, dopo aver ricevuto la più rigida delle educazioni, all'età di diciassette anni sono incoraggiati a immergersi in ogni eccesso della cultura capitalistica contemporanea, un turbine di auto veloci, sesso sfrenato, droghe, alcol e così via. 2 Dopo un paio d'anni, possono scegliere di tornare allo stile di vita amish. Cresciuti senza conoscere la società americana, i più giovani sono del tutto impreparati a fare i conti con questa permissività, che nella maggioranza dei casi suscita in loro una paura intollerabile. La 21

maggior parte opta per il ritorno all'isolamento delle proprie comunità. È un esempio perfetto delle difficoltà che invariabilmente accompagnano la "libertà di scelta": anche se formalmente si offre ai giovani amish una scelta libera, le condizioni nelle quali sono costretti a operarla rende la scelta non libera.

Il problema della pseudoscelta svela i limiti del classico atteggiamento liberale nei confronti delle donne musulmane che portano il velo: è accettabile solo se si tratta di una scelta libera e non di un'imposizione del marito o della famiglia. Tuttavia, se una donna indossa il velo per scelta personale, il significato cambia completamente: non è più il segno dell'appartenenza alla comunità musulmana, ma un'espressione di individualità idiosincratica. In altre parole, una scelta è sempre una metascelta, una scelta della modalità della scelta stessa: solo la donna che sceglie di 22

non portare il velo compie effettivamente una scelta. E' il motivo per cui, nelle nostre democrazie laiche e liberali, le persone che conservano un forte credo religioso si trovano in una posizione subordinata: la loro fede viene "tollerata" in quanto scelta personale, ma quando mostrano pubblicamente ciò che essa rappresenta per loro - una questione di appartenenza - vengono accusati di "fondamentalismo". Evidentemente, la "scelta libera soggettiva", in senso "tollerante" e multiculturale, emerge solo come risultato di un processo estremamente violento di sradicamento da ogni particolare. Mondo della vita.

La concreta efficacia del concetto ideologico di scelta libera all'interno della democrazia capitalista è stata ben illustrata dalla sorte del programma di riforma sanitaria, assai moderato, varato dall'amministrazione Clinton. La lobby della sanità (due volte più potente del23

la famigerata lobby della difesa) è riuscita a convincere l'opinione pubblica che un sistema sanitario per tutti avrebbe minacciato la libertà di scelta in questo campo. Contro questa convinzione, ogni enumerazione di fatti inconfutabili si è dimostrata inefficace. Ci troviamo proprio nel centro nevralgico dell'ideologia liberale: la libertà di scelta, fondata sul concetto di soggetto "psicologico" dotato di inclinazioni che si sforza di realizzare. E questo vale in modo particolare oggi, nel1'era della "società del rischio", nella quale l'ideologia dominante spaccia l'insicurezza causata dallo smantellamento dello stato sociale come un'opportunità per nuove libertà. Se la flessibilizzazione del lavoro significa che devi cambiare lavoro ogni anno, perché non considerarla una liberazione dalle catene di una occupazione fissa, come una possibilità di reinventare te stesso e realizzare il potenziale nascosto della tua personalità? Se si verifica un taglio dell'assistenza sanitaria e delle 24

pensioni che comporta la necessità di una copertura integrativa, perché non considerarla un'opportunità in più di scegliere: una migliore qualità della vita adesso, o la sicurezza a lungo termine? Se questo ragionamento ti spaventa, gli ideologi della «seconda modernità" concluderanno che desideri "sfuggire alla libertà", che sei attaccato in modo immaturo a vecchie forme di stabilità. Ancor meglio, se questo discorso viene ricondotto all'ideologia del soggetto come individuo "psicologico" che trabocca di capacità naturali, tenderai automaticamente a interpretare tutti questi cambiamenti come un effetto della tua personalità, anziché delle forze di mercato che ti travolgono.

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La politica della jouissance

E il diritto fondamentale alla ricerca del piacere? La politica contemporanea si concentra sempre di più sui modi per suscitare o controllare la jouz'ssance. L'opposizione tra l'Occidente liberale e tollerante e l'Islam fondamentalista viene .sempre più spesso schematizzata come l'opposizione tra il diritto delle donne a una sessualità libera, che prevede la libertà di mostrarsi o di esibirsi e di provocare o turbare gli uomini, da una parte, e i disperati tentativi maschili di sopprimere o controllare questa minaccia, dall'altra. (Pensiamo per esempio al divieto talebano dei tacchi a spillo per le donne, come se il ticchettio 29

di un paio di scarpe femminili proveniente da un burga che nasconde tutto potesse avere un richiamo erotico irresistibile.)

Le due parti, com'è ovvio, rivestono le proprie posizioni di argomentazioni ideologiche e morali. Per l'Occidente, il diritto delle donne di esporsi al desiderio maschile in modo provocante è legittimato in quanto diritto di gestire il proprio corpo. Per l'Islam, il controllo della sessualità femminile viene legittimato come difesa della dignità della donna contro la sua riduzione a oggetto dello sfruttamento maschile. Dunque si può affermare che, proibendo alle ragazze musulmane di portare il velo a scuola, lo stato francese le ha messe in condizione di disporre liberamente del proprio corpo. Ma si può anche aggiungere che per i critici del fondamentalismo islamico il vero trauma è stato scoprire che alcune donne si sottraevano al gioco di rendere il pro30

prio corpo disponibile per la seduzione sessuale, o per lo scambio sociale che essa comporta. In un modo o nell'altro, questioni dibattute come i matrimoni e le adozioni gay, l'aborto, il divorzio, hanno a che fare con questo. I due poli hanno in comune un approccio strettamente disciplinare, seppure con orientamenti diversi: i "fondamentalisti" disciplinano il modo in cui le donne devono apparire per prevenire la provocazione sessuale; i femministi liberali politicamente corretti impongono una non meno severa regolamentazione del comportamento tesa a limitare le molestie.

L'atteggiamento liberale nei confronti del1' altro è caratterizzato sia dal rispetto per l' alterità, dall'apertura verso di essa, sia da una paura ossessiva delle molestie. In breve, l'altro è il benvenuto finché la sua presenza non è intrusiva, finché non è davvero l'altro. La 31

tolleranza, dunque, coincide con il suo opposto. Il mio dovere di essere tollerante nei confronti dell'altro in realtà significa che non devo avvicinarmi troppo a lui, non devo introdurmi nel suo spazio; in breve, che devo rispettare la sua intolleranza nei confronti della mia eccessiva vicinanza. Sta emergendo sempre più, come diritto umano centrale delle società capitaliste avanzate, il diritto di non essere molestato, ovvero di rimanere a una distanza di sicurezza dagli altri. Lo stesso accade per la logica emergente del militarismo umanitario o pacifista. La guerra è accettabile nella misura in cui ha di mira la pace, o la democrazia, o la creazione delle condizioni per distribuire aiuti umanitari. E questa logica non si ritrova forse in modo ancor più evidente quando si parla di democrazia e diritti umani? I diritti umani vanno bene se "ripensati" fino a includere la tortura e lo stato d'emergenza permanente. La democrazia va bene se viene purificata da tutti i suoi eccessi 32

populisti e limitata a coloro che sono abbastanza maturi per metterla in pratica.

Prigionieri del circolo vizioso dell'imperativo della jouissance, la tentazione è di scegliere quello che appare il suo opposto naturale, ovvero la rinuncia violenta alla jouissance. Questo è forse il leitmotiv del cosiddetto fondamentalismo, il tentativo di contrastare (ciò che esso percepisce come) l'eccessivo "edonismo narcisistico" della cultura laica contemporanea attraverso un _appello per reintrodurre lo spirito di sacrifi~io. Una prospettiva psicoanalitica ci permette di comprendere immediatamente perché un tale tentativo sia fallimentare. Il gesto stesso di mettere da parte il godimento - "Basta con l' autoindulgenza decadente! Rinuncia e purificazione!" - produce un surplus di godimento. Tutti gli universi "totalitari" che pretendono dai loro sottoposti un violento (auto)sacrificio alla causa non emana33

no forse il cattivo odore dell'attrazione per una jouzssance letale e oscena? D'altra parte, una vita orientata al conseguimento dei piaceri richiederà la dura disciplina di uno "stile di vita sano" - jogging, dieta, relax - per essere goduta al massimo. L'ingiunzione superegoica a godersela è intimamente intrecciata alla logica del sacrificio. Le due formano un circolo vizioso, nel quale ciascun estremo corrobora l'altro. La scelta non è mai semplicemente tra fare il proprio dovere e andare alla ricerca di piaceri e soddisfazioni. Questa scelta elementare si sdoppia sempre in una scelta ulteriore, quella tra elevare la ricerca del piacere a dovere supremo o, invece, fare il proprio dovere non per dovere ma per la gratificazione che ciò comporta. Nel primo caso, i piaceri sono il ·mio dovere, e la ricerca "patologica" del piacere è collocata nello spazio formale del dovere. Nel secondo caso, il dovere è il mio piacere, e fare il mio dovere è collocato nello spazio formale della soddisfazione "patologica". 34

Difesa contro il potere?

Ma anche se i diritti umani, intesi come opposizione al fondamentalismo e come ricerca della felicità, ci portano a contraddizioni irrisolvibili, dopo tutto non sono forse una difesa contro l'eccesso di potere? Nelle sue analisi del 1848, Marx ha definito la strana logica del potere come "in eccesso" per propria natura. Nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte e nelle Lotte di classe in Francia ha "complicato,, dialetticamente la logica della rappresentanza sociale (gli agenti politici che rappresentano forze e classi economiche). Nel fare questo, egli si è spinto molto più lontano rispetto alle "complicazioni" generalmente intese, se37

condo cui la rappresentanza politica non rispecchia mai direttamente una struttura sociale. Un singolo agente politico, per esempio, può rappresentare diversi gruppi sociali; o una classe può rinunciare alla sua rappresentanza diretta e lasciare a un altro il compito di salvaguardare le condizioni politico-giuridiche del proprio ruolo, come ha fatto la classe capitalista inglese demandando ali' aristocrazia l'esercizio del potere politico. Le analisi di Marx vanno in direzione di ciò che Lacan, più di un secolo dopo, avrebbe definito la "logica del significante". A proposito del Partito dell'Ordine, formatosi dopo il fallimento dell'insurrezione di giugno, Marx scrisse che solo dopo la vittoria elettorale di Luigi N apoleone, avvenuta il 1O dicembre, che permise di "sciogliere" la sua congrega di repubblicani borghesi,

si era rivelato il segreto della sua esistenza: la coaNzione degli orleanisti e dei legittimisti in 38

un unico partito. La classe borghese era divisa in due grandi/razionl che avevano avuto alternativamente il monopolio del potere: la grande proprietà fondiaria sotto la monarchia restaurata, l'aristocrazia finanziaria e la borghesia industriale sotto la monarchia di luglio. Borbone era l'appellativo regio che indicava l'influenza preponderante degli interessi dell'una, Orléans l'appellativo regio che indicava l'influenza preponderante degli interessi dell'altra /razione: il regno anonimo della repubblica era l'unico in cui ambedue le /razioni potessero, con ugual potere, difendere il comune interesse di classe, senz,a rinunciare alla loro rivalità reciproca. 3 Questa, dunque, la prima complicazione. Quando sono in gioco due o più gruppi socioeconomici, l'interesse comune può essere rappresentato solo come negazione della loro premessa condivisa: il comune denominatore delle due fazioni realiste non era la monar39

chia, ma la repubblica. (Allo stesso modo, oggi, l'unico agente politico che rappresenta davvero gli interessi del capitale in quanto tale, nella sua universalità al di là di tutte le particolari fazioni, è la Terza Via ''social-liberale" .) In seguito, nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Marx ha dissezionato la composizione della Società del 1Odicembre, l'esercito privato di Luigi Napoleone:

Accanto a roués in dissesto} dalle risorse e dalle origini equivoche; accanto ad avventurieri corrottz'fecda della borghesia, vi si trovavano vagabondi, soldati" in congedo} forz.ati usdtz" dal bagno} galeotti evasi, birbe} furfanti, lav.aroni, tagliaborse} ciurmatori: bari: ruffiani: tenutari· di postriboli, facchini, letterati, sonatori ambulanti, stracdvendoli, a-rrotini, stagnini: accattoni, in una parola, tutta la massa con/usa} decomposta} fluttuante, che i francesi chiamano la "bohème}}. Con questi elementi a lui a/fini Bonaparte aveva costituito il nucleo della Sodetà del 10 di40

cembre. [... ]Questo Bonaparte- che si erge a capo del sottoproletariato, che soltanto in questo ambiente ritrova in forma di massa gli interessi da lui personalmente perseguiti, che in questo rifiuto, in questa feccia, in questa schiuma di tutte le classi riconosce la sola classe su cui egli si può appoggiare senza riserve - è il vero Bonaparte, il Bonaparte sans phrases. 4 La logica del Partito dell'Ordine raggiunge qui . il suo culmine. Così come l'unico denominatore comune di tutte le fazioni monarchiche è la repubblica, l'unico denominatore comune di tutte le classi è l'eccesso escrementizio, il rifiuto, le scorie di tutte loro. Ovvero, siccome il leader si considera al di sopra degli interessi di classe, la sua classe di riferimento immediata può essere solo il resto escrementizio di tutte le altre classi, la non classe rifiutata di ciascuna classe. E, come argomenta Marx in un altro passaggio, è proprio questo sostegno ricevuto dai "socialmente abbietti" che per41

mette a Bonaparte di cambiare posizione a piacimento, rappresentando di volta in volta una classe contro le altre.

Bonaparte, come Jow del potere esecutivo resosi indipendente, sente che la sua missione consiste nell'assicurare "l'ordine borghese)). Ma la forza di quest'ordine borghese è la classe media. Egli si considera perciò rappresentante della classe media e in questo senso emana decreti'. Ma egli è diventato qualche cosa solo perché ha spezzato il potere polz'tico di questa classe media e ogni giorno torna a spezzarlo. Pera·ò si considera avversario del potere politt'co e letterario della classe media. 5 Ma c'è di più. Affinché questo sistema funzioni - ovvero affinché il leader possa rimanere al di fuori delle classi e non debba agire come rappresentante diretto di una classe particolare - deve agire come il rappresentante di una classe particolare: per la preci42

sione, di quella classe che non è sufficientemente strutturata per agire come un agente unitario che richiede una rappresentanza attiva. Questa classe, formata da persone che non possono rappresentare se stesse e che quindi possono solo essere rappresentate, è ovviamente la classe dei contadini diseredati,

che formano una massa numerosa, i cui membri vivono in condizioni di vita simili: ma senza entrare in relazioni articolate uno con l'altro. Il loro modo di produzione li isola l'uno dall'altro anziché riunirli insieme. [.. .] Sono quindi incapaci di far valere i loro interessi nel loro nome, sia attraverso un parlamento, sia attraverso una Convenzione. Non possono rappresentare se stessi:· debbono farsi rappresentare. Il loro rappresentante deve in pari tempo apparire loro come il loro padrone, come un'autorità che si impone loro, come un potere governativo illimitato, che li difende dalle altre classi e distribuisce loro dall'alto il sole e la pioggia. 43

L'influenza politica del contadino piccolo proprietario trova quindi la sua ultima espressione nel fatto che il potere esecutivo subordina la società a se stesso. 6 La compresenza di queste tre caratteristiche determina la struttura paradossale della rappresentanza populista-bonapartista: essere al di sopra di tutte le classi, spostarsi da una ali' altra, implica il far affidamento diretto sul rifiuto/scoria di tutte le classi, e in più sulla classe di coloro che sono incapaci di agire come un agente collettivo che pretende una rappresentanza politica. Questo paradosso è fondato sull'eccesso costitutivo della rappresentanza sul rappresentato. A livello legale, il potere dello Stato rappresenta semplicemente gli interessi dei suoi cittadini; è al loro servizio, ne è responsabile, ed è esso stesso soggetto al loro controllo. Tuttavia, a livello del lato nascosto superegoico, il messaggio pubblico della responsabilità ha come supple44

mento il messaggio osceno dell' eserciz~o incondizionato del potere: "Le leggi non mi legano veramente, posso fare tutto ciò che voglio: se decido di farlo, posso trattarti come un colpevole, posso distruggerti a mio piacimento". Questo eccesso osceno è necessariamente costitutivo del concetto di sovranità. L'asimmetria, in questo caso, è strutturale: la legge può avvalorare la sua autorità solo se i cittadini sentono in essa l'eco di un'autoaffermazione del potere oscena e incondizionata.

Questo eccesso del potere ci conduce al1' argomento più importante contro i "grandi" interventi politici che hanno di mira la trasformazione mondiale: le terrificanti esperienze del XX secolo, una serie di catastrofi e disastri di violenza inusitata. Ci sono tre teorie principali per spiegare queste catastrofi. La prima è la linea argomentativa legata al 45

nome di Habermas: l'Illuminismo in se stesso è un processo positivo ed emancipatorio che non contiene alcun potenziale "totalitario" al suo interno; le catastrofi accadute indicano semplicemente che esso rimane un progetto non finito, e il nostro compito dovrebbe essere quello di portarlo a termine. La seconda linea è quella associata alla Dialettica dell'Illuminismo di Adorno e Horkheimer e, oggi, ad Agamben. La deriva totalitaria dell'Illuminismo è intrinseca e decisiva, il mondo amministrato è la sua conseguenza reale, e i campi di concentramento e i genocidi sono solo una sorta di punto finale di una teleologia negativa in cui culmina l'intera storia dell'Occidente. La terza linea è quella che si sviluppa, fra gli altri, nei testi di Étienne Balibar: la modernità apre il campo a nuove libertà, ma allo stesso tempo si apre a nuovi pericoli, e non c'è alcuna garanzia teleologica di fondo per quanto riguarda il risultato. La lotta rimane aperta e mcerta.

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* Balibar, nel suo testo sulla violenza, sottolinea l'insufficienza della classica nozione hegeliano-marxista del "trasformare" la violenza in strumento della Ragione storica, una forza che dà origine a nuove formazioni sociali. 7 La brutalità "irrazionale" della violenza verrebbe quindi au/gehoben, "superata", in senso strettamente hegeliano, ridotta a una "macchia" particolare che contribuisce all'armonia generale dd processo storico. Il XX secolo çi ha messo di fronte a catastrofi - alcune dirette contro le forze politiche marxiste, altre generate dallo stesso impegno marxista - che non possono essere "razionalizzate" in questo modo. La loro strumentalizzazione come mezzi dell'Astuzia della Ragione non solo è eticamente inaccettabile, ma anche teoricamente sbagliata, ideologica nd senso più forte del termine. Nella sua attenta lettura di Marx, Balibar individua comunque un'oscil47

!azione fra questa "teoria teleologica della trasformazione" della violenza, e una concezione molto più interessante di storia come processo aperto a varie soluzioni di lotte antagoniste, il cui esito "positivo" non è garantito da alcuna necessità storica determinante.

Balibar sostiene che, per motivi strutturali e necessari, il marxismo sia incapace di pensare reccesso della violenza che non può essere integrato nella trama del Progresso storico. Più precisamente, il marxismo non può fornire una comprensione adeguata del fascismo e dello stalinismo e dei loro esiti "estremi", la Shoah e i gulag. Il nostro compito è dunque doppio: sviluppare una teoria della violenza storica intesa come qualcosa che non può essere strumentalizzato da nessun agente politico, qualcosa che anzi minaccerebbe di imprigionare questo stesso agente in un circolo vizioso autodistruttivo; e poi chiederci co48

me trasformare il processo rivoluzionario in una forza civilizzatrice. Come controesempio, prendiamo il processo che ha portato al massacro di San Bartolomeo. L'obiettivo di Caterina de' Medici era circoscritto e preciso: aveva elaborato un piano machiavellico per assassinare l'ammiraglio de Coligny - un potente protestante che spingeva per la guerra contro la Spagna nei Paesi Bassi - e far ricadere la colpa sull'eminente famiglia cattolica dei di Guisa. In tal modo Caterina progettava di far cadere entrambe le casate che minacciavano l'unità della Francia. Ma il tentativo di mettere i suoi nemici uno contro l'altro degenerò in un bagno di sangue incontrollabile. Nel suo spietato pragmatismo, Caterina non aveva calcolato la passione con la quale l'uomo si attacca alla propria fede.

A tal proposito, sono cruciali le intuizioni di Hannah Arendt, che sottolinea la differenza 49

tra potere politico e semplice esercizio della violenza. Organizzazioni rette da autorità non direttamente politiche - esercito, la Chiesa, la scuola - sono esempi di violenza (Gewalt), non di potere politico in senso stretto. 8 A questo punto, tuttavia, dobbiamo richiamarci alla differenza tra la legge pubblica, simbolica, e il suo supplemento osceno. La nozione di doppio / supplemento osceno del potere implica il fatto che non c'è potere senza violenza. Lo spazio politico non è mai "puro", ma implica sempre un qualche tipo di rapporto con una violenza prepolitica. Ovviamente, quello f~a potere politico e violenza prepolitica è un rapporto di mutua implicazione. Non solo la violenza è il necessario supplemento al potere, ma lo stesso potere è già da sempre alla radice di ogni rapporto di violenza apparentemente "non politico". L' accettazione della violenza e i rapporti di subordinazione diretta all'interno dell'esercito, della Chiesa, della famiglia e di altre forme sociali

r

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"non politiche" sono in se stessi la reificazione di una qualche lotta etico-politica. Il compito dell'analisi critica è quello di individuare il processo politico nascosto che sorregge tutti questi rapporti "non" o "pre" politici. Nella società umana, la politica è il principio strutturale generale, perciò neutralizzazione qualsiasi contenuto parziale in quanto· "non politico'' è un gesto politico par excellence.

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Proprio in questo contesto possiamo collocare l'aspetto cruciale della questione dei diritti umani: i diritti di coloro che muoiono di fame o sono esposti a violenza omicida. Rony Brauman, che coordinava gli aiuti a Sarajevo, ha dimostrato che preseptare la crisi come "umanitaria", ovvero rileggere un conflitto politicomilitare in termini umanitari, è stato il frutto di una scelta eminentemente politica: in sostanza, prendere le parti della Serbia nel conflitto. La celebrazione dell'"intervento umanitario" in Jugoslavia ha preso il posto del discorso politico, sostiene Brauman, squalificando in tal modo ogni confronto dialettico.9 55

* Da questo punto di vista specifico possiamo riconsiderare, più in generale, la politica apparentemente depoliticizzata dei diritti umani come l'ideologia dell'interventismo militare al servizio di precisi scopi economico-politici. Come ha affermato Wendy Brown a proposito di Michael Ignatieff, tale umanitarismo

si presenta come qualcosa di antlpolt'tico, una semplice difesa degli innocenti e dei deboli contro il potere, una difesa dell'individuo contro le macchine immense e potenzialmente dispotiche della cultura, dello stato, della gue"a, dei conflitti etnici, del tribalismo, del patriarcato, e di altri movimenti o istanze di potere collettivo che si oppongono agli individui. 10 Tuttavia, la domanda è: che genere di politicizzazione mettono in atto coloro che intervengono in nome dei diritti umani contro 56

il potere a cui si oppongono? Propongono un'idea diversa della giustizia, o si oppongono ai progetti di giustizia collettiva? Per esempio, è chiaro che la cacciata di Saddam Hussein da parte degli Stati Uniti, legittimata dall'obiettivo di porre fine alla sofferenza del popolo iracheno, non solo era motivata da spietati interessi politico-economici, ma si basava anche su un'idea precisa delle condizioni politiche ed economiche all'interno delle quali si sarebbe potuta sviluppare la "libertà" per gli iracheni: il capitalismo liberal-democratico, l'inserimento nell'economia di mercato globale ecc. La politica puramente umanitaria, antipolitica ~olta semplicemente a evitare la sofferenza, equivale a un implicito divieto di elaborare un progetto collettivo concreto di trasformazione sociopolitica.

Più in generale, possiamo riconsiderare l' opposizione tra i diritti umani universali (pre57

politici) posseduti da ogni essere umano "in quanto tale" e gli specifici diritti del cittadino, o di un membro di una particolare comunità politica. In tal senso, Balibar propone di «rovesciare il rapporto storico e teoretico tra "uomo" e "cittadino"» attraverso una «spiegazione di come l'uomo derivi dal cittadino, e non il cittadino dall'uomo». 11 Balibar fariferimento all'intuizione della Arendt a proposito della condizione dei rifugiati:

La concezione dei dirltti umani è naufragata nel momento in cui sono comparsi individui che avevano perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualt'tà umana. 12 Questa strada, owiamente, porta diretti al concetto agambeniano di homo sacer, di essere umano ridotto a "nuda vita". Secondo una dialettica strettamente hegeliana tra universale e particolare, proprio quando un essere umano viene privato della sua particolare identità so58

ciopolitica, che rappresenta la sua cittadinanza determinata, egli smette in un sol colpo di venire riconosciuto o trattato come essere umano.13 Paradossahnente, vengo privato dei diritti umani proprio nel momento in cui sonoridotto a un essere umano "in generale", e dunque divento il portatore ideale di quei "diritti umani universali" che mi appartengono indipendentemente dalla mia professione, sesso, cittadinanza, religione, identità etnica ecc.

Che cosa succede quindi ai diritti umani quando sono i diritti dell'homo sacer, di chi è escluso dalla comunità politica? Ovvero cosa succede ai diritti umani quando sono inutili, poiché sono proprio i diritti di chi non ha diritti, e viene trattato come un non umano? Jacques Rancière propone :un interessante ribaltamento dialettico: «Quando non setvono, si fa la stessa cosa che fanno le persone di buon cuore con i loro vestiti vecchi. Si danno ai po59

veri. Questi diritti che si rivelano inutili per noi vengono spediti fuori, insieme alle medicine e ai vestiti, alla gente priva di medicine, vestiti e diritti». Ciò nonostante, essi non diventano mai vuoti, perché «le sigle e le posizioni politiche non diventano mai semplicemente vuote». Il vuoto è riempito da qualcuno o qualcosa:

[. . .] se quelli che soffrono repressioni disumane non sono in grado di avvalersi dei diritti' umani, che sono la loro risorsa estrema, allora qualcun altro deve assumersi la responsabilità di farli valere al posto loro. Questo è ciò che viene chiamato il "diritto all'interferenza umanitaria", un diritto che alcuni stati si a"ogano per il supposto beneficio delle popolazioni vittimizzate, e molto spesso contro il parere delle stesse organiu.azioni umanitarie. Il "diritto all'interferenza umanitaria" può essere ,descritto come una specie di "ritorno al mittente": i diritti inutiliu.ati che sono statt' spediti ai senza diritti vengono rispediti ai mittenti. 14 60

. Per esprimerci in termini leninisti, effettivamente i "diritti umani delle vittime sofferenti del Terzo Mondo,, rappresentano oggi il diritto dei poteri occidentali di intervenire politicamente, economicamente, culturalmente e militarmente nei paesi del Terzo Mondo a proprio piacimento, in nome della difesa dei diritti umani. Un riferimento alla formula della comunicazione di Lacan (secondo la quale il mittente riceve il suo stesso messaggio dal ricevente-destinatario in forma invertita, cioè vera) in questo caso è davvero pertinente. Nella logica dominante dell'interventismo umanitario, r Occidente civilizzato sta effettivamente ricevendo dal Terzo Mondo vittimizzato il proprio messaggio nella sua forma vera.

Poiché i diritti umani sono depoliticizzati, vanno considerati in base a una logica appropriata: va rimessa in campo l'opposizione prepoli61

tica tra Bene e Male. Il "nuovo regno del1'etica» contemporaneo, esplicitamente invocato, per esempio, nell'opera di Ignatieff, in realtà si riferisce a un gesto violento di depoliticizzazione, che priva l'altro vittimizzato di ogni soggettivazione politica. E, come sottolinea Rancière, l'umanitarismo liberale à la lgnatieff inaspettatamente incontra la posizione "radicale" di Foucault o di Agamben sul terreno della depoliticizzazione: il loro concetto di "biopolitica", inteso come punto d'arrivo del pensiero occidentale, finisce per restare prigioniero di una specie di "trappola ontologica", nella quale i campi di concentramento appaiono come un destino ontologico: «Tutti potremmo trovarci nelle condizioni di un rifugiato in un campo. Ogni differenza fra la democrazia e il totalitarismo si indebolisce e ogni pratica politica dà prova di essere già prigioniera della trappola biopolitica». 15

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Arriviamo dunque alla classica posizione "antiessenzialista,,, una specie di versione politica della nozione foucaultiana secondo la quale il sesso sarebbe il risultato delle molteplici pratiche della sessualità. L"'uomo,,, il latore dei diritti umani, è il risultato di una serie di pratiche politiche che danno forma alla cittadinanza; i "diritti umani,, sono, in quanto tali, una falsa universalità ideologica, che nasconde e legittima la reale politica dell'imperialismo occidentale, gli interventi militari e il neocolonialismo. Ma questo non è ancora tutto.

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