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Copertina Inizia a leggere Premessa di Antonello Giannelli Quarta di copertina Indice dei contenuti Grazie per aver acquistato l’ebook a cura di Antonello Giannelli, Raffaella Briani, Sandra Scicolone Concorso a cattedra 2020 Scuola Secondaria. Vol. 1. Manuale integrato per la preparazione: prova preselettiva, prova scritta, prova orale Per ricevere informazioni sulle nuove uscite di Guerini Iscriviti alla newsletter Per ricevere informazioni sulle nuove uscite di goWare Iscriviti alla newsletter Oppure vieni sul sito di Guerini Associati o di goWare www.guerini.it www.goware-apps.com Se vuoi contattarci scrivi qui
© 2020 Edizioni Angelo Guerini e Associati srl via Comelico, 3 – 20135 Milano www.guerini.it e-mail: [email protected] © goWare Via delle Panche 81 – 50141 Firenze www.goware-apps.com e-mail: [email protected] Prima edizione digitale: luglio 2020 ISBN: 9788881953974 Publisher: Sandra Cossu Copertina: Donatella D’Angelo Sviluppo ePub: Michela Allia Fateci avere i vostri commenti a: [email protected] Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Alice Mazzoni: [email protected]
INDICE DEI CONTENUTI
Copertina Frontespizio Colophon Quarta di copertina Premessa Parte I – il quadro di riferimento
1. La Costituzione italiana e l’organizzazione dello Stato a cura di Raffaella Briani 1. Introduzione 2. Le forme di Stato 3. La forma di Stato delineata nella Costituzione italiana 4. Le competenze dello Stato e delle Regioni in materia di istruzione 5. Le forme di governo 6. La forma di governo delineata nella Costituzione italiana 7. L’amministrazione scolastica
2. L’autonomia scolastica. Dalla Riforma Bassanini alla Legge 107/2015 a cura di Maria Cristina Cigliano 1. Verso l’autonomia delle scuole 2. La riforma Bassanini 3. La riforma Bassanini: i decreti legislativi derivati 4. La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3
2B. Legge 13 luglio 2015, n. 107 di riforma del sistema d’istruzione a cura di Licia Cianfriglia 1. Generalità 2. Il Piano triennale dell’offerta formativa e l’organico dell’autonomia 3. Il piano straordinario di assunzioni e la chiamata diretta 4. Il Piano Triennale di Formazione del personale docente e il Piano Nazionale Scuola Digitale 5. L’alternanza scuola lavoro 6. Lo staff del dirigente e la valorizzazione del personale docente 7. L’edilizia scolastica 8. Le deleghe e i decreti legislativi
3. Gli ordinamenti scolastici con particolare riguardo alla evoluzione della Scuola secondaria di primo e secondo grado a cura di Grazia Fassorra 1. La Scuola secondaria di primo grado: dalla riforma del 2003 a oggi 2. La Scuola secondaria di secondo grado: dalla legge 53/2003 al riordino del sistema 3. Schede sulle scuole secondarie di secondo grado 4. Un po’ di storia
4. CPIA e istruzione degli adulti a cura di Giovanni Bevilacqua 1. Alcuni riferimenti storici dell’EDA 2. Dai Centri EDA ai CPIA 3. Processi che accompagnano il riordino del sistema di istruzione degli adulti 4. Il Sistema di istruzione degli adulti: assetto didattico, organizzativo e strumenti di flessibilità
5. Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo di istruzione. Indicazioni nazionali per i licei. Linee guida per gli istituti tecnici e professionali a cura di Eleonora Marchionni 1. Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione
2. Dal primo al secondo ciclo di istruzione 3. Il PECUP e le Indicazioni nazionali per i licei 4. Il PECUP e le Linee guida per gli istituti di istruzione tecnica 5. Il PECUP e le Linee guida per gli istituti di istruzione professionale
6. Certificare le competenze a cura diEleonora Marchionni Allegato A Allegato B
7. Progettare, valutare e certificare le competenze nel secondo ciclo d’istruzione a cura di Nicoletta Puggioni 1. La definizione del curricolo e l’individuazione delle competenze 1.1 La cittadinanza glocale 1.2 La cittadinanza europea 1.3 Il Profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) 1.4 Il curriculum d’istituto 1.5 Il Progetto formativo individuale 2. La progettazione didattica per competenze 2.1 Problem Based Learning (PBL) 2.2 Episodi di apprendimento situato (EAS) 2.3 Flipped Classroom 2.4 Tinkering 3. La valutazione delle competenze Caratteristiche della prova d’esame: 4. La certificazione delle competenze
8. Gli organi collegiali a cura di Fabio Cannatà 1. Organo collegiale e organo individuale 2. Gli organi collegiali a livello di istituto 2.1 Consiglio di istituto e giunta esecutiva 2.2 Collegio dei docenti 2.3 Il consiglio di intersezione, di interclasse e di classe 2.4 I gruppi per l’inclusione scolastica 2.5 Il comitato per la valutazione dei docenti 2.6 Assemblee degli studenti e dei genitori 3. Il funzionamento di un organo collegiale
9. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti a cura di Marisa Monterosso 1. Introduzione 1.1 La riforma del 2007 1.2 Statuto delle studentesse e degli studenti e Regolamento d’istituto 1.3 Cittadinanza e democrazia 1.4 Destinatari 1.5 Articolazione 2. Principi generali 3. Diritti 4. Doveri 5. Regime disciplinare 5.1 Responsabilità 5.2 Sanzioni 5.2.1 Principi 5.2.2 Classificazione delle sanzioni 5.3 Procedimento disciplinare 6. Impugnazioni 7. Patto educativo di corresponsabilità 8. Disposizioni finali
10. L’autonomia scolastica a sistema. Valutazione, miglioramento e rendicontazione a cura di Roberto Fiorini 1. Il Regolamento sul Sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (Decreto del Presidente della Repubblica del 28 marzo 2013, n. 80) 1.1 I riferimenti legislativi e la cornice ordinamentale 1.2 I fondamenti concettuali 1.2.1 La valutazione 1.2.2 La qualità e il miglioramento 1.2.3 La rendicontazione (sociale) 1.3 Il contenuto del Regolamento 1.3.1 Il procedimento di valutazione 1.3.2 Il piano di miglioramento 1.3.3 Piano di miglioramento e Piano triennale della offerta formativa: il compimento della autonomia 2. La pratica della valutazione negli istituti scolastici e il contributo dei docenti 2.1 I soggetti incaricati della valutazione 2.2 Le fasi del processo 2.2.1 Le fasi del processo: la valutazione interna e il rapporto di auto-valutazione 2.2.1.1 Un esempio. Sezione 1 del RAV – il Contesto 2.2.1.2 Un esempio. Sezione 2 del RAV – Esiti 2.2.1.3 Un esempio. Sezione 3 del RAV – Processi 2.2.1.4 L’ultima sezione del RAV: priorità e traguardi 2.2.2 La valutazione esterna 2.2.3 Il Piano di miglioramento 2.2.4 La Rendicontazione sociale
11. Il profilo professionale del docente a cura di Fabio Foddai 1. Cenni sul rapporto di impiego nella pubblica amministrazione 1.1 Uno sguardo d’insieme sulle fonti normative 2. La funzione docente 2.1 Il D.lgs. 297/1994 2.2 I contratti collettivi nazionali 3. Profilo professionale 3.1 Quali competenze? 3.2 Gli standard professionali 3.3 La valorizzazione del merito 4. Obblighi di lavoro 4.1 Attività di insegnamento 4.2 Funzioni strumentali e attività di potenziamento 4.3 Attività funzionali all’insegnamento 5. L’anno di formazione e prova 5.1 Requisiti dell’anno di prova e struttura della formazione 6. La responsabilità disciplinare Parte II – Schede su fondamenti della psicologia dello sviluppo, della psicologia dell’apprendimento e della psicologia dell’educazione
1. Psicologia dello sviluppo applicata alla Scuola secondaria di primo e di secondo grado a cura di Zbigniew Formella 1. Introduzione 2. Le potenzialità adolescenziali e il loro sviluppo 3. Cambiamenti biologici (soma ) 4. Cambiamenti mentali (psiche ) 5. Cambiamenti nell’area sociale (polis ) 5.1 Gruppi di pari 5.2 Adulti: genitori e insegnanti 6. Conclusione
2. Schede di psicologia dell’apprendimento a cura di Fausto Moriani 1. I processi di apprendimento: gli studi classici 1.1 Gli apprendimenti associativi
1.2 Gli apprendimenti cognitivi 1.3 Gli apprendimenti sociali 2. Apprendimento, soggetto e contesto: nuovi orizzonti 2.1 Il contributo del cognitivismo 2.2 Il contributo dell’epistemologia genetica 2.3 Il contributo dell’approccio socio-culturale 2.4 Il contributo del costruttivismo 2.5 Gli stili di apprendimento, la motivazione e il contributo dell’approccio umanistico 3. Un indicatore dell’apprendimento inclusivo: i Disturbi Specifici dell’Apprendimento Bibliografia
3. Schede di Psicologia dell’educazione a cura di Paola Baldoni 1. Psicologia dell’educazione 1.1 L’ambito della disciplina 1.2 Le radici storiche 1.3 Psicologia dell’educazione e scuola 2. La scuola come comunità 2.1 La scuola tra vision e mission 2.2 Il tessuto territoriale 2.3 Il clima della classe 3. La dimensione emotiva delle situazioni educative 3.1 Le dinamiche emotive 3.2 Il ruolo della motivazione ad apprendere 4. La diversità cognitiva 4.1 Stili cognitivi e intelligenze 4.2 Comunicazione e scolarizzazione 5. Gli ambienti di apprendimento 5.1 Progettare situazioni educative 5.2 Didattica laboratoriale e peer education 6. La valutazione: modelli ideali, autovalutazione e profili evolutivi 7. Conclusioni Bibliografia Parte III – La didattica: programmazione e progettazione educativo-didattica
1. La didattica per competenze a cura di Concetta Centamore 1. I nuovi saperi nella società della conoscenza 2. Il contesto di riferimento internazionale 2.1 La Strategia di Lisbona 2.2 La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 2.3 La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 2.4 L’Agenda 2030 e la Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 maggio 2018 3. Un po’ di chiarezza 3.1 Conoscenza non è sinonimo di «contenuto» 3.2 Le abilità si manifestano attraverso le procedure 3.3 Le capacità si ereditano, le abilità si acquisiscono 3.4 La competenza non è la semplice sommatoria di conoscenze e abilità 3.5 La competenza non può prescindere dal contesto in cui si manifesta 3.6 La cultura risiede nel possesso di competenze, non di sole conoscenze 4. Classificazione delle competenze 4.1 Competenze di base 4.2 Competenze tecnico-professionali (hard skills) 4.3 Competenze trasversali (soft skills) 5. Le principali norme nazionali in materia di competenze
5.1 Il decreto ministeriale n. 139/2007 5.2 Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (D.M. n. 254 del 16 novembre 2012) 5.3 La riforma dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali 5.4 Il D.lgs. 16 gennaio 2013, n. 13 5.5 Il D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62 6. L’alunno, la classe, l’approccio per competenze 6.1 La centralità dell’alunno 6.2 L’ambiente di apprendimento 6.3 L’importanza del gruppo e l’apprendimento cooperativo 7. Insegnare e valutare per competenze 7.1 La progettazione a ritroso 7.2 La rubrica della competenza 7.3 La valutazione autentica e il compito di realtà 7.4 La valutazione come triangolazione 7.5 L’Unità di apprendimento 8. Per una testa ben fatta
2. La valutazione a cura di Licia Bevilacqua 1. Premessa generale 1.1 Finalità e funzioni della valutazione 1.2 La valutazione nel primo ciclo 1.3 La valutazione del comportamento 1.4 Validità dell’anno scolastico 1.5 Ammissione alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione 1.6 Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 1.7 Ammissione all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo 1.8 Valutazione finale esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione 1.9 Certificazione delle competenze 1.10 Valutazione alunni con disabilità 1.11 Valutazione degli alunni con Disturbi specifici di apprendimento (DSA) 1.12 Valutazione alunni in ospedale o che seguono percorsi di istruzione domiciliare 2. La valutazione nel secondo ciclo 2.1 La valutazione degli studenti 2.2 Valutazione periodica e finale 2.3 Valutazione del comportamento 2.4 Validità dell’anno scolastico 2.5 Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 2.6 Sospensione del giudizio e debito scolastico 2.7 I crediti scolastici 2.8 Assolvimento dell’obbligo di istruzione 2.9 Ammissione all’esame di Stato 2.10 Certificazione delle competenze 2.11 Valutazione alunni con disabilità 2.12 Valutazione degli alunni con Disturbi specifici di apprendimento (DSA) 2.13 Valutazione alunni in ospedale 2.14 Il diploma e il curriculum dello studente 2.15 Valorizzazione delle eccellenze 3. Conclusioni
3. La valutazione delle competenze nei PCTO a cura di Andrea Marchetti 1. Premessa 2. Progettare i PCTO 3. La progettazione per Unità didattiche di apprendimento/moduli didattici del Piano di lavoro curricolare 4. Valutazione dei percorsi di PCTO
5. I PCTO per gli studenti con disabilità 6. Riferimenti normativi
4. Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR prot. n. 4232 del 19.02.2014) a cura di Maria Centonze 1. Introduzione 2. Impostazione e struttura generale del documento 3. La premessa 4. L’orientamento a scuola 5. Il sostegno della scuola ai percorsi di orientamento formativo 5.1 Figura di sistema (tutor dell’orientamento) 5.2 Formazione dei docenti 5.3 Cultura del lavoro e dell’imprenditorialità come parte integrante dell’orientamento 5.4 Documentazione dei percorsi e delle attività di orientamento 5.5 Sensibilizzazione/formazione dei genitori (entro il Patto di corresponsabilità educativa) 6. Orientamento permanente e inclusione sociale 7. Orientamento e Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) 8. Integrazione tra i sistemi 9. Allegati al documento
5. La relazione educativa: un aspetto performante dell’insegnamento a cura di Daniele Scarampi 1. L’architrave della relazione educativa 1.1 La reciprocità relazionale passa per l’asimmetria educativa 1.2 Informazione e relazione: le basi della comunicazione autentica 1.3 L’ascolto attivo come presupposto del dialogo educativo: l’insegnante animatore e facilitatore 2. Il ruolo dell’insegnante nella relazione educativa 2.1 L’insegnamento significativo: la maieutica dell’apprendimento 2.2 Affettività ed esperienze emotive nel processo d’apprendimento 2.3 L’insegnante empatico quale costruttore della relazione educativa 3. La relazione educativa si traduce nell’acquisizione delle competenze trasversali 3.1 Le soft skills nella programmazione didattica 4. Verso un modello assertivo d’insegnamento Bibliografia e sitografia di riferimento
6. Il processo di insegnamento-apprendimento a cura di Costanza Cavaliere 1. Il pensiero degli insegnanti 2. Metodi e stili di insegnamento 3. Stili di apprendimento e apprendistato cognitivo
7. Ambienti di apprendimento e spazi flessibili a cura di Paola Lisimberti 1. Premessa 2. Ambienti di apprendimento 2.1 La direzione degli investimenti 2.2 Dalle aule fisiche alle aule virtuali 3. Dall’aula al laboratorio, dal sapere al saper fare 3.1 Le aule disciplinari 3.2 Dalla scuola al territorio 3.3 Il modello INDIRE 1+4 3.4 Oltre lo spazio: il laboratorio errante 3.5 Innovare spazi e didattica con gli EAS 4. Conclusioni
8. Conoscenze nel campo dei media per la didattica e degli strumenti interattivi per la gestione della classe a cura di Claudio Naddeo 1. Il profilo del docente nella società della conoscenza 2. Opportunità digitali nella scuola italiana 3. I media nella gestione dei processi di apprendimento
9. Normativa generale per l’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali a cura di Andrea Marchetti 1. Premessa 2. Il D.lgs. 66/2017 e gli interventi previsti per gli alunni con disabilità 2.1 I correttivi introdotti dal D.lgs. 96/2019 2.2 Il Piano d’inclusione delle istituzioni scolastiche 2.3 Il Piano educativo individualizzato (PEI) 2.4 L’organizzazione dei gruppi di lavoro sull’inclusione d’istituto e territoriali 2.4.1 Il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLOI) 2.4.2 Il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI) 2.4.3 Il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT) 2.4.4 Il Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR) 2.5 Il riconoscimento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica 2.6 Il sistema di classificazione internazionale del funzionamento – ICF 2.7 L’Invalsi e i processi di qualità dell’inclusione scolastica 2.8 La valutazione degli studenti con disabilità nelle scuole secondarie di primo grado 2.9 La valutazione degli studenti con disabilità nelle scuole secondarie di secondo grado 2.10 Programmazione della classe semplificata o per «obiettivi minimi» 2.11 Programmazione differenziata 2.12 Le OO.MM. 9, 10 e 11 del 16 maggio 2020 3. I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) 3.1 La valutazione degli studenti con DSA 4. L’inclusione degli alunni adottati 4.1 Adozione/ affidamento internazionale 4.2 Adozione 4.3 Momenti topici per l’inserimento scolastico: buone pratiche 5. L’inclusione degli alunni stranieri 5.1 Le fasi dell’inclusione degli alunni stranieri 5.1.1 Accoglienza 5.1.2 Iscrizione 5.1.3 Coinvolgimento e partecipazione delle famiglie 5.1.4 Valutazione degli alunni stranieri 6. La valutazione degli studenti BES
10. Bullismo e cyberbullismo. Il quadro di riferimento normativo a cura di Ilaria Baroni 1. Il bullismo e il cyberbullismo: definizione 2. Bullismo. Illecito disciplinare, penale, civile 3. Le linee di indirizzo del MIUR per la prevenzione e la lotta al bullismo del 2007 4. Le linee di orientamento per azioni di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo del 2015 5. La legge 71 del 2017. Definizione normativa del cyberbullismo 6. Le linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo. Aggiornamento ottobre 2017 7. La riforma della legge 71, 2017 8. Ipotesi di organizzazione scolastica coerente con il quadro normativo vigente
11. Legge n. 92/2019. Educazione civica e trasversalità Scuole secondarie a cura di Michele Di Pasquali 1. Excursus storico 2. Un «parto» travagliato 3. Principi generali e obblighi derivanti dalla legge 4. Vincoli, opportunità e contenuti
12. Teoria e modelli di didattica inclusiva e di didattica interculturale a cura di Pinella Giuffrida 1. Educazione, personalizzazione, responsabilità 1.1 Relazione etica tra uguaglianza e diversità 1.2 Responsabilità e corresponsabilità educativa 1.3 Strategie interne al gruppo docente per l’efficacia della didattica
2. Inclusione in Italia 2.1 Un profondo ripensamento etico 2.2 Inclusione e studenti BES 2.3 Inclusione e studenti stranieri 3. Gestione del curricolo «inclusivo» 3.1 Formazione degli insegnanti 3.2 Strategie di una pedagogia inclusiva 3.3 Tecniche didattiche inclusive
13. Metodologie didattiche innovative a cura di Rita Coccia 1. Introduzione 2. Flipped classroom 3. Cooperative learning 4. Role playing 5. Brainstorming 6. Debate 7. Public speaking 8. Didattica per scenari 9. Project Based Learning (PBL) 10. Project work 11. Problem solving 12. Technology Enhanced Active Learning (TEAL) 13. Tinkering 14. Robotica educativa 15. Conclusioni
14. Programmi di scambi e di mobilità di docenti e studenti: il programma Erasmus+ e la Community eTwinning a cura di Sandra Scicolone 1. Premessa 2. Il nuovo programma Erasmus+ (programmazione 2014/2020) 3. Erasmus+ per l’istruzione scolastica 3.1 L’azione Chiave 1 (KA1 – Key Action 1) 3.1.1 Fasi di attuazione di un piano di mobilità del personale 3.2 L’azione Chiave 2 (KA2 – Key Action 2) 3.2.1 Tipologie di partenariati strategici 3.2.2 Fasi di attuazione di un partenariato strategico 4. Strumenti di ricerca dei partner europei e di informazioni sui progetti Erasmus+ 4.1 Lo School Education Gateway (SEG) 4.2 La Piattaforma Erasmus+ Projects results 4.3 La Community eTwinning 5. Erasmus+ e il sistema di riconoscimento e convalida delle abilità e delle qualifiche 6. Enti coinvolti nell’attuazione del Programma 7. Documenti di riferimento e link utili
15. Il digitale come dimensione del XXI secolo a cura di Laura Biancato e Alessandra Rucci 1. Introduzione 2. Il digitale al servizio delle competenze 3. Quali strumenti per la scuola digitale? 4. Ambienti fisici per la didattica digitale 5. Ambienti in cloud per la comunicazione e la didattica 6. La scelta delle piattaforme in cloud 6.1 Il carico di lavoro per gli studenti 6.2 E per i più piccoli? 7. Cittadini digitali 8. Costruire un curricolo per le competenze digitali
9. Il framework europeo DigComp 10. Facciamoci un SELFIE 10.1 Perché una scuola dovrebbe usare SELFIE?
16. Documentare per valutare, mostrare, ricercare a cura di Elena Mosa e Silvia Panzavolta 1. La storia della documentazione educativa in Italia 2. La documentazione educativa: definizione, ambiti e ruoli 3. La documentazione come abilitatore della valutazione formativa 4. Scenari d’uso della documentazione in sala insegnanti e in classe 5. Conclusioni
QUARTA DI COPERTINA
Questo manuale è declinato sui contenuti comuni a tutte le classi di concorso e ai due ordini di scuola di cui all’Allegato A Programmi concorsuali – A.1 Parte generale e A.3 Programma specifico relativo alla seconda prova scritta del D.M. n. 201 del 20/04/2020 «concernente le disposizioni per i concorsi ordinari per titoli ed esami per il reclutamento di personale docente per la scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune e di sostegno ». In particolare, offre un contributo alla preparazione del concorso per l’accesso all’insegnamento nella Scuola secondaria attraverso un itinerario ragionato, al termine del quale il futuro docente è posto in grado di collocare l’azione delle istituzioni scolastiche e la propria progettazione didattica nel quadro ordinamentale di riferimento, di disporre degli strumenti psicopedagogici e metodologici per costruire una lezione efficace, modellata sugli specifici bisogni educativi degli studenti e delle studentesse, e di comprendere il ruolo che egli può giocare nell’ottica del miglioramento dell’istituzione scolastica. In questa prospettiva, professionisti della scuola, docenti universitari e ricercatori analizzano il contesto organizzativo nel quale il futuro docente sarà inserito, ne delineano il profilo professionale, forniscono lo strumentario psicopedagogico necessario alla progettazione dell’attività didattica, portano l’attenzione sulle modalità di gestione efficace della classe e sulla creazione di un buon clima relazionale in grado di prevenire l’insorgere di episodi di bullismo, illustrano le metodologie più innovative con spunti concreti per un proficuo utilizzo delle tecnologie nel processo di insegnamento/apprendimento. A completamento di questo volume, i volumi 2a, 2b e 2c si incentrano sulla progettazione di esperienze di apprendimento significativo, relative rispettivamente alle Discipline letterarie (classi di concorso A-22, A-11, A-12, A-13), alle Lingue e civiltà straniere (classi di concorso A-24, A-25) e all’Ambito scientifico e matematico (classi di concorso A-20, A-26, A-27, A-28, A-50), nell’intento di dotare il futuro docente dello strumentario imprescindibile per una «solida progettazione curricolare e interdisciplinare» .
... ANTONELLO GIANNELLI , Presidente dell’ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), è dirigente tecnico ed è stato in precedenza dirigente scolastico e preside incaricato. Esperto di tematiche organizzative, gestionali e giuridiche afferenti al settore scolastico, fautore dell’innovazione didattica, è autore di numerose pubblicazioni di diritto scolastico. Per le nostre edizioni ha pubblicato Guida teorico-pratica per i dirigenti delle scuole (2015), Concorso dirigenti scolastici. Manuale per la preparazione (2017), Concorso dirigenti scolastici. Prova orale (a cura, 2019), Concorso dirigenti scolastici. Edizione aggiornata (2019), Rivoluzionare la scuola con gentilezza. Idee e proposte didattiche per vincere una delle maggiori sfide del XXI secolo (2019). Ha curato inoltre i manuali Concorso a cattedra 2020. Scuola dell’infanzia (voll. 1 e 2) e Concorso a cattedra 2020. Scuola primaria (voll. 1 e 2) (2020). RAFFAELLA BRIANI , attualmente distaccata presso l’ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), è dirigente scolastico dal 2012. Abilitata all’esercizio della professione forense, è autrice di diverse pubblicazioni di diritto amministrativo e di giustizia amministrativa, tra cui la monografia L’istruzione probatoria nel processo amministrativo (Milano 2013). Ha collaborato inoltre alla cura dei manuali Concorso a cattedra 2020. Scuola dell’infanzia (voll. 1 e 2) e Concorso a cattedra 2020. Scuola primaria (voll. 1 e 2) (2020), pubblicati presso le nostre edizioni. SANDRA SCICOLONE , attuale componente dello staff Nazionale dell’ANP (Associazione Nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), è dirigente scolastico dal 2013. Svolge intensa attività di formazione e aggiornamento per dirigenti e docenti su tematiche organizzative e didattiche. Come autore ha contribuito, di recente, ai manuali Concorso dirigenti scolastici. Prova Orale (2019); ha collaborato inoltre alla cura dei manuali Concorso a cattedra 2020. Scuola dell’infanzia (voll. 1 e 2) e Concorso a cattedra 2020. Scuola primaria (voll. 1 e 2) (2020), tutti pubblicati presso le nostre edizioni.
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Premessa
L’idea di pubblicare una collana di manuali dedicata ai concorsi a cattedra di prossima indizione ha avuto origine dalla pluriennale collaborazione che ho l’onore di poter vantare con l’Editore Guerini di Milano. Avevamo infatti sperimentato, con elevato gradimento da parte dei lettori, la possibilità di proporre testi innovativi in occasione del concorso a dirigente scolastico bandito nel 2017. Infatti, oltre ad aver pubblicato in quello stesso anno una prima versione del manuale di preparazione di cui sono autore – e ad averlo successivamente aggiornato nel 2019 –, ho curato la pubblicazione, ancora nel 2019, di un manuale collettaneo progettato specificatamente per il colloquio. Anch’esso ha avuto un buon successo e si è dimostrato in grado di coprire tutte le aree oggetto della prova orale del concorso. La possibilità di avvalermi di numerosi autori di valore, accomunati dalla stessa visione di scuola, mi ha poi consentito di curare la pubblicazione dell’ulteriore volume Rivoluzionare la scuola con gentilezza di cui sono particolarmente orgoglioso. Forti della solidità acquisita dalla nostra collaborazione, abbiamo quindi deciso con Guerini di intraprendere l’impegnativo cammino editoriale di questa serie di manuali. Perché si tratta di una sfida impegnativa? In primo luogo, per i numeri coinvolti: i concorsi a cattedra si confrontano con un numero di candidati superiore di almeno dieci volte a quello dei concorsi alla dirigenza. Questa nuova impresa costituisce quindi un notevole sforzo economico e imprenditoriale. In secondo luogo, perché la concorrenza è numerosa e agguerrita e, dunque, si rende necessario produrre un testo innovativo, diverso dagli altri e in grado di offrire quel quid pluris che costituisce il vero motivo di scelta del candidato animato da forte motivazione. E che di forte motivazione ci sia necessità è fuor di dubbio: la decisione di intraprendere la carriera dell’insegnamento, stante la limitata soddisfazione economica, deve essere sorretta da una convinzione potente con profonde radici. Radici che devono potersi nutrire, essenzialmente, della dimensione etica. Esistono poche gratificazioni comparabili con la gioia provata da qualsiasi vero educatore quando constata l’utilità del suo lavoro; quando vede i suoi discenti – di qualsiasi età siano – crescere, giorno dopo giorno, anche e soprattutto in virtù della sua azione pedagogica; quando vede la loro personalità svilupparsi e maturare trovando linfa vitale negli stimoli didattici che riesce a mettere in campo. Avvalendomi della competenza e dell’esperienza proprie degli autori che hanno accettato di partecipare a questa sfida, ho pertanto cercato di offrire dei manuali che non riproponessero, in modo stereotipato, i soliti contenuti. Ogni manuale è suddiviso in due volumi: il primo è unico per tutte le classi di concorso, è calibrato sulle esigenze formative specifiche del concorso e consente di avere un quadro chiaro e completo sulle tematiche oggetto delle prove concorsuali; il secondo è specifico per vari gruppi di classi di concorso – ogni gruppo ha il suo «secondo volume» – ed è costituito da concreti esempi di progettazione di unità di apprendimento tratte dall’esperienza quotidiana delle scuole in cui lavorano alcuni degli autori. È infatti convinzione comune di tutto il gruppo di lavoro che la professionalità docente non possa essere di mera natura teorica ma che debba, al contrario, vivere di una continua e bilanciata osmosi di «sapere» e di «saper fare», come in fondo chiediamo ai nostri alunni e studenti. Si tratta di una professione molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista e, soprattutto, molto più complessa oggi che in passato. Troppo spesso riecheggia la massima, di ispirazione gentiliana, secondo cui per insegnare è sufficiente sapere: questo è – purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista – palesemente errato, come ben sa chiunque si sia impegnato a fondo nella didattica. Inutile dire che sia la mia posizione personale sia quella degli autori che hanno contribuito a quest’opera è di tutt’altro avviso. Insegnare è una professione specifica che necessita di numerose competenze specifiche. La nostra scuola soffre, purtroppo, di un eccessivo apprezzamento per gli aspetti accademici e non sempre riesce a coniugare il sapere astratto con la prassi didattica. L’ambizione di questo progetto editoriale è proprio quella di offrire un contributo a tutti coloro che amano questa professione e che vogliono dedicare le loro migliori energie alla crescita delle nostre studentesse e dei nostri studenti. Prima di lasciarvi alla lettura di questi volumi, non posso fare a meno di spendere qualche parola in ricordo delle innumerevoli vittime dell’epidemia da Covid19 che sta colpendo tutto il pianeta. Si tratta della più grave crisi del dopoguerra e ci ricorda che la nostra natura, qualora l’avessimo dimenticato, è precaria. In questa tragedia, la nostra scuola ha compiuto un encomiabile sforzo per mantenere viva, anche a distanza, la relazione pedagogica docente-discenti che è il presupposto imprescindibile del progresso della nostra specie. L’emergenza ha messo in luce l’importanza dell’aggiornamento professionale e della formazione continua. Dovremo tutti ricordarcene in occasione della ripresa di settembre – quest’anno particolarmente impegnativa – e, soprattutto, quando la pandemia sarà solo un ricordo. Sento anche la necessità di ringraziare tutti gli autori che hanno accettato di contribuire a quest’opera, animati dal desiderio di collaborare alla costruzione di un domani migliore, ben sapendo che il domani nasce nelle aule scolastiche. Infine, voglio esprimere la mia più sentita gratitudine a Raffaella Briani e a Sandra Scicolone che, con incredibile energia e con invidiabile entusiasmo, mi hanno consentito di condurre in porto la splendida nave di questo progetto. Come è mia consolidata abitudine, invito i lettori a condividere osservazioni e suggerimenti scrivendomi all’indirizzo [email protected] , in quanto ritengo che le critiche costruttive siano la migliore occasione di miglioramento.
Antonello Giannelli Roma, 26 giugno 2020
Parte I Il quadro di riferimento
1. La Costituzione italiana e l’organizzazione dello Stato a cura di Raffaella Briani
1. Introduzione Al fine di cogliere il complesso intreccio di competenze normative e amministrative all’interno del quale si colloca l’azione delle istituzioni scolastiche, è necessario comprendere, da un lato, quale sia il rapporto che intercorre tra Stato e territorio nella Costituzione italiana, attraverso l’analisi della cosiddetta «forma di Stato», e dall’altro quale sia il ruolo dell’amministrazione pubblica nel nostro ordinamento, attraverso l’esame della cosiddetta «forma di Governo». Dopo aver tracciato la forma di Stato che emerge dal testo costituzionale, si sposterà quindi l’attenzione sui rapporti tra i poteri dello Stato e quelli delle regioni in materia di istruzione; alla individuazione della forma di governo italiana, seguirà invece un approfondimento sull’organizzazione dell’amministrazione scolastica, precisando fin d’ora che il tema dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, al centro del capitolo seguente, sarà qui soltanto accennato.
2. Le forme di Stato Il tema delle forme di Stato e delle forme di Governo è uno dei temi classici della riflessione costituzionalistica. Per capirne la motivazione basti considerare che la «forma di Stato» individua il rapporto fra governanti e governati e la distribuzione della sovranità sul territorio, mentre la «forma di Governo» identifica i rapporti che intercorrono tra i poteri pubblici all’interno di uno Stato e il peculiare modo di essere del potere esecutivo rispetto agli altri poteri [1] . In particolare, la forma di Stato individua le relazioni che intercorrono tra i tre elementi costitutivi dello Stato: popolo, territorio e Governo (o, secondo la terminologia utilizzata da alcuni, sovranità). Ciò implica che la forma di Stato, come accennato, possa essere analizzata da due angoli visuali: dal punto di vista del rapporto tra governanti e governati – o, come anche si dice, tra governo e popolo – e dal punto di vista del rapporto tra governo e territorio. Si tenga presente che la sovranità deve essere intesa come potere originario e indipendente da ogni altro, che lo Stato esercita sul proprio territorio attraverso il «governo». Detta espressione designa il complesso dei pubblici poteri, cui sono intestate le funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale. Pur nella varietà delle distinzioni che solitamente si operano circa le forme di Stato sotto il profilo del rapporto popolo/governo (o sovranità), si ritiene che occorra distinguere quantomeno tra: Stato patrimoniale (XVI-XVII secolo); Stato assoluto e di polizia (XVIII secolo); Stato liberale o di diritto (XIX secolo); Stato autoritario (XX secolo) e Stato democratico (XX secolo). Sotto il profilo del rapporto governo/territorio, invece, si suole distinguere tra Stati unitari, Stati federali e Stati regionali. Nello Stato patrimoniale, il sovrano disponeva del regno a titolo di proprietà privata e fondava i rapporti sia con il territorio che con i sudditi su un modello di tipo privatistico. Per questo si ritiene che lo Stato nazionale nasca con l’abbandono di un simile schema e l’approdo allo Stato assoluto. Lo Stato assoluto era una forma di Stato caratterizzata, da un lato, dalla concentrazione di tutti i poteri – legislativo, esecutivo e giurisdizionale – nelle mani del monarca, legibus solutus (ovvero senza alcuna limitazione) e, dall’altro, dalla progressiva burocratizzazione. Lo Stato di polizia ne rappresenta una evoluzione e un temperamento. Il paradigma di quest’ultima forma di Stato è rappresentata dalla Prussia di Federico II il Grande; la sua denominazione trae origine dall’estensione del termine «polizia» fino a ricomprendere tutti gli atti di amministrazione, tranne poche eccezioni: poiché tra il XVII e il XVIII secolo gli atti emanati dall’autorità in vista del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza erano sottratti a qualunque controllo giurisdizionale, la tendenza ad ampliare la nozione di «polizia» era funzionale all’erosione di quello stesso controllo. L’espressione «Stato di polizia» fu dunque coniata proprio per indicare la particolare forma di Stato in cui il sovrano si occupava di garantire l’ordine pubblico, ma era al contempo intestatario di tutti i poteri e sottratto a qualunque limite formale e controllo giurisdizionale. Con l’espressione «Stato liberale o di diritto» si designa invece una forma di Stato di matrice liberale, che si poneva l’obiettivo di controllare e contenere il potere statuale mediante la posizione di norme generali e astratte, alle quali gli stessi poteri pubblici risultavano soggetti. La soggezione di questi alla legge ha implicato la separazione dei poteri; l’attribuzione del potere legislativo a un Parlamento, anche se non in via esclusiva, dato il permanere di poteri intestati al re; la progressiva delimitazione (e riduzione) dell’ambito di esercizio del potere politico, come tale sottratto al controllo giurisdizionale; l’autonomia del potere giudiziario; il riconoscimento di diritti e libertà individuali e dell’intangibilità della proprietà privata. Accanto a questi elementi, occorre tuttavia rilevare che la legge non era a sua volta subordinata a norme di rango superiore, data la flessibilità delle carte costituzionali, modificabili mediante legge ordinaria e il suffragio elettorale risultava ristretto per censo e/o per istruzione, oltreché per sesso e per età. Uno Stato liberale e di diritto era quello che emergeva in origine dallo Statuto Albertino, emanato nel 1848 dal re Carlo Alberto quale «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia», e che protrasse la propria vigenza per tutta la durata del Regno
d’Italia. La mancanza di rigidità dello Statuto, con la conseguente assenza di un controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi, consentì tuttavia – negli anni dell’edificazione del regime fascista – la progressiva riscrittura dell’organizzazione dei poteri dello Stato in senso autoritario e antiparlamentare e il graduale venir meno delle libertà civili fino alla cancellazione del principio di uguaglianza formale e alle discriminazioni razziali nei confronti degli ebrei. In definitiva, proprio in virtù della sua flessibilità, lo Statuto Albertino è potuto sopravvivere all’instaurarsi di uno Stato autoritario. Quest’ultima forma di Stato si caratterizza per perseguire l’interesse della nazione e non più il benessere dei cittadini; per accentrare il potere nella figura di un capo carismatico; per negare il principio della rappresentanza politica, che viene sostituito con quello del partito unico; per abolire i diritti di libertà, in particolare quelli politici. I tratti distintivi dello Stato democratico sono, per contro, da rinvenirsi nell’attribuzione della sovranità al popolo; nel suffragio universale e diretto; nel pluralismo politico e nella predisposizione di forme di tutela delle minoranze; nella garanzia dei diritti civili e politici. Ovviamente la democrazia moderna, a differenza della democrazia antica, si caratterizza per essere una democrazia rappresentativa, in cui la sovranità viene esercitata dal popolo, in via generale e di regola, attraverso propri rappresentanti. L’attribuzione della sovranità al popolo così intesa reca con sé la necessaria affermazione del suffragio universale e, con essa, del principio maggioritario, in base al quale le decisioni sono assunte dalla maggioranza e la minoranza è tenuta a conformarvisi. Tuttavia detto principio viene contemperato, in modo diverso nei vari ordinamenti, con limiti posti a tutela dei diritti delle minoranze stesse. È connaturata, infine, all’idea di democrazia, intesa come garanzia a ogni cittadino di partecipazione all’esercizio del potere pubblico in piena uguaglianza, l’affermazione non solo dei diritti politici, ma anche di quelli civili, dato per l’appunto il presupposto della uguale dignità di tutti coloro che formano parte del popolo. Passando adesso ad analizzare le forme di Stato dal punto di vista dei rapporti tra governo e territorio, emerge che lo Stato unitario non prevede autonomie locali o ne prevede con funzioni solo amministrative. È dunque uno Stato accentrato, in cui sono i poteri pubblici centrali a detenere ed esercitare la funzione legislativa, amministrativa e giurisdizionale. Rappresenta un modello recessivo, seppure tuttora presente in Francia e in Inghilterra, data la complessità delle funzioni attribuite ai poteri pubblici negli Stati moderni. Lo Stato federale, per contro, si costituisce, di norma, quando più Stati sovrani affidano a un livello di governo superiore le decisioni relative alla politica estera e alla difesa, all’indirizzo politico generale e ai princìpi generali dell’ordinamento. L’esempio paradigmatico, in questo caso, è rappresentato dagli Stati Uniti, là dove i singoli Stati federati svolgono rilevanti funzioni legislative, giurisdizionali e amministrative. Inoltre, benché essi abbiano sviluppato nel tempo forme di governo del tutto simmetriche rispetto allo Stato federale, mantengono tuttavia rilevanti peculiarità, soprattutto sotto il profilo dell’organizzazione a livello giudiziario e delle modalità di reclutamento dei giudici [2] . Lo Stato regionale, infine, si forma generalmente con un movimento dall’alto verso il basso, allorché il potere pubblico centrale distribuisce la sua sovranità sul territorio creando degli enti territoriali autonomi (le regioni) a sovranità derivata (e non originaria). Questa forma di Stato si differenzia dalla precedente in quanto il federalismo presuppone la parità tra gli Stati federati e una unione volontariamente realizzatasi tra gli stessi, mentre il regionalismo implica un rapporto di soggezione tra lo Stato e gli enti intermedi, nonché un trasferimento di sovranità da parte del primo nei confronti dei secondi. I motivi ispiratori di una simile forma di Stato sono generalmente da rinvenirsi, oltreché nell’esigenza di decentramento propria di uno Stato complesso quale è quello moderno, nella propensione di alcune comunità, con una più antica tradizione autonomistica, a sfuggire all’accentramento.
3. La forma di Stato delineata nella Costituzione italiana La forma di Stato tracciata dallo Statuto Albertino, dapprima riconducibile a uno Stato di diritto di matrice liberale e poi piegatasi a forma di Stato autoritario, era indiscutibilmente accentrata. Con la Costituzione repubblicana del 1948, viene invece delineata una forma di Stato democratico e regionale. «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1, c. 2, Cost.). I principali istituti mediante i quali il popolo esercita detta sovranità sono da rinvenirsi nel diritto di voto (art. 48), nel referendum abrogativo (art. 75), nella petizione popolare alle Camere (art. 50) e nella iniziativa legislativa popolare (art. 71, c. 2). Mentre il diritto di voto consente l’esercizio della sovranità a mezzo della rappresentanza politica e delle elezioni, il referendum abrogativo, la petizione popolare alle Camere e la iniziativa legislativa popolare sono istituti cosiddetti di democrazia diretta, ovvero che consentono la diretta partecipazione di ogni cittadino all’esercizio del potere sovrano. Tra di essi, l’istituto più rilevante è quello del referendum , che può essere richiesto da cinquecentomila elettori o da cinque consigli regionali in vista dell’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge (su cui vedi infra in questo paragrafo). Ne sono escluse le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi (si tratta del cosiddetto doppio quorum ). L’affermazione del principio democratico ha tuttavia ulteriori ricadute e implicazioni: porta con sé, per esempio, la possibilità di modificare la Costituzione a opera dell’assemblea rappresentativa solo con maggioranze qualificate, a tutela della minoranza parlamentare cui è dato anche il potere di richiedere in determinati casi la sottoposizione della legge costituzionale o di revisione costituzionale a referendum . La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Afferma infatti l’art. 138 Cost.:
1. Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. 2. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. 3. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
Dall’affermazione del principio democratico discende altresì la possibilità per il Governo, rappresentativo della sola maggioranza parlamentare, di adottare provvedimenti normativi aventi forza di legge soltanto al ricorrere di specifici presupposti, puntualmente delineati nel testo costituzionale. In particolare, l’adozione da parte del Governo dei decreti legislativi (strumento attraverso il quale spesso si dà sistemazione unitaria a una intera materia: ne è esempio il Testo Unico Istruzione, adottato con D.lgs. n. 297/94) è subordinata all’emanazione di una legge delega da parte del Parlamento. In base all’art. 76 Cost., l’«esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». L’art. 77 Cost. precisa ulteriormente che il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
Il decreto legge, in altri termini, può essere assunto dal Governo solo in «casi straordinari di necessità ed urgenza» e la permanenza dei suoi effetti è comunque condizionata da un intervento legislativo del Parlamento. Ne sono esempio i recenti decreti legge, n. 6/2020 «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» e n. 9/2020 «Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19». In passato, si è ritenuto che il principio democratico che innerva la nostra forma di Stato fosse in qualche modo attenuato dall’adesione all’Unione europea e dal conseguente ingresso, nel nostro ordinamento con rango e forza superiori alla legge ordinaria e agli atti aventi forza di legge, delle fonti del diritto europeo, i trattati, i regolamenti e le direttive. E questo perché detti atti normativi erano l’esito di un procedimento in cui il Parlamento europeo – unica istituzione eletta direttamente dai cittadini nell’ambito dell’Unione, già a partire dal 1979 – aveva un ruolo assai marginale rispetto al Consiglio, formato dai Ministri dei singoli Stati di volta in volta competenti. Si parlava pertanto, a tale proposito, di deficit democratico delle istituzioni europee. La questione si è tuttavia alquanto sopita dopo l’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, che ha rafforzato i poteri legislativi e di vigilanza del Parlamento europeo [3] . Per quanto riguarda poi la fisionomia del rapporto governo/territorio all’interno della nostra Carta, occorre innanzitutto rilevare che esso è stato al centro di una riforma costituzionale nel 2001, anticipata a partire dal 1997 dalla cosiddetta «riforma Bassanini». Con questa espressione si designa una serie di provvedimenti normativi di rango diverso volti ad attuare il «federalismo amministrativo a Costituzione invariata» o, come anche si è detto, «il massimo del federalismo possibile a Costituzione invariata». Su di essa si è poi innestata la riforma del 2001, che ha investito il Titolo V della Parte II della Carta costituzionale mutando profondamente il quadro ordinamentale e la ripartizione delle competenze (legislative e amministrative) tra Stato e Regioni e, in definitiva, gli equilibri tra centro e periferia rispetto a come originariamente delineati. Il testo della Costituzione del 1948 era stato ispirato da due modelli distinti: il regionalismo spagnolo della seconda Repubblica e il federalismo mitteleuropeo, in particolare tedesco [4] , che qui si erano mescolati e contemperati dando vita a un sistema dai tratti peculiari. Sul modello spagnolo era difatti esemplata l’enumerazione delle competenze legislative proprie delle Regioni contenuta nell’art. 117 cui si accompagnava, secondo il principio del parallelismo delle funzioni, l’intestazione alle stesse delle relative competenze amministrative. In base all’art. 118 Cost. spettavano «alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale», che potevano essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle province, ai comuni o ad altri enti locali. L’art. 118 proseguiva poi disponendo che lo Stato potesse, con legge, delegare alla regione l’esercizio di altre funzioni amministrative e che la regione esercitasse normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri Enti Locali, o valendosi dei loro uffici. È evidente che simili disposizioni si ponessero, come detto, nel solco del regionalismo, dal momento che nel modello federale la tecnica enumerativa è utilizzata in senso inverso, ovvero elencando le competenze dello Stato (federale). Dall’influenza spagnola è derivata inoltre la previsione di cinque Regioni ad autonomia speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta), titolari – come in Spagna – di competenze differenziate, disciplinate dai rispettivi statuti. Per contro, risultavano modellate sul federalismo mitteleuropeo sia la categoria delle Regioni ad autonomia ordinaria, dotate, al pari della generalità degli Stati membri di uno Stato federale, di uguali attribuzioni, sia la costituzionalizzazione del riparto delle competenze tra centro e periferia demandato, oltreché alla Costituzione, agli statuti regionali speciali, adottati – a differenza degli statuti spagnoli – con legge costituzionale. Come anticipato, a partire dal 1997, sulla scorta della legge n. 59 è stato progressivamente attuato un ampio conferimento di funzioni e
compiti amministrativi, unitamente a quello di risorse umane, materiali e finanziarie, dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali, dando piena attuazione al disposto dall’art. 118 Cost. e rimanendo nell’alveo dello stesso. Tale conferimento, ai sensi della legge n. 59/97, è avvenuto sotto le diverse forme, di volta in volta, del «trasferimento», della «delega» o dell’«attribuzione» e si è attuato attraverso strumenti normativi diversi (decreti legislativi, leggi regionali, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, regolamenti governativi) fra i quali si segnala il D.lgs. n. 112/98. A base dell’attuazione del federalismo amministrativo, nel sistema della legge n. 59/97 veniva posto il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale. Il primo investe proprio la distribuzione delle competenze amministrative tra livelli di governo diversi, collocando l’esercizio delle funzioni amministrative al livello di governo più vicino possibile al cittadino e prevedendo l’intervento dei livelli di governo superiori solo là dove l’esercizio delle funzioni da parte del primo non sia adeguato al raggiungimento degli obiettivi. La sussidiarietà orizzontale invece si applica nei rapporti tra apparati pubblici e società civile e muove dal presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) mentre i pubblici poteri intervengono in funzione sussidiaria, di programmazione, di coordinamento e solo eventualmente di gestione. Orbene, detto principio è stato uno degli ispiratori della riforma del 2001. Quest’ultima ha innovato profondamente il quadro costituzionale, intervenendo sia sulla distribuzione delle funzioni legislative tra Stato e Regioni sia sulla ripartizione delle funzioni amministrative tra Stato, Regioni ed Enti Locali e finendo per attenuare la distinzione – in passato assai marcata – tra le Regioni a statuto ordinario e le Regioni a statuto speciale. Sotto il primo profilo, l’art. 117 Cost. ha posto sullo stesso piano la legge regionale e quella statale imponendo a entrambe il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117, c. 1, Cost.). Ha poi capovolto il rapporto tra la potestà legislativa regionale e quella statale mediante l’inversione della tecnica enumerativa utilizzata nel testo originario della Carta: adesso quelle che risultano tassativamente elencate sono le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato (c. 2), individuate tra quelle che richiedono una disciplina uniforme sul territorio nazionale (si pensi a politica estera e rapporti internazionali dello Stato; immigrazione; difesa e forze armate; cittadinanza, stato civile e anagrafi; moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; la disciplina dei processi; la previdenza sociale ecc.); segue l’elencazione delle materie di competenza legislativa concorrente Stato-Regioni (c. 3), mentre spetta alle Regioni la potestà legislativa con riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (c. 4). La potestà regolamentare, ovvero il potere di adottare regolamenti quali atti normativi di dettaglio, spetta allo Stato nelle sole materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare è intestata alle Regioni in ogni altra materia e ciò è coerente con il fatto che, nelle materie di legislazione concorrente, spetta allo Stato individuare i principi generali (mediante le cosiddette «leggi cornice») e alle Regioni adottare la normativa di dettaglio. Infine, Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Definitivamente superato risulta poi il principio del parallelismo delle funzioni legislative e amministrative, sostituito dal principio di sussidiarietà verticale. L’art. 114 della Costituzione pone sullo stesso piano, come entità costitutive della Repubblica, i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato. Le funzioni amministrative sono attribuite, in prima battuta, ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base, per l’appunto, dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 118, c. 1). I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze (art. 118, c. 2). Nonostante le criticità rilevate, quali per esempio la difficoltà di tracciare delimitazioni nette tra le materie di competenza legislativa statale e quella regionale [5] o il fatto che il principio di sussidiarietà sia stato utilizzato più spesso per accentrare funzioni piuttosto che per allocarle al livello di governo più vicino al cittadino, il nuovo Titolo V esprime indubbiamente, nel suo insieme, una scelta coraggiosa. È una scelta coerente con le tendenze evolutive dei sistemi istituzionali di gran parte delle democrazie moderne. È la stessa complessità delle società moderne che suggerisce di adottare un modello organizzativo di tipo federale o, quanto meno, caratterizzato dal riconoscimento di forti autonomie regionali e locali: una ben congegnata e strutturata divisione del lavoro, dei compiti e dei poteri tra le istituzioni, europee, nazionali, regionali e locali è il modo di rispondere alla crescita, alla diversificazione, alla complessità delle domande sociali che caratterizzano il nostro tempo, e alla costante crescita e complessità dei compiti che gravano sulle istituzioni pubbliche, evitando l’ingolfamento delle domande sociali al centro del sistema [6] .
4. Le competenze dello Stato e delle Regioni in materia di istruzione Si tratta adesso di vedere quali ricadute produce un simile intreccio di competenze legislative e amministrative in materia di istruzione. Partiamo dalle competenze legislative. Prima della revisione costituzionale del 2001, la materia dell’istruzione non compariva nel testo della Carta, fatta eccezione per gli aspetti attinenti all’«assistenza scolastica», allora demandata alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni. Attualmente, invece, essa risulta disciplinata, all’interno del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, in maniera alquanto articolata. Da un lato, infatti, l’art. 117, c. 2, lett. n), Cost. intesta allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di «norme generali sull’istruzione», dall’altro l’art. 117, c. 3, Cost. prevede, tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni,
l’«istruzione», salva però l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; infine, proprio in virtù di tale espressa eccezione, il legislatore costituzionale sembra assegnare quest’ultima materia alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Si pensi infine al fatto che l’attribuzione della materia «istruzione» alla legislazione concorrente implica che lo Stato sia chiamato a dettare in relazione a essa principi fondamentali; il che impone di distinguere ciò che costituisce «norme generali sull’istruzione», ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. n) da ciò che invece costituisce principio fondamentale. Per concludere, occorre menzionare anche la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, c. 2, lett. m), che non a caso è stata oggetto di un’ampia delega al Governo in occasione della cosiddetta «riforma Moratti»: il riferimento è alla legge n. 53/03, denominata per l’appunto «Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale». In un quadro così composito, spesso è stata la Corte costituzionale – organo competente a giudicare della conformità al dettato costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge – a tracciare la linea di demarcazione tra le competenze legislative statali e quelle regionali. Significativa, a questo proposito, risulta la sentenza n. 200/2009. In essa la Corte muove dalla considerazione secondo cui le norme generali sul sistema scolastico sono racchiuse negli artt. 33 e 34 Cost., da cui si ricava «una chiara definizione vincolante – ma ovviamente non tassativa – degli ambiti riconducibili al ‘concetto’ di ‘norme generali sull’istruzione’». Esse possiedono una «valenza necessariamente generale e unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale». Il che significa attrarre nella nozione di «norme generali sull’istruzione» l’istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi (art. 33, c. 2, Cost.), con la definizione generale e complessiva del sistema educativo di istruzione e formazione, delle sue articolazioni cicliche e delle sue finalità; la garanzia del diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (art. 33, c. 3, Cost.); la parità tra scuole statali e non statali sotto il profilo della loro piena libertà e dell’uguale trattamento degli alunni (art. 33, c. 4, Cost.); la necessità di un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi (art. 33, c. 5, Cost.), con la previsione e la regolamentazione delle prove che consentono il passaggio ai diversi cicli; l’apertura delle scuola a tutti (art. 34, c. 1, Cost.); la obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore (art. 34, c. 2, Cost.); la garanzia del diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi (art. 34, c. 3, Cost.); la necessità di rendere effettivo quest’ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (art. 34, c. 4, Cost.). La Corte ha altresì ritenuto riconducibili a «norme generali sull’istruzione» quelle riguardanti l’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche (di cui all’art. 21 della legge n. 59/97), l’assetto degli organi collegiali, la razionalizzazione e l’accorpamento delle classi di concorso, la ridefinizione dei curriculi, la revisione dei criteri per la definizione degli organici e dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di formazione per gli adulti, poiché contribuiscono a delineare la struttura portante del sistema di istruzione senza necessità di un ulteriore intervento normativo a livello regionale, «assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale)». Infine, secondo la sentenza n. 76/13 della Corte, «ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo c., lettera g), Cost., trattandosi di norme che attengono alla materia dell’ordinamento e organizzazione amministrativa» dello stesso. In dette materie, la potestà legislativa dello Stato è esclusiva ed esso può dunque spingersi fino ad adottare la disciplina di dettaglio e regolamentare, a differenza di quanto accade con riferimento alla materia «istruzione» di cui all’art. 117, c. 3, Cost. Prova ne sono i diversi atti regolamentari adottati dal Governo, in attuazione della cosiddetta «riforma Gelmini», sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica e tuttora vigenti, che disciplinano aspetti nevralgici quali la «riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola» (D.P.R. n. 81/09), la «revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione» (D.P.R. n. 89/09), il «riordino degli istituti tecnici» (D.P.R. n. 88/10) e la «revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei» (D.P.R. n. 89/10). I «principi fondamentali» della materia «istruzione», invece, sono quelli che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione, dall’altro, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all’osservanza dei principi fondamentali stessi.
Sulla base di queste considerazioni, sono ricondotti alla potestà legislativa concorrente, per esempio, la programmazione scolastica regionale e il dimensionamento sul territorio della rete scolastica. In detta potestà risulta attratta anche l’edilizia scolastica: la Corte costituzionale, con sentenze nn. 62/13, 284/16 e 71/18, ha chiarito che essa costituisce punto di intersezione tra più materie, dal «governo del territorio» all’«energia» e alla «protezione civile», tutte di competenza concorrente. In tema di istruzione e formazione professionale infine, con la sentenza n. 50/05 la Corte ha affermato che la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda l’istruzione e la formazione professionale
pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi.
Il limite, anche in questo caso, è costituito dalle materie riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: nella sentenza n. 309/10, per esempio, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione Toscana, che prevedeva l’assolvimento dell’obbligo di istruzione mediante un percorso di formazione professionale diverso da quello individuato dalla disciplina statale, così violando le «norme generali» sul diritto-dovere di istruzione e formazione contenute nel D.lgs. n. 76/05. In detta occasione, la Corte ha chiarito che l’obbligo di istruzione è riconducibile al novero delle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio di istruzione.
Per quanto riguarda il riparto delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed Enti Locali, fondamentali risultano tuttora gli artt. 135 ss. D.lgs. n. 112/98. Restano attribuite allo Stato le competenze relative ai criteri e ai parametri per l’organizzazione della rete scolastica, le funzioni di valutazione del sistema scolastico, le funzioni relative alla determinazione e all’assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e del personale alle istituzioni scolastiche, le scuole militari (art. 137); sono delegate alle Regioni, per contro, le funzioni amministrative relative alla programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; alla programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali; la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli Enti Locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle scuole non statali (art. 138). Sulla base dell’art. 139 D.lgs. n. 112/98 risultano infine attribuiti alle Province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai Comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti: l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione; la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche; i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio; il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d’intesa con le istituzioni scolastiche; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; la costituzione, i controlli e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici a livello territoriale. I Comuni, anche in collaborazione con le Comunità montane e le Province, ciascuno in relazione ai gradi di istruzione di propria competenza, esercitano, anche d’intesa con le istituzioni scolastiche, iniziative relative alla educazione degli adulti; interventi integrati di orientamento scolastico e professionale; azioni tese a realizzare le pari opportunità di istruzione; azioni di supporto tese a promuovere e sostenere la coerenza e la continuità in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola; interventi perequativi; interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute.
5. Le forme di governo Le forme di governo, a differenza delle forme di Stato, riguardano soltanto uno dei tre elementi essenziali dello Stato: il governo inteso in senso ampio, come complesso e assetto dei pubblici poteri. In particolare, come già detto, la dottrina maggioritaria utilizza questa espressione per individuare i rapporti che intercorrono tra i poteri pubblici e il peculiare modo di essere del potere esecutivo rispetto agli altri poteri. Al fine di delineare la forma di governo di uno Stato, si prendono dunque in esame i rapporti tra il potere legislativo e il potere esecutivo, là dove il primo è quello deputato a produrre norme giuridiche e, per la precisione, le leggi, mentre il potere esecutivo è generalmente indicato quale quello che pone in essere l’attività concreta di cura degli interessi assunti come pubblici nell’ordinamento giuridico. Contribuiscono a qualificare la forma di governo anche le funzioni attribuite al Capo dello Stato (il Presidente nella repubblica e il Re nella monarchia), ulteriori rispetto a quella indefettibile di rappresentanza dell’unità nazionale, dalla funzione di garante del rispetto delle regole fondamentali da parte degli altri pubblici poteri, al potere di scioglimento del Parlamento, dalla nomina del vertice del Governo sino ad assommare in sé quella medesima funzione. Orbene, le forme di governo possono distinguersi in: forma di governo parlamentare, forma di governo presidenziale e forma di governo semipresidenziale. La forma di governo parlamentare si connota per la presenza di due elementi distintivi: il rapporto di fiducia tra il Parlamento e il Governo, che è obbligato a dimettersi in caso di sfiducia e la possibilità dello scioglimento anticipato del Parlamento da parte del Capo dello Stato. Il Capo dello Stato, dal canto suo, svolge la funzione di garante degli equilibri istituzionali. Il tratto distintivo della forma di governo presidenziale si rinviene invece in una rigida separazione tra il potere esecutivo e il potere legislativo e nel fatto che il capo dello Stato è al contempo il vertice del Governo. L’esempio paradigmatico di questa forma di governo è dato dagli Stati Uniti. A capo dell’esecutivo c’è il Presidente, eletto direttamente dal corpo elettorale al pari dell’Assemblea; questi forma il Governo senza che tra esso e l’Assemblea vi sia un rapporto di fiducia; non ha il potere di sciogliere quest’ultima ma può opporre il veto alle leggi che l’Assemblea approva. Per contro, alcuni dei più importanti poteri del Presidente, quali la ratifica dei trattati
e la nomina dei giudici della Corte suprema federale, sono esercitati solo con il consenso di una delle due camere, il Senato. In definitiva, volendo riassumere il carattere della sua struttura formale si può dire che è quello di una organizzazione all’interno della quale i vari poteri e, per quel che qui interessa, le due Camere e l’esecutivo sono continuamente chiamati a confrontarsi e a scontrarsi in una diuturna interazione fatta di contrattazioni e di reciproche concessioni circa l’adozione ed i contenuti di tutti i più importanti atti connessi all’esercizio dei rispettivi poteri [7] .
Per quanto riguarda, infine, la forma di governo semipresidenziale, essa è il risultato di una ricostruzione dottrinale avviatasi in occasione della introduzione dell’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Repubblica in Francia nel 1962. Detta forma di governo combina elementi propri di quella parlamentare con tratti distintivi della forma di governo presidenziale: in particolare, combina la sussistenza di poteri di governo assai incisivi in capo al Presidente della Repubblica, che tuttavia non è il vertice dell’esecutivo, con il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento. I poteri del Presidente vengono distinti in esclusivi e condivisi con il Governo; quando esercita poteri condivisi, gli atti compiuti dal Presidente devono essere controfirmati dal Primo Ministro e, all’occorrenza, dai Ministri responsabili. Tra i poteri esclusivi del Presidente si rivengono il diritto di sciogliere l’Assemblea e il controllo di legittimità costituzionale preventivo sulla legge. I principali poteri condivisi, invece, vengono individuati nella nomina e revoca dei Ministri su proposta del Primo Ministro e nella negoziazione e ratifica di trattati internazionali.
6. La forma di governo delineata nella Costituzione italiana La forma di governo vigente nell’ordinamento italiano è quella parlamentare. Il Parlamento, eletto a suffragio universale e diretto, elegge a sua volta il Presidente della Repubblica in seduta comune, in composizione integrata dai delegati regionali (tre per ogni regione, tranne la Valle d’Aosta che ne ha uno solo) e a maggioranza qualificata (due terzi dei membri nei primi tre scrutini e, dopo il terzo, a maggioranza assoluta) (cfr. art. 83 Cost.). Il Presidente della Repubblica, proprio per il ruolo di rappresentanza dell’unità nazionale e di garanzia che è chiamato a svolgere (cfr. art. 87 Cost.), deve essere espressione più ampia della mera maggioranza parlamentare. Spetta poi al Presidente della Repubblica nominare i componenti del Governo, provvedendo prima alla nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri e dopo, su proposta di questi, dei Ministri (art. 92 Cost.). Nella prassi, lo scarno disposto costituzionale ha dato vita a un procedimento piuttosto articolato, nel quale si può distinguere la fase delle consultazioni, da quella dell’incarico, da quella che caratterizza infine la nomina. Dopo la nomina, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento e ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento come prescritto dagli artt. 93 e 94 Cost. In particolare, entro dieci giorni dal decreto di nomina, il Governo è tenuto a presentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, dopo l’esposizione del proprio programma in aula. Il voto deve essere motivato dai gruppi parlamentari e avvenire per appello nominale, al fine di impegnare direttamente i parlamentari di fronte all’elettorato. Nel caso in cui il Presidente non riesca a dar vita a un Governo potenzialmente in grado di ottenere la fiducia delle Camere, egli può procedere al loro scioglimento anticipato (art. 88 Cost.) e all’indizione di nuove elezioni. Nel Governo è possibile distinguere l’apparato politico dagli apparati amministrativi. Il primo è costituito dal Ministro, promana indirettamente dal corpo elettorale e svolge una funzione di indirizzo politico, ovvero quella di individuare quali interessi non possono essere perseguiti privatamente, attraverso atti – per l’appunto – di indirizzo politico, come i regolamenti. Gli apparati amministrativi hanno, per contro, una legittimazione tecnica; il loro compito è quello di attuare gli indirizzi politici e pertanto di curare, in concreto, gli interessi pubblici attraverso atti e provvedimenti di carattere più o meno generale (si pensi per esempio all’atto con cui un ufficio scolastico territoriale individua e ripartisce sul territorio provinciale la dotazione dell’organico di sostegno di un determinato ordine di scuola). Gli apparati amministrativi, per la funzione che sono chiamati a svolgere, si distinguono dal primo sia per le modalità di selezione – hanno una legittimazione non già democratica, ma tecnica e ciò implica e presuppone il reclutamento per concorso – sia per i principi che presiedono alla loro organizzazione e alla loro attività. In base all’art. 97 Cost., queste sono rette infatti dai principi di imparzialità e buon andamento: non solo l’attività degli apparati amministrativi deve svolgersi in modo da rispettare detti principi ma, prima ancora, essi devono essere organizzati in modo da garantirne il rispetto. L’imparzialità, che per quanto attiene l’attività amministrativa ha trovato esplicitazione nelle disposizioni della legge n. 241/90 («Nuove norme sul procedimento amministrativo»), viene generalmente compendiata nella necessità che la p.a., allorché debba assumere una decisione, valuti tutti gli interessi (non solo pubblici, ma anche privati) coinvolti. Per tale motivo, l’azione dell’amministrazione si svolge attraverso un procedimento – il procedimento amministrativo, appunto – finalizzato a consentire la partecipazione dei portatori di interessi. Questi ultimi sono posti in grado di conoscere dell’esistenza di un procedimento che li riguarda grazie all’istituto della comunicazione di avvio del procedimento (artt. 7 e 8 della legge n. 241/90) e, in virtù del fatto che nella stessa comunicazione viene segnalato il nominativo del responsabile dell’istruttoria del procedimento, hanno la possibilità di interloquire con l’amministrazione prima dell’assunzione del provvedimento finale, prendendo visione degli atti e documenti e producendo memorie e scritti che la p.a. ha l’obbligo di valutare (art. 10 della legge n. 241). Dal punto di vista organizzativo, ciò implica che il dipendente pubblico sia obbligato ad astenersi dal partecipare a decisioni o svolgere
attività quando si trovi in conflitto di interessi (cfr. art. 7 D.P.R. n. 62/13 e, con specifico riferimento al responsabile del procedimento, art. 6 bis della legge n. 241/90); da ciò discende anche la disciplina delle incompatibilità e inconferibilità degli incarichi nella p.a. di cui al D.lgs. n. 39/13. Per quanto riguarda il buon andamento, esso è stato esplicitato nell’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, principi ispiratori della stessa legge n. 241/90 (cfr. art. 1, c. 1) che implicano, per esempio, per la pubblica amministrazione il divieto di «aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria» (art. 1, c. 2). Per ciò che attiene alle ricadute del principio sull’organizzazione, la Corte costituzionale ha per esempio ritenuto – nel caso di esercizio della libera professione da parte di un docente – che questo non interferisse con il buon andamento dato che «la facoltà di esercitare la libera professione è stata contenuta dal legislatore entro precisi limiti, giacché essa non è consentita se possa comunque incidere negativamente sull’espletamento dell’attività didattica e, in particolare, sull’osservanza dei doveri concernenti l’orario di insegnamento e di servizio» (sentenza n. 284/86), oppure che far transitare i professori incaricati «senza controllo di idoneità attuale, sulla base di titoli-prove, pubblicazioni, abilitazioni - risalenti spesso a data remota - nel nuovo ruolo dei professori associati avrebbe certamente violato il principio di buona organizzazione e buon andamento della pubblica Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione» (sentenza n. 620/87). Generalmente, si ritiene infatti contrario al principio del buon andamento il reclutamento automatico e senza concorso pubblico del personale alle dipendenze della pubblica amministrazione (sentenza Corte cost. n. 36/2020).
7. L’amministrazione scolastica Quando si parla di «amministrazione scolastica» si intende fare riferimento, da un lato, all’apparato ministeriale, nelle articolazioni che saranno più oltre passate in rassegna e, dall’altro, alle istituzioni scolastiche; sia il primo che le seconde sono amministrazioni deputate esclusivamente alla cura di interessi che afferiscono all’istruzione. Occorre tuttavia ricordare che funzioni (amministrative) in materia di istruzione sono intestate anche alle Regioni e agli Enti Locali, in virtù del D.lgs. n. 112/98 prima e degli artt. 117 e 118 Cost. poi. All’esito della riforma avviatasi con legge n. 59/97 e culminata nella riscrittura del Titolo V della Parte II della Costituzione, anche l’organizzazione dell’amministrazione scolastica ha subito un processo di riordino che ha il suo snodo fondamentale nel riconoscimento dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche, contenuto nell’art. 21 della medesima legge n. 59, con la conseguente attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi di istituto e l’assegnazione in via prioritaria alle stesse scuole di tutti i compiti connessi o comunque funzionali all’erogazione delle prestazioni. Come recita la disposizione citata, in vista della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche, attuando a tal fine anche l’estensione ai circoli didattici, alle scuole medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, della personalità giuridica degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte e ampliando l’autonomia per tutte le tipologie degli istituti di istruzione.
Con il D.P.R. n. 275/99 si è intervenuti poi declinando puntualmente le forme dell’autonomia delle scuole, chiamate a provvedere «alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni delegate alla regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli enti locali, ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» e a interagire «tra loro e con gli enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione». L’autonomia didattica (art. 4 D.P.R. n. 275/99) implica che le istituzioni scolastiche concretizzino gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscano e valorizzino le diversità, promuovano le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo. Fulcro di detta autonomia è il piano dell’offerta formativa – la cui efficacia temporale è stata estesa a un triennio con la legge n. 107/15 – il quale declina la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa delle singole scuole, in coerenza con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi determinati a livello nazionale riflettendo le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale (art. 3, commi 1 e 2 D.P.R. n. 275/99). Ciò spiega perché si sia passati dai Programmi ministeriali alle Indicazioni nazionali e alle Linee guida , su cui si rinvia all’apposito capitolo. Dall’autonomia didattica discendono poi l’autonomia organizzativa – che investe le modalità di impiego dei docenti, gli adattamenti al calendario scolastico apportati nel rispetto delle competenze della regione in materia, l’organizzazione flessibile dell’orario del curricolo e di quello destinato alle singole discipline, pur nel rispetto del monte orario previsto per le stesse e per le attività obbligatorie (art. 5 D.P.R. n. 275/99) – e l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo (art. 6 D.P.R. n. 275/99). L’autonomia della scuola ha implicato inoltre il radicarsi, in capo al dirigente scolastico, dei poteri propri del datore di lavoro nei confronti del personale dipendente dell’istituto, docente e ATA, e l’assegnazione all’istituzione scolastica delle funzioni relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni, all’amministrazione e alla gestione del patrimonio (cfr. art. 14 D.P.R. citato). L’autonomia si realizza altresì sul piano contabile ed economico-finanziario: le istituzioni scolastiche ricevono annualmente una dotazione ordinaria di risorse, trasferite dallo Stato, che viene utilizzata per assolvere a tutte le esigenze, prioritariamente quelle didattiche, secondo quanto stabilito nel programma annuale approvato dal consiglio di istituto entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento (art. 5, c. 9, D.I. n. 129/18). Ricevono altresì un fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa (MOF) la cui
destinazione viene contrattata con le RSU, alla luce delle esigenze che emergono dal Piano dell’offerta formativa. Negli ultimi anni ingenti risorse economiche sono state gestite dalle scuole nell’ambito dei progetti PON, finanziati con fondi europei e diretti alla realizzazione di obiettivi specifici (il contrasto alla dispersione, il rafforzamento delle competenze di base, l’orientamento e il riorientamento ecc.). Ciò ha spinto le scuole a curvare la loro offerta formativa in modo da intercettare detti obiettivi, rendendoli in alcuni casi prioritari rispetto agli altri, data per l’appunto la forte concentrazione di risorse. Risultano escluse dall’attribuzione alle istituzioni scolastiche le funzioni in materia di personale, «il cui esercizio è legato a un ambito territoriale più ampio di quello di competenza della singola istituzione, ovvero richiede garanzie particolari in relazione alla tutela della libertà di insegnamento»: a) la formazione delle graduatorie a esaurimento, riferite ad ambiti territoriali più vasti di quelli della singola istituzione scolastica, con esclusione dunque delle graduatorie di circolo e di Istituto che vengono gestite dalle scuole; b) il reclutamento del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e del personale a tempo determinato che viene attinto dalle graduatorie a esaurimento; c) la mobilità esterna alle istituzioni scolastiche e l’utilizzazione del personale eccedente l’organico di istituto; d) le autorizzazioni per utilizzazioni ed esoneri per i quali sia previsto un contingente nazionale; comandi, utilizzazioni e collocamenti fuori ruolo (cfr. art. 15 D.P.R. n. 275). Dette funzioni rimangono così intestate all’apparato ministeriale nelle sue articolazioni territoriali. Il Ministero dell’Istruzione è attualmente in fase di riorganizzazione, dopo che il D.lgs. n. 1/2020 (cosiddetto decreto «spacchettamento»), convertito in legge n. 12/2020, ha segnato la scissione tra questo e il Ministero dell’Università e ricerca scientifica. Il decreto legge citato, modificando il D.lgs. n. 300/99, prevede che il Ministero dell’Istruzione svolga le funzioni di spettanza statale nelle seguenti aree funzionali: organizzazione generale dell’istruzione scolastica, ordinamenti e programmi scolastici, stato giuridico del personale, inclusa la definizione dei percorsi di abilitazione e specializzazione del personale docente e dei relativi titoli di accesso, sentito il Ministero dell’Università e della Ricerca; definizione dei criteri e dei parametri per l’organizzazione della rete scolastica; definizione degli obiettivi formativi nei diversi gradi e tipologie di istruzione; definizione degli indirizzi per l’organizzazione dei servizi del sistema educativo di istruzione e di formazione nel territorio al fine di garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale; valutazione dell’efficienza dell’erogazione dei servizi medesimi nel territorio nazionale; definizione dei criteri e parametri per l’attuazione di politiche sociali nella scuola; definizione di interventi a sostegno delle aree depresse per il riequilibrio territoriale della qualità del servizio scolastico ed educativo; attività connesse alla sicurezza nelle scuole e all’edilizia scolastica, in raccordo con le competenze delle regioni e degli enti locali; formazione dei dirigenti scolastici, del personale docente, educativo e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola; assetto complessivo e indirizzi per la valutazione dell’intero sistema formativo, anche in materia di istruzione superiore e di formazione tecnica superiore; congiuntamente con il Ministero dell’Università e della Ricerca, indirizzo e vigilanza dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) e dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE); promozione dell’internazionalizzazione del sistema educativo di istruzione e formazione; sistema della formazione italiana nel mondo ferme restando le competenze del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale stabilite dal decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64; determinazione e assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e del personale alle istituzioni scolastiche autonome; ricerca e sperimentazione delle innovazioni funzionali alle esigenze formative; supporto alla realizzazione di esperienze formative finalizzate all’incremento delle opportunità di lavoro e delle capacità di orientamento degli studenti; riconoscimento dei titoli di studio e delle certificazioni in ambito europeo e internazionale e attivazione di politiche dell’educazione comuni ai paesi dell’Unione europea; consulenza e supporto all’attività delle istituzioni scolastiche autonome; programmi operativi finanziati dall’Unione europea; altre competenze assegnate dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, nonché dalla vigente legislazione. Il Ministero si articola in due dipartimenti in relazione alle aree funzionali appena elencate. Esso era stato in verità di recente riorganizzato con D.P.C.M. n. 140/19, il cui art. 8 declina inoltre le funzioni attribuite agli Uffici scolastici regionali. A essi spetta supportare le istituzioni scolastiche, per esempio promuovendo la flessibilità organizzativa, didattica e di ricerca delle istituzioni scolastiche, nonché la ricognizione delle esigenze formative e lo sviluppo della relativa offerta sul territorio; spetta loro promuovere la ricognizione delle esigenze formative e lo sviluppo della relativa offerta sul territorio in collaborazione con la Regione e gli Enti Locali, nonché curare i rapporti con l’amministrazione regionale e con gli Enti Locali, per quanto di competenza statale, per l’offerta formativa integrata, l’educazione degli adulti, nonché l’istruzione e formazione tecnica superiore e i rapporti scuola-lavoro; spetta loro altresì svolgere attività di verifica e vigilanza sulle istituzioni scolastiche e la vigilanza sulle scuole non statali paritarie e non paritarie; spetta loro assegnare alle istituzioni scolastiche ed educative le risorse di personale ed esercitare tutte le competenze, ivi comprese le relazioni sindacali, non attribuite alle istituzioni scolastiche o non riservate all’amministrazione centrale; spetta loro infine anche la legittimazione passiva nelle controversie con il personale della scuola. Detti uffici si articolano a loro volta in uffici territoriali, con compiti di consulenza e supporto alle scuole sulle procedure amministrative e amministrativo-contabili, di monitoraggio sull’edilizia scolastica, sulla sicurezza, sullo stato di integrazione degli alunni immigrati, sull’utilizzo dei fondi europei. Spetta infine agli uffici territoriali la delicata gestione delle graduatorie a esaurimento e dell’organico del personale docente e ATA ai fini della loro assegnazione alle istituzioni scolastiche.
[1] Cfr.
fin d’ora su tutti i profili passati in rassegna successivamente Forme di Stato e forme di Governo , in Enciclopedia on line Treccani .
[2] Cfr.
Y. Meny (1991), Accentramento-decentramento , in Enciclopedia delle scienze sociali Treccani .
[3] Per [4] Cfr.
approfondimenti, si consiglia di consultare il sito ufficiale dell’Unione europea all’indirizzo www.europa.eu/european-union/index_it . su questi aspetti A. D’Atena (2012), Regionalismo e federalismo, in Il contributo alla storia del pensiero-Diritto .
[5] Come
testimoniato dal progressivo aumento dei giudizi resi in via principale dalla Corte costituzionale, ovvero su conflitti tra Stato e Regioni o tra Regioni: si veda a tale proposito E. Rossi, La giurisprudenza della Corte costituzionale nel giudizio in via principale nel triennio 2011-2013: profili statistici e tendenze più rilevanti , in www.giurcost.org/studi/rossi3.pdf . [6]
F. Bassanini, La “manutenzione straordinaria” del “nuovo” Titolo V , in www.astrid-online.it/static/upload/protected/BASS/BASSANINIManutenzStraordTitV-1.pdf . [7] G.
Caporali (2017), Forma di Governo presidenziale nordamericana , in Diritto on line .
2. L’autonomia scolastica. Dalla Riforma Bassanini alla Legge 107/2015 a cura di Maria Cristina Cigliano
1. Verso l’autonomia delle scuole Gli anni Ottanta e Novanta del Novecento segnano un passo decisivo verso il superamento – almeno concettuale – del modello meccanicistico dell’educazione.Tale modello si fondava sul rapporto deterministico tra causa ed effetto: un soggetto insegna (comunica informazioni), un soggetto apprende (riceve informazioni e le replica). Non vogliamo qui ripercorrere storicamente quei decenni, ma riteniamo utile rilevare alcuni passaggi normativi che costituiscono anticipazioni importanti verso l’autonomia delle scuole. La legge che segna una vera e propria svolta nel panorama scolastico italiano è la legge 4 agosto 1977 n. 517. I concetti fondamentali, intorno ai quali si costruisce l’impianto normativo, sono quelli di valutazione, programmazione e integrazione. La valutazione (collegiale) tiene conto delle osservazioni sistematiche sull’alunno «sul suo processo di apprendimento e sul livello di maturazione raggiunto sia globalmente sia nelle singole discipline». Non è più ridotta, pertanto, alla valutazione di singole prove, ma si propone come un continuum che si sviluppa intorno al concetto di «partecipazione alla vita della scuola». La programmazione educativa è introdotta «al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità degli alunni», prevedendo attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe oppure di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati, anche a carattere interdisciplinare, in relazione alle esigenze dei singoli alunni.
L’individualizzazione così concepita è funzionale al terzo concetto chiave, l’integrazione, con la previsione di specifici interventi da parte di insegnanti specializzati. La legge, inoltre, prevede che si possano organizzare anche interventi di «doposcuola, prescuola e interscuola», ampliando il servizio oltre l’inizio e la fine delle tradizionali ore di lezione. È consentito, infine, l’uso dell’edificio da parte di soggetti esterni, accreditando la scuola come «centro di promozione culturale, sociale e civile» per il territorio. Del profondo cambiamento ormai avviato sono testimonianza i nuovi programmi per la scuola media e quelli per la scuola elementare, così come l’art. 26 della legge 26 giugno 1990 n. 162. Si affida alle scuole il compito di approfondire temi di pedagogia preventiva e d’innovazione didattica, sollecitando il protagonismo degli stessi studenti che «possono proporre iniziative da realizzare nell’ambito dell’istituto con la collaborazione del personale docente». A tale legge fa seguito la C.M. 22 dicembre 1992, n. 362 che fornisce il quadro interpretativo […] per la vita e l’attività della scuola, per il ruolo attivo e responsabile che va riconosciuto agli allievi, la buona qualità delle relazioni e degli apprendimenti, l’integrazione fra finalità educative e insegnamento curricolare, la progettualità d’istituto e la progettualità entro i singoli insegnamenti.
Siamo ormai lontani dalla concezione trasmissiva del sapere e al docente è finalmente riconosciuto lo status di professionista. L’idea generale si può riassumere nel modo seguente: la scuola non può perseguire i suoi fini istituzionali e rendere effettivo il diritto allo studio senza farsi carico, per la sua parte, della «rimozione degli ostacoli» che compromettono più o meno gravemente il raggiungimento di tali fini. L’impegno di rimozione che la scuola deve affrontare, in quanto istituzione di questa Repubblica, implica la necessità di lavorare non solo con i contenuti disciplinari e con le didattiche specifiche, ma anche con i processi, con le relazioni, con i significati, con le motivazioni da cui dipendono il successo o l’insuccesso scolastico, la gioia, la tristezza, la voglia di vivere e di lavorare o la rinuncia, la disistima di sé, il rifiuto più o meno esplicito della vita.
Il diritto allo studio acquista perciò sempre più il carattere di diritto alla buona qualità della vita scolastica che si realizza anche sperimentando esperienze di scuola-lavoro, di produzione di beni e servizi, di assistenza a compagni più giovani in difficoltà, in un’ottica trasversale delle prospettive educative rispetto alle discipline, secondo il principio della continuità educativa, cui va ispirato l’intero ordinamento scolastico. Una decisa accelerazione verso una scuola aperta al territorio e disponibile alla ricerca di nuove didattiche e nuove occasioni di apprendimento è data dal D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 567. La norma promuove «iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli studenti, la creazione di occasioni e spazi di incontro […] modalità di apertura della scuola in relazione alle domande di tipo educativo e culturale provenienti dal territorio». Si favorisce in tal modo la fine della cesura tra scuola ed extra scuola, tra cittadini
in età scolare e adulta nell’ottica dell’educazione permanente. Con la legge 18 dicembre 1997 n. 440 si destina uno specifico fondo all’arricchimento e all’ampliamento dell’offerta formativa, sostanziando anche in termini economici le previsioni del D.P.R. 567/1997.
2. La riforma Bassanini La legge 15 marzo 1997, n. 59 (cosiddetta «riforma Bassanini») affida al Governo il compito di emanare un certo numero di decreti legislativi su diverse materie per riformare la pubblica amministrazione. I principi ispiratori sono: la sussidiarietà, che implica l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, vale a dire alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati; la completezza, l’efficienza e l’economicità, con la conseguente soppressione di compiti e funzioni diventate superflue in virtù del predetto trasferimento di competenze; la cooperazione tra le diverse articolazione dello Stato; la responsabilità e l’unicità dell’amministrazione, con la conseguente attribuzione a un unico soggetto della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa; l’omogeneità, per la quale si prevede una razionalizzazione dei compiti attribuiti; l’adeguatezza e la differenziazione, con l’attribuzione di funzioni adeguate rispetto alle dimensioni, alle caratteristiche e alla capacità organizzativa di ciascun ente; l’autonomia organizzativa e regolamentare nell’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti. Allo Stato restano attribuite le funzioni che si riferiscono a materie d’interesse nazionale e strategico, tra cui «gli ordinamenti e i programmi scolastici, l’organizzazione generale dell’istruzione e lo stato giuridico del personale». Per le funzioni e i compiti trasferiti è disposta la potestà normativa delle Regioni e degli Enti Locali secondo le rispettive competenze, ma è riservata allo Stato la funzione di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche anche attraverso un efficace controllo interno di gestione. Alla scuola è dedicato l’art. 21 che conferisce alle istituzioni scolastiche l’autonomia con l’attribuzione delle funzioni di gestione del servizio d’istruzione, nel rispetto dei livelli unitari nazionali, e ai capi d’istituto la qualifica dirigenziale. A tal fine si prevedono più regolamenti per determinare i requisiti necessari per l’attribuzione della personalità giuridica e gli aspetti fondamentali per l’esercizio delle nuove prerogative. Dal punto di vista finanziario la relativa dotazione è attribuita «senza altro vincolo di destinazione che quello dell’utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività d’istruzione, di formazione e di orientamento». Il regolamento amministrativo-contabile che sarà approvato da lì a poco (D. I. 44/2001) elimina qualsiasi richiesta di autorizzazione e di controllo preventivo, attribuisce competenze specifiche al dirigente scolastico e al Consiglio d’Istituto, prevede attività di controllo esterno affidate a un collegio dei revisori dei conti. L’autonomia scolastica si esprime in termini organizzativi e didattici. Dal punto di vista organizzativo sono consentite «flessibilità e diversificazione». Si possono superare «l’unità oraria della lezione, l’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti», mantenendo il rispetto di pochi vincoli stabiliti a livello nazionale, quali «i giorni di attività didattica annuale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi». Dal punto di vista didattico le scelte autonome della scuola devono tener conto della libertà d’insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e del diritto ad apprendere. Le due «libertà» sono funzionali alla realizzazione di un «diritto» all’interno del «perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale d’istruzione» e devono rispettare le esigenze formative degli studenti. Per rafforzare la libera progettualità si introduce l’organico funzionale, assegnato sulla base del progetto educativo della scuola, che trova la sua applicazione effettiva solo nel 2015, con la legge 107. Alla scuola sono affidati compiti di educazione degli adulti, di lotta alla dispersione e all’abbandono, di orientamento, riprendendo concetti come si è visto già anticipati negli anni precedenti.
3. La riforma Bassanini: i decreti legislativi derivati La legge delega 59/1997 prevede che siano emanati decreti legislativi per regolare le diverse materie in coerenza con la disciplina generale prevista dalla legge delega stessa. Tra il 1998 e il 2001 l’emanazione di tali decreti modifica sostanzialmente il panorama del sistema italiano di istruzione. Esaminiamo di seguito quelli che più direttamente introducono novità per le scuole. A distanza di circa un anno entra in vigore il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che ridisegna il complesso quadro delle funzioni e dei compiti affidati dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali secondo il principio di sussidiarietà, avocando comunque allo Stato le funzioni di indirizzo, di coordinamento e il potere sostitutivo in caso di inerzia dell’ente preposto. Nel campo dell’istruzione restano allo Stato le competenze relative ai criteri e ai parametri per l’organizzazione della rete scolastica, le funzioni di valutazione del sistema, la determinazione e l’assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e la determinazione degli organici. Alle Regioni sono attribuite le competenze che si riferiscono alla programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, la programmazione della rete scolastica, la suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa, la determinazione del calendario scolastico, i contributi alle scuole non statali, le iniziative e le attività di promozione relative all’ambito delle funzioni conferite. Ai Comuni e alle Province sono attribuiti le funzioni e i compiti d’istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di scuole, la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche, i servizi di supporto organizzativo per la disabilità e lo
svantaggio, il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti. I Comuni hanno inoltre compiti relativi all’educazione degli adulti, alle attività di orientamento, di lotta alla dispersione e di promozione dell’educazione alla salute. L’emanazione del D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233 determina i parametri dimensionali che deve raggiungere un’istituzione scolastica per essere riconosciuta come istituzione autonoma. Le dimensioni sono considerate requisito di garanzia per «l’equilibrio ottimale tra domanda di istruzione e organizzazione dell’offerta formativa» per assicurare da un lato permanenza e stabilità, aderenza alle caratteristiche demografiche, geografiche e socioculturali del territorio. Una popolazione scolastica compresa tra i 500 e i 900 alunni è parametro per acquisire o mantenere la personalità giuridica; deroghe sono previste per le piccole isole, i comuni montani e aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche. Quasi contemporaneamente viene emanato il D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 «Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della Scuola secondaria». Nel decreto è riproposta la cornice valoriale che informa l’intero provvedimento. La scuola è intesa come «comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni». Lo studente è titolare di diritti, primo fra tutti quello di ricevere una formazione qualificata, rispettosa delle diversità e della pluralità di idee. Ha diritto ad avere piena consapevolezza di tutto ciò che lo riguarda, come persona e come parte della collettività, soprattutto in materia di valutazione che deve essere «trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento». Ha inoltre diritto ad avere occasioni di espressione della libertà di pensiero e d’iniziativa. Lo studente è altresì chiamato a conformarsi ai doveri di rispetto, di correttezza, di osservanza delle disposizioni impartite, di cura e responsabilità verso se stesso, gli altri e l’ambiente scolastico in senso lato. Ma il regolamento che disciplina in maniera organica l’autonomia scolastica è il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275. L’autonomia delle scuole è definita «funzionale» perché relativa «alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa» e, quindi, alla funzione propria di educazione, formazione e istruzione. Coerentemente con la riforma Bassanini, allo Stato resta la definizione degli obiettivi generali del processo formativo e di quelli specifici relativi alle competenze degli alunni, la quantificazione delle quote di curricolo obbligatorio e di quelle di flessibilità, la definizione degli standard di qualità del servizio, gli indirizzi generali per la valutazione degli alunni, i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi formativi per l’educazione permanente degli adulti. Circa la valutazione, si prevede che a livello centrale si fissino metodi e scadenze per rilevazioni periodiche con finalità di miglioramento del servizio. All’autonomia didattica è dedicato l’art. 4 che consente di regolare i tempi di realizzazione degli interventi educativi in modo flessibile, di disarticolare le classi in gruppi di studenti, di attivare percorsi individualizzati anche con l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti. Deve essere ricercata la maggiore adesione possibile agli stili cognitivi e di apprendimento dello studente in funzione del raggiungimento del successo formativo sostanziale e dello sviluppo delle competenze di ciascuno. La flessibilità e l’individualizzazione degli apprendimenti hanno bisogno di autonomia organizzativa (art. 5) e di autonomia di ricerca e sviluppo (art. 6). Sono possibili adattamenti del calendario scolastico, programmazioni plurisettimanali dell’orario del curricolo, diversa articolazione dell’orario di lezione, modalità diversificate nell’impiego dei docenti nelle diverse classi e sezioni. Tali soluzioni devono essere giustificate da un’attenta analisi dei bisogni ed essere corroborate da un forte spirito di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo, che parta dalla formazione professionale, dalla ricerca valutativa fino all’innovazione metodologica e disciplinare. I processi attivati possono prevedere la collaborazione tra scuole con accordi di rete (art. 7) che consentono ai soggetti aderenti di lavorare insieme per finalità definite all’interno dell’accordo stesso. Tali intese possono essere allargate a soggetti diversi, quali università, istituzioni, enti, associazioni, agenzie, per la realizzazione di attività di comune interesse. Le risultanze dei processi attivati confluiscono nel Piano triennale dell’offerta formativa, come modificato dalla legge 107/2015. A tale Piano che è definito «il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche» sarà dedicato un capitolo a parte.
4. La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 Il complesso quadro riformistico fin qui delineato trova compimento nella legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 che modifica il Titolo V della parte seconda della Costituzione. Gli articoli modificati vanno dal n. 114 al n. 132 e intervengono sugli ambiti di competenza dei diversi organi dello Stato, distinguendo tra materie a legislazione esclusiva (Stato o Regione) e materie a legislazione concorrente (Stato e Regione). Il nuovo assetto dello Stato è immediatamente evidente nell’art. 114 che indica nei comuni, nelle province, nelle città metropolitane e nelle regioni, tutti autonomi e con propri statuti e poteri, gli elementi che «costituiscono» lo Stato e non gli elementi che lo «compongono», innalzando in tal modo la dignità delle Regioni e degli Enti Locali. La modifica più incisa è quella introdotta dall’117. La formulazione precedente elencava una serie di materie devolute dallo Stato alle Regioni, ambiti considerati eccezionali e residuali rispetto al potere legislativo dello Stato. Nella nuova formulazione a essere limitato è proprio lo Stato: il comma 2 riserva a legislazione statale esclusiva solo le materie di interesse nazionale, tra cui la difesa, la politica estera, la moneta. Nelle altre materie lo Stato non ha più potestà legislativa generale, ma si riserva la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Si afferma il principio di legislazione concorrente per il quale «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Per quello che riguarda l’istruzione, il perimetro delle competenze vede riservare
alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la norma generale, alla competenza delle Regioni l’istruzione e la formazione professionale, alla legislazione concorrente gli altri aspetti. Viene fatta salva l’autonomia delle scuole che, in tal senso, riceve un riconoscimento costituzionale. Alle Regioni e agli Enti Locali viene riconosciuta la potestà regolamentare nelle materie a loro affidate nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e di maggiore vicinanza agli interessi dei cittadini. Le funzioni amministrative sono affidate dall’art. 118 ai Comuni; alle Regioni e agli Enti Locali è riconosciuto dall’art. 119 il potere di esigere tributi propri e di gestire proprie risorse nel rispetto della Costituzione e dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. A tal fine è istituito «un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante» e lo Stato può destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinate aree. In capo al governo (art. 120) restano poteri sostitutivi in caso «di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria», «di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica», di necessità di «tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e […] dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». Nel caso di conflitto di competenza tra i diversi organi dello Stato si può ricorrere alla Corte costituzionale sollevando la questione di legittimità costituzionale.
2B. Legge 13 luglio 2015, n. 107 di riforma del sistema d’istruzione a cura di Licia Cianfriglia
1. Generalità La legge 107 del 2015 rappresenta il più recente tentativo organico di riforma del sistema dell’istruzione del nostro paese. Nonostante la discussione ampia e allargata che era stata stimolata fin dal settembre 2014 con la consultazione intorno al documento politicoprogrammatico La Buona Scuola dell’allora governo Renzi, il testo aveva sollevato una elevata ostilità da parte dei sindacati del comparto scuola e dei partiti dell’opposizione, che miravano a ridurre la portata innovativa del disegno. Risultato di ciò è una legge che risente nella forma e nella sostanza del suo complesso iter, essendo costituita di un solo articolo che consta di 212 commi nei quali si affrontano numerosi aspetti della governance e dell’organizzazione della scuola, in modo che risulta difficile coglierne lo spirito unitario. La trattazione che segue sarà organizzata sui temi centrali della riforma e sui nuovi strumenti da questa introdotti, riportando anche in modo diacronico le modifiche successivamente intervenute in alcune delle sue parti. Il comma 1 dell’articolo 1 ne declina in modo sintetico le finalità generali, che saranno perseguite dando «piena attuaazione all’autonomia scolastica, così come definita dall’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni». Il legislatore ha inteso affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza, innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva, garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini.
2. Il Piano triennale dell’offerta formativa e l’organico dell’autonomia A partire dall’anno scolastico 2015/2016 le scuole sono state chiamate a una progettazione triennale dell’offerta formativa. Il PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa ), introdotto al c. 14 dell’art. 1 della legge e da adottare entro il mese di ottobre antecedente al triennio di riferimento, sostituisce il documento di pianificazione che in precedenza era definito annualmente dalle scuole ai sensi del Regolamento dell’autonomia (art. 3 D.P.R. 275/1999, ora modificato). Il Piano dovrà esplicitare la progettazione curricolare ed extracurricolare, educativa e organizzativa adottata in autonomia dalla scuola, ma d’ora in poi anche la previsione dei fabbisogni di personale docente, tecnico, amministrativo e ausiliario e la necessità di infrastrutture e attrezzature. Il PTOF dovrà recepire anche le priorità di miglioramento individuate col Rapporto di Autovalutazione (RAV) e dichiarate al suo interno nel Piano di Miglioramento. Sarà incluso inoltre il Piano di formazione per il personale. La legge introduce una novità nel processo di costruzione del PTOF che prende ora l’avvio con un atto di indirizzo del dirigente al Collegio dei docenti – relativo alle attività e alle scelte di amministrazione e gestione – sulla base del quale l’organo tecnico formula una proposta che poi sarà poi approvata dal Consiglio d’Istituto. Il personale è, naturalmente, la leva strategica per il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia del servizio e a tale riguardo la legge 107/2015 introduce importanti novità, prima tra tutte quella dell’organico dell’autonomia. Il comma 5 dell’art. 1 della legge istituisce per ciascuna intera istituzione scolastica, o istituto comprensivo, e per tutti gli indirizzi degli istituti secondari di secondo grado afferenti alla medesima istituzione scolastica un unico organico dell’autonomia , funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali. I docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento. Il contingente viene individuato dalla scuola attraverso le scelte progettuali e organizzative del PTOF, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel rispetto del monte orario degli insegnamenti, tenuto conto della quota di autonomia dei curricoli e degli spazi di flessibilità, di eventuali iniziative di potenziamento dell’offerta formativa e delle attività progettuali finalizzate al raggiungimento degli obiettivi scelti come prioritari ai sensi del comma 7 dell’art. 1 della legge, cui si rimanda. Fin dal primo anno di applicazione della legge, attraverso le successive fasi di determinazione dell’organico a ciascuna scuola è assegnato un certo numero di cattedre aggiuntive rispetto a quelle necessarie per la sola copertura delle ore di insegnamento e di sostegno previste dagli ordinamenti, utili per la realizzazione delle attività di potenziamento. Il numero complessivo di posti di potenziamento istituiti l’anno di prima applicazione ammontava a poco meno di 50.000 unità. Tuttavia, la clausola «senza maggiori oneri per la finanza pubblica» contenuta nella legge ha fortemente condizionato le possibilità progettuali delle scuole, in modo particolare nelle secondarie di primo e secondo grado, in quanto il personale assegnato secondo le logiche di precedenza nelle graduatorie provinciali non sempre risulta coincidente con le necessità espresse nei rispettivi PTOF. La procedura di assegnazione dell’organico dell’autonomia è andata a regime dall’anno scolastico 2016/2017, successivamente alla definizione degli ambiti territoriali da parte degli Uffici Scolastici Regionali, prevista dalla legge entro il 30 giugno 2016. Gli ambiti territoriali hanno dimensioni sub-provinciali e sono costituiti tenendo conto della numerosità della popolazione scolastica, della collocazione delle istituzioni scolastiche e della relativa vicinanza, delle caratteristiche del territorio. Secondo il dettato della legge,
dall’anno scolastico 2016/2017 il personale docente assunto è assegnato agli ambiti territoriali. Al momento in cui si scrive è in corso di discussione presso la Camera dei Deputati una proposta di legge (A.C. 2005), già approvata nel luglio 2019 dall’Assemblea del Senato della Repubblica, che prevede modifiche alla legge 107/15 in materia di ambiti territoriali e chiamata diretta, tese a ripristinare la titolarità dei docenti su scuola e ad abolire la chiamata per competenze, di cui al paragrafo che segue.
3. Il piano straordinario di assunzioni e la chiamata diretta Una delle forti criticità nella gestione del personale nella nostra scuola è determinata dal sistema delle graduatorie dei docenti, risultante dallo stratificarsi di successivi interventi normativi e causa dell’avvicendamento continuo di personale precario sulle cattedre a discapito della continuità didattica. Con l’obiettivo di ridurre il precariato, esaurire il maggior numero possibile di graduatorie e consentire l’avvio di nuove procedure di formazione e selezione di docenti giovani e competenti, la legge 107/2015 ha realizzato un piano straordinario di assunzioni. Tale piano viene ricordato da un lato per il gran numero di docenti immessi in ruolo all’avvio dell’anno scolastico 2015/2016 e dall’altro per il malcontento generato in una parte del personale docente che, a fronte della possibilità di essere immesso nei ruoli dello stato, ha dovuto scegliere sedi di titolarità a volte anche molto distanti dalla propria residenza. Realizzato in quattro fasi successive regolate dalla legge, il piano ha immesso nel sistema d’istruzione oltre 100.000 unità di personale, di cui circa 24.000 su posti di sostegno. Successivamente al piano straordinario di assunzioni, per consentire una più razionale collocazione del personale sul territorio tenendo conto delle esigenze anche di quanti hanno avuto assegnazioni di sede in località molto lontane da quelle di residenza, la legge ha previsto un Piano straordinario di mobilità territoriale e professionale su tutti i posti vacanti dell’organico dell’autonomia. In materia di gestione del personale l’istituto di grande novità introdotto dalla legge 107/15 è stato senza dubbio la cosiddetta chiamata diretta o per competenze , ovvero la procedura di individuazione dei docenti sugli ambiti territoriali. Si è trattato di un vero capovolgimento di prospettiva, che avrebbe potuto dare un contributo significativo all’efficacia e qualità dei risultati delle scuole. Secondo il disegno originario il dirigente di ciascuna scuola, per coprire i posti vacanti e disponibili poteva proporre incarichi triennali ai docenti di ruolo assegnati allo stesso ambito territoriale su posti comuni e di sostegno, tenendo anche conto delle candidature presentate dai docenti e delle precedenze previste dalla legge 104/1992 e in coerenza col PTOF. L’operazione era improntata ad assoluta trasparenza, essendo prevista la pubblicazione sul sito della scuola dei criteri di individuazione adottati, degli incarichi conferiti, dei curricola dei docenti interessati, le cui esperienze e competenze potevano essere messe in luce anche mediante appositi colloqui. L’ultima parola in questo innovativo processo di individuazione era assegnata ai docenti, che secondo la legge avevano la facoltà di scelta tra le proposte ricevute e anche eventualmente la possibilità di non accettazione. Si dava, insomma, alle scuole l’opportunità di individuare le migliori competenze per la realizzazione della propria offerta formativa e ai docenti di scegliere la sede più rispondente alle proprie aspirazioni professionali, attraverso un dialogo basato sulle rispettive visioni e aspirazioni. Applicata con grande impegno di dirigenti e personale amministrativo dall’estate precedente l’anno scolastico 2016/2017, è stata poi progressivamente sospesa ed è in corso l’atto finale della sua archiviazione.
4. Il Piano Triennale di Formazione del personale docente e il Piano Nazionale Scuola Digitale La legge 107 al comma 124 dell’art. 1 interviene sul tema della formazione in servizio dei docenti con una misura molto chiara che identifica la formazione come un dovere di servizio, stabilendo che Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.
La formazione era già citata tra gli obblighi di servizio del personale docente all’interno del CCNL, come attività funzionale all’insegnamento, senza tuttavia che mai se ne fosse sancita l’obbligatorietà, pur essendo individuata quale leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento e per un’efficace politica di sviluppo delle risorse umane. L’amministrazione, quale soggetto titolare della responsabilità di fornire le opportunità di formazione in servizio, avrebbe dovuto stipulare uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali di comparto, che non è mai stato realizzato. Il primo Piano Triennale di Formazione ai sensi del comma 124 dell’articolo 1 della legge 107/15 è stato adottato con D.M. 797 del 19 ottobre 2016 per il triennio 2016-2019. Il documento, che rappresenta il quadro di riferimento istituzionale della formazione in servizio, definisce le priorità e le risorse finanziarie, delineando a partire dall’anno scolastico 2016/2017 un sistema coerente di interventi per la formazione e lo sviluppo professionale. Il Piano tiene assieme le priorità nazionali, i piani formativi delle scuole e delle loro reti e i bisogni professionali dei docenti. Gli obiettivi formativi individuati al suo interno sono riferibili a obiettivi di crescita personale e professionale del singolo docente, obiettivi di miglioramento della scuola e a una strategia per lo sviluppo dell’intero Paese. Un ruolo
importante nella realizzazione del piano è a oggi rivestito dalle «scuole polo» per la formazione all’interno dei vari ambiti territoriali, che ricevono finanziamenti a valere sul fondo complessivo per organizzare percorsi formativi che tengano conto delle esigenze rilevate sul territorio di riferimento e delle priorità strategiche individuate a livello nazionale. Queste ultime sono relative a competenze di sistema (autonomia didattica e organizzativa, valutazione e miglioramento, didattica per competenze e innovazione metodologica) a competenze per il XXI secolo (lingue straniere, competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento, scuola e lavoro) e competenze per una scuola inclusiva (integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale, inclusione e disabilità, coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile). A sostenere economicamente questo impegnativo progetto sono state da allora impegnate le risorse stanziate dalla legge 107 per 120 milioni di euro, le risorse del PON per 160 milioni di euro e fondi ex legge 440 per 45 milioni di euro, cui vanno aggiunti 1.161 milioni di finanziamento della Carta del docente. Un investimento considerevole di 1.486 milioni di euro per un piano che avrebbe dovuto e potuto avere un forte impatto trasformativo sulla scuola, cosa che purtroppo non è stato. Un apposito stanziamento è stato poi destinato dalla legge 107 alla realizzazione del PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) previsto dal comma 56 che recita: «Al fine di sviluppare e migliorare le competenze digitali degli studenti e rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in generale, il MIUR adotta il PNSD, in sinergia con la programmazione europea e regionale e con il Piano strategico nazionale per la banda ultralarga» e il successivo comma 58 ne esplicita gli obiettivi, tra i quali ricordiamo lo sviluppo competenze digitali degli studenti, il potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali e delle infrastrutture di rete, la formazione dei docenti per l’innovazione didattica e lo sviluppo della cultura digitale. Con D.M. 851 del 27 ottobre 2015 viene emanato un ampio e articolato Piano d’innovazione. Per l’attuazione è stata effettuata una previsione di investimenti che copre il periodo 2015-2020 e che, attingendo a fondi per la Buona Scuola, PON «Per la Scuola» FESR 2014-2020 e altri fondi MIUR, ammonta a oltre un miliardo di euro. Ogni scuola è stata invitata nell’autunno 2015 a organizzare un Team per l’innovazione, a partire dall’individuazione di un docente cui assegnare l’incarico di Animatore Digitale , una figura di riferimento interno per facilitare il dialogo con l’ufficio di coordinamento centrale. A partire dall’Animatore Digitale e dal Team sono state avviate dal MIUR le iniziative di formazione e lanciate le proposte progettuali alle scuole, mediante una sequenza scarsamente pianificata di avvisi MIUR e PON.
5. L’alternanza scuola lavoro I commi 33 e 34 disciplinano la realizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro. L’alternanza come modalità didattica era stata già introdotta nel 2003 dalla riforma Moratti (legge 53/2003 art. 4) e poi disciplinata dal D.lgs. 77/2005. La novità della legge 107 è l’obbligatorietà di tali percorsi in tutte le scuole secondarie di secondo grado a partire dal terzo anno, originariamente nella misura di almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e di almeno 200 ore nei licei. Tale monte ore minimo è stato poi modificato dalla legge 145/2018 (legge di bilancio 2019) che ha ridotto il monte ore minimo a 210 negli istituti professionali, 150 negli istituti tecnici e solo 90 nei licei. La stessa legge ha dimezzato il fondo di finanziamento previsto e ridenominato la misura in PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento). Tutto questo a scapito delle opportunità altamente formative e orientative che tali esperienze possono favorire negli studenti. I percorsi, che costituiscono una innovativa modalità didattica, sono inseriti nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa e possono riguardare anche i periodi di sospensione dell’attività didattica, possono essere svolti con le modalità dell’impresa formativa simulata e anche all’estero, in convenzione con un’ampia varietà di soggetti. Tali esperienze devono essere co-progettate tra scuola e mondo delle organizzazioni, per favorire gli studenti nell’individuazione delle attitudini individuali e nell’acquisizione di conoscenze e abilità utili allo sviluppo di una propria personalità e professionalità.
6. Lo staff del dirigente e la valorizzazione del personale docente Per gestire un’organizzazione della complessità di una scuola il dirigente ha bisogno di uno staff di collaborazione allargato di sua fiducia cui delegare specifici. La legge 107/2015, intervenendo sulla materia con il comma 83 dell’art. 1, ha aumentando fino al 10% dell’organico dell’autonomia il numero di unità di personale che il dirigente può scegliere come coadiutori in attività di supporto organizzativo e didattico, superando la previsione restrittiva delle due sole figure come da CCNL di comparto. L’attuale staff allargato ricomprende quindi i coadiutori individuati ai sensi del comma 83 e anche tutte le figure di responsabili di plesso, di coordinatori di dipartimento e di progetto, di coordinatori di classe, di responsabili di laboratorio, cui potranno essere aggiunte le funzioni strumentali alla realizzazione del PTOF. Novità di grande rilievo introdotta già dall’anno scolastico 2015/2016 è la valutazione del personale docente di ruolo, connessa all’assegnazione di un bonus premiale . Il dirigente esercita tale prerogativa tenuto conto dei criteri per la valorizzazione individuati da un comitato per la valutazione dei docenti ora rinnovato, ai sensi del comma 129 dell’art. 1 della legge, che riscrive l’art. 11 del D.lgs. n. 297 del 1994. Il comitato conserva la sua validità per un triennio ed è composto dal dirigente, che lo presiede, da due docenti scelti dal collegio, da un docente scelto dal Consiglio d’Istituto e da due genitori (un genitore e un alunno nelle scuole secondarie di secondo grado) e da un componente esterno individuato dall’Ufficio Scolastico Regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici. Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti all’interno dei seguenti ambiti: la qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti; i risultati ottenuti dal docente o
dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche; le responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale. Recenti modifiche normative hanno allargato i destinatari del bonus anche ai docenti non di ruolo. L’assegnazione, a opera del dirigente, viene effettuata dopo la definizione dei criteri per la determinazione dei compensi al tavolo contrattuale d’istituto, come previsto dal CCNL del comparto 2016/2018. Il dirigente fonda la sua motivata valutazione su elementi oggettivi ed evidenze e risponde delle scelte operate in occasione della sua valutazione professionale, come previsto dal Sistema Nazionale di Valutazione (D.P.R. 80/2013) e come ribadito dalla legge di riforma.
7. L’edilizia scolastica A partire dal comma 153 dell’art. 1, relativo alle «scuole innovative», un complesso di misure previste dalla riforma riguardano il gravoso problema dell’edilizia scolastica. Sono stanziati 300 milioni di euro nel triennio 2015-2017 per costruire scuole all’avanguardia dal punto di vista architettonico, impiantistico, tecnologico, dell’efficienza energetica e della sicurezza strutturale e antisismica, con nuovi ambienti di apprendimento e aperte al territorio. L’attuazione seguirà l’emanazione di appositi decreti. È autorizzata la spesa di 40 milioni di euro per il 2015 per indagini diagnostiche dei solai degli edifici scolastici, per garantire la sicurezza e prevenire eventi di crollo degli stessi. Da allora è stato avviato un percorso di riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico di tutto il territorio nazionale, che tuttavia versa in tali condizioni di degrado da costituire tuttora un elemento di continuo allarme e di necessario considerevole impegno.
8. Le deleghe e i decreti legislativi Il disegno di riforma della Buona Scuola era in origine molto ampio. Alcune delle materie contenute nel disegno di legge inizialmente presentato dal Governo al Parlamento sono state confinate successivamente tra le materie oggetto di delega, previste dal comma 180 dell’art. 1. Non tutte le deleghe di cui al comma 180 sono state attuate. Si rimanda, per l’approfondimento di quanto normato, ai seguenti decreti legislativi: D.lgs. 13 aprile 2017, n. 59, «Riordino del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella Scuola secondaria»; D.lgs. 13 aprile 2017, n. 60, «Promozione della cultura umanistica, valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sostegno della creatività»; u D.lgs. 13 aprile 2017, n. 61, «Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale»; u D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62, «Valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato»; u D.lgs. 13 aprile 2017, n. 63, «Effettività del diritto allo studio con particolare riferimento alle condizioni di disagio»; u D.lgs. 13 aprile 2017, n. 64, «Disciplina della scuola italiana all’estero»; u D.lgs. 13 aprile 2017, n. 65, «Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni»; u D.lgs. 13 aprile 2017, n. 66, «Promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità» (con le successive disposizioni integrative e correttive del D.lgs.7 agosto 2019, n. 96). u u
La legge aveva anche previsto la revisione del regolamento di cui al D.I. 44/2001, realizzata con l’adozione del D.I. 129 del 28 agosto 2018, Nuovo Regolamento di contabilità delle scuole.
3. Gli ordinamenti scolastici con particolare riguardo alla evoluzione della Scuola secondaria di primo e secondo grado a cura di Grazia Fassorra
1. La Scuola secondaria di primo grado: dalla riforma del 2003 a oggi Il processo di riforma dell’intero sistema di istruzione e formazione, dopo interventi parziali, sperimentazioni e un progetto rimasto inattuato (legge 30/2000) si può attribuire all’approvazione da parte del Parlamento della legge 53 del 28 marzo 2003, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. A due anni dall’insediamento del nuovo governo, la ministra dell’Istruzione Moratti, che aveva affidato a pedagogisti ed esperti guidati dal prof. Bertagna, il compito di delineare le linee portanti di una riforma completa di tutto il sistema, riesce a far approvare dal Parlamento una legge delega che contiene molte innovazioni, ma che tiene conto anche delle trasformazioni del sistema e delle acquisizioni maturate nel decennio precedente, a partire dall’autonomia delle scuole e dalla riforma del Titolo V della Costituzione [8] , per arrivare all’idea di obbligo formativo che, già presente nella legge 30/2000, diventerà norma autonoma con il decreto legislativo 76 del 2005 sul «diritto-dovere all’istruzione e alla formazione». Le innovazioni presenti nella legge sono comunque rilevanti: basti pensare al capovolgimento del rapporto insegnamento/apprendimento, alla personalizzazione del curricolo, alla unificazione del secondo ciclo nel sistema dei licei e all’affidamento alle Regioni dell’intera partita dell’istruzione professionale (provvedimento questo che troverà molti ostacoli e che si risolverà nel mantenimento di due canali formativi, uno dello Stato e uno delle Regioni). La riorganizzazione del sistema in due cicli, preceduti da un segmento non obbligatorio di tre anni, la scuola dell’infanzia, non è un’idea nuova, ma trova, nell’ambito della legge, una collocazione organica che permette per la prima volta di cogliere l’insieme e la complessità del sistema stesso. La Scuola secondaria di primo grado, che fa parte del primo ciclo, viene così descritta nella legge 53 (art. 2, comma 1/f): la Scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio ed al rafforzamento delle attitudini alla interazione sociale; organizza ed accresce, anche attraverso l’alfabetizzazione e l’approfondimento nelle tecnologie informatiche, le conoscenze e le abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; è caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell’allievo; cura la dimensione sistematica delle discipline; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione; introduce lo studio di una seconda lingua dell’Unione europea; aiuta ad orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione; il primo ciclo di istruzione si conclude con un esame di Stato, il cui superamento costituisce titolo di accesso al sistema dei licei e al sistema dell’istruzione e della formazione professionale.
Nel Decreto Legislativo 59/2004, attuativo della legge delega (al quale sono allegate le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati [9] ), si specificano i principi e si danno alle scuole le coordinate organizzative fondamentali come la definizione del primo ciclo e la durata dei segmenti che lo compongono. La Scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni, è articolata in un periodo didattico biennale e in un terzo anno «che completa prioritariamente il percorso disciplinare ed assicura l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo», confermando così la sua funzione orientativa per la prosecuzione degli studi. Si ricorda, a questo proposito, che la legge 53 aveva abrogato la legge 9/1999 sul prolungamento dell’obbligo di istruzione in previsione di una nuova disposizione, il D.lgs. 76/2005 (ai sensi dell’art. 2, comma 1. c) che vincola i giovani allo studio o alla formazione fino a 18 anni come diritto-dovere da espletarsi nelle scuole, nei percorsi di istruzione e formazione professionale [10] e nei percorsi formativi per l’apprendistato. Ecco le principali novità della Scuola secondaria di primo grado: 1. l’orario diventa annuale ed è articolato in tre segmenti: obbligatorio, facoltativo/opzionale e quello riservato al servizio di mensa e di dopo mensa per le scuole con tempo prolungato; i tre segmenti rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico e concorrono a costituire «un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa» [11] . L’orario obbligatorio (quota nazionale) è di 891 ore, quello facoltativo/opzionale è di 198 ore (la cui frequenza è gratuita), quello dedicato alla mensa e al dopo mensa è, al massimo, di 231 ore. Si tratta di 27 ore (in media) settimanali come orario obbligatorio, che nel 2005 saranno aumentate a 29 per il recupero di due ore da quelle facoltativo/opzionali per incrementare l’orario delle discipline di inglese e di tecnologia considerato insufficiente; l’ora settimanale restante del «pacchetto» facoltativo/opzionale sarà, col riordino del 2009, assegnato all’approfondimento delle materie letterarie. Nel tempo prolungato il monte ore è determinato mediamente in 36 ore settimanali, elevabili fino a 40, compreso il tempo mensa. I corsi a indirizzo musicale continuano a funzionare secondo l’ordinamento previsto dalla Legge 3 maggio 1999, n. 124 (art. 11) [12] . È previsto l’inglese
potenziato o l’italiano potenziato per gli alunni stranieri, utilizzando le due ore settimanali destinate alla seconda lingua comunitaria; 2. ai fini della validità dell’anno, per la valutazione degli alunni è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato; 3. le scuole statali appartenenti al primo ciclo possono essere aggregate tra loro in istituti comprensivi anche comprendenti le scuole dell’infanzia esistenti sullo stesso territorio. Questa disposizione avrà molta fortuna nel prosieguo in quanto gli istituti comprensivi diventeranno presto il modello dominante nel primo ciclo; 4. nelle scuole è prevista la presenza di un docente incaricato di funzioni tutoriali. Il docente tutor è una innovazione dirompente per il nostro sistema che non prevede alcuna articolazione della funzione docente, ma la sua sostanziale unicità. È descritto al comma 5 dell’art. 7 del decreto legislativo come una figura in possesso di specifica formazione che, in costante rapporto con le famiglie e con il territorio, svolge funzioni di orientamento in ordine alla scelta delle attività […] di tutorato degli allievi, di coordinamento delle attività educative e didattiche, di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della documentazione del percorso formativo compiuto dall’allievo.
Questa novità ha vita breve in quanto, per l’opposizione di gran parte del mondo sindacale, si arriva alla sua disapplicazione, disposta con la sequenza contrattuale del 17 luglio 2006 che chiude l’esperienza della funzione tutoriale; 5. per la valutazione degli alunni, per implementare il processo di personalizzazione degli interventi formativi, previsto per l’intero percorso scolastico di ciascuno, si introduce il Portfolio delle competenze che però, dopo sperimentazioni di modelli effettuate in varie sedi, proteste sindacali, approfondimenti e dibattiti, viene accantonato in quanto considerato oneroso per il lavoro dei docenti e nel 2006 viene esclusa ogni sua funzione di certificazione, attestazione e valutazione. Resta quindi indicato come uno strumento didattico che può essere scelto e utilizzato dalle scuole, ma che perde il carattere di ufficialità che gli aveva dato la norma; 6. l’accesso alla Scuola secondaria avviene per valutazione dei docenti, senza esame di licenza, mentre il terzo anno della Scuola secondaria si conclude con l’esame di Stato di fine ciclo che è titolo di accesso al sistema dei licei e a quello dell’istruzione e della formazione professionale; 7. le Indicazioni nazionali allegate al decreto declinano gli obiettivi di apprendimento attesi ed evidenziano che la Scuola secondaria di primo grado favorisce l’acquisizione da parte dell’alunno delle competenze necessarie nel periodo di passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, ne prosegue l’orientamento educativo, eleva il livello di educazione e di istruzione personale di ciascun cittadino […] accresce le capacità di partecipazione e di contributo ai valori della cultura e della civiltà e costituisce, infine, grazie agli sviluppi metodologici e didattici conformi alla sua natura «secondaria», la premessa indispensabile per l’ulteriore impegno dei ragazzi nel secondo ciclo di istruzione e di formazione.
Salvo le modifiche sopra citate, le innovazioni presenti nella legge 53 e nel D.lgs. 59 restano nel sistema e la Scuola secondaria di primo grado assume con saldezza il suo compito di step di passaggio tra i cicli e di funzione orientativa fondamentale per la prosecuzione degli studi, soprattutto nel momento in cui, nel 2007, con la riforma dell’obbligo di istruzione e l’innalzamento dell’età per il suo conseguimento a 16 anni, perde il suo ruolo di percorso terminale [13] . Nel 2007 vengono emanate, con un decreto del ministro Fioroni, le Indicazioni nazionali per il curricolo che rivedono l’impianto di quelle allegate al D.lgs. 59/2004 e che mettono l’accento soprattutto sul tema della continuità educativa a partire dai tre anni del bambino fino all’uscita dal primo ciclo. Questa impostazione sarà fortemente ripresa dal testo definitivo delle Indicazioni nazionali del 2012, dopo un altro documento emanato dalla ministra Gelmini che conteneva l’invito ad armonizzare tra loro il documento del 2004 e quello del 2007: un’impresa difficile che viene archiviata con l’emanazione del testo definitivo. Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2007, oltre all’impianto per la verticalità del curricolo, i temi dominanti sono l’impostazione unitaria del primo ciclo, la continuità nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla primaria e da questa alla secondaria di primo grado, l’organizzazione delle discipline in aree (linguistico-artistico-espressiva, storico-geografica, matematico-scientificotecnologica) e la definizione dei traguardi per lo sviluppo delle competenze in uscita dalla scuola primaria e dal primo ciclo. Con la legge 30 ottobre 2008, n. 169 (con un nuovo governo e la nuova ministra Gelmini) vengono introdotte alcune novità a partire dall’anno scolastico 2008-2009: l’avvio di una sperimentazione e di azioni di sensibilizzazione e formazione del personale, per l’acquisizione di conoscenze e competenze concernenti l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione nell’ambito delle aree storico-sociale e storico-geografica; u la valutazione del comportamento con voti espressi in decimi per gli studenti della Scuola secondaria di primo grado (restano i giudizi per gli alunni della scuola primaria, secondo l’ordinamento vigente); u la valutazione degli apprendimenti degli allievi espressa con voti in decimi nella scuola primaria e nella Scuola secondaria di primo grado e la certificazione delle competenze. u
Con il piano programmatico contenuto nell’art. 64 della legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione del Decreto legge 112 del 25 giugno 2008, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività , inizia un riordino generale degli ordinamenti, visti gli interventi diversi e talvolta di segno opposto tra loro succedutisi negli anni, a partire dal 2003, dovuti all’alternanza delle maggioranze di governo. Si comprende che l’obiettivo prioritario del piano (mediante un’intesa tra il Ministero dell’Istruzione e quello dell’Economia e delle
Finanze) è ridurre la spesa nel settore e quindi predisporre disposizioni per la razionalizzazione del personale, con l’aumento graduale di un punto del rapporto alunni/docente; la riduzione della consistenza numerica della dotazione organica del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA); la riconduzione delle cattedre di secondaria di primo e secondo grado a 18 ore; il superamento delle attività di co-docenza e il contenimento delle attività di compresenza di docenti di teoria e degli insegnanti tecnico-pratici di laboratorio; la riconversione professionale dei docenti delle classi di concorso in esubero; la revisione dei criteri di formazione delle classi. Inoltre il piano prevede: la ridefinizione dei curricoli vigenti e la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orario; la razionalizzazione e l’accorpamento delle classi di concorso; u la ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione degli adulti; u il ridimensionamento della rete scolastica; u il graduale innalzamento del rapporto alunni disabili/docenti ai sensi della legge finanziaria 2008 [14] , in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un docente ogni due alunni disabili. u u
Come si può intuire, si tratta di un riordino davvero complessivo del sistema e molti sono i regolamenti che riguardano le materie indicate, ma i più importanti che interessano la Scuola secondaria di primo grado sono: il D.P.R. 89 del 20 marzo 2009, Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo ; il D.P.R. 81 del 20 marzo 2009, Regolamento su norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola ; u il D.M. 254 del 6 novembre 2012, Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione . u u
Nel D.P.R. 89/2009 viene definito il nuovo quadro orario della Scuola secondaria di primo grado: settimanale
annuale
Italiano, Storia, Geografia
9
297
Attività di approfondimento in materie letterarie
1
33
Matematica e scienze
6
198
Tecnologia
2
66
Inglese*
3
99
Seconda lingua comunitaria
2
66
Arte e immagine
2
66
Scienze motorie e sportive
2
66
Musica
2
66
Religione cattolica
1
33
* Si può attivare un orario di 5 ore settimanali per l’insegnamento della lingua inglese (inglese potenziato) «a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di organico e l’assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria […] anche utilizzando le 2 ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria o i margini di autonomia previsti » (D.P.R. 89/2009 art. 5 comma 10).
I corsi a indirizzo musicale, già ricondotti a ordinamento dalla legge 3 marzo 1999, n. 124, si svolgono oltre l’orario obbligatorio delle lezioni. Con il D.M. n. 254/2012 (Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione che revisiona i documenti precedenti) si dà un assetto definitivo agli obiettivi (diventano Finalità generali), agli esiti del processo formativo (identificati con i Traguardi per lo sviluppo delle competenze ) e al profilo delle competenze al termine del primo ciclo. Centrale è l’apprendimento dello studente e si rafforza l’idea della costruzione del curricolo della scuola in senso verticale: Nel rispetto e nella valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le Indicazioni costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole. Sono un testo aperto, che la comunità professionale è chiamata ad assumere e contestualizzare, elaborando specifiche scelte, relative a contenuti, metodi, organizzazione e valutazione coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento nazionale.
Rispetto ai documenti precedenti ci sono delle importanti novità: l’inserimento delle competenze chiave europee nel curricolo della scuola primaria e secondaria di primo grado; il richiamo alla Costituzione come asse educativo per gli alunni e la definizione del profilo in uscita dal ciclo (attraverso la declinazione delle competenze attese). Le nuove Indicazioni confermano la tendenza della scuola di base italiana all’accoglienza e all’inclusione, ma anche alla necessità di offrire percorsi verso più solide competenze, a partire dalla padronanza della lingua italiana, dalle capacità di argomentare e di risolvere problemi, dall’incontro con il nostro patrimonio storico, artistico e ambientale e dalle sempre più indispensabili competenze digitali. Per quanto riguarda la valutazione si succedono due norme, il D.P.R. n. 122/2009 Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e il D.lgs. 62/2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107 , che ha abrogato la
vigenza del D.P.R. 122 per quanto riguarda il primo ciclo e che ha prodotto due altri regolamenti importanti, il D.M. 741/2017 sugli esami di Stato finali e il D.M. 742/2017 sulla certificazione delle competenze in uscita dalla scuola primaria e dal primo ciclo. La valutazione periodica e finale degli apprendimenti avviene mediante l’attribuzione di un voto numerico espresso in decimi, per ciascuna delle discipline di studio ed è effettuata dal consiglio di classe che «in caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline può deliberare, con adeguata motivazione, la non ammissione alla classe successiva». Nel caso di carenze nei livelli di apprendimento la scuola si preoccupa di attivare strategie per il loro superamento. Particolare attenzione viene prestata alle tematiche dell’inclusione per quanto riguarda gli alunni con disabilità e con disturbi specifici di apprendimento, per consentire loro un esito positivo di questo percorso di istruzione.
2. La Scuola secondaria di secondo grado: dalla legge 53/2003 al riordino del sistema Con il D.lgs. 226/2005, attuativo della Legge 53/2003 per il secondo ciclo, si ha una sua definizione attraverso la costituzione di otto licei che riorganizzano i vecchi percorsi liceali, quelli dell’istruzione tecnica e dell’istruzione artistica. L’istruzione professionale viene invece affidata alle Regioni. I licei sono: Classico, Economico (articolato in aziendale e istituzionale), Linguistico, Musicale e Coreutico, Scientifico, Tecnologico (articolato in meccanico-meccatronico; elettrico ed elettronico; informatico, grafico e comunicazione; chimico e materiali; produzioni biologiche e biotecnologie alimentari; costruzioni, ambiente e territorio; logistica e trasporti; tecnologie tessili, dell’abbigliamento e della moda); delle Scienze Umane. Per quanto riguarda i percorsi di istruzione e formazione professionale, vengono indicati, nel capo III del decreto, i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che riguardano l’offerta formativa, l’orario minimo annuale e l’articolazione dei percorsi, i requisiti dei docenti, la valutazione e la certificazione delle competenze, le strutture e i servizi. Il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale , corredato di Indicazioni Nazionali , è stato di fatto «congelato» per difficoltà di tipo attuativo e di accordo tra le Regioni e modificato successivamente attraverso le leggi 296 del 2006, 40 del 2007 e 133 del 2008 (art. 64). È stato oggetto di numerose contestazioni, in particolare per la devoluzione degli istituti professionali alle Regioni e per l’effettiva scomparsa degli istituti tecnici considerata, soprattutto nel mondo delle imprese, come una perdita grave di identità formativa delle figure tecniche. Già nel 2005, subito dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del provvedimento di riforma del secondo ciclo, sedici organizzazioni di rappresentanza delle imprese [15] diffondono un documento contro la «liceizzazione» degli istituti tecnici che, nonostante le rassicurazioni della ministra Moratti sulla continuità tra i nuovi licei e i pregressi istituti, mostrano, nei piani di studio, una preoccupante curvatura verso una cultura generalista. Il documento sostiene che le due finalità principali, competitività nell’economia globalizzata e occupabilità sostenibile, si possono perseguire solo attraverso un rafforzamento e non un indebolimento dell’asse tecnico della formazione. Sulla scorta di un’analisi attenta dei risultati dell’indagine OCSE PISA si apre una riflessione sul rapporto tra quantità e qualità, ma soprattutto tra le conoscenze e competenze di base che devono diventare patrimonio di tutti e quelle tecniche che aprono nuove frontiere anche di tipo occupazionale. Si argomenta infatti che tra cultura e professionalità non c’è un rapporto di «aut aut» ma di «et et». La richiesta delle imprese di maggiore cultura generale per i giovani che escono dalla Scuola secondaria superiore non deve quindi essere confusa con una rinuncia alle competenze di settore, necessarie alla preparazione di giovani in grado di sostenere l’entrata sul lavoro ed una formazione on the job o una specializzazione post diploma, e concorrere quindi attivamente allo sviluppo delle imprese.
L’orientamento del sistema verso una liceizzazione mirata prioritariamente all’accesso all’università non può che portare alla distruzione di un patrimonio tradizionale di alte competenze tecniche e tecnologiche tipiche del nostro paese che ne hanno consentito e sostenuto lo sviluppo. Il dibattito sul tema è stato molto ampio, soprattutto anche per la devoluzione dell’istruzione professionale di Stato alle Regioni, una scelta che ha visto posizioni non univoche anche tra le Regioni stesse che, notoriamente, hanno livelli diversi di pratiche riguardo alla formazione professionale. Anche questo è un problema annoso che si è presentato più volte alla scelta dei ministri e che non è stato mai risolto per il ruolo sostitutivo che gli istituti professionali di Stato hanno avuto prima della nascita delle Regioni (alle quali la Costituzione affida la formazione professionale agli articoli 117 e 118), ruolo che hanno teso a mantenere e a rafforzare a partire dagli anni Novanta. La presenza nel sistema di un’istruzione professionale di Stato e di una formazione regionale, di fatto, crea una distorsione rispetto agli altri paesi europei, ma soprattutto può generare difficoltà nella delineazione dei campi di intervento, nella governance del sistema e nel delicato rapporto tra enti. Inoltre le sperimentazioni degli anni Novanta tendenti a innalzare la qualità dell’offerta formativa degli istituti professionali hanno prodotto un avvicinamento tra questi e i tecnici col risultato di selezionare ulteriormente la loro utenza verso il basso. Il tentativo del D.lgs. 226 ha avuto il merito di mettere in evidenza questi problemi, in negativo, in quanto ha prodotto una reazione con esiti ancora aperti. L’istanza di recupero dell’istruzione tecnica e, conseguentemente, di quella professionale viene raccolta dal ministro Fioroni che ne pone le basi nella legge finanziaria 296/2006 e nella Legge 2 aprile 2007, n. 40, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza […] e per la valorizzazione dell’istruzione tecnico-professionale che dispone:
la modifica del decreto legislativo n. 226, con il recupero, accanto ai licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali, mediante la soppressione del liceo economico e di quello tecnologico; i percorsi del liceo artistico, invece, si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni formativi; u il riordino e il potenziamento degli istituti tecnici e degli istituti professionali i cui percorsi vengono finalizzati al conseguimento del diploma; u la riduzione del numero degli indirizzi e il loro ammodernamento nell’ambito di settori tecnico-professionali articolati in un’area di istruzione generale, comune a tutti e in aree di indirizzo; la scansione temporale dei percorsi e dei relativi risultati di apprendimento; la previsione di un monte ore annuale delle lezioni sostenibile per gli alunni; la riorganizzazione delle discipline di insegnamento per potenziare le attività curricolari, di stage e di tirocini; l’orientamento agli studi universitari e al sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore; u l’adozione di linee guida, d’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni, per realizzare raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale nei quali si conseguono qualifiche e diplomi professionali (nei percorsi quadriennali) di competenza delle Regioni; u la costituzione, in ambito provinciale o sub-provinciale, di poli tecnico-professionali tra gli istituti tecnici e professionali, le strutture della formazione professionale accreditate e le strutture che operano nell’ambito del sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore (istituti tecnici superiori). I poli sono costituiti sulla base della programmazione dell’offerta formativa delle Regioni, «comprensiva della formazione tecnica superiore, e concorrono alla loro realizzazione in relazione alla partecipazione delle strutture formative di competenza regionale». I poli hanno natura consortile. u
Il sistema si presenta così articolato in tre ordini, con in più un’area di pertinenza delle Regioni, quella dell’istruzione e formazione professionale nella quale esse hanno (secondo il testo costituzionale riformato dalla legge n. 3 del 2001) legislazione esclusiva, salvo l’ottemperanza ai livelli essenziali di prestazione. Con la ministra Gelmini non si ha un’inversione di tendenza su questi temi, tanto che restano al lavoro le commissioni insediate dal precedente ministro, ma si apre una stagione di revisioni e di riordino delle disposizioni precedenti. I testi normativi del riordino hanno la loro base nel Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e nella Legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria . L’art. 64, comma, 3, prevede infatti un Piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze che, oltre alla razionalizzazione del personale, per quanto riguarda il secondo ciclo, prevede una revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico di tutti i curricoli con una consistente riduzione degli indirizzi di studio (proliferati negli anni soprattutto per lo sviluppo delle sperimentazioni degli anni Novanta) e un abbassamento dei tetti orari: nei licei , con un monte ore settimanale non superiore alle 30 ore (con eccezione per i licei artistici , musicali e coreutici ); negli istituti tecnici e professionali , con un carico orario non superiore a 32 ore settimanali, con la ridefinizione degli indirizzi in numero contenuto e con l’eliminazione delle sovrapposizioni. u u
Si prevede inoltre la ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione degli adulti. In attuazione dell’art. 64 sono stati emanati i seguenti regolamenti per il secondo ciclo, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 137 del 15 giugno 2010: il D.P.R. n. 87, Regolamento sul Riordino degli istituti professionali ; il D.P.R. n. 88, Regolamento sul Riordino degli istituti tecnici ; u il D.P.R. n. 89, Regolamento sull’Assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei . u u
Altri provvedimenti importanti sono: il D.P.R. n. 263 del 29 ottobre 2012, Regolamento recante Norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo didattico dei Centri per l’Istruzione degli Adulti, ivi compresi i corsi serali per i quali si istituiscono delle nuove scuole autonome accorpando i centri per l’educazione degli adulti precedentemente affidati alle scuole secondarie di primo grado, i corsi serali degli istituti secondari di secondo grado e quelli funzionanti presso gli istituti di pena, organizzandoli per percorsi di livello; u il D.P.R. n. 122 del 22 giugno 2009, Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia , ai sensi degli articoli 2 e 3 del Decreto legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169 (Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università ). In questa legge è prevista anche l’introduzione nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, a partire dall’anno scolastico 2008/2009, dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse; u il D.M. n 249 del 10 settembre 2010, Regolamento sulla Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della Scuola secondaria di primo e secondo grado , ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008); u il D.P.R. n. 52 del 7 marzo 2013, Regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei ; u il D.P.R. n. 80 del 28 marzo 2013, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione . u
Vengono attivati gli Istituti Tecnici Superiori (oltre 60 partenariati nella forma di fondazioni di partecipazione) che hanno come norme di riferimento la legge 40/2007 e il D.P.C.M. 28 gennaio 2008: gli istituti tecnici superiori sono una novità nel sistema che, per quanto riguarda la formazione post secondaria, fino ad allora, prevedeva solo quella universitaria. Vengono istituiti in tutte le Regioni e hanno la finalità di preparare tecnici specializzati nelle discipline non contemplate dai curricoli delle scuole secondarie e delle università. Le fondazioni sono costituite da scuole, aziende, università ed enti locali. Gli aspetti salienti del riordino del secondo ciclo e che accomunano i regolamenti sono: il richiamo all’autonomia e alla flessibilità dei curricoli; la definizione di obiettivi come risultati di apprendimento ; l’invito alla costituzione di dipartimenti per la progettazione dei
percorsi orientati all’acquisizione di competenze, abilità e conoscenze; la certificabilità delle competenze con il riferimento al sistema E.Q.F. (European Qualification Framework); la possibile costituzione di comitati tecnico-scientifici ; l’accentuazione di un impianto didattico fondato sui laboratori e sulla laboratorialità (si dovrebbe intendere per tutte le discipline), l’insegnamento C.L.I.L. (Content and Language Integrated Learning) in lingua straniera di una disciplina non linguistica al quinto anno (già presente nel decreto n. 226/2005), con diversa articolazione per il liceo linguistico e non prevista negli istituti professionali. Si tratta di consistenti innovazioni che hanno bisogno di una formazione ampia del personale in quanto, pur non essendo delle novità assolute nel sistema, finora erano state confinate nelle sperimentazioni, a partire dagli anni Novanta e non hanno costituito un patrimonio diffuso. Passare da una didattica orientata alle conoscenze, come quella predominante nel nostro sistema, a una didattica che si occupa di risultati di apprendimento intesi come competenze, coinvolge l’intero modo di fare scuola, comprese le metodologie tradizionali e lo stravolgimento del rapporto cattedra-banco, ponendo l’accento su metodi laboratoriali e induttivi. Il quadro di riferimento sono le competenze, le abilità e le conoscenze, secondo la definizione allegata al D.M. 139/2007 sull’innalzamento dell’età dell’obbligo di istruzione: competenze: «comprovata capacità di usare conoscenze ed abilità in modo autonomo in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo personale o professionale»; u abilità: «capacità di applicare conoscenze per portare a termine compiti e risolvere problemi»; u conoscenze: «fatti, principi, teorie relativi al settore di studio o di lavoro». u
Secondo queste definizioni sono state elaborate le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali. In modo più rigoroso le ultime due, in modo più sfumato e ancora in parte legato al precedente impianto culturale le prime. Il cammino del riordino inizia con il settembre 2010 dalle classi prime, con alcune difficoltà, in quanto il quadro normativo non è ancora completo, mancano le Linee guida per il secondo biennio e l’ultimo anno dei tecnici e dei professionali e non sono ancora risolti tutti i problemi di relazione tra lo Stato e le Regioni in merito alle attribuzioni reciproche (quelle previste dalla riforma del titolo V della Costituzione). Nel 2017 gli istituti professionali vengono di nuovo riformati mediante uno dei decreti legislativi in attuazione della legge 107, il n. 61. Con questo dispositivo si rivede la struttura generale degli istituti, soprattutto in rapporto con l’istruzione e formazione professionale con la quale si cerca un ulteriore punto di incontro per consentire un’offerta formativa territoriale chiara e senza sovrapposizioni. Si ha una ridefinizione degli indirizzi e un potenziamento delle attività didattiche laboratoriali sacrificate con il riordino del 2010. Per quanto riguarda il modello didattico si accorpano le discipline negli assi culturali, secondo il D.M. 139/2007 e si afferma la necessità di un insegnamento secondo un metodo induttivo che si attua attraverso la strutturazione di Unità di Apprendimento. Gli studenti scelgono, dopo il diploma della classe terza della secondaria di primo grado, tra: 1. percorsi quinquennali (con conseguimento del diploma); 2. percorsi triennali/quadriennali (con conseguimento della qualifica, di pertinenza regionale).
Le scuole possono attivare, in forma sussidiaria, i percorsi per la qualifica professionale, in accordo con le Regioni. I passaggi tra i sistemi formativi statale e regionale sono consentiti a domanda, nei limiti delle disponibilità di posti nelle classi di riferimento, con riconoscimento dei crediti e con comparazione dei percorsi effettuati con quello di accesso. Nei primi tre anni scuole e istituzioni formative sono tenute alla certificazione delle competenze. I diplomi quinquennali e le qualifiche professionali ottenuti con i percorsi di IeFP sono titoli di studio come indicato dal Repertorio nazionale dei titoli e delle qualifiche di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 13/2013, Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze : una norma questa che apre uno scenario importante per il riconoscimento e la spendibilità delle certificazioni delle competenze nel territorio nazionale e nell’Unione europea. Un aspetto interessante ripreso dai regolamenti del secondo ciclo di istruzione riguarda l’applicazione della quota di autonomia e di flessibilità che è entrata nel sistema con il D.M. n. 234 del 26 giugno 2000 (regolamento dell’articolo 8 del D.P.R. 275/99) […] Quota nazionale e quota riservata alle istituzioni scolastiche , per confermare, compensare, inserire nuove discipline con la finalità di personalizzare i curricoli, valorizzare il merito, sostenere e recuperare le difficoltà di apprendimento. Tale quota riservata alle scuole, all’epoca, era il 15%, mentre la quota nazionale obbligatoria era l’85%. Nonostante lo scarso successo nell’applicazione da parte delle scuole di questo dispositivo, è stato emanato dalla ministra Moratti il D.M. 28 dicembre 2005 che ridefiniva le quote per il secondo ciclo: l’80% per quella nazionale e il 20% per quella riservata all’autonomia delle scuole. Con un successivo decreto (il n. 47 del 13 giugno 2006, Modifica del D.M. 28 dicembre 2005, relativo alla quota del 20% dei curricoli ) tale dispositivo è stato previsto per tutte le istituzioni scolastiche, quindi anche per quelle del primo ciclo, considerato che il D.M. del 28 dicembre 2005 valorizza l’autonomia delle istituzioni scolastiche e la loro capacità progettuale nella determinazione dell’offerta formativa, consentendo una più efficace individualizzazione dei percorsi di studio, anche alla luce delle esigenze e delle opportunità espresse nei vari contesti territoriali.
Nella revisione dei regolamenti del secondo ciclo la quota di autonomia del 20% resta vigente per tutti e tre gli ordini (con l’eccezione del 30% per il secondo biennio dei licei), mentre si introduce una consistente quota di flessibilità curricolare per i tecnici e i
professionali, per articolare l’offerta formativa e rispondere ai bisogni emergenti dei territori. In particolare, per i tecnici si ha una quota del 35% nel secondo biennio e del 30% nell’ultimo anno; per i professionali, del 25% nel primo biennio, del 35% nel secondo biennio e del 40% nell’ultimo anno [16] . Tutta questa partita vedrà la sua attuazione con gradualità, in quanto legata anche alle scelte delle Regioni e degli enti locali, competenti per la definizione dell’offerta formativa sui territori.
3. Schede sulle scuole secondarie di secondo grado I licei I licei sono sei, con indirizzi, opzioni e sezioni: artistico con sei indirizzi: ⦁ Arti figurative. ⦁ Architettura e ambiente. ⦁ Design. ⦁ Audiovisivo e multimediale. ⦁ Grafica. ⦁ Scenografia. u classico; u linguistico; u musicale e coreutico; u scientifico con opzione scienze applicate, con sezione liceo sportivo; u scienze umane con opzione economico-sociale. u
Gli istituti tecnici Gli istituti tecnici sono organizzati in due settori con undici indirizzi (con articolazioni): Settore economico con due indirizzi: 1. Amministrazione, Finanza e Marketing. Articolazioni: Relazioni internazionali per il Marketing; Sistemi informativi aziendali . 2. Turismo. u
Settore tecnologico con nove indirizzi (con articolazioni): 1. Meccanica, Meccatronica ed Energia. Articolazioni: Meccanica e meccatronica; Energia . 2. Trasporti e Logistica. Articolazioni: Costruzione del mezzo; Conduzione del mezzo; Logistica. 3. Elettronica ed Elettrotecnica. Articolazioni: Elettronica; Elettrotecnica; Automazione . 4. Informatica e Telecomunicazioni. Articolazioni: Informatica; Telecomunicazioni . 5. Grafica e Comunicazione. 6. Chimica, Materiali e Biotecnologie. Articolazioni: Chimica e materiali; Biotecnologie ambientali; Biotecnologie sanitarie . 7. Sistema Moda. Articolazioni: Tessile, abbigliamento e moda; Calzature e moda . 8. Agraria, Agroalimentare e Agroindustria. Articolazioni: Produzioni e trasformazioni; Gestione dell’ambiente del territorio; Viticoltura ed enologia . 9. Costruzioni, Ambiente e Territorio. Articolazione: Geotecnico . u
Opzioni per istituti tecnici. Decreto pubblicato sulla GU del 24 aprile 2012. Dieci sono le opzioni degli istituti tecnici: Tecnologie del cuoio. Tecnologie del legno nelle costruzioni. u Tecnologie cartarie. u Tecnologie dell’occhiale. u Tecnologie delle materie plastiche. u Costruzioni aeronautiche. u Costruzioni navali. u Conduzione del mezzo aereo. u Conduzione del mezzo navale. u Conduzione di apparati e impianti marittimi. u u
Il decreto sugli istituti tecnici regolamenta anche il percorso per il conseguimento della specializzazione in Enotecnico (allegato B11),
attraverso la frequenza di un sesto anno dell’indirizzo Agraria, agroalimentare e agroindustria . Le opzioni sono state attivate (dopo gli accordi in Conferenza unificata Stato – Regioni) con le Direttive n. 69 (Istituti tecnici) e n. 70 (Istituti professionali) del 1 agosto 2012. Gli istituti professionali Secondo il D.P.R. 87/2010 gli istitutipprofessionali sono organizzati in due settori e sei indirizzi (con articolazioni): Settore servizi con quattro indirizzi: 1. Per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. 2. Socio sanitari. Articolazioni: Arti ausiliarie delle professioni sanitarie; Odontotecnico; Ottico . 3. Per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera. Articolazioni: Enogastronomia; Servizi di sala e di vendita; Accoglienza turistica . 4. Commerciali. u
Settore Industria e artigianato con due indirizzi (con articolazioni): 1. Produzioni artigianali e industriali. Articolazioni: Industria; Artigianato . 2. Manutenzione e assistenza tecnica. u
Opzioni per istituti professionali. Decreto pubblicato sulla GU del 24 aprile 2012. Le opzioni previste per gli istituti professionali sono le seguenti: Apparati, impianti e servizi tecnici industriali e civili. Manutenzione dei mezzi di trasporto. u Arredi e forniture d’interni. u Produzioni audiovisive. u Produzioni artigianali del territorio. u Produzioni tessili-sartoriali. u Promozione commerciale e pubblicitaria. u Gestione risorse forestali e montane. u Valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli del territorio. u Prodotti dolciari artigianali e industriali. u u
Gli Istituti professionali secondo il D.lgs. 61/2017 (in vigore dall’anno scolastico 2018-2019). Gli indirizzi: a. Agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del territorio e gestione delle risorse forestali e montane. b. Pesca commerciale e produzioni ittiche. c. Industria e artigianato per il Made in Italy. d. Manutenzione e assistenza tecnica. e. Gestione delle acque e risanamento ambientale. f. Servizi commerciali. g. Enogastronomia e ospitalità alberghiera. h. Servizi culturali e dello spettacolo. i. Servizi per la sanità e l’assistenza sociale. j. Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico. k. Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico.
4. Un po’ di storia 1859 – Legge Casati: insegnamento secondario in due filoni, quello quinquennale che dava accesso agli studi classici (5+3) e quello triennale che dava accesso agli studi tecnici (3+3). 1923 – Riforma Gentile. Percorso quinquennale del ginnasio con accesso al liceo classico triennale. Percorso quadriennale dell’istituto tecnico inferiore con accesso all’istituto tecnico superiore quadriennale. u Percorso quadriennale magistrale inferiore con accesso al magistrale superiore triennale. u Istituti d’arte: regie scuole d’arte (primo grado), regie scuole artistico-industriali (secondo grado), regi istituti d’arte (terzo grado). u Scuola complementare o di avviamento professionale (dal 1928), triennale (non consente la prosecuzione degli studi): indirizzo industriale o commerciale. u u
Si prevede un esame di ammissione al ginnasio, all’istituto tecnico e a quello magistrale. Dopo quattro anni di frequenza di uno dei tre percorsi, con un esame di ammissione, si accede anche al liceo scientifico quadriennale. 1938 – Nascono gli istituti professionali il cui avvio è bloccato dalla guerra
1940 – Riforma Bottai: istituzione della scuola media (tre anni dal ginnasio, dall’istituto tecnico inferiore e dall’istituto magistrale inferiore); vi si accede con un esame di ammissione e si esce dal percorso con un esame di Stato. Resta la scuola di avviamento professionale. 1948 – L’articolo 117 della Costituzione assegna alle Regioni competenze in materia di istruzione artigiana e professionale, e l’art. 118 delega alle stesse le relative funzioni amministrative. In attesa dell’istituzione delle Regioni gli istituti professionali restano di competenza dello Stato. 1962 − Istituzione della scuola media unica con orario a 25 ore e abolizione della scuola di avviamento professionale. 1978 – Con la legge 845 si distingue tra competenze regionali per la formazione professionale e statali per l’istruzione professionale , stabilizzando così il dualismo caratteristico del sistema italiano. 1979 – Riforma dei programmi della scuola media con l’abolizione dello studio del latino, diventato opzionale dal 1962 (era obbligatorio per la prosecuzione degli studi nel liceo classico); le applicazioni tecniche (distinte in maschili e femminili) sono unificate in Educazione tecnica e l’Educazione musicale viene insegnata nei tre anni. 1988-1992 – Progetto sperimentale Brocca: revisione dei primi due anni della secondaria superiore (in previsione dell’innalzamento a 16 anni dell’età dell’obbligo di istruzione), poi ampliata ai trienni. Si prevedono 7 indirizzi liceali e 10 tecnici e professionali alcuni dei quali attivi fino al riordino di Gelmini. Le sperimentazioni assistite : in mancanza di una riforma dell’istruzione secondaria di secondo grado (organizzata in istruzione liceale, tecnica, professionale e artistica fino dalla riforma Gentile), il Ministero dell’Istruzione promuove, dalla fine degli anni Ottanta le cosiddette sperimentazioni assistite : il progetto 92 degli istituti professionali; i progetti sperimentali dell’istruzione tecnica; u la sperimentazione dell’autonomia (nella seconda metà degli anni Novanta). u u
2000 – Legge 10 febbraio n. 30, legge quadro sul riordino dei cicli dell’istruzione superiore (non entrata in vigore per mancanza di regolamenti attuativi).
[8]
Legge 15 marzo 1997 n. 59, art. 21; D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275; Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.
[9]
Nel nuovo ordinamento autonomistico non si danno più alle scuole programmi di studio da sviluppare, ma Indicazioni che contengono gli obiettivi di apprendimento che gli studenti devono conseguire. [10]
I percorsi triennali di IeFP, sperimentali dal 2003, entreranno nell’ordinamento con la legge 626/2006.
[11] Circolare
Ministeriale n. 29 del 5 marzo 2004, Indicazioni e istruzioni .
[12] La
legge 124 riconduce a ordinamento i corsi di scuola media a indirizzo musicale autorizzati e funzionanti in via sperimentale e demanda al Ministro della Pubblica Istruzione il compito di stabilire le tipologie di strumenti musicali insegnati, i programmi, gli orari, le prove di esame e l’articolazione delle cattedre, nonché di istituire una specifica classe di concorso. Il regolamento emanato è il D.M. 201 del 6 agosto 1999. [13]
Decreto Ministeriale 139/2007, in attuazione del comma 622 dell’art. 1 della legge 626/2006.
[14] Legge
n. 244/2007, art. 2, comma 413.
[15]
Abi, Agci, Ania, Casartigiani, Cia, Coldiretti, Claai, Cna, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confetra, Confindustria, Confservizi e Legacoop. [16]
Negli istituti professionali si ha un’ulteriore modifica della quota di flessibilità con l’approvazione del D.lgs. 61/2017: 40% di flessibilità sull’orario complessivo per terzo, quarto e quinto anno.
4. CPIA e istruzione degli adulti a cura di Giovanni Bevilacqua
Il sistema di istruzione degli adulti in Italia si inserisce nel più ampio quadro dell’educazione degli adulti di cui rappresenta la parte finalizzata al conseguimento di titoli di studio di primo e di secondo livello, nonché dell’attestazione di conoscenza della lingua italiana per cittadini stranieri di livello A2 del QCER. La recente riforma, che affida tale segmento del sistema scolastico ai Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA), rappresenta una tappa significativa di un lungo percorso iniziato sin dal periodo precedente all’Unità d’Italia e che contribuisce alla definizione di un sistema integrato che trova nell’apprendimento permanente il contesto di riferimento. Un sistema capace di garantire opportunità formative per tutti gli adulti e riconoscimento di titoli di studio e competenze comunque acquisite, sia a livello nazionale che europeo. L’istituzione dei CPIA avviene in un periodo in cui sono molte le azioni che si vanno attuando per rendere effettivo il diritto all’apprendimento permanente, come leva strategica in cui istruzione e cultura possono rappresentare elementi centrali di coesione sociale, democrazia e sviluppo socio-economico e culturale. Tale processo è tutt’ora in corso di sviluppo e viene alimentato da una produzione normativa, sempre più coordinata, che mira a conferirgli la necessaria organicità. Trattandosi di un processo non ancora concluso, si ritiene utile fare riferimento alle tappe che lo hanno caratterizzato, per poter contestualizzare il ruolo positivo che può svolgere il CPIA grazie alle innovazioni con esso introdotte e che offrono la possibilità di implementare il sistema integrato per l’Apprendimento permanente il cui sviluppo è legato all’attivazione di apposite reti territoriali.
1. Alcuni riferimenti storici dell’EDA Il R.D.lgs. n. 3725 del 13 novembre 1859 (Casati) fissava l’obbligo scolastico a otto anni e prevedeva «scuole elementari per gli adulti», sebbene con insegnanti volontari e «dispensati dal far constare la loro idoneità». Visti gli esiti positivi, furono assunti specifici impegni finanziari per favorirne la diffusione (R.D.lgs. n. 2860 del 22 aprile 1866) ai quali fece seguito la legge Orlando (n. 407 dell’8 luglio 1904) che poneva il compenso degli insegnanti delle «scuole serali per adulti analfabeti» e delle «scuole festive per adulti analfabeti, istituite da comuni o enti morali» a carico dello Stato. Inoltre, con la legge Daneo-Credaro (n. 487 del 4 giugno 1911) furono istituite le «scuole carcerarie» e resa statale la scuola elementare. In questo periodo storico sono sorte diverse iniziative, promosse da privati, con lo scopo di formare sia minori che adulti, per contrastare la forte diffusione dell’analfabetismo e per sopperire alla aumentata domanda di manodopera competente alimentata dalla seconda rivoluzione industriale. In alcuni casi, ai lavoratori furono concessi permessi per partecipare alla formazione «senza diminuzione del salario» (Benedetto Cairoli, 1884). Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo furono avviate anche iniziative volte a favorire la partecipazione consapevole alla vita sociale. Nel frattempo, mentre al nord si diffondevano scuole collegate al lavoro, nel meridione, soprattutto a seguito del terremoto di Messina del 1908, venivano attivati percorsi per il contrasto all’analfabetismo da parte dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI). Nel primo Novecento, anche al fine di coordinare le esperienze e gli interventi attivati nelle diverse parti del Paese, fu istituito l’Ente nazionale per l’istruzione degli adulti (R.D. n. 1723 del 2 settembre 1919) cui fece seguito l’Opera nazionale contro l’analfabetismo (R.D. n. 1371 del 21 agosto 1921) le cui scuole, dopo una prima fase, furono poste sotto il diretto controllo del Ministero dell’Istruzione (1926) ed entrarono a far parte prima dell’Opera nazionale balilla e poi della Gioventù italiana del littorio (1937). Un forte impulso all’istruzione fu dato, infine, dalla Costituzione repubblicana con la scuola aperta a tutti, il mantenimento dell’obbligo scolastico, e la previsione di rendere effettivo il diritto mediante provvidenze rese disponibili dallo Stato [17] . Fu istituita la Scuola popolare contro l’analfabetismo (D.lgs. n. 1559 del 17 dicembre 1947) destinata a chi aveva superato i 12 anni di età con corsi anche in sedi carcerarie e ospedali, che comprendeva percorsi di istruzione inferiore e superiore, di approfondimento degli studi elementari per la prosecuzione degli studi e per l’avvio di attività artigianali. Vennero costituiti i Centri di lettura da cui derivano i Centri sociali di educazione permanente (CSEP), già previsti dal D.L. 17 dicembre 1947 n. 1599, che confermavano l’orientamento verso finalità sia di recupero scolastico e/o di acquisizione di strumentalità di base, che di soddisfacimento di bisogni personali e/o culturali. Furono avviate anche altre esperienze che miravano alla promozione socio-culturale dei lavoratori da parte dell’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo (UNLA) da cui presero origine i Centri di cultura popolare (CCP) e i Centri di servizi culturali (CSC). Successivamente alla riforma della scuola media, furono istituiti i Corsi di richiamo e di aggiornamento culturale di istruzione secondaria (CRACIS) per consentire il conseguimento del titolo di studio conclusivo di scuola media, reso obbligatorio dalla legge n. 1859 del 31 dicembre 1962. Si trattava di percorsi che non tenevano conto delle peculiarità degli apprendimenti in età adulta, erano
conformi ai percorsi destinati ai ragazzi (tre anni per circa 1400 ore) e furono realizzati sino all’anno scolastico 1981/1982, anno della soppressione della Scuola Popolare [18] . A partire dall’anno scolastico 1973/1974 furono tuttavia attivati corsi statali sperimentali di scuola media per lavoratori della durata di 350 ore collegati all’esperienza delle 150 ore che prevedeva la concessione di permessi retribuiti per la partecipazione alle attività formative, di educazione permanente e di recupero dell’obbligo scolastico [19] . Si trattava di forme di assistenza e istruzione popolare che hanno svolto la loro attività (O.M. 400 del 30 luglio 1996 per la scuola elementare e O.M. n. 307 del 2 luglio 1996 per la scuola media) sino al riordino del settore operato con l’O.M. 29 luglio 1997, n. 455, istitutiva dei Centri territoriali per l’istruzione e la formazione in età adulta (Centri EDA) per «attivare la realizzazione di un sistema integrato e flessibile» e per «riordinare, coordinare e sviluppare le attività di istruzione e formazione in età adulta per rispondere alla domanda di alfabetizzazione culturale, di acquisizione e consolidamento di competenze di base, di opportunità di integrazione sociale, di acquisizione e sviluppo di competenze professionali». Si trattava di un’azione utile per uniformare il sistema dell’educazione degli adulti a livello nazionale e avvicinarlo all’educazione permanente che nel frattempo si andava affermando anche grazie a «linee di indirizzo emergenti a livello internazionale» come quelle espresse dalla V Conferenza mondiale dell’Unesco tenutasi ad Amburgo il 14-18 luglio 1997. Nell’intento di «coniugare il diritto all’istruzione con il diritto all’orientamento e al ri-orientamento e alla formazione professionale», i Centri EDA rivolgevano la propria offerta formativa a studenti che avessero compiuto il quindicesimo anno di età e perseguivano gli obiettivi di «alfabetizzazione culturale e funzionale, consolidamento e promozione culturale, ri-motivazione e ri-orientamento, acquisizione e consolidamento di conoscenze e competenze specifiche, pre-professionalizzazione e/o riqualificazione professionale». Essi, per gli aspetti didattici e amministrativi, facevano riferimento, a una istituzione scolastica il cui dirigente svolgeva la funzione di coordinatore; presentavano, di norma, una distribuzione territoriale coincidente con i distretti scolastici ed erogavano la propria offerta formativa pure negli istituti penali, anche minorili. Il personale faceva parte degli organi collegiali dell’istituzione scolastica nella quale erano incardinati ma partecipavano nel consiglio di istituto solo a titolo consultivo. Veniva valorizzato il rapporto con il territorio, mediante un partenariato sia pubblico che privato che consentiva di attuare forme di raccordo verticale (tra segmenti scolastici) e orizzontale (tra istruzione e formazione), e fruiva del supporto di un Comitato provinciale per l’educazione degli adulti presieduto dall’allora provveditore agli studi. Furono avviate innovazioni legate alla personalizzazione dei percorsi, al riconoscimento di crediti culturali, al Patto formativo e al Libretto personale dello studente. Il curricolo era fondato su saperi (comunicazione, progettualità, operatività) che erano riferiti ai seguenti assi culturali: i linguaggi e le culture; l’alfabetizzazione la multimedialità; la formazione relazionale come conoscenza del sistema sociale, ambientale, economico, geografico.
2. Dai Centri EDA ai CPIA Al dibattito internazionale sull’importanza dei processi educativi nella società globalizzata, complessa e caratterizzata da forte dinamismo, in cui comunicazione e informazione condizionano i processi culturali, democratici, professionali e produttivi, si sono aggiunti i dati riferiti al modesto possesso da parte degli adulti italiani di titoli di studio e di competenze necessarie per un positivo inserimento socio-culturale e lavorativo facendo emergere la necessità di una riorganizzazione del sistema di istruzione destinato agli adulti. La legge n. 296/2006 (art. 1, co. 632) ha previsto la riorganizzazione dei Centri EDA e dei corsi serali su base provinciale in Reti territoriali di servizio denominati «Centri provinciali per l’istruzione degli adulti». A ciò ha fatto seguito il D.M. 25 ottobre 2007, che definiva criteri generali per il conferimento dell’autonomia ai CPIA ai sensi del D.P.R n. 275/99. L’anno successivo [20] è stata prevista la «ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali» e soltanto dopo diversi anni, in coerenza di quanto delineato dalla legge n. 92/2012 in merito all’apprendimento permanente, è stato adottato un regolamento (D.P.R. n. 263 del 29 dicembre 2012) che definisce le «norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo didattico dei Centri d’istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali». Esso prevede che, a partire dall’anno scolastico 2013/2014, vengano ricondotti ai CPIA i Centri Eda e i corsi serali, ivi compresi i corsi della scuola dell’obbligo e di istruzione secondaria superiore negli istituti di prevenzione e pena. L’avvio dei CPIA è stata preceduta, nell’anno scolastico 2013/2014, dalla realizzazione di un Progetto assistito, parte del Piano di attività per l’innovazione dell’istruzione degli adulti (PAIDEIA) promosso dalla DGOSV del MIUR e supportato da uno specifico Gruppo nazionale di lavoro comprendente rappresentanti della DGOSV, di tutti gli UUSSRR e di INDIRE. Esso aveva lo scopo di favorire la graduale attuazione del nuovo assetto organizzativo e didattico tenendo conto degli indirizzi europei in materia di apprendimento degli adulti e del quadro normativo nazionale inerente l’apprendimento permanente. Sono stati realizzati nove progetti assistiti nelle Regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia cui ha fatto seguito la trasmissione da parte del MIUR di «istruzioni per l’attivazione dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli adulti (CPIA)» con allegato lo schema di decreto MIUR-MEF che recava la prima versione delle Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento dell’istruzione degli adulti per la sua adozione da parte delle Regioni che si apprestavano ad attivare i CPIA sin dall’anno scolastico 2014/2015 (Umbria, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Puglia, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Piemonte). Con D.I. MIUR-MEF del 12 marzo 2015 sono state, infine, adottate le «Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento a sostegno dell’autonomia organizzativa e didattica dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti» così come previsto dall’art. 11, comma 10 del D.P.R. 263/2012 (LLGG) che hanno consentito l’attivazione in tutto il resto d’Italia dei CPIA a partire dal 1 settembre
2015. I CPIA sono definiti come Istituzioni scolastiche autonome [21] , dotate di uno specifico assetto didattico e organizzativo, nonché di un proprio organico e di organi collegiali. Essi operano come reti territoriali di servizio strutturate su tre livelli: Livello A: Unità amministrativa che comprende la sede amministrativa e le sedi associate in cui vengono erogati i percorsi di primo livello. Livello B: Unità didattica che comprende il CPIA e le Istituzioni di secondo grado in cui sono incardinati i percorsi di secondo livello. u Livello C: Unità formativa che fa riferimento al partenariato che il CPIA può attivare per l’erogazione di percorsi di ampliamento dell’offerta formativa in coerenza con i bisogni dell’utenza e le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico del territorio. u u
Per il funzionamento delle tre unità vengono sottoscritti appositi accordi di rete con le seguenti finalità: A) Accordo di rete tra CPIA e sedi associate per la gestione in comune delle risorse assegnate dagli enti locali ai sensi della legge n. 23/1996. B) Accordo di rete tra CPIA e istituzioni di secondo grado in cui sono incardinati i percorsi di secondo livello per la costituzione e il funzionamento della commissione PFI, la progettazione organizzativa e didattica dei percorsi e misure di sistema per il raccordo tra primo e secondo livello. C) Accordi di rete, convenzioni, intese con agenzie formative pubbliche o private con cui il CPIA intende progettare e/o erogare percorsi di arricchimento e/o di ampliamento dell’offerta formativa, finalizzate anche al raccordo con altri percorsi di istruzione e/o di formazione. I CPIA erogano un’offerta formativa strutturata per livelli di apprendimento, rivolta a adulti, anche stranieri, in età lavorativa, sebbene possano iscriversi anche sedicenni non in possesso del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione e, in specifici casi, previo accordo tra Regione e ufficio scolastico regionale, coloro i quali hanno compiuto i quindici anni di età. I percorsi erogati sono i seguenti: Percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana di livello A2 del QCER. Percorsi di primo livello per il conseguimento del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione (primo periodo didattico del primo livello) o per conseguimento della certificazione attestante l’acquisizione delle competenze di base connesse all’obbligo di istruzione (Secondo periodo didattico del primo livello). u Percorsi di secondo livello (strutturati in tre periodi didattici), finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione tecnica, professionale o artistica. u Percorsi di ampliamento dell’offerta formativa. u u
Il CPIA svolge attività di Ricerca, sperimentazione e sviluppo (RS&S) in materia di istruzione degli adulti, anche con riferimento alla costituzione e al funzionamento della Rete territoriale di servizio e della Rete territoriale per l’apprendimento permanente per la quale il CPIA costituisce il soggetto pubblico di riferimento (in quanto stabile, strutturato e diffuso). In Italia, dal 2016, operano diciotto Centri regionali per la ricerca, sperimentazione e sviluppo per l’istruzione degli adulti (CRRS&S) che, con la loro attività, contribuiscono allo sviluppo del cosiddetto «triangolo della conoscenza» (istruzione, ricerca, innovazione). Essi, riuniti in Rete nazionale, hanno elaborato un Piano triennale nazionale della ricerca al quale ciascun CRRS&S ha fatto riferimento per la definizione del proprio Piano operativo della ricerca, confluito nel Piano operativo nazionale della ricerca. Le innovazioni introdotte consentono elevati livelli di flessibilità e di personalizzazione dei percorsi; esse si riferiscono, principalmente, a: riconoscimento di crediti formativi per competenze acquisite in contesti formali, non formali e/o informali; fruizione a distanza di una parte del percorso sino a un massimo del 20% del corrispondente monte ore; accoglienza e orientamento per un monte ore massimo del 10% finalizzato alla definizione del Patto formativo individuale; frequenza di almeno il 70% del Percorso di studi personalizzato. A essi si aggiungono innovazioni di carattere organizzativo e curriculare: Percorsi riferiti a risultati di apprendimento declinati in termini di competenze, abilità e conoscenze. Curricula progettati per unità di apprendimento collegate a specifiche competenze, abilità e conoscenze che costituiscono il riferimento per il riconoscimento dei crediti formativi. u Attività realizzate per gruppi di livello. u Valutazione definita sulla base del Patto formativo individuale e in riferimento ai risultati di apprendimento attesi. u Aula AGORÀ. u u
3. Processi che accompagnano il riordino del sistema di istruzione degli adulti Le innovazioni che hanno accompagnato la ridefinizione dell’assetto organizzativo e didattico dei CPIA sono fortemente collegate al dibattito internazionale sull’apprendimento permanente e sulle ripercussioni che queste hanno avuto sulle politiche europee e sul loro recepimento da parte del nostro Paese. Il nuovo sistema di istruzione degli adulti, infatti, può intervenire nell’affrontare alcune problematiche che emergono dalla lettura dei dati delle rilevazioni Ocse-PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) e Istat sui livelli di competenze possedute dalla popolazione adulta in età lavorativa (16-65 anni), sulla diffusione dei titoli di studio e sull’entità del fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training , fascia di popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni di età).
A livello internazionale il tema dell’apprendimento permanente è stato oggetto di interesse in quanto collegato alla lotta all’analfabetismo e, successivamente, alla necessità di consentire maggiore benessere e migliori opportunità di inserimento sociolavorativo. Del tema si è occupato l’Unesco in occasione di diverse conferenze, tra le quali si ricordano le principali: la conferenza del 1949 tenuta a Elsinòr (Danimarca) che definì l’educazione degli adulti come attività intrapresa dal singolo individuo al fine del miglioramento personale e a completamento della formazione di base acquisita; u il congresso di Teheran del 1965 che pose l’attenzione intorno all’urgenza di una campagna mondiale di alfabetizzazione, con particolare riferimento alle aree a più alto livello di analfabetismo; u la conferenza Tokio del 1972 in cui fu condivisa la necessità che l’educazione degli adulti dovesse concorrere a migliorare anche gli aspetti culturale, personale e sociale dei cittadini; u la conferenza generale Unesco di Nairobi del 1976 che fornisce una definizione ancora attuale di l’EDA come: u
L’insieme dei processi educativi (qualunque ne sia il contenuto, livello o metodo, formali o informali/non formali, che prolunghino o sostituiscano l’educazione iniziale dispensata da istituzioni scolastiche o universitaria, sotto forma di preparazione professionale) grazie ai quali persone considerate adulte dalla propria società di riferimento sviluppano le proprie attitudini, arricchiscono le conoscenze, migliorano le qualificazioni tecniche o professionali, fanno evolvere atteggiamenti e comportamenti nella duplice prospettiva di una crescita integrale dell’uomo e di una sua partecipazione a uno sviluppo socio-economico e culturale integrato. la conferenza di Parigi del 1985 che dichiara l’importanza del Right to learn ; il rapporto della commissione dell’Unesco del 1996 coordinata da Jacques Delors dal titolo evocativo Learning the treasure within (Nell’educazione un tesoro) che mette in evidenza quattro tipi fondamentali di apprendimento tra loro interconnessi: imparare a conoscere; imparare a fare; imparare a vivere insieme; imparare a essere; u la carta prodotta dall’Unesco nella tre giorni di Amburgo del 1997 che ha «riconosciuto il diritto all’alfabetizzazione, alla formazione, all’educazione permanente» per favorire u u
l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, la lotta alla disoccupazione, l’accoglienza agli immigrati, l’integrazione degli emarginati. L’ottica è quella di fornire occasioni di esercitare una cittadinanza attiva in ogni fase della vita, intervenendo su tutte le forme di esclusione e per tutte le fasce d’età. la conferenza di Belém (Lisbona) del 2009 in cui si discute del Right to literacy e vengono definite linee guida sull’educazione degli adulti per il futuro; u la conferenza di Incheon (Corea del Sud) del 2015 in cui l’Unesco elabora un Quadro d’Azione per l’Educazione 2030 con lo scopo di «assurer à tous une éducation équitable, inclusive et de qualité et des possibilités d’apprentissage tout au long de la vie», u infine è da segnalare il 4° rapporto globale sull’apprendimento e l’istruzione degli adulti nel mondo del 2019 in cui vengono descritti i progressi registrati dal 2015 e si ribadisce la necessità di favorire la partecipazione delle fasce più deboli. u
Nel contempo sono state effettuate indagini conoscitive sulle competenze degli adulti in età di lavoro (16-65 anni) da parte dell’Ocse che, unite alle rilevazioni annuali effettuate dall’Istat, hanno fornito elementi di riflessione per interventi in ambito europeo e nazionale. Dati Istat : secondo dati Istat riferiti al 2012, il 44,60% del campione, di età compresa tra 15 e 64 anni, risultava priva di un titolo di studio di Scuola secondaria superiore (era quasi il 50% nel 2006) e 8,6% risultava privo anche del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione (13,57% nel 2006). Per quanto riguarda, invece, i NEET risultano essere il 23,4% nel 2018, analogamente a quanto registrato nel 2012, a fronte di una presenza media del 12,9% nell’UE. Indagine Ocse-PIAAC : realizzata in Italia dall’ISFOL, su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stata finalizzata alla rilevazione del livello di competenze chiave degli adulti di età compresa fra i 16 e i 65 anni. L’Italia ha partecipato alla rilevazione su due domini di competenza: literacy [22] e numeracy [23] , ritenute di importanza fondamentali per l’inserimento lavorativo e per la piena partecipazione dei cittadini alla vita sociale. L’indagine, realizzata in ventiquattro Paesi dell’Ocse d’Europa, Asia e America, fra il 2011 e il 2012, benché lasci intravedere (secondo un’analisi ISFOL, 2013 [24] ) un leggero miglioramento di alcuni esiti rispetto alle precedenti rilevazioni [25] (leggero contenimento dell’analfabetismo; aumento della percentuale di popolazione a livello 2; riduzione della distanza con la media Ocse sulle competenze alfabetiche) per il resto confermano un quadro abbastanza modesto per l’Italia. Per quanto riguarda gli aspetti legati alle competenze chiave, infatti, emergono, tra gli altri, i seguenti elementi: Literacy . L’Italia si colloca all’ultimo posto. Secondo una scala dei livelli di competenza Ocse che va da 1 a 5, in cui il livello 3 viene fatto corrispondere al possesso delle competenze minime per poter vivere e lavorare in modo adeguato al giorno d’oggi, solo il 3,3% del campione si colloca ai livelli 4 e 5, mentre il 70% si ferma ai livelli più bassi (0,1 e 2). u Numeracy . L’Italia si colloca al penultimo posto con il 39% del campione al livello 2, il 29,8% al livello 3-5 e il 31,9% a un livello compreso tra 0 e 1. u Per il possesso di titoli di studio di primaria/secondaria di primo grado, di secondo grado e laurea, in Italia si registrano, rispettivamente, le seguenti percentuali: 54%, 34% e 12%, in confronto di una media Ocse pari a 27%, 43% e 29%. u L’obsolescenza delle competenze in Italia inizia al sedicesimo anno di età a fronte di una media Ocse di trenta anni e la partecipazione a esperienze di educazione/formazione degli adulti italiani appartenenti ai livelli 1,2,3 e 4/5 nell’ultimo anno è molto basso, rispettivamente, il 13,5 %, 20,5%, 39,8% e 56,3%. u
A fronte di tali esiti, il rapporto della commissione di esperti sul Progetto PIAAC [26] ha elaborato proposte che trovano corrispondenze con le riforme che hanno portato alla definizione del nuovo ordinamento del sistema di istruzione degli adulti. Nel frattempo dal dibattito internazionale arrivavano sollecitazioni per le politiche dell’Unione Europea, fra le quali il Memorandum sull’istruzione e sulla formazione permanente del 2000 nel quale viene evidenziato che l’apprendimento permanente «pervade le dimensioni costitutive della società contemporanea; dimensioni che richiedono una presenza diffusa e reticolare di occasioni di formazione, che sollecitano la moltiplicazione di sedi, di tempi, di soggetti impegnati a garantire qualità e quantità delle esperienze formative». Un passo importante è costituito dalla nuova Raccomandazione del Consiglio UE del 22 maggio 2018 (2018/C 189/01). Essa, rispetto alla precedente del 2006, contiene diverse interessanti novità, rinvenibili sin dalla premessa in cui si afferma che «promuovere lo sviluppo delle competenze è uno degli obiettivi della prospettiva di uno spazio europeo dell’istruzione» che possa «sfruttare a pieno le potenzialità rappresentate da istruzione e cultura quali forze propulsive per l’occupazione, la giustizia sociale e la cittadinanza attiva e mezzi per sperimentare l’identità europea in tutta la sua diversità» [27] . La revisione delle competenze e del quadro di riferimento europeo è legata a una nuova analisi delle condizioni socio-economiche e lavorative, ed è attenta alle esigenze della società della conoscenza «ad alto grado di mobilità» in cui istruzione e cultura costituiscono elementi centrali per fare fronte ai «cambiamenti rapidi e profondi», «assicurare resilienza e capacità di adattarsi ai cambiamenti» e «sostenere alti tassi di occupazione e promuovere la coesione sociale» attraverso «competenze imprenditoriali, sociali e civiche». Importante anche il riferimento alla necessità di «sostenere il personale didattico nella sua attività e migliorarne il livello, per aggiornare i metodi e gli strumenti di valutazione e convalida e per introdurre forme nuove e innovative di insegnamento e apprendimento». Le nuove competenze chiave, di pari importanza, continuano a essere declinate come una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti. Ulteriori importanti documenti UE che, sebbene non vincolanti, creano un raccordo sovranazionale intervenendo nel riconoscimento di titoli di studio e competenze, comunque acquisite sono: la costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente , 2008; la Raccomandazione del Consiglio UE sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale , 2012; la Raccomandazione della Commissione delle Comunità Europee relativa all’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro , 2008. A esse si aggiunge la Raccomandazione del Consiglio UE del 19 dicembre 2016 sui percorsi di miglioramento del livello delle competenze . Si creano nuove opportunità per gli adulti evidenziando l’importanza per ogni persona di possedere un ampio corredo di abilità, conoscenze e competenze e un livello sufficiente di competenze alfabetiche, matematiche e digitali per poter realizzare appieno il proprio potenziale e svolgere un ruolo attivo nella società, assolvendo alle proprie responsabilità sociali e civiche. In attuazione di quanto previsto dalla citata Raccomandazione UE , è stato pubblicato, da MIUR e MLPS, il Rapporto redatto ai sensi del punto 16 della medesima Raccomandazione [28] nel quale vengono illustrate le attività messe in campo dall’Italia per dare attuazione alle Raccomandazioni sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente. In esso emerge che tali politiche «vedono come principali protagonisti i CPIA – Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti del MIUR» in un processo in cui figurano: formalizzazione dell’apprendimento permanente [29] con le definizioni di apprendimento formale, non formale e informale; previsione delle «reti territoriali che comprendono i servizi di istruzione, formazione e lavoro» riferiti a: «sostegno alla costruzione […] dei propri percorsi di apprendimento formale, non formale ed informale»; «riconoscimento dei crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti»; «la fruizione dei servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita». Viene, inoltre, previsto il sistema nazionale per la certificazione delle competenze e definita la «competenza certificabile» [30] ; u sottoscrizione dell’accordo tra Governo, Regioni ed Enti Locali del 10 luglio 2014 su Linee strategiche di intervento in ordine ai servizi per l’apprendimento permanente e all’organizzazione delle reti territoriali in cui vengono definiti: composizione, dimensione e mandato delle reti territoriali per l’apprendimento permanente alla costituzione delle quali concorrono pure le reti dei CPIA; u definizione di un quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze [31] e l’affermazione che «La Repubblica […] promuove l’apprendimento permanente quale diritto della persona e assicura a tutti pari opportunità di riconoscimento e valorizzazione delle competenze comunque acquisite in accordo con le attitudini e le scelte individuali e in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale»; u da citare, inoltre, due provvedimenti: il D.M. del 30 giugno 2015 che definisce il «quadro operativo per il riconoscimento a livello nazionale delle qualificazioni regionali e delle relative competenze» e il D.M. 8 gennaio 2018 che istituisce il Quadro nazionale delle qualificazioni (QNQ) quale strumento «per la referenziazione delle qualificazioni italiane al Quadro europeo delle qualifiche […] con la funzione di raccordare il sistema italiano delle qualificazioni con i sistemi degli altri Paesi europei»; u infine occorre segnalare la presentazione del Piano di garanzia delle competenze [32] destinato alla popolazione adulta da parte del MIUR in occasione del Convegno nazionale sull’apprendimento permanente tenutosi presso il MIUR il 24 gennaio 2018. Si tratta di un piano in cinque punti al quale si collega il Piano nazionale triennale della ricerca della Rete nazionale dei centri regionali di ricerca, sperimentazione e sviluppo per l’istruzione degli adulti (Cinisi, 5 maggio 2018). u
Il nuovo assetto IDA recepisce anche principi scientifici inerenti ai processi di apprendimento in età adulta che trovano nella teoria andragogica di Malcom S. Knowles un punto di riferimento. L’andragogia (la teoria e la scienza di aiutare gli adulti a imparare) interpreta l’adulto all’insegna della complessità che caratterizza la società della conoscenza e dell’informazione. L’adulto, prima descritto su base biologica, legale, sociale, psicologica, viene adesso visto come entità plurale e complessa che, non solo può, ma ha bisogno di imparare. Per favorire ciò esso va aiutato a prendere coscienza del bisogno di sapere [33] per essere motivato a colmare il divario di competenze tra una situazione data e una auspicata (legata alla vita socio-culturale, al lavoro, allo studio). Assumendo la condizione di adulto non più come soggetto definitivamente formato ma impegnato in una continua definizione del proprio progetto di
vita, emerge la sua necessità di acquisire nuove competenze e di operare una «manutenzione» di quelle possedute per raggiungere o mantenere un livello adeguato di benessere che coinvolga i suoi contesti di vita personale, socio-culturale e lavorativa. Ciò implica l’attivazione di un processo continuo di apprendimento (life long learning ), che coinvolga i diversi contesti di vita (life wide learning ) e agisca in profondità sulle proprie cornici di riferimento [34] (life deep learning ), alimentando quell’autonomia indispensabile per agire in modo responsabile e vivere pienamente la propria cittadinanza. L’adulto è, quindi, pienamente immerso in seno a una società in continua trasformazione, caratterizzata da livelli di complessità crescenti, in cui i processi formativi si svolgono attraverso l’esperienza e non presentano stadi conclusivi, «ma solo momenti significativi, punti di partenza per ulteriori approfondimenti» (John Dewey, 18591952). Il modello andragogico [35] si basa su assunti che trovano nelle raccomandazioni europee, nella legislazione nazionale sull’apprendimento permanente e sull’ordinamento IDA diversi e interessanti punti di contatto che compongono un quadro complessivo caratterizzato da una significativa coerenza. Gli assunti dell’andragogia, infatti, sono: 1. bisogno di sapere; 2. concetto di sé del discente; 3. ruolo delle esperienze del discente; 4. disposizione ad apprendere; 5. orientamento verso l’apprendimento: 6. motivazione (collegata a esigenze esterne ma, soprattutto, a spinte interiori, quali autostima, qualità della vita, soddisfazioni personali e/o professionali).
4. Il Sistema di istruzione degli adulti: assetto didattico, organizzativo e strumenti di flessibilità Tra le peculiarità che ci apprestiamo a esaminare, giova evidenziare come il sistema sia stato fortemente innovato per: progettazione ed erogazione dell’offerta formativa demandata a una specifica istituzione scolastica autonoma a ciò preposta che opera nell’ambito di un quadro unitario a livello nazionale; u sostituzione dei cosiddetti «corsi serali» con percorsi adatti agli adulti; u forte raccordo tra scuola e territorio mediante la configurazione delle Reti Territoriali di servizio nel più ampio contesto delle Reti territoriali per l’apprendimento permanente; u processi e metodologie coerenti con le raccomandazioni europee sull’apprendimento permanente e con quanto emerso in campo scientifico per ciò che riguarda le modalità di presa in carico degli adulti (accoglienza e orientamento), la personalizzazione dei percorsi di studio (riconoscimento e valorizzazione delle competenze, comunque acquisite) e la loro formalizzazione (Patto formativo individuale) e documentazione mediante il libretto personale (dossier personale per l’IDA) [36] ; u favorire l’innalzamento dei livelli di istruzione, il miglioramento dei livelli di competenze della popolazione adulta e la ripresa degli studi per conseguire livelli di istruzione più elevati. u
L’ammissione di ciascun adulto ai percorsi sia di primo sia di secondo livello è subordinato alla definizione di un Patto formativo individuale (PFI) che comprende il Percorso di studi personalizzato (PSP) dal quale emergono saperi e competenze acquisite in contesti formali, non formali e/o informali [37] , certificati dalla commissione [38] . Il PFI, come anche il Certificato di riconoscimento dei crediti [39] viene sottoscritto, come un contratto, dalla commissione, dal dirigente scolastico del CPIA, dall’adulto e, per il secondo livello, dal dirigente scolastico in cui è incardinato il percorso. La commissione per la definizione dei PFI, presieduta dal dirigente scolastico del CPIA, è costituita, nell’ambito dell’Unità didattica, da docenti del primo e del secondo livello ed è dotata di apposito regolamento. Articolata in sezioni funzionali e dotata di strumenti [40] per la corretta gestione documentale, può essere integrata da esperti e/o mediatori linguistici senza oneri aggiuntivi. Si occupa anche della predisposizione di misure di sistema, tra le quali la stesura del PTOF (comprensivo di primo e secondo livello), la progettazione comune, il raccordo tra i percorsi di primo e di secondo livello e la valorizzazione del CPIA come struttura di servizio. Considerata la personalizzazione, i percorsi di studio possono avere durata anche biennale e sono organizzati per gruppi di livello in funzione delle competenze degli studenti. I percorsi sono svolti facendo riferimento a una progettazione per Unità di apprendimento collegate alle competenze previste dal percorso [41] e alle aggregazioni disciplinari per il secondo livello. Le Unità di apprendimento in quanto «insieme autonomamente significativo di conoscenze, abilità e competenze correlate ai livelli ed ai percorsi», costituiscono il riferimento per il riconoscimento dei crediti formativi e per la personalizzazione dei percorsi. Per ciascuna di esse sono descritte le specifiche competenze, declinate in conoscenze e abilità, e i tempi di attuazione (in presenza e/o a distanza). Una particolare attenzione merita l’offerta formativa rivolta a adulti destinatari di provvedimenti giudiziari, detenuti o con misure alternative alla detenzione. Considerato che i percorsi di istruzione costituiscono parte integrante del «trattamento» [42] volto alla rieducazione alla convivenza civile (art. 27 Cost.), il nuovo ordinamento IDA deve essere attuato tenendo conto delle peculiarità dei «tempi» e dei «luoghi» della detenzione, nonché della specificità dell’utenza, prevedendo apposite modalità organizzative oltre che iniziative finalizzate «al recupero, all’integrazione e al sostegno dei minori e degli adulti anche dopo la loro uscita dal circuito detentivo». In tal senso è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra MIUR e Ministero della Giustizia cui hanno fatto seguito accordi di livello regionale e locale [43] . Gli organi di governo prevedono una rappresentanza di tre studenti nei consigli di classe e la sostituzione della componente genitori con studenti nel consiglio di istituto, assicurando la rappresentanza di docenti di primaria e di secondaria nel comitato per la valutazione del servizio. Il collegio dei docenti, inoltre, può essere articolato in sezioni funzionali e il dirigente scolastico può individuare figure di sistema per supportare la gestione degli aspetti organizzativi, didattici e/o dei rapporti con il territorio.
Da un punto di vista didattico, per i percorsi di istruzione del primo livello, gli esiti finali (livello 2 del Quadro europeo delle qualifiche [44] ) tengono conto delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente e delle competenze chiave di cittadinanza; essi sono descritti in termini di «risultati di apprendimento» (Tab. A delle LLGG), declinati in competenze, conoscenze e abilità e aggregati in assi culturali: linguaggi, storico-sociale, matematico e scientifico-tecnologico. Per il primo periodo didattico del primo livello sono previste 22 competenze (All. A.1 LLGG) per una durata complessiva di 400 ore (All. A.3 LLGG) che possono essere incrementate sino ad altre 200 ore nel caso di assenza di certificazione conclusiva della primaria. Possono essere previsti moduli di 10 ore di formazione civica e di informazione finalizzate all’integrazione linguistica e sociale degli stranieri, a monte ore invariato. Può essere utilizzata, altresì, la quota di autonomia del 20% in coerenza con quanto previsto dalle Regioni e dai risultati di apprendimento. Possono essere previsti raccordi tra i percorsi di primo livello con i percorsi di apprendistato e di IeFP, tenendo conto di quanto definito dalla Conferenza unificata e fermo restando la competenza delle Regioni. Per il secondo periodo didattico del primo livello i risultati di apprendimento, riferiti ai quattro assi culturali, fanno riferimento alle attività e agli insegnamenti di area generale del primo biennio degli istituti tecnici e professionali e comprendono 16 competenze (All. A.2, LLGG) per una durata di 825 ore, pari al 70% delle ore previste dai corrispondenti ordinamenti. A conclusione si consegue la certificazione attestante l’acquisizione delle competenze di base connesse all’obbligo di istruzione. I risultati di apprendimento dei percorsi di Alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana (AALI) sono riferiti (Tab. B, LLGG) ai livelli A1 e A2 del Quadro comune europeo per le lingue e declinate in competenze, conoscenze e abilità riferite agli ambiti: ascolto, lettura, interazione (scritta e orale) e produzione scritta e produzione orale (All. B.1). Le competenze previste sono 22 e la durata dei percorsi è di 200 ore, di cui 20 destinate ad attività di accoglienza e orientamento (All. B.2, LLGG). Anche in questo caso possono essere previsti moduli di 10 ore di formazione civica e di informazione (art. 3 del D.P.R. 179/2011), a monte ore invariato. I percorsi di istruzione di secondo livello sono finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione tecnica, professionale e artistica; sono riferiti al profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo dei rispettivi settori e i risultati di apprendimento sono declinati in competenze, abilità e conoscenze. Possono iscriversi coloro i quali risultino in possesso del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione, la loro durata è pari al 70% delle ore previste dai corrispondenti ordinamenti e sono incardinati presso le Istituzioni scolastiche del secondo ciclo che, per la definizione dei PFI, devono sottoscrivere uno specifico accordo di rete con il CPIA. I percorsi sono strutturati in tre periodi didattici i cui risultati di apprendimento si riferiscono alle conoscenze, abilità e competenze previste, rispettivamente, a conclusione del primo biennio, del secondo biennio e del quinto anno. I primi due si concludono con il rilascio di una certificazione necessaria per l’ammissione al periodo didattico successivo (quella rilasciata a conclusione del primo è utile ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione previsto dal D.lgs. n. 76/2005), mentre il terzo è finalizzato all’acquisizione del diploma di istruzione. La durata è corrispondente al 70% del monte ore previsto dai rispettivi ordinamenti, con specifici adattamenti in relazione alle diverse situazioni ordinamentali (Par. 4.3 e All. D, LLGG). Anche in questo caso può essere utilizzata la quota di autonomia del 20% in coerenza con quanto definito dalle Regioni, con i risultati di apprendimento dei percorsi di secondo livello e tenendo conto di alcuni accorgimenti (Par. 4.3, LLGG). Negli istituti di prevenzione e pena è possibile derogare al numero minimo di studenti, adottando specifiche modalità organizzative e didattiche. Per quanto concerne la personalizzazione dei percorsi sono previsti gli strumenti di flessibilità per favorire la partecipazione degli studenti adulti: Accoglienza e orientamento (sino al 10% del monte ore del percorso). Comprende attività destinate a: definizione del PFI, rinforzo, messa a livello e/o manutenzione/implementazione del PFI. u Riconoscimento dei crediti e personalizzazione del percorso . La commissione, sulla base di apposita documentazione o evidenze utili (da raccogliere in apposito libretto personale o dossier personale per l’IDA), avvalendosi del supporto di docenti e secondo modalità definite, procede alla identificazione e messa in trasparenza delle competenze, alla valutazione per l’accertamento del possesso delle competenze e all’attestazione con rilascio del certificato di riconoscimento dei crediti formativi. Nella prima fase, attraverso il metodo biografico, i docenti accompagnano l’adulto nella individuazione e messa in trasparenza delle competenze comunque acquisite. Segue la fase della valutazione che viene effettuata su base documentale per le competenze formali e sulla base di prove e riscontri idonei a comprovare il possesso delle competenze non formali o informali [45] . A conclusione della fase valutativa, in caso di esito positivo, la commissione rilascia un certificato di riconoscimento dei crediti [46] che viene allegato al PFI. u Fruizione a Distanza (FAD). Si tratta di una delle modalità di personalizzazione del percorso che prevede la possibilità per lo studente di fruire, di norma sino al 20% della durata del percorso didattico in FAD. Il dato viene riportato nel PFI e incide sul tempo da dedicare alle attività in presenza, sulla eterogeneità dei materiali di studio da potere consultare e sullo sviluppo di competenze digitali (parte delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente) che tale modalità consente. Naturalmente la possibilità di prevedere l’erogazione in FAD è subordinata alla verifica della disponibilità di risorse da parte della scuola (tecnologiche, didattiche, professionali ecc.), alla definizione del modello di fruizione a distanza (adatto alle risorse, al contesto, alle caratteristiche dell’utenza), alla specifica progettazione per Unità di Apprendimento che prevedano tale metodologia con riferimento agli aspetti precedenti. Sono da prevedere appositi strumenti per la verifica della effettiva fruizione in riferimento al PFI, dell’autenticità dello studente, e per la valutazione, la validazione del percorso ecc. Le specifiche tecniche, benché espressione dell’autonomia organizzativa e didattica del CPIA, deve prevedere accorgimenti per i quali si può fare riferimento, con opportuni adattamenti, a quanto previsto dal D.M. del 17 aprile 2003 [47] . u Attivazione di Aule AGORÀ (Ambiente interattivo per la Gestione dell’Offerta formativa Rivolta agli Adulti). Si tratta di una particolare forma di fruizione a distanza che si svolge on line, in modalità sincrona e viene realizzata in sedi associate e/o operative del CPIA appositamente individuate. L’attivazione dell’aula AGORÀ è subordinata all’autorizzazione dell’Ufficio scolastico regionale. u
[17] Art.
34 della Costituzione.
[18] Art.
47, legge n. 270/1982.
[19] Avviata [20] Art.
con O.M. 4 gennaio 1974, n. 71/2-A.
64, comma 4, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con la legge del 6 agosto 2008, n. 133.
[21] D.P.R.
8 marzo 1999, n. 275.
[22] L’interesse,
l’attitudine e l’abilità degli individui a utilizzare in modo appropriato gli strumenti socio-culturali, tra cui la tecnologia digitale e gli strumenti di comunicazione per accedere, gestire, integrare e valutare informazioni, costruire nuove conoscenze e comunicare con gli altri, al fine di partecipare più efficacemente alla vita sociale. [23]
Abilità di accedere, utilizzare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche, per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta. [24] Le
competenze per vivere e lavorare oggi – Principali evidenze dall’Indagine PIAAC , Isfol, Roma 2013.
[25] IALS
- International Adult Literacy Survey e ALL - Adult Literacy and Lifeskills Survey.
[26] Migliorare
le competenze degli adulti italiani , costituita il 20 novembre 2013, https://www.istruzione.it/allegati/2014/PIAAC_finale_14feb.pdf
[27] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01) [28] Implementazione [29] Art.
in Italia della Raccomandazione del Consiglio. Percorsi di miglioramento del livello delle competenze: nuove opportunità per gli adulti.
4, commi 51-68 della legge n. 92/2012.
[30]
«Insieme strutturato di conoscenze e di abilità […] riconoscibili anche come crediti formativi, previa apposita procedura di validazione nel caso degli apprendimenti non formali e informali». [31]
D.lgs. n. 13 del 16 gennaio 2013.
[32]
1) Favorire e sostenere la partecipazione dei CPIA alla costruzione e al funzionamento delle reti territoriali per l’apprendimento permanente; 2) Favorire e sostenere – in coerenza con quanto previsto da «Agenda 2030» e dalla «Nuova Agenda europea delle competenze» – l’attivazione di «Percorsi di Garanzia delle Competenze» destinati alla popolazione adulta in età lavorativa finalizzati all’acquisizione delle competenze di base (matematiche, alfabetiche, linguistiche e digitali), trasversali (capacità di lavorare in gruppo, pensiero creativo, imprenditorialità, pensiero critico, capacità di risolvere i problemi o di imparare ad apprendere e alfabetizzazione finanziaria); 3) Potenziare e consolidare i Centri di ricerca, sperimentazione e sviluppo in materia di istruzione degli adulti, già attivati; 4) Favorire e sostenere la piena applicazione ai percorsi di istruzione degli adulti di strumenti di flessibilità e in particolare della «fruizione a distanza»; 5) favorire e sostenere l’attivazione di «Percorsi di Istruzione Integrati» finalizzati a far conseguire, anche in apprendistato, una qualifica e/o un diploma professionale nella prospettiva di consentire il proseguimento della formazione nel livello terziario (universitario e non). [33]
P. Freire, La pedagogia degli oppressi , Mondadori, Milano 1972.
[34]
J. Mezirow, La teoria dell’apprendimento trasformativo. Imparare a pensare come un adulto , Raffaello Cortina, Milano 2016.
[35]
M.S. Knowles, E.F. Holton, R.A. Swanson, Quando l’adulto impara. Andragogia e sviluppo della persona , Franco Angeli, Milano 2008.
[36] D.lgs.
del 10 ottobre 2005, Approvazione del modello di libretto formativo del cittadino, ai sensi del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, articolo 2, comma 1,
lettera i). [37]
D.lgs. del 16 gennaio 2013, n. 13 recante definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze. [38] Art.
5, comma 2, Regolamento.
[39] Dati
anagrafici; periodo didattico […]; elenco delle competenze riconosciute come crediti […]; il monte ore complessivo del PSP […]; quadro orario […]; piano delle UDA […]; indicazione della durata della fruizione del PSP (uno o due anni scolastici); firma della Commissione, del dirigente scolastico del CPIA e dell’adulto; data e numero di registrazione. [40]
I principali sono: modello di domanda per il riconoscimento dei crediti; modello di libretto personale (dossier personale per l’IDA); linee guida per la predisposizione delle specifiche metodologie valutative e dei riscontri e prove utili alla valutazione delle competenze; modello di certificato di riconoscimento dei crediti per la personalizzazione del percorso; modello di Patto Formativo Individuale. [41] D.I.
12 marzo 2015, Allegati A.1 e A.2.
[42] Art.
15 della legge 354/1975.
[43]
Protocollo d’intesa MIUR e Ministero della Giustizia Programma speciale per l’istruzione e la formazione negli istituti penitenziari e nei Servizi Minorili della Giustizia , del 23 maggio 2016. [44]
«Quadro sinottico di referenziazione delle qualificazioni pubbliche nazionali ai livelli del Quadro europeo delle qualificazioni per l’apprendimento permanente». [45] Metodologie
predisposte dall’INVALSI nell’ambito dei progetti RICREARE e SAPA, nonché gli strumenti predisposti nell’ambito del progetto PAIDEIA.
[46]
Elementi minimi: dati dell’ente pubblico titolare (MIUR) e dell’ente titolato (CPIA); dati anagrafici dell’adulto; competenze attese […] riconosciute come crediti; modalità di accertamento per ciascuna delle competenze riconosciute come crediti; firma della Commissione, del dirigente scolastico del CPIA e, per l’adulto iscritto ad uno dei periodi didattici dei percorsi di secondo livello, anche del dirigente scolastico della istituzione scolastica dove è incardinato il percorso di secondo livello; data e numero di registrazione. [47] In
GU del 29 aprile 2003, n. 98: Criteri e procedure di accreditamento dei corsi di studio a distanza delle università statali e non statali e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici di cui all’art. 3 del decreto 3 novembre 1999, n. 509 .
5. Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo di istruzione. Indicazioni nazionali per i licei. Linee guida per gli istituti tecnici e professionali a cura di Eleonora Marchionni
L’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche, istituita con la legge 15 marzo 1997 n. 59, art. 21, e regolamentata dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, ha introdotto un profondo cambio di paradigma, determinando lo spostamento sulla scuola di competenze e capacità di azione e di intervento, competenze poi valorizzate e potenziate dalla recente legge 13 luglio 2015, n. 107. La scuola, acquisita la personalità giuridica, si appropria di spazi di discrezionalità e di scelta che prendono forma tra le determinazioni collegiali e le finalità istituzionali espresse dallo Stato. Con l’istituzione dell’autonomia scolastica, gradualmente, i Programmi lasciano spazio alle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione , alle Indicazioni nazionali per i Licei e alle Linee guida per gli Istituti di istruzione tecnica e professionale . Alla scuola e ai docenti si chiede il passaggio dalla mera applicazione delle definizioni programmatiche ministeriali, prescrittive e analitiche, alla progettazione dei percorsi didattici. Dalla programmazione intesa come organizzazione di un sapere dato (il programma) in sequenze temporali, spesso imposte dalla sistematica della disciplina, si passa alla progettazione, ovvero alla costruzione originale di un percorso di «apprendimento insegnato», e quindi intenzionale, definito a partire dall’analisi dei bisogni dei soggetti e del contesto nel rispetto dei traguardi delle competenze previsti dallo Stato per ogni ordine e grado di istruzione.
1. Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione Il primo ciclo di istruzione, costituito dalla scuola primaria e secondaria di primo grado, trova nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione , elaborate ai sensi dell’art. 1, c. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, ed emanate con il D.M. 16 novembre 2012, n. 254, il documento chiave sul quale fondare la propria azione di riflessione sulla attività didattica. Le Indicazioni nazionali nascono da una lunga e attenta riflessione tra istituzioni scolastiche, personale della scuola, associazioni, sindacati, personale dell’amministrazione centrale e periferica, dirigenti scolastici, esperti: il mondo della scuola viene chiamato, attraverso una diffusa e partecipata azione di monitoraggio, consultazione e ascolto, ad analizzare, offrendo il proprio contributo, il documento nazionale delle istituzioni scolastiche, imprescindibile per la costruzione del curricolo di istituto e per la definizione del percorso di apprendimento/insegnamento di ciascun docente della scuola italiana. Le Indicazioni nazionali del 2012 sostituiscono le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati di cui agli allegati A, B, C e D del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e le successive Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione di cui al decreto del Ministro della Pubblica Istruzione 31 luglio 2007. Le Indicazioni nazionali entrano in vigore nell’anno scolastico 2012/2013, con la raccomandazione alle istituzioni scolastiche di procedere con gradualità nella loro rielaborazione all’interno degli allora denominati «Piani dell’offerta formativa». Il decreto ministeriale 16 novembre 2012, n. 254, dispone che il percorso progettuale della scuola dell’infanzia si strutturi secondo «Campi di esperienza» e che le discipline insegnate nel primo ciclo (costituito dalla scuola primaria e dalla secondaria di primo grado, legge 28 marzo 2003, n. 53) siano rappresentate da italiano, lingua inglese, seconda lingua comunitaria, storia, geografia, matematica, scienze, musica, arte e immagine, educazione fisica, tecnologia. Inoltre, Cittadinanza e Costituzione si riconferma insegnamento trasversale, come disposto dal decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2008, n. 169, e dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 9. La legge 20 agosto 2019, n. 92, riconferma l’importanza di questo insegnamento trasversale denominandolo Educazione civica, e regolamentandone l’attivazione a far data dal 1° settembre 2020. L’insegnamento della religione cattolica, disciplinato dagli accordi concordatari con l’autorità ecclesiastica (decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2010), si definisce attraverso traguardi per lo sviluppo delle competenze. Le Indicazioni nazionali sono anticipate da una significativa e attenta premessa che analizza il contesto culturale nel quale si trovano la persona e la scuola e che esplicita le finalità generali definite dallo Stato per il primo ciclo di istruzione. La narrazione sul senso del curricolo verticale, unitario, e della sua progettazione rappresenta il cuore delle Indicazioni nazionali in quanto elemento fondante del Piano triennale dell’offerta formativa. Lo scenario descritto è delineato dalla complessità sociale, che è caratterizzata dai molteplici e continui cambiamenti che ampliano le opportunità, ma anche l’esposizione ai fattori di rischio. Le funzioni educative degli adulti sono meno definite, e la genitorialità necessita sempre più di supporto e sostegno. Lo spazio e l’orizzonte territoriale e virtuale si allargano, tanto che nel corso complessivo dell’esperienza formativa di ciascun bambino, poi adolescente, è evidente l’incontro con la pluralità delle culture, che si deve essere in grado di comprendere e mettere in relazione con la propria. Lo stesso avvicinamento al globalismo necessita della piena consapevolezza
della propria identità. Le nuove forme di emarginazione sociale e l’analfabetismo anche di ritorno chiedono alla scuola di svolgere il proprio ruolo in modo importante, al fine di facilitare l’esercizio della cittadinanza attiva. In questo contesto la scuola è il soggetto che più di ogni altro può cogliere questa ricchezza e molteplicità di stimoli, risorse, opportunità, rischi e incertezze, poiché può fare sistema con famiglie e territorio. La scuola si apre al mondo esterno, creando opportunità interpretative e di apprendimento utili a consolidare le competenze di base e a reintegrare quelle necessarie alla persona per tutto l’arco della vita. L’azione educativa si deve sviluppare in modo verticale e orizzontale, per cui si costruiscono competenze che possano continuare a sostenere la persona in ogni sua scelta e opportunità di studio o di lavoro, e contemporaneamente si attivano spazi di collaborazione fra scuola e soggetti significativi del territorio. Particolare attenzione viene posta ai rapporti con le famiglie. La scuola non può abdicare al compito di promuovere la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che rischiano di caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti […] La scuola è perciò investita da una domanda che comprende, insieme, l’apprendimento e «il saper stare al mondo» [48] .
L’alleanza educativa tra scuola e famiglia consiste nel creare un legame di fiducia che consenta di promuovere azioni concordate, condividendo le finalità generali del processo formativo, nel rispetto dei ruoli e delle funzioni di ciascuno. Il difficile e complesso compito della scuola è quello di sostenere l’apprendimento dei bambini e dei ragazzi in modo autonomo, consapevole, orientativo e orientante, di innescare processi di pensiero critico e di costruzione di un progetto di vita flessibile e sostenibile. Il successo formativo di tutti gli studenti è la finalità istituzionale della scuola. La persona è al centro e l’apprendimento si costruisce a partire dai bisogni formativi di ciascun studente, favorendo la personalizzazione dei percorsi. La scuola pone le basi per promuovere le competenze personali e sociali: tra le più significative la competenza dell’imparare a imparare , come delineata nella Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 22 maggio 2018, e prima ancora nella Raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo del 18 dicembre 2006. Le Indicazioni nazionali , come precedentemente accennato, esplicitano le finalità generali in materia di istruzione prescritte dallo Stato, che rappresentano garanzia di uguaglianza e di unitarietà rispetto alle opportunità offerte ai nostri studenti e ai livelli di acquisizione delle competenze. Tali norme comprendono: la fissazione degli obiettivi generali del processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli studenti; le discipline di insegnamento e gli orari obbligatori; gli standard relativi alla qualità del servizio; i sistemi di valutazione e controllo del servizio stesso [49] .
L’importante richiamo delle Indicazioni nazionali alle finalità generali si sostanzia nel preciso e puntuale riferimento al dettato costituzionale, nell’ambito di una ben delineata cornice europea che rappresenta l’orizzonte generale e che riconferma l’adozione della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 18 dicembre 2006, relativamente alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente. È necessario a tal proposito ricordare l’importante spazio dedicato alle competenze europee, sia come cornice culturale di riferimento sia come impegno assunto dal nostro Stato nazionale rispetto alla Raccomandazione europea del 2006 . Il decreto ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, nell’allegato 2 al Documento tecnico, fa proprie le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente della Raccomandazione europea 2006 , elaborando otto competenze da acquisire al termine dell’obbligo di istruzione, denominate «Competenze chiave di cittadinanza». È necessario sottolineare, inoltre, che il documento tecnico sopra citato allegato al D.M. 139/2007 rappresenta il riferimento normativo per il biennio delle scuole secondarie di secondo grado in relazione alle competenze previste al termine del percorso obbligatorio di istruzione di ciascun studente. L’allegato tecnico riporta quattro assi culturali (linguistico, matematico, scientifico-tecnologico, storicosociale) ai quali sono riferiti i diversi saperi, che si scandiscono in abilità, conoscenze e competenze. La competenza digitale è comune a tutti gli assi, in modo da favorire l’accesso ai saperi e rafforzare le potenzialità espressive individuali. In un’ottica di continuità e costruzione verticale del curricolo è fondamentale in fase di progettazione tener conto che il primo ciclo di istruzione si lega al secondo proprio attraverso gli assi culturali e i traguardi espressi dalle competenze chiave di cittadinanza descritte nell’allegato 2 al documento tecnico stesso. Le competenze chiave per l’apprendimento permanente della Raccomandazione del 2006 e le competenze di cittadinanza del D.M. 139 del 2007 rappresenteranno dunque il principio cardine che ha ispirato il modello metodologico della certificazioni delle competenze nei vari gradi di istruzione. Il Consiglio dell’Unione Europea, anche a fronte dei grandi cambiamenti sociali e culturali, ha provveduto ad aggiornare il documento europeo del 2006 con una nuova Raccomandazione del maggio 2018, come evidenziato nel quadro sinottico sottostante che rappresenta in sequenza cronologica l’evoluzione delle competenze chiave (cfr. Fig. 1): Figura 1 − Quadro sinottico delle competenze chiave per l’apprendimento permanente Competenze chiave per l’apprendimento permanente (lungo tutto l’arco della vita) Raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo 18 dicembre 2006
Competenze chiave di cittadinanza DM 139/2007 allegato
Competenze chiave per l’apprendimento permanente Raccomandazione del Consiglio d’Europa 2018
2 al Documento tecnico ⦁ Comunicazione nella madrelingua ⦁ Comunicazione nelle lingue straniere ⦁ Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia ⦁ Competenza digitale ⦁ Imparare a imparare ⦁ Competenze sociali e civiche ⦁ Spirito di iniziativa e imprenditorialità ⦁ Consapevolezza ed espressione culturale
⦁ Imparare a imparare ⦁ Progettare ⦁ Comunicare ⦁ Collaborare e partecipare ⦁ Agire in modo autonomo e responsabile ⦁ Risolvere problemi ⦁ Individuare collegamenti e relazioni ⦁ Acquisire ed interpretare l’informazione
⦁ Competenza alfabetica funzionale ⦁ Competenza multilinguistica ⦁ Competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria ⦁ Competenza digitale ⦁ Competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare ⦁ Competenza in materia di cittadinanza ⦁ Competenza imprenditoriale ⦁ Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali
Il paradigma di riferimento rappresentato dalla dimensione europea dell’istruzione contribuisce a delineare le competenze prescrittive descritte dai profili in uscita dai vari gradi di istruzione, e consente di dare senso e indirizzo alle scelte che ciascuna scuola è chiamata a esplicitare nella propria progettazione del curricolo di istituto. I docenti, attraverso la loro professionalità tecnica, definiscono contenuti e scelgono metodologie nel rispetto delle determinazioni collegiali. L’esercizio della libertà di insegnamento (Costituzione della Repubblica, art. 33) è sempre funzionale alle finalità istituzionali e si esprime tra queste ultime e le scelte collegiali. Lo stesso decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Testo unico delle leggi della scuola), richiama all’articolo 1 il concetto di libertà di insegnamento come libera espressione culturale del docente e al contempo come diritto dell’allievo a raggiungere una piena formazione coerente con le finalità istituzionali. La libertà di insegnamento si colloca pertanto tra il diritto individuale e il dovere pubblico, per cui ciascun insegnante decide che cosa insegnare e come (contenuti e metodologie), nei limiti però delle scelte progettuali dell’istituto e della tutela degli studenti, nel loro diritto di veder realizzato il successo formativo. L’autonomia stessa delle istituzioni scolastiche garantisce la libertà d’insegnamento, che non è indiscriminata, ma funzionale. Da non sottovalutare l’importante compito della famiglia (Costituzione della Repubblica, art. 30) in merito alla libertà delle scelte, alla collaborazione con la scuola e alla responsabilità sull’istruzione dei propri figli. Il successo formativo degli studenti è finalità istituzionale prioritaria e si realizza attraverso la formazione della persona nel suo sviluppo armonico all’interno di un percorso di istruzione obbligatorio di dieci anni (D.M. 139/2007, di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 622), elevati di due anni rispetto agli otto previsti dall’art. 34 della Costituzione italiana; la scuola inoltre contribuisce, nell’esercizio delle funzioni assegnatale dalla Costituzione della Repubblica, a offrire pari opportunità per consentire la reale uguaglianza tra i cittadini (art. 3). Attraverso le Indicazioni nazionali «si intendono fissare gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o campo di esperienza» [50] . Ogni istituzione scolastica, pertanto, nel rispetto delle finalità generali definite dallo Stato, espresse nelle Indicazioni nazionali attraverso il Profilo delle competenze dello studente al termine del primo ciclo di istruzione e attraverso i Traguardi per lo sviluppo della/delle competenze, determina il curricolo di istituto, che si realizza nell’ambito dell’autonomia scolastica, come già regolamentato all’art. 8, c. 2, del D.P.R. 275/1999, e riaffermato con modificazioni nell’art. 1, c. 14, della legge 107/2015. Il percorso formativo, che inizia con la scuola dell’infanzia e prosegue con il primo ciclo di istruzione, si realizza nel conseguimento da parte degli studenti di un preciso Profilo, che si compone degli «apprendimenti sviluppati a scuola, lo studio personale, le esperienze educative vissute in famiglia e nella comunità», e che consente allo studente di essere «in grado di iniziare ad affrontare in autonomia e con responsabilità, le situazioni di vita tipiche della propria età, riflettendo ed esprimendo la propria personalità in tutte le sue dimensioni» [51] . Il Profilo conclusivo si definisce in termini di competenze acquisite, ma come si conseguono le competenze e come il curricolo le costruisce attraverso il suo percorso progettuale? Le Indicazioni nazionali rappresentano la cornice teorica, il quadro di riferimento che consente alle scuole di progettare ciascuna il proprio curricolo, verticale, unitario nel rispetto dell’autonomia dell’istituzione e della libertà di insegnamento. La progettazione del curricolo verticale si contestualizza, esplicita le istanze della comunità professionale, elabora specifiche scelte su contenuti, metodi, assetti organizzativi, valutazione, senza perdere mai di vista il Profilo dello studente e i Traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e, prescrittivi per ogni campo di esperienza della scuola dell’infanzia e per ogni disciplina della scuola primaria e secondaria di primo grado. La progettazione del curricolo si sostanzia tramite gli Obiettivi di apprendimento, che i docenti definiscono in un’ottica di sviluppo verticale, continuo, unitario. I Traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e rappresentano riferimenti ineludibili per gli insegnanti, indicano «piste da percorrere e aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’alunno» [52] . Gli obiettivi di apprendimento sono strategici, poiché consentono il conseguimento dei traguardi per lo sviluppo delle competenze; gli obiettivi di apprendimento si esprimono con il verbo all’infinito, a differenza delle competenze, che si esprimono con l’indicativo presente: essi rappresentano il prodotto delle conoscenze e delle abilità, sono organizzati in nuclei tematici e si realizzano in tempi
lunghi, «individuano campi del sapere, conoscenze e abilità ritenuti indispensabili» [53] . Le abilità e le conoscenze (obiettivi di apprendimento) acquisite maturano in competenze quando ciascun studente, attivando risorse personali, atteggiamenti, è in grado di realizzare un compito in un contesto concreto, reale, autentico. Ciascuno mobilita le proprie risorse per affrontare problemi quotidiani. La competenza costituisce il livello di uso consapevole e appropriato di tutti gli oggetti di apprendimento, ai quali si applica con effetti metacognitivi, riflessivi, motivazionali, operativi. Ai fini di una maggiore chiarezza espositiva e di una necessaria e opportuna condivisione semantica si riporta la definizione proposta dalla Raccomandazione del Parlamento europeo del 2006 di «conoscenze, abilità e competenze». Le Indicazioni nazionali e il D.M. 139/2007 hanno adottato tali definizioni, peraltro successivamente riconfermate anche dalla Raccomandazione europea del 2008 relativa al Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli (cfr. Fig. 2). Figura 2 – Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 ⦁ Conoscenze: indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro; le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche. ⦁ Abilità: indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti). ⦁ Competenze: indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia.
I Traguardi per lo sviluppo della competenza per la scuola dell’infanzia sono definiti al termine del percorso triennale, così come al termine del percorso quinquennale sono definiti i Traguardi della scuola primaria e al termine del triennio quelli della Scuola secondaria di primo grado. Gli obiettivi di apprendimento sono descritti soltanto in relazione alle discipline della scuola primaria e secondaria di primo grado, e si scandiscono al termine della classe terza della scuola primaria (escluso le discipline musica, educazione fisica, tecnologia, arte e immagine), della classe quinta sempre della scuola primaria e della classe terza della Scuola secondaria di primo grado (cfr. Fig. 3). Figura 3 – Profilo e Traguardi per lo sviluppo delle competenze
Il documento nazionale pone l’accento sulle competenze e su un’idea di apprendimento non esecutivo, ma in costruzione, da intendersi come processo attivabile in situazione. L’accento è posto sulle competenze, che si costruiscono in modo dinamico, assumendo come elementi di riferimento il progressivo evolversi dei risultati attesi. Parlare di Traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e significa vedere l’apprendimento come un processo dinamico con punti di arrivo/risultati attesi, che sono appunto in costante sviluppo. Per la scuola dell’infanzia si parla di Traguardi per lo sviluppo della competenza, mentre per la scuola primaria e secondaria di primo grado si parla di Traguardi per lo sviluppo delle competenze. I docenti progettano e organizzano il proprio curricolo attraverso gli obiettivi di apprendimento in relazione al contesto, alle determinazioni organizzative e didattiche, alle scelte sui contenuti e sulle metodologie. Perché il curricolo si progetta e non si programma? Il curricolo si progetta, e già il Regolamento sull’autonomia delle tstituzioni scolastiche, il D.P.R. 275/1999, ce lo ricorda all’art. 3 e all’art. 8, così come viene ribadito dalla legge 107/2015, art. 1, c. 14, e questo proprio perché il curricolo si costruisce tenuto conto delle finalità generali definite dallo Stato, e nel nostro caso esplicitate nelle Indicazioni nazionali alla voce «Profilo e Traguardi», e del
contesto territoriale, delle risorse e dalle opportunità esistenti, oltre che dei bisogni. Il curricolo si progetta e non si programma perché la sua definizione non discende da un sapere dato proveniente dal vertice della struttura, ma si costruisce in modo intenzionale e originale in una dimensione dialettica tra autonomia delle istituzioni scolastiche e finalità istituzionali, tra bisogni di contesto e finalità generali, garanzia di uguaglianza e di pari opportunità. In questo rapporto dialettico il curricolo si progetta nel rispetto di una quota nazionale e di una quota locale. L’articolo 8 del D.P.R. 275/1999 stabilisce proprio questo spazio progettuale, per cui le scuole devono attenersi a una quota obbligatoria nazionale e al contempo possono utilizzare un proprio spazio di autonomia. Il curricolo obbligatorio rappresenta l’80%, e va a integrarsi con quella parte che l’istituzione scolastica sceglie di attivare in modo autonomo e contestualizzato (quota definita dal decreto ministeriale 13 giugno 2006, n. 47) e che consente di modificare il monte ore annuale di insegnamento (fino a un massimo del 20%). Il curricolo si costruisce nella sua dimensione complessiva perché prende in carico tutto il percorso di istruzione a partire dalla scuola dell’infanzia, garantisce unitarietà e nello specifico cura la relazione di continuità sugli anni di passaggio, cosiddetti «anni ponte». Esso deve prevedere una progettazione verticale, soffermandosi sulla continuità del percorso educativo e sul raccordo con la Scuola secondaria di secondo grado. L’intero percorso curricolare si elabora unitariamente, e il docente individua strategie idonee e scelte didattiche efficaci, determina i contenuti. Il curricolo verticale si progetta per competenze, senza peraltro trascurare il ruolo determinante dei risultati di apprendimento, né sottovalutare l’importanza che rivestono gli apprendimenti disciplinari di base. Non è infatti pensabile che si possano formare delle competenze in assenza di un solido bagaglio di contenuti e di saperi disciplinari. I docenti nel progettare il curricolo di istituto devono muoversi secondo uno sviluppo di costruzione verticale tesa al raggiungimento dei Traguardi e del Profilo, nel convincimento che i processi e gli obiettivi di apprendimento, definiti a partire dalla scuola dell’infanzia, delineino un percorso progettuale all’interno del quale la scuola si riconosce. Si progetta insieme perché ognuno porti la propria professionalità e il proprio bagaglio di competenze e di sviluppo professionale. Il curricolo di istituto è espressione della libertà d’insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto [54] .
È necessario sottolineare che la definizione delle discipline, nell’ottica del superamento delle aree disciplinari, è finalizzata a sostenere le scelte dei docenti a livello collegiale: le discipline possono cioè essere accorpate nel modo che più si ritiene utile e opportuno per la realizzazione di una specifica progettazione curricolare. Di nuovo il progetto di istituto prende forma nella volontà collegiale e l’unicità di ciascun curricolo sta nei processi consapevoli che conducono al raggiungimento dei traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e. Gli obiettivi di apprendimento, flessibili e dinamici, consentono di accogliere i bisogni della comunità educante e degli allievi; essi sono tesi alla personalizzazione dei percorsi e al raggiungimento per ciascun studente del massimo successo formativo. La centralità della persona trova il suo pieno significato nella scuola intesa come comunità educativa, aperta anche alla più larga comunità umana e civile, capace di includere le prospettive locale, nazionale, europea e mondiale [55] .
L’attenzione ai momenti di passaggio tra scuola dell’infanzia e scuola primaria, fra questa e Scuola secondaria di primo grado e fra quest’ultima e il biennio della Scuola secondaria di secondo grado garantisce continuità e successo formativo. Si possono condividere obiettivi di apprendimento e metodologie, consentendo agli alunni passaggi sereni, consapevoli e ricchi. La professionalità dei docenti della scuola dell’infanzia si identifica in uno stile educativo protettivo, capace di ascolto, cura, incoraggiamento. Gli spazi comodi, ampi ben strutturati si uniscono ai tempi distesi per consentire attività e momenti ludici progettati in modo condiviso e partecipato da tutto il team docente. Il curricolo verticale garantisce il passaggio continuo tra scuola dell’infanzia e primaria e tra scuola primaria e Scuola secondaria di primo grado, per poi proseguire nell’ordine di istruzione successivo; sono i Traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e che si arricchiscono e che si costruiscono attraverso il processo di apprendimento. È dalla scuola primaria che inizia il segmento di istruzione obbligatorio, e le Indicazioni nazionali per il curricolo ribadiscono l’importanza di questo periodo per porre le basi di quelle competenze necessarie alla persona per procedere nel percorso di studi in un’ottica di apprendimento permanente. Il compito specifico del primo ciclo è quello di promuovere l’alfabetizzazione di base attraverso l’acquisizione dei linguaggi e dei codici che costituiscono la struttura della nostra cultura, in un orizzonte allargato alle altre culture con cui conviviamo e all’uso consapevole dei nuovi media. Si tratta di una alfabetizzazione culturale e sociale che include quella strumentale, da sempre sintetizzata nel «leggere, scrivere e far di conto», e la potenzia attraverso i linguaggi e i saperi delle varie discipline. All’alfabetizzazione culturale e sociale concorre in via prioritaria l’educazione plurilingue e interculturale [56] .
Importante è il richiamo alla lingua materna e alla lingua per lo studio, oltre che alle lingue straniere, richiamo che trova uno spazio significativo non solo nella Raccomandazione europea del 2006, ma anche nella nuova Raccomandazione del 2018, che descrive in particolare la competenza relativa all’uso funzionale della lingua. La consapevolezza linguistica è la strada privilegiata per esercitare la cittadinanza con il progressivo sviluppo del pensiero critico e
riflessivo. Nella Scuola secondaria di primo grado si realizza l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo. La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello dell’impostazione trasmissiva. Le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione. I problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che i diversi punti di vista disciplinari dialoghino e che si presti attenzione alle zone di confine e di cerniera fra discipline. Nella Scuola secondaria di primo grado vengono favorite una più approfondita padronanza delle discipline e un’articolata organizzazione delle conoscenze, nella prospettiva dell’elaborazione di un sapere sempre meglio integrato e padroneggiato [57] .
L’alfabetizzazione culturale di base, come precedentemente accennato, consente la costruzione del sapere e l’acquisizione degli strumenti necessari (alfabetizzazione strumentale) per poter essere nel mondo, in modo autonomo e consapevole. Le discipline definite per la scuola primaria e secondaria di primo grado concorrono, ciascuna nel suo specifico, a costruire attraverso gli obiettivi di apprendimento le competenze prescritte dai Traguardi. I Traguardi per ciascuna disciplina al termine della scuola primaria trovano il loro sviluppo e completamento in modo coerente e continuo nei traguardi previsti al termine della Scuola secondaria di primo grado, dando vita a una costruzione delle competenze in crescita e in continua costruzione. La disciplina Italiano si snoda nei nuclei fondanti che dettagliano gli obiettivi di apprendimento: ascolto e parlato, lettura, scrittura, acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo, elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua. Le competenze linguistiche, che si sviluppano in modo complesso e coerentemente con lo sviluppo del pensiero, sono «una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della cittadinanza, per l’accesso critico a tutti gli ambiti culturali e per il raggiungimento del successo scolastico in ogni settore di studio» [58] ; si promuovono nel rispetto della ricchezza e varietà delle diversità linguistiche, anche minoritarie, delle inflessioni dialettali delle singole regioni, secondo un approccio antropologico-culturale. L’alfabetizzazione funzionale è il primo compito della scuola del primo ciclo: leggere e scrivere in modo corretto, comprendere i significati della lingua scritta e dei testi ascoltati per poi passare alle più complesse competenze che trovano la loro realizzazione nei diversi usi della lingua (comunicativi, euristici, cognitivi, espressivi, argomentativi). La lingua si arricchisce nel lessico ricettivo e produttivo, compreso e usato, supportata dalla conoscenza della grammatica che si apprende nell’uso della stessa. L’interdisciplinarietà caratterizza e connota in modo sostanziale questa disciplina, che è la conditio di realizzabilità di tutte le altre: i docenti operano in modo congiunto e progettano valorizzando al massimo la trasversalità dei percorsi di apprendimento. Lingua inglese e Seconda lingua comunitaria , oltre alla lingua madre, consentono l’apertura alla dimensione europea e internazionale della cultura; l’apprendimento di una seconda lingua deve essere progettato a partire dalla scuola dell’infanzia secondo una continuità verticale che farà tesoro delle scelte metodologiche e strategiche delineate. Lingua inglese e Seconda lingua comunitaria si snodano, come l’Italiano, in nuclei che dettagliano lo sviluppo degli obiettivi di apprendimento: ascolto (comprensione orale), parlato (produzione e interazione orale), lettura (comprensione scritta), scrittura (produzione scritta), riflessione sulla lingua e sull’apprendimento. Da sottolineare il diverso livello di competenza linguistica previsto per la lingua inglese e per la seconda lingua comunitaria. Al termine della classe quinta primaria per la lingua inglese i traguardi sono riconducibili al livello A1 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue del Consiglio d’Europa elaborato nel 2001, mentre al termine della Scuola secondaria di primo grado il livello di riferimento è A2. Per la seconda lingua comunitaria invece, al termine della Scuola secondaria di primo grado, si prevede il livello A1 come traguardo in relazione al QCER. L’approccio ludico, l’utilizzo della musica, delle canzoni, di strumenti tecnologici facilitano l’apprendimento della seconda lingua e alle attività didattiche finalizzate a far acquisire all’alunno la capacità di usare la lingua, il docente affiancherà gradualmente attività di riflessione per far riconoscere sia le convenzioni in uso in una determinata comunità linguistica, sia somiglianze e diversità tra lingue e culture diverse, in modo da sviluppare nell’alunno una consapevolezza plurilingue e una sensibilità interculturale [59] .
Storia e Geografia sono discipline che trovano uno spazio importante nelle Indicazioni nazionali . La Storia si sviluppa a partire dalla riflessione sull’uso delle fonti, l’organizzazione delle informazioni, l’individuazione degli strumenti concettuali utili a comprendere le vicende storiche, la produzione scritta e orale. Lo studio della storia aiuta a ricostruire fatti ed eventi del passato che sostengono l’interpretazione del presente. Gli strumenti concettuali forniti dallo studio di questa disciplina consentono la riflessione critica e l’analisi degli eventi, le quali a loro volta sostengono la comprensione dei significati dell’ambiente di vita dell’allievo. La conoscenza e il rispetto dei beni artistici e culturali rientrano in questa dimensione della conoscenza, tesa al supporto delle competenze di cittadinanza. Il documento nazionale definisce la ripartizione delle conoscenze storiche per livelli scolastici, utile a strutturarne la sequenza cronologica su tutto il primo ciclo di istruzione. Le conoscenze del periodo storico compreso tra il Paleolitico e la fine dell’Impero romano d’occidente si intendono conseguite al termine della scuola primaria, per poi procedere nella Scuola secondaria di primo grado fino allo studio della storia del Novecento. Interessante e significativo il riferimento delle Indicazioni nazionali all’opportunità offerta dalle aree di sovrapposizione tra la Storia e la Geografia nella consapevolezza dello stretto legame esistente tra tempo e luogo, cultura e spazio. La Geografia vede i suoi obiettivi di
apprendimento scanditi nei temi: orientamento, linguaggio della geo-graficità, paesaggio, regione e sistema territoriale. La presenza della geografia nel curricolo contribuisce a fornire gli strumenti per formare persone autonome e critiche, che siano in grado di assumere decisioni responsabili nella gestione del territorio e nella tutela dell’ambiente, con un consapevole sguardo al futuro. Il primo incontro con la disciplina avviene attraverso un approccio attivo all’ambiente circostante, attraverso un’esplorazione diretta; in questa fase la geografia opera insieme alle scienze motorie, per consolidare il rapporto del corpo con lo spazio [60] .
La trasversalità descritta si realizza in modo pieno e pertinente e i Traguardi si intrecciano e si consolidano fino a delineare un Profilo complessivo delle competenze dello studente. La Matematica è la disciplina che contribuisce allo sviluppo del pensiero logico: pone in stretta connessione il fare e il pensare , sostiene la costruzione della competenza argomentativa e di risoluzione dei problemi, questioni autentiche inserite in contesti di realtà. Positiva la posizione del Documento nazionale rispetto all’uso di calcolatrici e del computer, poiché strumenti utili alla verifica del calcolo e all’approfondimento delle questioni trattate. La disciplina Matematica si organizza nei nuclei fondanti quali: numeri, spazio e figure, relazioni, dati e previsioni. Il curricolo delle Scienze viene connotato dallo specifico tratto della metodologia, quel metodo scientifico che nasce dalle domande, dalle ipotesi, dal confronto di idee, dall’osservazione. Si esplorano e descrivono oggetti e materiali, si osserva e si sperimenta sul campo il mondo fisico e naturale. Gli allievi studiano il proprio corpo nella sua complessità e lo mettono in relazione all’ambiente e al mondo esterno. La «cura» è una competenza importante che i docenti devono promuovere: cura verso se stessi, verso il prossimo, verso i propri ambienti di vita, verso l’ambiente secondo un approccio sostenibile. Scienze e Tecnologia sono due discipline che si avvicinano per strategie e metodi. L’osservazione, la risoluzione di problemi, l’intervento sulla realtà e la capacità di modificare l’ambiente per venire incontro ai bisogni di vita sono concetti prioritari nei percorsi di insegnamento di queste discipline. La progettualità trasversale di Tecnologia richiede all’alunno l’utilizzo in contesti concreti di conoscenze matematiche, logiche e di programmazione, oltre alle competenze di creatività e spirito di iniziativa. Le discipline Arte e immagine e Musica assumono particolare importanza sia in relazione al fatto che consentono l’espressione della creatività e della sensibilità estetica sia perché promuovono l’acquisizione di nuovi linguaggi (visivo, audiovisivo, multimediale, musicale, canoro). Sviluppano capacità critiche e interpretative utili alla comprensione di contesti reali o simbolici. La Musica nella scuola del primo ciclo si svolge tra pratica e conoscenza, tra produzione e fruizione consapevole, privilegiando l’approccio laboratoriale. L’Arte e la Musica contribuiscono a facilitare una progettazione trasversale tale da consentire a tutti di esprimere le proprie potenzialità. Il canto, la pratica degli strumenti musicali, la produzione creativa, l’ascolto, la comprensione e la riflessione critica favoriscono lo sviluppo della musicalità che è in ciascuno; promuovono l’integrazione delle componenti percettivo-motorie, cognitive e affettivo-sociali della personalità; contribuiscono al benessere psicofisico in una prospettiva di prevenzione del disagio, dando risposta a bisogni, desideri, domande, caratteristiche delle diverse fasce d’età [61] .
Si ricorda a questo proposito il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 60, relativo alla cultura umanistica e alla valorizzazione del patrimonio delle produzioni culturale e della creatività, che ha dato un grande impulso alle scuole italiane in termini di promozione dell’arte e della musica. La cultura umanistica e il sapere artistico riconoscono la centralità dell’uomo, la dignità, le esigenze, i diritti e i doveri: è quanto enunciato proprio dal primo articolo del decreto. L’espressione del sé, la condivisione di spazi, il senso di lealtà e il rispetto per le regole della comunità e per il prossimo sono aspetti fondanti della disciplina Educazione fisica , incentrata su temi strategici e trasversali che coinvolgono tutto il percorso formativo dello studente. I nuclei fondanti sono rappresentati da: Il corpo e la sua relazione con lo spazio ; Il linguaggio del corpo come modalità comunicativo-espressiva ; Il gioco, lo sport, le regole e il fair play ; Salute e benessere, prevenzione e sicurezza . Attraverso l’educazione motoria si vivono esperienze sociali, comunicative, affettive che guidano l’allievo all’autocontrollo, alla gestione delle relazioni e al rispetto dell’altro. Le Indicazioni nazionali dedicano particolare spazio a «Cittadinanza e Costituzione» (dal prossimo anno scolastico «Educazione civica» (in base alla legge 20 agosto 2019, n. 92). La cittadinanza attiva si promuove a partire dalla scuola dell’infanzia nel costruire la convivenza democratica, il senso della legalità, la capacità di ragionamento autonomo e critico, la cura degli spazi comuni, l’attenzione al proprio contesto di vita, il rispetto nelle relazioni. La breve descrizione dei temi progettuali e delle competenze previste dalle singole discipline non deve condurci a pensare a frammentarietà e disciplinarismo, ma all’opportunità di scegliere come, quando e quali trasversalità attivare. Siamo oltre le aree disciplinari, ci troviamo in una dimensione più ampia nella quale le singole discipline possono in vario modo creare legami le une con altre. Il docente con la propria professionalità e il collegio con la sua competenza tecnica scelgono e decidono i percorsi trasversali da privilegiare. La trasversalità sulle competenze ci aiuta ad acquisire uno sguardo globale sulla persona che cambia, cresce e si evolve in un contesto sociale e culturale in continuo e costante cambiamento. La complessità è il paradigma di riferimento e le Indicazioni nazionali , quale
testo aperto, fluido e integrabile dalla comunità scolastica, si rendono disponibili ad aggiornamenti, in relazione ai cambiamenti sociali e culturali. Il Comitato tecnico nazionale ha, a tal proposito, elaborato un documento dal titolo Indicazioni nazionali e nuovi scenari , che è stato pubblicato con nota di accompagnamento MIUR prot. n. 3645 del 1 marzo 2018. Lo scopo del documento è quello di rilanciare il testo delle Indicazioni nazionali ponendo particolare attenzione a temi quali la cittadinanza e la sostenibilità. Il documento nazionale del 2012 viene arricchito nella parte relativa all’«Alleanza per un nuovo umanesimo», citata nella premessa delle Indicazioni nazionali , ipotizzando nuovi orizzonti di riflessione, approfondimento e integrazione tra discipline umanistiche e scientifiche. Il riferimento è all’Educazione al rispetto e alla cittadinanza consapevole, da acquisire con una sempre più ferma padronanza delle competenze di base: dalla padronanza della lingua italiana, alla statistica, al pensiero computazionale. La trasversalità delle competenze appare quanto mai centrale soprattutto sul piano della cittadinanza digitale, sulla consapevolezza dei problemi dell’uomo nella società contemporanea, sul tema della sostenibilità in ogni suo aspetto e prospettiva. L’Agenda Onu 2030, approvata il 25 settembre 2015, con i suoi diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile, articolati in 167 target, fa da sfondo al nuovo documento, sempre con l’attento e puntuale richiamo alle otto competenze europee. La sostenibilità non è più soltanto una questione ambientale, ma investe ogni aspetto della vita della persona. Le Indicazioni nazionali rappresentano un documento prezioso e imprescindibile per la progettazione del curricolo e per la definizione di ogni percorso di apprendimento delle competenze. Il curricolo si realizza in attuazione dell’autonomia scolastica e come ogni azione condivisa necessita della definizione di un modello metodologico e di un accordo semantico sulle parole chiave da parte della comunità professionale che lo rendono unico e contestualizzato.
2. Dal primo al secondo ciclo di istruzione Il nodo che lega il passaggio tra il primo e il secondo ciclo di istruzione è rappresentato dal primo biennio, comune rispetto alle competenze in uscita a tutti gli indirizzi di studi superiori. Il D.M. 139/2007 che disciplina l’adempimento dell’obbligo di istruzione esplicita nel Documento tecnico e nei suoi allegati il riferimento progettuale e didattico che i docenti devono seguire per delineare il curricolo: attraverso gli assi culturali dei linguaggi, matematico, storico-sociale e scientifico-tecnologico, si scandiscono le abilità, le conoscenze e le competenze. Lo studente, dunque, al termine del percorso obbligatorio dei dieci anni di istruzione, deve aver raggiunto le competenze descritte all’interno degli assi culturali e il suo profilo si delinea attraverso il conseguimento delle Competenze chiave di cittadinanza descritte nell’Allegato 2 del documento stesso. I documenti progettuali della Scuola secondaria di secondo grado, Indicazioni nazionali e Linee guida , riportano per il biennio la struttura degli assi culturali e delle competenze in uscita ivi previste. La congruenza dei saperi assicura l’equivalenza dei percorsi formativi nel rispetto dell’identità progettuale e ordinamentale dei diversi percorsi di studi. L’accesso ai saperi fondamentali è reso possibile e facilitato da atteggiamenti positivi verso l’apprendimento. La motivazione, la curiosità, l’attitudine alla collaborazione sono gli aspetti comportamentali che integrano le conoscenze, valorizzano gli stili cognitivi individuali per la piena realizzazione della persona, facilitano la possibilità di conoscere le proprie attitudini e potenzialità anche in funzione orientativa. Al riguardo, possono offrire contributi molto importanti con riferimento a tutti gli Assi culturali metodologie didattiche capaci di valorizzare l’attività di laboratorio e l’apprendimento centrato sull’esperienza [62] .
La definizione di un biennio comune possiede il grande valore di promuovere la verticalizzazione del curricolo fondata su percorsi condivisi, e di orientare verso un pool di competenze di base imprescindibili che tutti gli studenti debbono avere indipendentemente dal percorso di studi intrapreso. Si facilita così il passaggio tra primo e secondo ciclo di istruzione, le cui caratteristiche devono essere rappresentate dalla continuità e dall’unitarietà. Lo stesso Documento di certificazione delle competenze allegato al decreto ministeriale 27 gennaio 2010, n. 9, chiede l’attestazione dei livelli di padronanza delle competenze acquisite dagli allievi al termine dell’obbligo di istruzione, riferendosi fedelmente a quelle descritte dagli Assi culturali dell’Allegato 1 al D.M. 139/2007. È opportuno comunque sottolineare che l’obbligo di istruzione si accompagna al più ampio diritto-dovere «all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età» [63] .
3. Il PECUP e le Indicazioni nazionali per i licei Il sistema dei licei, si compone di sei diverse tipologie di licei, alcuni dei quali si articolano in indirizzi e opzioni; ciascuno ha durata quinquennale: 1. Liceo Artistico, che dopo il biennio comune si articola in sei diversi indirizzi (arti figurative, ambiente e architettura, design, audiovisivo e multimediale, grafica, scenografia); 2. Liceo Classico;
3. Liceo Linguistico; 4. Liceo Musicale e Coreutico; 5. Liceo Scientifico con, oltre al percorso ordinario, l’opzione Scienze applicate e un indirizzo sportivo (quest’ultimo regolamentato dal decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 2013, n. 52); 6. Liceo delle Scienze Umane, che oltre al percorso ordinario ha l’opzione economico sociale.
Il percorso liceale si struttura in un primo biennio, un secondo biennio e quinto anno. Il primo biennio è finalizzato a promuovere l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità e competenze al termine dell’obbligo, in continuità con il profilo delle competenze descritto al termine del primo ciclo di istruzione. Il secondo biennio è finalizzato all’approfondimento e allo sviluppo delle conoscenze e delle abilità e alla maturazione delle competenze caratterizzanti i diversi indirizzi e opzioni, fino a giungere al quinto anno, che persegue la piena realizzazione del Profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) dello studente delineato nell’allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89. Gli allegati B, C, D, E, F, G al sopra citato decreto riportano il Piano degli studi dei sei licei con le specifiche sugli indirizzi e sulle opzioni, definendo il quadro orario per ciascuna disciplina. Ulteriori allegati al regolamento dell’istruzione liceale (D.P.R. 89/2010) sono l’allegato H, che indica gli insegnamenti aggiuntivi, e gli allegati I e L, che descrivono le tabelle di confluenza e di corrispondenza dei titoli nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali [64] .
Le Indicazioni nazionali per i licei (decreto ministeriale 7 ottobre 2010, n. 211) sono definite ai sensi dell’art. 13, c. 10 del D.P.R. 89/2010 e riguardano gli obiettivi specifici di apprendimento finalizzati al conseguimento del profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione di cui all’allegato A del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. Le Indicazioni nazionali si compongono di due allegati, A e B. Allegato A: Nota introduttiva alle Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento . Allegato B: Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento in relazione alle attività e agli insegnamenti compresi nel piano degli studi previsto per il liceo artistico . Le Indicazioni nazionali degli obiettivi specifici di apprendimento per i licei rappresentano la declinazione disciplinare del Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione dei percorsi liceali. Il Profilo e le Indicazioni costituiscono, dunque, l’intelaiatura sulla quale le istituzioni scolastiche disegnano il proprio Piano dell’offerta formativa, i docenti costruiscono i propri percorsi didattici e gli studenti sono messi in condizione di raggiungere gli obiettivi di apprendimento e di maturare le competenze proprie dell’istruzione liceale e delle sue articolazioni [65] .
Il Profilo educativo culturale e professionale dello studente «costituisce l’ideale e imprescindibile preambolo» [66] delle Indicazioni nazionali , che si inquadrano all’interno della dimensione europea dell’istruzione (al tempo Lisbona 2000); esso descrive i risultati di apprendimento utili a indirizzare e orientare l’azione didattica in fase progettuale, per consentire ai percorsi di apprendimento di perseguire con efficacia i traguardi prefissati. Il sapere liceale consente di approfondire e sviluppare conoscenze e abilità, maturando competenze all’interno e tra le aree descritte dal Profilo, in modo interconnesso: area metodologica; area analogico-argomentativa; area linguistica e comunicativa; area storico-umanistica; area scientifica, matematica e tecnologica. Il Profilo (PECUP) delinea competenze degli studenti in termini di capacità critica, competenze di ricerca e di riflessione autonoma. Le competenze previste dal profilo in uscita dovranno condurre alla capacità di compiere interconnessioni tra le discipline, sia per quanto concerne i contenuti che sul piano della metodologia, di saper argomentare e ragionare con rigore logico, di saper leggere e comprendere testi di diversa complessità, di curare la capacità espositiva e comunicativa adeguandola ai diversi contesti. Il Profilo consente, dunque, di delineare competenze attese che ciascun studente deve conseguire e che ciascuna istituzione scolastica deve essere in grado di progettare nel corso del primo biennio, secondo biennio e quinto anno. Attraverso le Indicazioni nazionali, che descrivono gli obiettivi di apprendimento per ciascuna disciplina, le istituzioni scolastiche possono predisporre il curricolo; sono la progettazione delle istituzioni scolastiche, attraverso il confronto tra le componenti della comunità educante, il territorio, le reti formali e informali, che trova il suo naturale sbocco nel Piano dell’offerta formativa; la libertà dell’insegnante e la sua capacità di adottare metodologie adeguate alle classi e ai singoli studenti
a essere decisive «ai fini del successo formativo» [67] . Ogni disciplina viene descritta dalle Indicazioni nazionali secondo obiettivi specifici di apprendimento articolati per nuclei in
riferimento a ciascun biennio e al quinto anno. Il modello metodologico scelto, che vede le competenze attese al termine del percorso e la declinazione in obiettivi specifici di apprendimento, richiama, con le dovute e circostanziate differenze anche temporali, le Indicazioni per il curricolo del 2007 al tempo in vigore. Forte dunque la volontà di procedere secondo un percorso di progettualità condiviso e verticale. Importante anche il richiamo alla trasversalità e alla capacità autonoma delle scuole di delineare il proprio curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa, dal 2015 con la legge 107 triennale. La ricchezza delle Indicazioni nazionali emerge dai continui agganci alle novità poste in essere dall’ordinamento: dal richiamo alle competenze digitali, al CLIL (Content and Language Integrated Learning) alle possibilità di arricchimento del percorso di studi con l’alternanza scuola-lavoro istituita con il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, oggi PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e di orientamento, come definiti dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145), fino all’importanza dell’orientamento e al raccordo necessario con università, AFAM, ITS, percorsi di studio post-secondari e mondo del lavoro e delle professioni, indispensabile per la costruzione di progetti di vita flessibili per ciascuna persona. Le Indicazioni nazionali chiariscono con cura e attenzione il rapporto tra obiettivi specifici di apprendimento da delineare e costruire in itinere e competenze previste al termine del percorso di studi, evidenziando l’importanza che ogni disciplina valorizzi al massimo la propria natura epistemica e il proprio linguaggio specifico. «Le competenze di natura», afferma il testo delle Indicazioni nazionali, «metacognitiva (imparare ad apprendere), relazionale (sapere lavorare in gruppo) o attitudinale (autonomia e creatività) non sono certo escluse dal processo, ma ne costituiscono un esito indiretto, il cui conseguimento dipende dalla qualità del processo stesso attuato nelle istituzioni scolastiche» [68] . È opportuno fare un richiamo all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, fondamentale all’interno del percorso degli studi di istruzione secondaria di secondo grado, in continuità e coerenza con il primo ciclo di istruzione. L’acquisizione delle competenze relative a Cittadinanza e Costituzione investe globalmente il percorso scolastico, su almeno tre livelli. Innanzitutto, nell’ambito della Storia e della Filosofia, lo studente è chiamato ad apprendere alcuni nuclei fondamentali relativi all’intreccio tra le due discipline e il diritto, anche nei percorsi che prevedono l’insegnamento di Diritto ed Economia (cui, in questo caso, «Cittadinanza e Costituzione» è affidata). In secondo luogo, la vita stessa nell’ambiente scolastico rappresenta, ai sensi della normativa vigente (legge di conversione 30 ottobre 2008, n. 169) un campo privilegiato per esercitare diritti e doveri di cittadinanza. In terzo luogo, è l’autonomia scolastica, nella ricchezza delle proprie attività educative, ad adottare le strategie più consone al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Documento di indirizzo (Atto di indirizzo MIUR 4 marzo 2009) [69] .
La riflessione conclusiva del comitato tecnico esposta in allegato A delle Indicazioni nazionali , che descrivono gli obiettivi di apprendimento e i nuclei fondanti delle discipline, può essere quanto mai preziosa per interpretare correttamente il documento nazionale e per dare senso all’azione progettuale che ciascuna istituzione scolastica è tenuta a porre in essere in quello spazio di autonomia che si colloca tra il Profilo delle competenze di ciascun studente descritto dallo Stato e le scelte della comunità professionale. Le Indicazioni non dettano alcun modello didattico-pedagogico. Ciò significa favorire la sperimentazione e lo scambio di esperienze metodologiche, valorizzare il ruolo dei docenti e delle autonomie scolastiche nella loro libera progettazione e negare diritto di cittadinanza, in questo delicatissimo ambito, a qualunque tentativo di prescrittivismo. La libertà del docente dunque si esplica non solo nell’arricchimento di quanto previsto nelle Indicazioni, in ragione dei percorsi che riterrà più proficuo mettere in particolare rilievo e della specificità dei singoli indirizzi liceali, ma nella scelta delle strategie e delle metodologie più appropriate, la cui validità è testimoniata non dall’applicazione di qualsivoglia procedura, ma dal successo educativo [70] .
4. Il PECUP e le Linee guida per gli istituti di istruzione tecnica Le Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli istituti tecnici per il primo e secondo biennio e quinto anno sono emanate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88, art. 8, c. 3; esse nascono dopo un lungo dibattito a opera del gruppo tecnico nazionale istituito presso il MIUR, che le emana con direttiva 15 luglio 2010, n. 57, per il primo biennio e con direttiva 16 gennaio 2012, n. 4, per il secondo biennio e per il quinto anno. Il D.P.R. 88/2010, provvedimento attuativo della legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, riforma gli istituti tecnici che fanno parte dell’istruzione secondaria superiore quale articolazione del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione. L’identità degli Istituti tecnici si caratterizza per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell’Unione europea, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico, ed è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro e per l’accesso all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore [71] .
Gli Istituti tecnici, di durata quinquennale, si compongono di un primo biennio, di un secondo biennio e di un quinto anno. Il Profilo educativo culturale e professionale di cui all’allegato A al Regolamento (D.P.R. 88/2010) definisce le competenze attese al termine del percorso di studi dell’istruzione tecnica.
I risultati di apprendimento e dunque il Profilo delle competenze degli istituti tecnici per il settore economico con i suoi indirizzi (amministrazione, finanza e marketing, turismo) sono descritti nell’allegato B al Regolamento, declinato poi in B1 e B2, mentre gli istituti tecnici per il settore tecnologico (meccanica, meccatronica ed energia, trasporti e logistica, elettronica ed elettrotecnica, informatica e telecomunicazioni, grafica e comunicazione, chimica, materiali e biotecnologie, sistema moda, agraria-agroalimentare e agroindustria, costruzioni ambiente e territorio) nell’allegato C, declinato da C1 a C9. L’insegnamento delle Scienze motorie fa riferimento agli obiettivi di apprendimento indicati nelle Indicazioni nazionali per i licei. Cittadinanza e Costituzione, insegnamento trasversale di cui all’art. 1 della legge di conversione 169/2008, è previsto in tutti i percorsi secondo quanto indicato nell’allegato A del D.P.R. 88/2010. Nel quinto anno si prevede l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua inglese (CLIL, Content and Language Integrated Learning), potenziando le conoscenze e le abilità proprie della disciplina da veicolare in lingua. Particolarmente ricca di riflessioni e richiami è l’ampia premessa delle Linee guida , che si pongono in naturale stretto rapporto con il Profilo educativo culturale professionale. Il richiamo importante al quadro culturale europeo fa da cornice teorica alla proposta progettuale delle Linee guida , e in particolare i riferimenti spaziano dal Trattato di Lisbona 2000 al Programma Europa 2020 . Importante l’attenzione posta alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), utile non solo alla definizione della corrispondenza delle qualifiche e dei titoli in ambito europeo, ma anche ai fini della mobilità delle persone sul territorio comunitario. È possibile infatti, grazie al Quadro europeo, mettere in relazione e posizionare, in una struttura a otto livelli, i diversi titoli (qualifiche, diplomi, certificazioni ecc.) rilasciati nei Paesi membri, in particolare da quando la Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2012, recependo la Raccomandazione europea del 2008, ha dettagliato la corrispondenza dei titoli di studio del sistema di istruzione e formazione italiano con i livelli europei. Il primo biennio dell’istruzione tecnica assume particolare importanza non solo in quanto naturale collegamento con il primo ciclo di istruzione, ma anche per gli insegnamenti obbligatori che trovano la base comune negli assi culturali; essi garantiscono non solo una solida costruzione del sapere, ma anche l’acquisizione di competenze orientative o ri-orientanti, laddove sia necessario procedere alla reversibilità delle scelte. Durante i primi due anni di studio sono adottate per la parte comune le competenze previste e descritte dal documento tecnico allegato al decreto sull’obbligo di istruzione, competenze fondamentali al termine del percorso formativo. I percorsi dei nuovi istituti tecnici danno, inoltre, ampio spazio alle metodologie finalizzate a sviluppare le competenze degli allievi attraverso la didattica di laboratorio e le esperienze in contesti applicativi, l’analisi e la soluzione di problemi ispirati a situazioni reali, il lavoro per progetti; prevedono, altresì, un collegamento organico con il mondo del lavoro e delle professioni, attraverso stage, tirocini, alternanza scuola-lavoro. I percorsi degli istituti tecnici sono definiti, infine, rispetto ai percorsi dei licei, in modo da garantire uno «zoccolo comune», caratterizzato da saperi e competenze riferiti soprattutto agli insegnamenti di lingua e letteratura italiana, lingua inglese, matematica, storia e scienze, che hanno già trovato un primo consolidamento degli aspetti comuni nelle indicazioni nazionali riguardanti l’obbligo di istruzione (D.M. n. 139/07) [72] .
Per chiarezza espositiva è possibile sintetizzare confermando che le Linee guida , elaborate in coerenza con il PECUP del secondo ciclo di istruzione, di cui al D.lgs. 226/05, sono ancorate anche alle competenze previste dall’obbligo di istruzione (di cui al D.M. 139/2007) e alle competenze chiave per l’apprendimento permanente di cui alla Raccomandazione europea del 22 maggio 2018 (EQF). Particolare attenzione viene posta dalle Linee guida all’assetto organizzativo dell’istituzione, sia in termini di opportunità di intervento che di scelte da parte del collegio dei docenti nelle sue varie forme e articolazioni. Le Linee guida ricordano che le istituzioni scolastiche possono attuare gli strumenti dell’autonomia (20% dei curricoli) per potenziare gli insegnamenti obbligatori, soprattutto con riferimento alle attività laboratoriali, e per attivare ulteriori insegnamenti, oltre che della flessibilità [73] , per articolare le aree di indirizzo in opzioni. L’offerta formativa dell’istruzione tecnica si arricchisce attraverso il rapporto con il territorio e con il contesto lavorativo e professionale, con il quale crea legami in un’ottica di progettazione orizzontale (la cosiddetta «alleanza educativa» tra scuola e mondo del lavoro e delle professioni), e prende corpo anche grazie alle funzioni svolte dal comitato tecnico-scientifico, che realizza il legame tra comunità tecnica e contesto sociale e culturale. Il curricolo si arricchisce di opportunità, e si concretizza nel suo legame con la realtà produttiva e la ricerca scientifica e tecnologica. Al fine di consentire la piena realizzazione della progettazione curricolare, utile a realizzare il processo di apprendimento/insegnamento, è opportuno che il collegio dei docenti si strutturi in articolazioni funzionali, i dipartimenti. Le Linee guida richiamano l’importanza dell’assetto organizzativo in relazione alla definizione del percorso progettuale: le scelte collegiali sono poste al centro nella previsione di attività laboratoriali, di percorsi di insegnamento/apprendimento in contesti reali quali per esempio i PCTO, la costituzione di reti, la definizione di accordi con soggetti significativi del territorio, la sottoscrizione di convenzioni. I dipartimenti, quale possibile articolazione interna del collegio dei docenti, possono presidiare la continuità verticale e la coerenza interna del curricolo, vigilare sui processi di apprendimento per lo sviluppo dei saperi e delle competenze previste nei profili dei vari indirizzi, la cui attuazione è facilitata da una progettualità condivisa e un’articolazione flessibile. […] In generale, i dipartimenti possono individuare i bisogni formativi e definire i piani di aggiornamento del personale, promuovere e sostenere la condivisione degli obiettivi educativi e la diffusione delle metodologie più efficaci per migliorare i risultati di apprendimento degli studenti [74] .
Il curricolo si arricchisce di progettualità come pratica educativa e di didattica laboratoriale come metodologia per facilitare la
personalizzazione dei percorsi e i processi di apprendimento/insegnamento in un’ottica di crescita permanente. Uno spazio descrittivo particolarmente significativo viene dedicato alla valutazione delle competenze, processo articolato ma certamente fondamentale nel quadro complessivo di una progettazione curricolare verticale per competenze. Gli obiettivi di apprendimento (conoscenze e abilità) trovano il loro spazio centrale nella valutazione delle competenze. L’elaborazione di un giudizio che tenga conto dell’insieme delle manifestazioni di competenza, anche da un punto di vista evolutivo, non può basarsi su calcoli di tipo statistico, alla ricerca di medie: assume invece il carattere di un accertamento di presenza e di livello, che deve essere sostenuto da elementi di prova (le informazioni raccolte) e da consenso (da parte di altri). Si tratta, infatti, di un giudizio che risulti il più possibile degno di fiducia, sia per la metodologia valutativa adottata, sia per le qualità personali e professionali dei valutatori [75] .
L’area di istruzione generale, particolarmente potenziata nel primo biennio, fornisce agli studenti una preparazione di base utile a consentire lo studio delle discipline nelle aree di indirizzo. Le Linee guida del secondo biennio e quinto anno costituiscono il completamento del percorso di istruzione tecnica; le Linee guida descrivono il percorso comune a tutti i tecnici e gli aspetti specifici delle aree di indirizzo di cui agli allegati B e C, per giungere al quinto anno, al termine del quale si prevede che lo studente abbia acquisito una adeguata competenza tecnica di settore idonea alla prosecuzione degli studi o all’inserimento nel mondo del lavoro e delle professioni. Le Linee guida del secondo biennio e quinto anno richiamano l’alleanza tra cultura umanistica, scientifica e tecnologica, in un’ottica integrata di costruzione del sapere. L’insegnamento della scienza e della tecnologia si pone, infatti, entro un orizzonte generale in cui la cultura va vista come un tutto unitario dove pensiero ed azione sono strettamente intrecciati, così da promuovere la formazione di personalità integrate, complete, capaci di sviluppare le proprie potenzialità nel cogliere le sfide presenti nella realtà e di dare ad esse risposte utili e dotate di senso [76] .
La promozione di un sapere unitario conduce a una formazione funzionale alla flessibilità del mondo del lavoro che si evolve nelle richieste di competenze specifiche e alti livelli di specializzazione. Le Linee guida propongono la declinazione in conoscenze, abilità e competenze, ponendo particolare enfasi sulla trasversalità e interdisciplinarietà degli insegnamenti, che – espressi dai due essenziali indirizzi e dalle articolazioni e opzioni degli stessi – riescono a rappresentare le esigenze espresse dalle realtà produttive. I curricoli si rinnovano poiché progettati sullo sfondo del contesto europeo e su una nuova idea di insegnamento che vede la centralità dello studente e della personalizzazione dei percorsi. È la scuola che nell’ambito dell’autonomia delinea e progetta la proposta formativa, tenuto conto del contesto territoriale, culturale, ambientale e produttivo. La riflessione attenta sul ruolo della scuola in materia di accompagnamento alla scelta dell’indirizzo e dell’orientamento postsecondario (bilancio di competenze, CV, autovalutazione…) è centrale, proprio perché è centrale la personalizzazione dei percorsi e la costruzione per ciascuno di un progetto di vita coerente, flessibile e dinamico. Il quinto anno si caratterizza per essere il segmento del percorso formativo in cui si compie l’affinamento della preparazione culturale, tecnica e professionale che fornisce allo studente gli strumenti idonei ad affrontare le scelte per il proprio futuro di studio o di lavoro. In questo senso, lo sviluppo delle competenze si realizza attraverso un collegamento forte con la realtà produttiva del territorio, locale, nazionale o internazionale. In una prospettiva curricolare che vede il secondo biennio e il quinto anno come un percorso unitario di costruzione e consolidamento delle competenze di profilo, è possibile anticipare al secondo biennio alcuni risultati di apprendimento di filiera solitamente riferiti alle quinte classi. Ciò permette di non sovraccaricare questo anno durante il quale sarà possibile, invece, approfondire, anche mediante attività di alternanza scuola-lavoro, tirocini, stage, nuclei tematici funzionali all’orientamento alle professioni o alla prosecuzione degli studi preparando, al tempo stesso, adeguatamente gli studenti al superamento dell’esame di Stato [77] .
5. Il PECUP e le Linee guida per gli istituti di istruzione professionale L’istruzione professionale è stata protagonista di grandi cambiamenti che hanno nuovamente delineato con chiarezza gli indirizzi, le articolazioni e le opzioni conseguenti al riordino al tempo varato con il decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 2010, n. 87, creando sempre maggiore coerenza tra gli indirizzi di studio e le figure professionali richieste dal mondo del lavoro. Il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 61, ai sensi della legge 107/2015, all’art. 1, c. 180 e 181, provvede al riordino dell’istruzione professionale, definendola anche nel rapporto con l’IeFP, di competenza regionale, oltre che nella esplicitazione della corrispondenza tra l’articolazione dei quadri orari e la correlazione di ciascuno degli indirizzi con le qualifiche triennali e i diplomi quadriennali professionali conseguiti nell’ambito dei percorsi di istruzione e formazione professionale. È una scuola dell’innovazione nella quale trovano posto laboratori attivi di ricerca, sperimentazione e innovazione; è una scuola che progetta sul principio della personalizzazione dei percorsi e sulla acquisizione di competenze che si costruiscono lungo tutto l’arco della vita. La personalizzazione dei percorsi trova una duplice modalità di realizzazione: da un lato la personalizzazione degli apprendimenti, dall’altro la declinazione dei profili in uscita che si allineano con il contesto, con la conseguente modifica dell’assetto organizzativo.
Il biennio presenta una struttura unitaria per consentire il raggiungimento degli obiettivi fondamentali dell’obbligo di istruzione e creare le basi di una formazione professionalizzante […] Il biennio unitario consente alle scuole di definire un’organizzazione flessibile e personalizzata dell’orario complessivo, in un arco temporale più ampio rispetto alla singola annualità, nel corso del quale è possibile introdurre metodologie e azioni che tengano conto dei bisogni che emergono dall’utenza e dal territorio. In coerenza con quanto previsto dal D.M. 139/2007 sull’obbligo di istruzione e con quanto è contenuto nel D.lgs. 61/2017, è adottato un modello basato sugli Assi culturali intesi quali aggregazioni degli insegnamenti e attività omogenei che costituiscono l’ossatura dei quadri orari complessivi e che rappresentano il punto di riferimento sia per la progettazione dei percorsi didattici, in una logica di organizzazione interdisciplinare degli apprendimenti, sia per l’organizzazione della didattica per Unità di Apprendimento (UdA) (cfr. paragrafo 3.2.1) […] Il successivo triennio è articolato con una struttura oraria ripartita in un terzo, quarto e quinto anno e si caratterizza per la prevalenza delle ore dell’Area di indirizzo rispetto a quelle dell’Area di istruzione generale, nonché per una più incisiva dimensione laboratoriale [78] .
L’allegato A al D.lgs. 61/2017 definisce il Profilo educativo, culturale e professionale necessario a delineare le competenze tecnico professionali previste dai diversi indirizzi; esso integra il Profilo educativo culturale e professionale di cui all’art. 1, c. 5 del D.lgs. 226/2005, sia nella parte comune a tutti i percorsi sia nella parte relativa ai profili in uscita dei vari indirizzi di studio. Questo significa che il profilo delineato dalla riforma del 2010 (D.P.R. 87/2010) non viene completamente abbandonato ma rivisto e integrato dal nuovo ordinamento. Gli indirizzi di studio dei percorsi di istruzione professionale (agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del territorio e gestione delle risorse forestali e montane; pesca commerciale e produzioni ittiche; industria e artigianato per il Made in Italy; manutenzione e assistenza tecnica; gestione delle acque e risanamento ambientale; servizi commerciali; enogastronomia e ospitalità alberghiera; servizi culturali e dello spettacolo; servizi per la sanità e l’assistenza sociale; arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico; arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico) trovano espressione nel decreto interministeriale 24 maggio 2018, n. 92. Tale Regolamento, adottato previa intesa in Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2017, definisce i risultati di apprendimento dell’area di istruzione generale declinati in termini di competenze, abilità e conoscenze, e i profili di uscita degli undici indirizzi di studio e i relativi risultati di apprendimento, anch’essi declinati in competenze, abilità e conoscenze. Le Linee guida , adottate con decreto ministeriale del 23 agosto 2019, n. 766, forniscono supporto all’adozione del nuovo assetto didattico e organizzativo e orientamenti interpretativi e operativi utili alla realizzabilità dei nuovi percorsi. Le Linee guida sono strutturate in una prima parte utile a fornire un quadro di riferimento interpretativo e metodologico e in una che descrive i risultati di apprendimento intermedi nel quinquennio, da utilizzare sia per i passaggi e i raccordi, sia per la declinazione dei percorsi di Istruzione professionale (IP). Al documento sono allegati i risultati di apprendimento intermedi del profilo di uscita per le attività e gli insegnamenti di area generale, declinati sul quinquennio (allegato A), i risultati di apprendimento intermedi del profilo di uscita per le attività e gli insegnamenti di area generale messi in correlazione con gli assi culturali (allegato B) e le schede riepilogative dei risultati di apprendimento intermedi relativi ai vari indirizzi di studio (allegato C). Ampia è la riflessione sul contesto socio-culturale e produttivo nel quale si trova a operare l’istruzione professionale, che deve rispondere da un lato all’aspettativa di studenti che desiderano opportunità di inserimento in contesti reali e dall’altra di un mondo del lavoro che chiede creatività, spirito di iniziativa, intraprendenza, flessibilità. Per questo è necessario pensare a un nuovo curricolo che riesca a integrare contesti di apprendimento formali , non formali , informali (decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13). L’educazione al e attraverso il lavoro, così configurata, diventa strettamente raccordata sul piano territoriale con le altre realtà che concorrono a comporre il sistema dell’offerta formativa e si struttura sulla base di un’alleanza tra scuole, altri organismi formativi, soggetti economico-sociali e istituzioni del territorio. Con ciò si spiega il superamento del disciplinarismo «divisionista», caratterizzato dalla contrapposizione fra teoria e pratica, poco attento alla dimensione tecnico-operativa dei processi conoscitivi ed al legame attivo con il contesto territoriale, mentre acquisisce nuova rilevanza la metodologia della alternanza formativa che nei nuovi percorsi risulta anticipata al secondo anno e rafforzata [79] .
Si richiama un nuovo curricolo che valorizzi lo studente nella sua capacità di utilizzare in contesti autentici competenze acquisite, mettendo in campo abilità e conoscenze, all’interno di un progetto personalizzato e specifico, costruito ad hoc. La centralità dell’allievo torna come tema fondante sia nel rapporto apprendimento/insegnamento, sia nelle opportunità offerte dal mondo del lavoro alla persona che costruisce il proprio percorso professionale. Il consiglio di classe lavora in team . Ciò comporta l’ampliamento delle metodologie didattiche da utilizzare, in modo da favorire l’espressione di tutte le tipologie di intelligenza degli studenti, e non solo di quella logico-deduttiva. Tale ampliamento prevede in particolare di includere nella didattica ordinaria attività in grado di suscitare l’intelligenza pratica, sociale, emotivo-relazionale, intuitiva, riflessiva ed argomentativa, ricorrendo ad esempio a tecniche quali il lavoro di gruppo, l’educazione tra pari, il problem solvin g, il laboratorio su compiti reali, il project work , gli eventi pubblici, le dissertazioni, le gare, i concorsi, ecc. [80] .
Il nuovo ordinamento punta a rendere unitari i profili, lasciando spazio alle scuole per la progettazione dell’offerta formativa; l’unitarietà del profilo garantisce flessibilità e adattamento ai continui cambiamenti del sistema economico e produttivo. Questo significa che a un indirizzo corrispondono diversi settori produttivi che possono modificarsi e trasformarsi nel tempo pur rimanendo
all’interno di quell’area. La scuola promuove «alleanze educative» con il territorio, progettando il curricolo in modo da costruire stabili legami con il sistema del lavoro e delle professioni; per tale motivo per gli undici indirizzi di studio sono state indicate le corrispondenti attività economiche con i relativi codici ATECO. Una particolare attenzione viene posta dalle Linee guida alle scelte didattiche dei percorsi; il documento offre indicazioni fondamentali per una corretta capacità progettuale nella applicazione del curricolo. L’offerta formativa si progetta tenendo ben presente che le competenze previste dal profilo e dai risultati di apprendimento rappresentano il traguardo finale, e che l’approccio deve essere sempre trasversale e interdisciplinare. La didattica si muove su nuovi spazi metodologici che coinvolgono gli studenti in modo attivo e sempre in un’ottica di personalizzazione. A tal proposito il D.lgs. 61/2017 e il D.I. 92/2018, contengono indicazioni «prescrittive» sugli strumenti progettuali da utilizzare (come l’UdA, il PFI, il bilancio personale e i periodi didattici). Le discipline si trasformano in insegnamenti, e si realizzano in un rapporto tale per cui le competenze descritte nel PECUP (Allegato 1 del D.P.R. 89/2010), come già più volte ribadito, si declinano in abilità e conoscenze con riferimento agli assi culturali. La definizione degli obiettivi di apprendimento (risultati) si basa su competenze riferibili ad almeno due assi culturali. In questa nuova prospettiva gli stessi assi culturali assumono un nuovo significato e spazio culturale; una opportunità progettuale in cui gli insegnamenti si muovono trasversalmente su aree omogenee. I traguardi sono il riferimento progettuale ultimo e le abilità e conoscenze sono i percorsi da intraprendere, le risorse. Il consiglio di classe opera sull’azione progettuale e attiva l’innovazione didattica e metodologica, in un’ottica di unitarietà e condivisione, anche attraverso l’adozione di modelli metodologici comuni (UdA). Le Unità di apprendimento (UdA) sono un insieme autonomamente significativo di competenze, abilità e conoscenze in cui è organizzato il percorso formativo della studentessa e dello studente; costituisce il necessario riferimento per la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti, soprattutto nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e formazione. Le UdA partono da obiettivi formativi adatti e significativi, sviluppano appositi percorsi di metodo e di contenuto, tramite i quali si valuta il livello delle conoscenze e delle abilità acquisite e la misura in cui la studentessa e lo studente hanno maturato le competenze attese [81] .
Attraverso la progettazione per UdA il consiglio di classe si focalizza sull’acquisizione delle competenze, offrendo una prospettiva strettamente connessa a contesti reali e autentici. Le UdA si progettano in un’ottica di integrazione con il contesto economico e sociale, in modo da poter sostenere lo studente nelle scelte e nella sua capacità orientativa. Gli studenti stessi possono essere parte attiva nella definizione progettuale delle UdA. Questo modello progettuale necessita di uno specifico assetto organizzativo, per cui i soggetti attivi e responsabili diventano il consiglio di classe, i dipartimenti e il comitato tecnico scientifico, facilitando la dimensione integrata del processo di apprendimento/insegnamento. Al fine di poter offrire una lettura riassuntiva dei documenti progettuali che guidano l’istruzione secondaria di secondo grado in una dimensione verticale anche rispetto al primo ciclo d’istruzione, come descritta nel presente capitolo, si riporta il quadro sottostante, proposto dalle Linee guida per l’istruzione professionale [82] (cfr. Fig. 4). Figura 4.
[48]
«Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione», in Annali della Pubblica Istruzione , LXXXVIII, Numero speciale 2012, p. 7. [49] Ibid
., p. 13.
[50] Ibid
.
[51] Ibid
., p. 16.
[52] Ibid
., p. 18.
[53] Ibid
.
[54] Ibid
., p. 17.
[55] Ibid
., p. 20.
[56] Ibid
., p. 32.
[57] Ibid
., pp. 32-33.
[58] Ibid
., p. 36.
[59] Ibid
., p. 41.
[60] Ibid
., p. 56.
[61] Ibid
., p. 71.
[62]
Documento tecnico allegato al decreto ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, p. 6.
[63]
Decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, art. 1, c. 3.
[64]
Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, art. 2, c. 2.
[65] Decreto [66] Ibid
ministeriale 7 ottobre 2010, n. 211, allegato A.
.
[67] Decreto
del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, allegato A (PECUP).
[68] Decreto
ministeriale 7 ottobre 2010, n. 211, Allegato A.
[69] Ibid
.
[70]
Ibid .
[71]
Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88, art. 2, c. 1.
[72]
Direttiva 15 luglio 2010, n. 57 (Linee guida primo biennio Istituti tecnici).
[73]
La quota di flessibilità è disponibile a partire dal terzo anno dei percorsi formativi, nella misura del 30% nel secondo biennio e del 35% nel quinto anno e fa riferimento unicamente al monte ore delle attività e degli insegnamenti obbligatori che caratterizzano l’area di indirizzo: cfr. Direttiva 16 gennaio 2012, n. 4 (Linee guida secondo biennio e quinto anno Istituti tecnici). [74]
Direttiva 15 luglio 2010, n. 57 (Linee guida primo biennio Istituti tecnici).
[75] Direttiva
15 luglio 2010, n. 57 (Linee guida primo biennio Istituti tecnici).
[76] Direttiva
16 gennaio 2012, n. 4 (Linee guida secondo biennio e quinto anno Istituti tecnici).
[77] Ibid
.
[78] Decreto [79] Ibid [80]
ministeriale del 23 agosto 2019, n. 766 (Linee guida istruzione professionale).
.
Ibid .
[81] Decreto
interministeriale del 24 maggio 2018, n. 92, art. 2.
[82] Decreto
ministeriale del 23 agosto 2019, n. 766 (Linee guida istruzione professionale).
6. Certificare le competenze a cura diEleonora Marchionni
Il processo di valutazione accompagna tutti i percorsi curricolari, li precede e fornisce ai docenti elementi di riflessione utili all’eventuale revisione e riassetto delle azioni di apprendimento/insegnamento, in itinere e in fase conclusiva. La valutazione, tempestiva e trasparente è formativa ed è espressione della professionalità tecnica del docente, nel rispetto delle determinazioni collegiali. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo [83] .
Le Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione , emanate con il decreto ministeriale del 16 novembre 2012, n. 254, richiamano il bisogno di coerenza tra l’azione progettuale del curricolo e quella valutativa; il Profilo dello studente (definito a pagina 16 delle Indicazioni stesse) e i Traguardi per lo sviluppo delle competenze, prescrittivi e declinati nel documento nazionale singolarmente per ciascuna disciplina, rappresentano le competenze attese al termine della scuola primaria e della secondaria di primo grado, ed è proprio su queste che la valutazione, nelle sue diverse fasi, si costruisce. Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali. Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali devono essere coerenti con gli obiettivi e i traguardi previsti dalle Indicazioni e declinati nel curricolo [84] .
La circolarità virtuosa del processo di apprendimento/insegnamento unito a quello valutativo offre ai docenti l’opportunità di promuovere il miglioramento in modo continuo e l’aderenza massima ai bisogni e agli stili di apprendimento di ciascun allievo. Lo studente e le famiglie necessitano di costante e continua informazione sui criteri valutativi, nonché riscontri sui risultati di apprendimento, al fine di attivare il necessario processo di consapevolezza degli allievi e di collaborazione con i genitori, in termini di responsabilità e alleanza educativa, nel rispetto ovviamente di ruoli e funzioni. La certificazione delle competenze ha per oggetto la valutazione dei livelli di competenza acquisiti dagli allievi in riferimento al Profilo delle competenze descritto dalle Indicazioni nazionali per il curricolo , secondo cui: Lo studente al termine del primo ciclo, attraverso gli apprendimenti sviluppati a scuola, lo studio personale, le esperienze educative vissute in famiglia e nella comunità, è in grado di iniziare ad affrontare in autonomia e con responsabilità, le situazioni di vita tipiche della propria età, riflettendo ed esprimendo la propria personalità in tutte le sue dimensioni [85] .
I docenti, dunque, verificano in contesti autentici, in situazione, le competenze acquisite, cercando di predisporre prove che mettano in rilievo la trasversalità degli apprendimenti coerentemente con la progettazione curricolare. La certificazione delle competenze viene introdotta per la Scuola secondaria con la legge 10 dicembre 1997, n. 425, e nel 2004 riconfermata con l’art. 11 c. 2 del decreto legislativo n. 59; quest’ultimo provvedimento, all’art. 8, c. 1, introduce la certificazione anche nella scuola del primo ciclo, affiancandola all’attestazione dei livelli di apprendimento. Il regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche (decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275) riconferma l’importanza della certificazione delle competenze nel processo valutativo, prevedendo all’art. 10 l’adozione da parte del Ministero di nuovi modelli per le certificazioni, le quali, indicano le conoscenze, le competenze, le capacità acquisite e i crediti formativi riconoscibili, compresi quelli relativi alle discipline e alle attività realizzate nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa o liberamente scelte dagli alunni e debitamente certificate.
In attesa di tali modelli, e pertanto nel rispetto dell’adempimento di legge, le scuole hanno, in quegli anni, provveduto a strutturare modelli di certificazione in modo autonomo individuando gli opportuni indicatori da certificare. È con il decreto ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, e con il successivo decreto ministeriale 27 gennaio 2010, n. 9 che le scuole del secondo ciclo possono utilizzare un modello nazionale di certificazione delle competenze al termine dell’obbligo di istruzione. Tale modello, tuttora in vigore, viene rilasciato al raggiungimento dei dieci anni di obbligo di istruzione su richiesta delle famiglie, oppure d’ufficio al compimento del diciottesimo anno di età dei ragazzi.
È opportuno soffermarsi sul valore del documento di certificazione delle competenze al termine dell’obbligo di istruzione, che di fatto è rimasto l’unico modello nazionale fino all’emanazione dei modelli di certificazione delle competenze previsti al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado del decreto ministeriale 3 ottobre 2017, n. 742. Il modello di certificazione delle competenze di base del D.M. 27 gennaio 2010, n. 9, collega i livelli di competenza agli assi culturali (linguistico, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale), descritti nell’Allegato 1 al Documento tecnico del decreto ministeriale sull’obbligo d’istruzione. Tale modello si colloca peraltro all’interno del quadro europeo delle otto competenze chiave di cittadinanza, come esplicitato nell’Allegato 2 al Documento tecnico dello stesso decreto. I tre livelli descritti dal D.M. 9/2010 per certificare le competenze al termine dell’obbligo di istruzione sono riportati di seguito. Si sottolinea l’importanza di un’attenta analisi dei livelli, utile a cogliere gli elementi di discontinuità introdotti successivamente dal D.M. 742/2017. Figura 1 – Certificazione delle competenze Livelli relativi all’acquisizione delle competenze di ciascun asse: • Livello base : lo studente svolge compiti semplici in situazioni note, mostrando di possedere conoscenze ed abilità essenziali e di saper applicare regole e procedure fondamentali. Nel caso in cui non sia raggiunto il livello base, è riportata l’espressione livello base non raggiunto , con l’indicazione della relativa motivazione. • Livello intermedio : lo studente svolge compiti e risolve problemi complessi in situazioni note, compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite. • Livello avanzato : lo studente svolge compiti e problemi complessi in situazioni anche note, mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità. Sa proporre e sostenere le proprie opinioni e assumere autonomamente decisioni consapevoli.
La certificazione al termine dell’obbligo di istruzione prevede un livello base non raggiunto, tanto da far presupporre che possano esistere competenze non conseguite. Il profondo e importante cambio di paradigma della legge 13 luglio 2015, n. 107, con i suoi provvedimenti attuativi, in particolare il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, si fonda sul principio che l’apprendimento di ciascun studente sia basato su un percorso progettuale personalizzato, in continua e costante evoluzione, lungo tutto l’arco della vita, per cui le competenze si acquisiscono in una dimensione di costante e progressivo sviluppo. Per questo non esistono competenze di base non conseguite, ma competenze conseguite a un livello iniziale, che si esprimono in contesti noti e dietro la guida di un adulto. In questa breve ricostruzione normativa della certificazione delle competenze è opportuno ricordare il decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122, regolamento sulla valutazione, oggi parzialmente abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 62/2017: tale regolamento introduce principi generali ancora oggi fondanti in materia di valutazione degli apprendimenti e di certificazione delle competenze. Il citato D.P.R. 122/2009, per quanto attiene al primo ciclo di istruzione, dispone che la certificazione delle competenze debba essere elaborata al termine della classe quinta della scuola primaria e della classe terza della Scuola secondaria di primo grado, affermando anche la necessità di una armonizzazione dei modelli certificatori, compresi quelli previsti per la Scuola secondaria di secondo grado al termine dell’obbligo d’istruzione e poi del quinquennio. È fondamentale richiamare il principio generale che la certificazione delle competenze accompagna e integra la valutazione degli apprendimenti, accentuando il carattere formativo della valutazione; essa non è sostitutiva della valutazione degli apprendimenti, ma assieme le due vengono a rappresentare processi complementari, che forniscono un quadro completo dei livelli degli studenti, sia in termini di apprendimenti, intesi come abilità e conoscenze, sia in relazione alle competenze, che si agganciano a precisi indicatori di risultato degli apprendimenti stessi. Questo principio, fortemente richiamato dalle Indicazioni nazionali , prevede una corretta cultura della valutazione e un intervento didattico incisivo a partire dalla progettazione. La valutazione degli obiettivi di apprendimento (abilità e conoscenze), che si esprime in decimi, e la valutazione delle competenze, descritta da quattro livelli, presuppongono un corretto collegamento tra la progettazione curricolare e il processo valutativo. Questa necessità, oltre all’urgenza di determinare modelli certificatori omogenei e coerenti con le Indicazioni nazionali , ha portato il Comitato scientifico per le Indicazioni nazionali a proporre una sperimentazione (circolare ministeriale 13 febbraio 2015, n. 3) a cui hanno partecipato numerose scuole, testando il modello proposto dal MIUR. Le scuole hanno ripensato non solo le modalità di intervento sulle procedure di valutazione, ma le stesse progettazioni curricolari, arrivando a comprendere che per poter procedere a una corretta certificazione dei livelli delle competenze acquisite dagli studenti l’attenzione deve essere spostata sul Profilo dello studente descritto dalle Indicazioni nazionali e sui Traguardi, attraverso una attenta ricerca di indicatori e descrittori utili a declinare i livelli di competenza. Il D.lgs. 62/2017, provvedimento attuativo della legge 107/2015, abrogando parzialmente il D.P.R. 122/2010, detta norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo e di esami di Stato, e ribadisce proprio nel suo primo articolo che «la valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento […] concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo […] documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione in relazione all’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze». La valutazione attesta gli esiti di un percorso di istruzione o di formazione professionale con il rilascio del titolo di studio o della qualifica al termine di ogni ciclo scolastico/formativo. La valutazione degli apprendimenti e la certificazione delle competenze sostengono i processi di acquisizione di abilità e conoscenze, l’orientamento, l’autorientamento, e facilitano i passaggi tra percorsi
formativi per l’acquisizione di un diploma o di una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età (decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione ). La certificazione delle competenze ha una prevalente funzione formativa, di attestazione delle competenze stesse in fase di acquisizione, ed è capace di accompagnare le tappe più significative (quinta classe della scuola primaria e terza classe della Scuola secondaria di primo grado) dell’istruzione di base. La certificazione esprime gli indicatori di livello secondo un approccio positivo e propositivo; questi devono essere capaci di apprezzare la costruzione del percorso formativo dell’allievo in modo dinamico, in un’ottica costante di cambiamento in termini di progresso. L’art. 9 del sopra citato D.lgs. 62/2017 allinea la certificazione delle competenze al quadro europeo di riferimento delle competenze chiave per l’apprendimento permanente (Raccomandazione europea 2006) e delle competenze chiave di cittadinanza (D.M. 139/2007); dispone inoltre gli adempimenti dei docenti, ribadendo che la certificazione descrive i livelli progressivamente acquisiti dagli allievi, anche in un’ottica orientativa del percorso di studi successivo. Si conferma che la certificazione è rilasciata al termine della scuola primaria e della secondaria di primo grado, e si richiama il necessario raccordo con le Indicazioni nazionali e l’attenzione alla personalizzazione dei percorsi; al docente è richiesto di collegare progettazione curricolare e valutazione, valorizzando gli «apprendimenti formali» e gli «apprendimenti non formali» [86] , oltre a eventuali esperienze significative che possono essere rilevate. La certificazione deve inoltre essere descritta per gli alunni con disabilità in coerenza con il Piano educativo individualizzato (PEI). I modelli, dunque, sperimentati con la C.M. 3/2015 nel triennio 2014/2017 trovano la loro compiutezza nei documenti nazionali di certificazione delle competenze previste al termine della scuola primaria e della Scuola secondaria di primo grado, e sono adottati con il D.M. 3 ottobre 2017, n. 742 (allegati A, B). Essi sono rilasciati al termine della classe quinta della scuola primaria e al termine del primo ciclo di istruzione a seguito del superamento dell’esame di Stato. La certificazione viene redatta durante lo scrutinio finale dai docenti del team di classe per la scuola primaria e dal consiglio di classe per la Scuola secondaria di primo grado. Il documento deve essere consegnato alla famiglia e, in copia, all’istituzione scolastica o al soggetto formativo del percorso di studi successivo. Per gli alunni con disabilità la certificazione è accompagnata da nota esplicativa che metta in relazione il PEI con gli indicatori di competenza e con il Profilo dello studente delle competenze acquisite al termine del primo ciclo di istruzione. Il modello di certificazione delle competenze previsto per il termine della Scuola secondaria di primo grado è integrato da una sezione predisposta e redatta da INVALSI che attesta i livelli conseguiti dagli alunni nelle prove di italiano e di matematica e da una sezione che descrive i livelli conseguiti nelle prove standardizzate relativamente alle abilità di comprensione e uso della lingua. I modelli di certificazione delle competenze di cui agli allegati A e B del D.M. 742/2017 si agganciano alle competenze chiave per l’apprendimento permanente della Raccomandazione europea del 2006 e al Profilo delle competenze acquisite dallo studente secondo diversi livelli di complessità per gli allievi dell’ultimo anno della scuola primaria e dell’ultima classe della Scuola secondaria di primo grado. L’esame di stato del primo ciclo di istruzione, regolamentato dal D.M. 741/2017, è finalizzato a verificare le conoscenze, abilità e competenze e la certificazione consente ai docenti di attestare i livelli di padronanza conseguiti dallo studente coerentemente con il Profilo. La struttura del documento di certificazione delle competenze vede infatti una prima parte con la descrizione dei dati anagrafici e una seconda con una tabella a tre colonne che riporta le competenze chiave per l’apprendimento permanente della Raccomandazione europea 18 dicembre 2006, le competenze indicate dal Profilo dello studente e lo spazio a cura dell’istituzione scolastica nel quale inserire i livelli. La certificazione riporta uno spazio aperto per poter descrivere da parte del docente le esperienze realizzate in contesti informali e non formali. Particolarmente interessante la descrizione dei quattro livelli di competenza che i docenti possono utilizzare per descrivere le competenze acquisite. Gli indicatori di livello non prevedono un livello negativo, di non acquisizione, come invece precedentemente sottolineato per i livelli della certificazione dell’obbligo di istruzione. Figura 2 – Indicatori di Livello delle competenze Livelli delle competenze (DM 742/2017) • A – Avanzato . L’alunno/a svolge compiti e risolve problemi complessi, mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità; propone e sostiene le proprie opinioni e assume in modo responsabile decisioni consapevoli. • B – Intermedio . L’alunno/a svolge compiti e risolve problemi in situazioni nuove, compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite. • C – Base . L’alunno/a svolge compiti semplici anche in situazioni nuove, mostrando di possedere conoscenze e abilità fondamentali e di saper applicare basilari regole e procedure apprese. • D – Iniziale . L’alunno/a se opportunamente guidato/a, svolge compiti semplici in situazioni note.
Il Comitato tecnico nazionale per le misure di accompagnamento delle Indicazioni nazionali per il curricolo , al fine di orientare le scuole nelle procedure di adozione dei nuovi strumenti certificativi, ha predisposto specifiche Linee Guida accompagnate dalla nota MIUR 9 gennaio 2018, n. 312. Le Linee guida hanno accolto le novità introdotte sulla valutazione degli apprendimenti per le scuole del primo ciclo (D.lgs. 62/2017 e nota esplicativa MIUR prot. 1865 del 10 ottobre 2017), per offrire ai docenti un quadro aggiornato e integrato. La certificazione delle competenze rappresenta lo stimolo per costruire nuovi modelli di apprendimento/insegnamento a partire dalla progettazione curricolari, in una ottica di valorizzazione della persona e del suo progressivo sviluppo individuale.
Non è semplice progettare il curricolo per competenze e proiettare le attività verso una valutazione che riesca ad accertare i livelli di competenza acquisiti; questo richiede alti livelli di professionalità docente, e la capacità di mettersi continuamente in gioco con azioni formative ad hoc e di un livello qualitativo adeguato. Le Linee guida richiamano in modo importante ed esplicito le Indicazioni nazionali per il curricolo 2012, e la necessità di un forte aggancio tra progettazione e valutazione, in cui quest’ultima, espressa nel profitto con voto in decimi, si arricchisce con tutto ciò che fa parte della persona, della sua capacità di partecipare, collaborare, organizzarsi, essere empatica, con tutti quelli che sono i suoi atteggiamenti. Gli allievi si osservano in contesti di apprendimento strutturati e non, si verbalizzano le osservazioni secondo modelli pensati e costruiti dal team docente, coerentemente con le scelte della progettazione curricolare definita a livello collegiale. Le osservazioni sono rielaborate sulla base di apposite rubriche valutative. Il collegio dei docenti e i singoli insegnanti nell’ambito della loro professionalità tecnica hanno il dovere di approfondire e definire i percorsi a partire dalle Indicazioni nazionali 2012: da lì nascono la progettazione del curricolo e la valutazione formativa. Il principio di continuità attraversa le scelte delle nuove Indicazioni. Lo evidenziano, da un lato, la sequenzialità e la progressione/gradualità dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e degli obiettivi disciplinari alla fine della scuola primaria e della Scuola secondaria di primo grado. Lo richiamano, dall’altro, i riferimenti alla necessaria prosecuzione nel secondo ciclo, che richiede pertanto l’avvio e/o il rafforzamento di una reciproca conoscenza, di dialogo e di collaborazione con le istituzioni scolastiche e formative del secondo ciclo, anche in prospettiva di orientamento. Allo stesso principio di continuità educativa tra scuola primaria e Scuola secondaria di primo grado conducono le scelte organizzative del sistema nazionale con la generalizzazione degli istituti comprensivi e la coerente scelta della verticalità nella costruzione del curricolo [87] .
Ma cosa significa valutare le competenze? Come si osserva e rileva il grado di maturazione delle competenze di ciascun allievo? Le Linee guida , oltre a richiamare l’imprescindibile raccordo con il curricolo e dunque con i Traguardi per lo sviluppo delle competenze prescrittivi, si soffermano sul significato che ha negli apprendimenti la competenza. La competenza si presenta come un costrutto sintetico, nel quale confluiscono diversi contenuti di apprendimento – formale, non formale ed informale – insieme a una varietà di fattori individuali che attribuiscono alla competenza un carattere squisitamente personale. Spetta agli insegnanti monitorare continuamente il grado di maturazione delle competenze di ciascun alunno per valorizzarle e favorirne lo sviluppo. Spostare l’attenzione sulle competenze non significa trascurare il ruolo determinante che tutti i risultati di apprendimento, identificati principalmente nelle conoscenze e nelle abilità, svolgono in funzione di esse. Non è infatti pensabile che si possano formare delle competenze in assenza di una sicura padronanza delle strumentalità di base. La competenza costituisce il livello di uso consapevole e appropriato di tutti gli oggetti di apprendimento, ai quali si applica con effetti elaborativi, metacognitivi e motivazionali, in grado di favorirne l’acquisizione [88] .
L’analisi trasversale delle competenze acquisite dagli studenti consente la loro conoscenza in una dimensione completa e reale rispetto ai diversi contesti che influenzano e determinano l’apprendimento. Valutare significa conoscere e costruire con i propri allievi il percorso formativo più idoneo alla loro crescita in un’ottica di revisione costante e continua dello stesso. La valutazione rappresenta, quindi, una dimensione importante dell’insegnamento perché incide notevolmente sulla formazione della persona, contribuisce a determinare la costruzione dell’identità nei ragazzi, può far crescere la fiducia in sé quale presupposto della realizzazione e della riuscita nella scuola e nella vita. Gestire bene la valutazione è fattore di qualità dell’insegnante e della sua stessa azione educativa e didattica. Per fare ciò è necessario prima di tutto avere presenti le diverse funzioni da assegnare alla valutazione e perseguirle in equilibrio senza sbilanciamenti verso l’una o l’altra. Alla tradizionale funzione sommativa che mira ad accertare con vari strumenti di verifica il possesso di conoscenze, abilità e competenze, concentrandosi sul prodotto finale dell’insegnamento/apprendimento, si accompagna la valutazione formativa che intende sostenere e potenziare il processo di apprendimento dell’alunno. La valutazione diventa formativa quando si concentra sul processo e raccoglie un ventaglio di informazioni che, offerte all’alunno, contribuiscono a sviluppare in lui un’azione di autorientamento e di autovalutazione. Orientare significa guidare l’alunno ad esplorare se stesso, a conoscersi nella sua interezza, a riconoscere le proprie capacità ed i propri limiti, a conquistare la propria identità, a migliorarsi continuamente. Affinché questa azione di miglioramento possa essere intrapresa dall’alunno diventa indispensabile la funzione proattiva della valutazione, che è tale quando mette in moto gli aspetti motivazionali che sorreggono le azioni umane. La valutazione proattiva riconosce ed evidenzia i progressi, anche piccoli, compiuti dall’alunno nel suo cammino, gratifica i passi effettuati, cerca di far crescere in lui le «emozioni di riuscita» che rappresentano il presupposto per le azioni successive [89] .
Il processo di consapevolezza del proprio apprendimento è una competenza che il docente può insegnare, come può essere insegnata la capacità di raccontarsi, narrando il proprio percorso formativo e il proprio stile di apprendimento. La metacognizione rappresenta lo step fondamentale nell’acquisizione delle competenze che accompagnano la persona lungo tutto l’arco della vita. Il docente valuta l’allievo che sa autovalutarsi, e contemporaneamente il docente valuta se stesso e la sua azione. La certificazione delle competenze ha carattere processuale e l’aver individuato la chiusura dei gradi di istruzione come momenti di attestazione dei livelli acquisiti non significa che in fase intermedia, ovvero nelle classi I, II, III, IV della scuola primaria e I, II della Scuola secondaria di primo grado, non si debba procedere alla valutazione delle competenze e alla loro verbalizzazione. I docenti formalizzano e attestano i livelli di competenza nei momenti previsti dalla legge, ma questo non può che essere accompagnato da un’attenta analisi e valutazione della maturazione acquisita delle competenze in itinere . Gli strumenti che consentono la valutazione delle competenze devono essere preparati, e presuppongono la consapevolezza che ci muoviamo su un piano diverso da quello della valutazione degli apprendimenti (abilità e conoscenze). La letteratura in materia indirizza l’accertamento delle competenze verso i compiti autentici, trasversali, di realtà oltre alle osservazioni sistematiche e le autobiografie
cognitive. I compiti di realtà si identificano nella richiesta rivolta allo studente di risolvere una situazione problematica, complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale, utilizzando conoscenze e abilità già acquisite e trasferendo procedure e condotte cognitive in contesti e ambiti di riferimento moderatamente diversi da quelli resi familiari dalla pratica didattica. Pur non escludendo prove che chiamino in causa una sola disciplina, si ritiene opportuno privilegiare prove per la cui risoluzione l’alunno debba richiamare in forma integrata, componendoli autonomamente, più apprendimenti acquisiti. La risoluzione della situazione problema (compito di realtà) viene a costituire il prodotto finale degli alunni su cui si basa la valutazione dell’insegnante [90] .
Il compito di realtà ci fa osservare il prodotto, ma per analizzare il processo è necessario strutturare osservazioni sistematiche che consentono al docente di capire quali sono le operazioni che compie l’alunno per interpretare correttamente il compito, per coordinare conoscenze e abilità già possedute, per ricercarne altre, qualora necessarie, e per valorizzare risorse esterne (libri, tecnologie, sussidi vari) e interne (impegno, determinazione, collaborazioni dell’insegnante e dei compagni) [91] .
Gli strumenti utili a certificare le competenze devono sempre riferirsi a indicatori di competenza che collegano la valutazione all’azione didattica e che devono essere desunti dal Profilo dello studente e dai Traguardi per lo sviluppo delle competenze. La certificazione delle competenze, in questo nuovo quadro culturale di riferimento, acquisisce una importanza strategica ai fini di una complessiva comunicazione con le famiglie in termini di analisi del percorso formativo dei ragazzi, anche in una dimensione orientativa e autorientante. La scuola e i docenti hanno il compito di far comprendere l’importanza della certificazione, spiegandone il valore e cercando di mediare i significati laddove il linguaggio risulti troppo tecnico. Certificare le competenze consente di delineare il percorso di continuità che permette allo studente di passare dalla scuola del primo ciclo a quella del secondo ciclo o eventualmente anche verso la formazione professionale, ponendosi in coerenza con i livelli EQF [92] , come parametrati dal nostro Stato nazionale [93] , e rispondere a quanto richiesto dalla norma in merito alla qualità, alla trasparenza e alla rendicontazione degli apprendimenti e dell’offerta formativa. Il D.lgs. 62/2017 all’art. 21 prevede, al termine del percorso di istruzione secondaria, la definizione di un documento denominato Curriculum della studentessa e dello studente che delinea le competenze acquisite dallo studente al termine del percorso di studi quinquennale e si accompagna al diploma finale. Il Curriculum della studentessa e dello studente riporta le discipline relative al piano di studi con l’indicazione del monte orario complessivo di ciascuna di esse. Si indicano inoltre, in forma descrittiva, i livelli conseguiti nelle prove scritte a carattere nazionale e la certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua inglese. Sono indicate altresì le conoscenze, le competenze e le abilità anche in contesti informali e non formali. È un documento che certifica le competenze assumendo in carico la persona nella sua dimensione complessiva, olistica, sostenendo in modo autentico la costruzione del percorso di vita di ciascuno e la concreta realizzazione di un progetto che si arricchisce e che si documenta nel tempo lungo tutto l’arco della vita. Seguono i modelli di certificazione delle competenze al termine della scuola primaria (allegato A del decreto n. 742 del 3 ottobre 2017) e al termine del primo ciclo di istruzione (allegato B del decreto n. 742 del 3 ottobre 2017), nonché il D.M. n. 9 del 27 gennaio 2010 sulla certificazione delle competenze al termine dell’obbligo di istruzione.
[83]
«Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione», in Annali della Pubblica Istruzione , LXXXVIII, Numero speciale 2012, p. 19. [84] Ibid
.
[85] Ibid
., p. 16.
[86]
Decreto legislativo del 16 gennaio 2013, n. 13 Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze , art. 2: «‘apprendimento formale’: apprendimento che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in apprendistato, o di una certificazione riconosciuta, nel rispetto della legislazione vigente in materia di ordinamenti scolastici e universitari; ‘apprendimento non formale’: apprendimento caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi sopracitati, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese; ‘apprendimento informale’: apprendimento che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero». [87] MIUR, [88] Ibid
Linee guida per la certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione , pag. 4.
., pag. 5.
[89] Ibid
., pp. 6-7.
[90] Ibid
., p. 8.
[91] Ibid
., p. 9.
[92]
Raccomandazione 2008/C 111/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente. [93]
Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2012, n. 252: Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF - 2008).
Allegato A
Allegato B
7. Progettare, valutare e certificare le competenze nel secondo ciclo d’istruzione a cura di Nicoletta Puggioni
Attraverso il presente capitolo si intende delineare un percorso logico e cronologico che, dalle indicazioni nazionali e dalle linee guida per la Scuola secondaria di secondo grado definite dalle normative vigenti, conduca alla individuazione e certificazione delle competenze che lo studente deve dimostrare di possedere al termine del primo biennio di Scuola secondaria di secondo grado e delle conoscenze, abilità e competenze che devono essere indagate attraverso le varie prove dell’esame di Stato, come stabilito dal D.lgs. n. 62 del 17 aprile 2017. Certificare le competenze delle studentesse e degli studenti, al termine del periodo dell’obbligo e alla conclusione del percorso scolastico, dovrebbe rappresentare per ciascuna istituzione scolastica, oltre a un adempimento di legge, uno strumento di credibilità formativa, con il quale dare risposte adeguate e soddisfacenti agli stakeholders , siano essi appartenenti al mondo produttivo, sociale, economico o accademico. Il percorso di studi intrapreso da ciascuno studente deve quindi essere ricco di contenuti dimostrabili e certificabili superando la semplice attestazione della frequenza di un certo numero di ore e di anni di attività relative alle singole discipline o il possesso di un certificato di diploma. Qualunque sia il percorso intrapreso, che si tratti di un istituto professionale, di un istituto tecnico o di un liceo, ogni studente deve possedere competenze specifiche che racchiudano conoscenze e abilità in una dimensione di sapere, saper fare e saper essere. Certificare competenze non serve a dare un valore numerico alle conoscenze di una specifica disciplina o all’esito di una performance , ma ad attestare che lo studente sappia utilizzare le conoscenze e le abilità, acquisite nel contesto scolastico e nell’apprendimento non formale e informale, per affrontare problemi e trovare adeguate soluzioni, secondo quanto richiesto dalla Raccomandazione del 23 aprile 2008 sul Quadro Europeo delle qualifiche, in cui la competenza viene delineata come la «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia». Lo stesso Consiglio Europeo, nella raccomandazione del 22 maggio 2018, definisce la competenza, come una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti, in cui: la conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento; u l’abilità è intesa come l’essere capaci di eseguire processi e applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati; u gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni. u
Quali sono dunque le competenze che gli studenti devono possedere alla conclusione del primo biennio e al momento dell’esame di Stato? La risposta a questa domanda deve essere ricercata in una serie di documenti che si integrano a vicenda e che vedono lo studente uscire dal contesto scolastico e divenire un cittadino attivo che con le sue azioni, le sue idee e le sue capacità deve contribuire al benessere collettivo. Il curriculum di ciascuno studente non può prescindere da questo presupposto e dalle competenze necessarie a garantirne la realizzazione.
1. La definizione del curricolo e l’individuazione delle competenze 1.1 La cittadinanza glocale
L’educazione alla cittadinanza glocale è uno degli obiettivi dell’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile 2030 che impegna la comunità internazionale a «fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti i discenti» [94] , così che acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta a uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile [95] .
Gli obiettivi dell’Agenda, su cui si sono impegnati i capi di Stato dei 193 paesi dell’Onu nel settembre 2015, sono comuni a tutti i paesi e a tutti gli individui; nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. A tal fine, con la legge 107/2015, il MIUR ha individuato, tra gli obiettivi formativi prioritari della scuola, «lo sviluppo delle
competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra le culture». Tali competenze sono necessarie ad agire come «cittadini consapevoli e responsabili in una società moderna, connessa e interdipendente». Ciascuna istituzione scolastica è quindi chiamata a fare proprio questo obiettivo, declinandone le attività e individuando i tempi, i modi e gli strumenti necessari perché ogni studente possa conseguirlo. 1.2 La cittadinanza europea
L’appartenenza dello Stato italiano alla Comunità europea impegna tutto il mondo della formazione verso il conseguimento di competenze che accomunano tutti i cittadini degli Stati membri. Riprendendo la già citata raccomandazione del Consiglio europeo del 22 maggio 2018 troviamo (aggiornate) le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente e l’allegato quadro di riferimento da cui scaturiscono. Tali competenze rappresentano la cornice imprescindibile su cui deve essere costruito il sapere degli studenti europei, durante tutto il percorso scolastico: 1. Competenza alfabetica funzionale. 2. Competenza multilinguistica. 3. Competenza matematica e competenza in scienze, tecnologia e ingegneria. 4. Competenza digitale. 5. Competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare. 6. Competenza in materia di cittadinanza. 7. Competenza imprenditoriale. 8. Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali. 1.3 Il Profilo educativo, culturale e professionale (PECUP)
All’interno di questo quadro globale ed europeo dobbiamo inserire il glossario delle competenze in uscita dai diversi percorsi e indirizzi dell’istruzione secondaria di secondo grado che il sistema nazionale d’istruzione enuncia attraverso il PECUP delle studentesse e degli studenti, previsto dall’art. 1 del D.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226. Tale Profilo si differenzia a seconda della tipologia di Scuola secondaria frequentata e viene declinato attraverso specifici quadri normativi: l’art. 2 e l’allegato A del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89, per i licei; l’art. 2 e l’allegato A del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 88 e i DD.II. 24 aprile 2012 e 7 ottobre 2013, per gli istituti tecnici; u l’allegato A del D.lgs. 61/2017 per gli istituti professionali, che sostituisce il D.P.R. 15 Marzo 2010, n. 87. u u
Il PECUP dello studente che esce da un percorso liceale prevede l’acquisizione di competenze comuni a tutte le tipologie d’indirizzo suddivise in cinque distinte aree generali e competenze specifiche per ogni tipologia di indirizzo. Per questioni di sintesi ci soffermeremo a richiamare esclusivamente le competenze delle cinque aree generali, che il legislatore descrive come obiettivi specifici di apprendimento. 1. Area metodologica Aver acquisito un metodo di studio autonomo e flessibile, che consenta di condurre ricerche e approfondimenti personali e di continuare in modo efficace i successivi studi superiori, naturale prosecuzione dei percorsi liceali, e di potersi aggiornare lungo l’intero arco della propria vita. u Essere consapevoli della diversità dei metodi utilizzati dai vari ambiti disciplinari ed essere in grado di valutare i criteri di affidabilità dei risultati in essi raggiunti. u Saper compiere le necessarie interconnessioni tra i metodi e i contenuti delle singole discipline. u
2. Area logico-argomentativa Saper sostenere una propria tesi e saper ascoltare e valutare criticamente le argomentazioni altrui. Acquisire l’abitudine a ragionare con rigore logico, a identificare i problemi e a individuare possibili soluzioni. u Essere in grado di leggere e interpretare criticamente i contenuti delle diverse forme di comunicazione. u u
3. Area linguistica e comunicativa Padroneggiare pienamente la lingua italiana e in particolare: 1. dominare la scrittura in tutti i suoi aspetti, da quelli elementari (ortografia e morfologia) a quelli più avanzati (sintassi complessa, precisione e ricchezza del lessico, anche letterario e specialistico), modulando tali competenze a seconda dei diversi contesti e scopi comunicativi; 2. saper leggere e comprendere testi complessi di diversa natura, cogliendo le implicazioni e le sfumature di significato proprie di ciascuno di essi, in rapporto con la tipologia e il relativo contesto storico e culturale; 3. curare l’esposizione orale e saperla adeguare ai diversi contesti. u Aver acquisito, in una lingua straniera moderna, strutture, modalità e competenze comunicative corrispondenti almeno al livello B2 del Quadro comune europeo di riferimento. u Saper riconoscere i molteplici rapporti e stabilire raffronti tra la lingua italiana e altre lingue moderne e antiche. u Saper utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per studiare, fare ricerca, comunicare. u
4. Area storico-umanistica
Conoscere i presupposti culturali e la natura delle istituzioni politiche, giuridiche, sociali ed economiche, con riferimento particolare all’Italia e all’Europa, e comprendere i diritti e i doveri che caratterizzano l’essere cittadini. u Conoscere, con riferimento agli avvenimenti, ai contesti geografici e ai personaggi più importanti, la storia d’Italia inserita nel contesto europeo e internazionale, dall’antichità sino ai giorni nostri. u Utilizzare metodi (prospettiva spaziale, relazioni uomo-ambiente, sintesi regionale), concetti (territorio, regione, localizzazione, scala, diffusione spaziale, mobilità, relazione, senso del luogo) e strumenti (carte geografiche, sistemi informativi geografici, immagini, dati statistici, fonti soggettive) della geografia per la lettura dei processi storici e per l’analisi della società contemporanea. u Conoscere gli aspetti fondamentali della cultura e della tradizione letteraria, artistica, filosofica, religiosa italiana ed europea attraverso lo studio delle opere, degli autori e delle correnti di pensiero più significativi e acquisire gli strumenti necessari per confrontarli con altre tradizioni e culture. u Essere consapevoli del significato culturale del patrimonio archeologico, architettonico e artistico italiano, della sua importanza come fondamentale risorsa economica, della necessità di preservarlo attraverso gli strumenti della tutela e della conservazione. u Collocare il pensiero scientifico, la storia delle sue scoperte e lo sviluppo delle invenzioni tecnologiche nell’ambito più vasto della storia delle idee. u Saper fruire delle espressioni creative delle arti e dei mezzi espressivi, compresi lo spettacolo, la musica, le arti visive. u Conoscere gli elementi essenziali e distintivi della cultura e della civiltà dei paesi di cui si studiano le lingue. u
5. Area scientifica, matematica e tecnologica Comprendere il linguaggio formale specifico della matematica, saper utilizzare le procedure tipiche del pensiero matematico, conoscere i contenuti fondamentali delle teorie che sono alla base della descrizione matematica della realtà. u Possedere i contenuti fondamentali delle scienze fisiche e delle scienze naturali (chimica, biologia, scienze della terra, astronomia), padroneggiandone le procedure e i metodi di indagine propri, anche per potersi orientare nel campo delle scienze applicate. u Essere in grado di utilizzare criticamente strumenti informatici e telematici nelle attività di studio e di approfondimento. u Comprendere la valenza metodologica dell’informatica nella formalizzazione e modellizzazione dei processi complessi e nell’individuazione di procedimenti risolutivi. u
Il PECUP degli studenti degli istituti tecnici descrive le competenze generali suddividendole in quattro distinti assi culturali: asse dei linguaggi, asse matematico, asse scientifico-tecnologico, asse storico-sociale, a cui si aggiungono le competenze relative agli specifici settori e indirizzi di studio. Tali competenze sono esplicitate sotto forma di risultati di apprendimento: agire in base a un sistema di valori coerenti con i principi della Costituzione, a partire dai quali saper valutare fatti e ispirare i propri comportamenti personali e sociali; u utilizzare gli strumenti culturali e metodologici acquisiti per porsi con atteggiamento razionale, critico e responsabile di fronte alla realtà, ai suoi fenomeni e ai suoi problemi, anche ai fini dell’apprendimento permanente; u padroneggiare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti: sociali, culturali, scientifici, economici, tecnologici; u riconoscere le linee essenziali della storia, delle idee, della cultura, della letteratura, delle arti e orientarsi agevolmente fra testi e autori fondamentali, con riferimento soprattutto a tematiche di tipo scientifico, tecnologico ed economico; u riconoscere gli aspetti geografici, ecologici, territoriali, dell’ambiente naturale e antropico, le connessioni con le strutture demografiche, economiche, sociali, culturali e le trasformazioni intervenute nel corso del tempo; u stabilire collegamenti tra le tradizioni culturali locali, nazionali e internazionali sia in una prospettiva interculturale sia ai fini della mobilità di studio e di lavoro; u utilizzare i linguaggi settoriali delle lingue straniere previste dai percorsi di studio per interagire in diversi ambiti e contesti di studio e di lavoro; u riconoscere il valore e le potenzialità dei beni artistici e ambientali, per una loro corretta fruizione e valorizzazione; u individuare e utilizzare le moderne forme di comunicazione visiva e multimediale, anche con riferimento alle strategie espressive e agli strumenti tecnici della comunicazione in rete; u riconoscere gli aspetti comunicativi, culturali e relazionali dell’espressività corporea ed esercitare in modo efficace la pratica sportiva per il benessere individuale e collettivo; u collocare le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche in una dimensione storico culturale ed etica, nella consapevolezza della storicità dei saperi; u utilizzare modelli appropriati per investigare su fenomeni e interpretare dati sperimentali; u riconoscere, nei diversi campi disciplinari studiati, i criteri scientifici di affidabilità delle conoscenze e delle conclusioni che vi afferiscono; u padroneggiare il linguaggio formale e i procedimenti dimostrativi della matematica; possedere gli strumenti matematici, statistici e del calcolo delle probabilità necessari per la comprensione delle discipline scientifiche e per poter operare nel campo delle scienze applicate; u collocare il pensiero matematico e scientifico nei grandi temi dello sviluppo della storia delle idee, della cultura, delle scoperte scientifiche e delle invenzioni tecnologiche; u utilizzare le reti e gli strumenti informatici nelle attività di studio, ricerca e approfondimento disciplinare; u padroneggiare l’uso di strumenti tecnologici con particolare attenzione alla sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, alla tutela della persona, dell’ambiente e del territorio; u utilizzare, in contesti di ricerca applicata, procedure e tecniche per trovare soluzioni innovative e migliorative, in relazione ai campi di propria competenza; u cogliere l’importanza dell’orientamento al risultato, del lavoro per obiettivi e della necessità di assumere responsabilità nel rispetto dell’etica e della deontologia professionale; u saper interpretare il proprio autonomo ruolo nel lavoro di gruppo; u analizzare criticamente il contributo apportato dalla scienza e dalla tecnologia allo sviluppo dei saperi e dei valori, al cambiamento delle u
condizioni di vita e dei modi di fruizione culturale; u essere consapevole del valore sociale della propria attività, partecipando attivamente alla vita civile e culturale a livello locale, nazionale e comunitario.
Come si può osservare, la descrizione delle competenze per gli istituti tecnici non è strutturata attraverso i contenuti e non viene espressamente ricondotta ad aree distinte. Questo perché le competenze si intersecano tra i vari assi culturali. In questo caso il legislatore si sofferma anche a specificare che le competenze devono essere acquisite attraverso lo studio, le esperienze operative di laboratorio e in contesti reali, la disponibilità al confronto e al lavoro cooperativo, la valorizzazione della creatività e dell’autonomia, prefigurando un contesto di apprendimento in cui teoria, pratica, sperimentazione e ricerca si intersecano e si orientano verso un fare scuola in cui lo studente, attraverso l’utilizzo di metodologie didattiche innovative, diventa protagonista e responsabile della propria formazione. Ancora più innovativo appare il PECUP degli studenti che conseguono il diploma attraverso l’istruzione professionale. La più recente normativa di riferimento evidenzia l’obiettivo di far acquisire agli studenti competenze basate sull’integrazione tra i saperi tecnicoprofessionali e i saperi linguistici e storico-sociali da utilizzare nei contesti operativi di riferimento. Rimandando alla lettura integrale dei risultati specifici di ciascun percorso, preferiamo soffermarci invece sui risultati di apprendimento comuni: agire in riferimento a un sistema di valori, coerenti con i principi della Costituzione, in base ai quali essere in grado di valutare fatti e orientare i propri comportamenti personali, sociali e professionali; u utilizzare gli strumenti culturali e metodologici acquisiti per porsi con atteggiamento razionale, critico, creativo e responsabile nei confronti della realtà, dei suoi fenomeni e dei suoi problemi, anche ai fini dell’apprendimento permanente; u utilizzare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti: sociali, culturali, scientifici, economici, tecnologici e professionali; u riconoscere gli aspetti geografici, ecologici, territoriali, dell’ambiente naturale e antropico, le connessioni con le strutture demografiche, economiche, sociali, culturali e le trasformazioni intervenute nel corso del tempo; u stabilire collegamenti tra le tradizioni culturali locali, nazionali e internazionali, sia in una prospettiva interculturale sia ai fini della mobilità di studio e di lavoro; u utilizzare i linguaggi settoriali delle lingue straniere previste dai percorsi di studio per interagire in diversi ambiti e contesti di studio e di lavoro; u riconoscere il valore e le potenzialità dei beni artistici e ambientali; u individuare e utilizzare le moderne forme di comunicazione visiva, multimediale e digitale, anche con riferimento alle strategie espressive e agli strumenti tecnici della comunicazione in rete; u utilizzare le reti e gli strumenti informatici per l’accesso ai web e ai social nelle attività di studio, ricerca e approfondimento; u riconoscere i principali aspetti comunicativi, culturali e relazionali dell’espressività corporea ed esercitare in modo efficace la pratica sportiva per il benessere individuale e collettivo; u comprendere e utilizzare i principali concetti relativi all’economia, all’organizzazione, allo svolgimento dei processi produttivi e dei servizi; u utilizzare i concetti e i fondamentali strumenti degli assi culturali per comprendere la realtà e operare in campi applicativi; u padroneggiare l’uso di strumenti tecnologici con particolare attenzione alla sicurezza e alla tutela della salute nei luoghi di vita e di lavoro, alla tutela della persona, dell’ambiente e del territorio; u individuare i problemi attinenti al proprio ambito di competenza e impegnarsi nella loro soluzione collaborando efficacemente con gli altri; u utilizzare strategie orientate al risultato, al lavoro per obiettivi e alla necessità di assumere responsabilità nel rispetto dell’etica e della deontologia professionale; u compiere scelte autonome in relazione ai propri percorsi di studio e di lavoro lungo tutto l’arco della vita nella prospettiva dell’apprendimento permanente; u partecipare attivamente alla vita sociale e culturale a livello locale, nazionale e comunitario; u acquisire gli strumenti per la ricerca attiva del lavoro o di opportunità formative; u valutare le proprie capacità, i propri interessi e le proprie aspirazioni (bilancio delle competenze) anche nei confronti del lavoro e di un ruolo professionale specifico; u riconoscere i cambiamenti intervenuti nel sistema della formazione e del mercato del lavoro; u sviluppare competenze metodologiche finalizzate alla presa di decisione e all’elaborazione di un piano d’azione per l’inserimento nel mondo del lavoro; u individuare e utilizzare le tecnologie dell’automazione industriale e della robotica 4.0; u conoscere e utilizzare tecnologie innovative applicabili alla manifattura e all’artigianato; u padroneggiare l’uso di strumenti tecnologico-digitali. u
Le competenze descritte sono evidentemente orientate a valorizzare la cultura del lavoro intesa come l’insieme di operazioni, procedure, simboli, linguaggi e valori, ma anche l’identità e il senso di appartenenza a una comunità professionale, che riflettono una visione etica della realtà, un modo di agire per scopi positivi in relazione ad esigenze non solo personali, ma collettive. 1.4 Il curriculum d’istituto
Ciascuna istituzione scolastica nell’ambito del Piano dell’offerta formativa è chiamata a definire un curriculum d’istituto che tenga conto del contesto sociale, economico e culturale in cui opera, anche ricorrendo a una rimodulazione oraria delle singole discipline in funzione di esigenze specifiche. Questo comporta che istituzioni scolastiche della stessa tipologia, situate in contesti diversi, possano
offrire un curriculum differente, che, tenendo fermi la struttura, l’epistemologia e i nuclei fondanti di ciascuna disciplina, attraverso la progettazione flessibile e l’utilizzo della quota di autonomia, orienti la formazione verso le specifiche esigenze territoriali. 1.5 Il Progetto formativo individuale
Il concetto di Progetto formativo individuale, appartenente alla sfera della personalizzazione del processo di apprendimento, continuamente richiamata a livello dottrinale in tutta la letteratura educativa e pedagogica, è specificamente normato solo per l’istruzione professionale, l’istruzione per gli adulti e per gli studenti con Bisogni educativi speciali. È evidente però che si tratti di un aspetto imprescindibile della formazione in quanto presuppone: il rispetto delle capacità e degli stili di apprendimento di ciascuno; la valorizzazione delle esperienze e delle conoscenze di cui ogni soggetto è portatore; u lo sviluppo, anche in funzione orientativa, delle attitudini e delle abilità dei singoli; u il rispetto delle cosiddette «intelligenze multiple» teorizzate da Howard Gardner nel suo Formae mentis. u u
2. La progettazione didattica per competenze Certificare competenze rappresenta l’ultimo step di un percorso che, partendo dalla definizione del curricolo, si snoda attraverso la progettazione didattica e la valutazione per competenze. Progettare l’apprendimento partendo dalle competenze che lo studente deve raggiungere comporta, per il docente, un rovesciamento del metodo di insegnamento trasmissivo. Occorre abbandonare la presentazione lineare dei contenuti di una specifica disciplina e orientarsi al sapere attraverso un approccio globale, in cui i contenuti rappresentano gli input iniziali funzionali alla risoluzione di un problema, attraverso la sperimentazione e la ricerca. La progettazione dell’apprendimento per competenze vede lo studente come parte attiva del processo formativo, mentre il docente assume il ruolo di mediatore e facilitatore, che sviluppa e fornisce il setting didattico necessario per lo sviluppo delle abilità cognitive. L’approccio didattico diventa di tipo esperienziale, problematico, realistico e pertanto si sposta dal piano settoriale di ogni singola materia per abbracciare contenuti e contesti inter-pluri e multidisciplinari. Lo studente deve essere posto di fronte a un caso o a un’esperienza concreta, finalizzata a sistematizzare e astrarre processi, dopo una riflessione guidata dall’insegnante. Tra le metodologie che affrontano l’apprendimento sotto un profilo globale, partendo dal confronto di idee e strategie risolutive, fino all’assimilazione dei contenuti e all’attivazione di strumenti metacognitivi che conducono verso la ricerca-azione, ne troviamo alcune di sicuro interesse, su cui abbiamo ritenuto opportuno soffermarci. 2.1 Problem Based Learning (PBL)
Attraverso questo approccio, basato sul costruttivismo e sul costruttivismo sociale, gli studenti sviluppano nuove conoscenze e competenze svolgendo ricerche e ideando soluzioni per affrontare problemi complessi del mondo reale. Si tratta di un’attività a mediolungo termine, caratterizzata da un alto tasso d’impegno e dalla partecipazione attiva dello studente. Buona parte della forza del PBL sta nella connessione con la vita reale: la necessità di applicare i contenuti di una o più materie scolastiche nella risoluzione di un problema concreto incentiva negli alunni l’apprendimento delle discipline. La sua forza deriva inoltre dal meccanismo di analisi, indagine e proposta di soluzione del problema. I progetti di Open Coesione promossi dal MIUR si basano su questo metodo di apprendimento. 2.2 Episodi di apprendimento situato (EAS)
La metodologia EAS, riconducibile al post costruttivismo, di più recente ideazione, è strutturata in tre fasi: la fase preparatoria , in cui il docente, attraverso un framework concettuale fa una presentazione dell’attività da svolgere; la fase operatoria in cui lo studente, da solo o in gruppo, utilizzando strumenti digitali, tecnologici o qualsiasi altro mezzo, predispone l’artefatto; u la fase ristrutturativa in cui viene operato, con il supporto del docente, un debriefing dell’attività svolta per riflettere dal punto di vista metacognitivo su quanto emerso e su come si è operato. u u
2.3 Flipped Classroom
La cosiddetta «classe capovolta» prevede che il docente fornisca agli studenti dei materiali (letture, video, audio, siti) su cui questi devono prepararsi prima che un argomento o una situazione problema vengano affrontati in classe. Gli studenti quindi acquisiscono in anticipo i contenuti e gli strumenti su cui successivamente vengono svolte esercitazioni, discussioni, lavori cooperativi, compiti autentici. La flipped classroom facilita l’insegnamento e l’apprendimento personalizzati in quanto risulta un metodo efficace per responsabilizzare gli alunni e sviluppare in loro l’autonomia necessaria per gestire al meglio tempi, strumenti e strategie di apprendimento. È una metodologia basata sulla pedagogia costruttivista. 2.4 Tinkering
Il tinkering è una nuova metodologia didattica, ancorata alla «Scuola del fare» di Célestin Freinet, sviluppata presso l’Exploratorium di San Francisco su esperienze e ricerche del MIT (Massachusetts Institute of Tecnology) per l’apprendimento di STEM – Science, Technology, Engineering, Mathematics . Questo approccio educativo è basato sulla costruzione di oggetti con materiale di uso comune e consente di esplorare concetti e fenomeni scientifici attraverso l’apprendimento informale che incoraggia la creatività e la sperimentazione, stimola l’attitudine alla risoluzione dei problemi e insegna a lavorare in gruppo, per il raggiungimento di un obiettivo che non coincide necessariamente con un’attività mirata alla produzione di qualcosa. Si parte, infatti, da un progetto, si esplorano le
possibilità di problem solving , si cercano delle alternative, si impara dagli errori. La scelta delle metodologie deve essere funzionale alla progettazione delle unità di apprendimento (UdA), ossia dei percorsi attraverso i quali strutturare il processo didattico. Nell’articolo 2 del decreto ministeriale 24 maggio 2018, n. 92 [96] troviamo la definizione di UdA come insieme autonomamente significativo di competenze, abilità e conoscenze in cui è organizzato il percorso formativo della studentessa e dello studente; costituisce il necessario riferimento per la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti, soprattutto nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e formazione. Le UdA partono da obiettivi formativi adatti e significativi, sviluppano appositi percorsi di metodo e di contenuto, tramite i quali si valuta il livello delle conoscenze e delle abilità acquisite e la misura in cui la studentessa e lo studente hanno maturato le competenze attese.
La costruzione dell’unità di apprendimento prende avvio dalla scelta, in sede di consiglio di classe di una tematica generale, selezionata in base ai bisogni del gruppo di studenti a cui è destinata e contestualizzata nel Piano dell’offerta formativa, da sviluppare individuando le discipline coinvolte, appartenenti allo stesso o ad assi culturali differenti. Prende avvio quindi da una concertazione e condivisione collegiale delle scelte didattiche e si sviluppa preferibilmente in una dimensione multidisciplinare e interdisciplinare. Le UdA potrebbero essere utilizzate per strutturare, tramite un canovaccio, l’intera progettazione annuale di una classe oppure in modo alternato rispetto a una programmazione didattica tradizionale. La struttura delle UdA non può prescindere da alcuni punti, sui quali lo stesso INDIRE ha fornito specifiche indicazioni: la descrizione della competenza attesa : è indispensabile operare una selezione delle competenze che si intende rilevare, attingendole dai documenti di riferimento (competenze chiave; PECUP; Piano personalizzato…); u la scelta dei nodi concettuali : ossia l’attenta individuazione dei concetti qualificanti la disciplina nei suoi significati più autentici, secondo quello che viene denominato statuto epistemologico; ciò consentirà un approccio all’apprendimento approfondito e non mnemonico e favorirà l’attivazione dei processi di metacognizione; u l’indicazione dei prerequisiti : è evidente che l’apprendimento necessita di gradualità, per cui affrontare un’UdA richiede conoscenze, competenze e abilità pregresse senza le quali lo studente si troverebbe di fronte ad attività non comprensibili, che lo indurrebbero verso lo scoraggiamento e il fallimento; u la scelta dei contenuti : la descrizione delle conoscenze necessarie ad affrontare un’unità di didattica, partendo dai nuclei fondanti di ciascuna disciplina; u l’analisi situazionale delle attività, dei compiti da svolgere, delle modalità operative di lavoro, attraverso una scheda in cui viene spiegato agli studenti cosa si chiede loro di fare; con quali modalità deve essere svolta la consegna (da solo, in gruppo, in presenza, a distanza, attraverso strutture organizzative di cooperative learning , peer to peer ecc.); di quanto tempo dispongono per la consegna del prodotto finale; di quali risorse si possono avvalere (tecnologie; materiali, sitografie; bibliografie); u la scelta dei tempi e degli strumenti : il docente dovrà calibrare la propria unità di apprendimento sul curriculum disciplinare, destinandogli un tempo congruo rispetto all’orario annuale di insegnamento della disciplina; dovrà inoltre individuare gli spazi e gli strumenti necessari per attuarla: aula d’informatica; laboratorio; software…; u le modalità di supporto da parte dei docenti , attraverso analisi dei dati e dei compiti assegnati, l’interpretazione degli elementi utili allo svolgimento, l’argomentazione e la motivazione del percorso; u i prodotti attesi : descrizione accurata e inequivocabile di ciò che ci si aspetta; u le modalità di descrizione, documentazione e presentazione del lavoro svolto , così da portare gli studenti a soffermarsi sull’intero processo, facendolo proprio e acquisendo le competenze necessarie a replicarlo in altri contesti; u l’individualizzazione del percorso così da garantire a tutti gli alunni il raggiungimento degli obiettivi attraverso la diversificazione dei materiali, degli itinerari di apprendimento e la definizione dei livelli minimi accettabili; u la personalizzazione per assicurare a ciascun allievo una propria eccellenza cognitiva attraverso attività motivanti e significative che consentano di compensare gli svantaggi e sviluppare i talenti e le attitudini; u le modalità di verifica : osservazione relativa all’impegno, alla partecipazione, alla responsabilità dimostrate; modalità e prove di valutazione da somministrare (produzioni scritte, test; esperimenti…); evidenze di valutazione del prodotto atteso (accuratezza, originalità; correttezza); descrizione del processo; u la valutazione tramite una rubrica in cui riportare le evidenze verificate e attribuire loro un valore/livello in base ai relativi descrittori. u
3. La valutazione delle competenze Il processo didattico avviato con la programmazione s’interseca e completa con la descrizione accurata di ciò che si intende valutare e di quali strumenti debbano essere utilizzati per farlo in modo corretto. La costruzione di prove di valutazione nazionali e internazionali per esempio prende avvio dalla definizione di specifici quadri di riferimento , che esplicitano i riferimenti teorici e i criteri operativi utilizzati. Il loro scopo è fornire indicazioni per la costruzione delle prove e di chiarire a tutti gli interessati ciò che si intende verificare e con quali strumenti, rendendone così trasparente la struttura e favorendo la successiva lettura dei risultati. Tutte le prove di valutazione delle competenze predisposte a livello nazionale (INVALSI; prima e seconda prova dell’esame di Stato) e internazionale (OCSE PISA) prevedono che gli studenti, i docenti e le famiglie conoscano in anticipo i quadri di riferimento delle discipline sulle quali viene indagata la competenza. Ciò offre l’opportunità di avere contezza dei nuclei fondanti, delle tipologie testuali, delle conoscenze sottese, delle tipologie di prova che verranno utilizzate, al fine di orientare lo studente verso la preparazione, e di
fornirgli strumenti di autovalutazione. A titolo esemplificativo vorremmo proporre la lettura del quadro di riferimento della prima prova scritta dell’esame di Stato, comune a tutte le tipologie di percorsi e indirizzi: Caratteristiche della prova d’esame:
1) Tipologie di prova: A) analisi e interpretazione di un testo letterario italiano; B) analisi e produzione di un testo argomentativo; C) riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. Con riferimento agli ambiti artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale di cui all’art. 17 del D.lgs. 62/17 e per dar modo ai candidati di esprimersi su un ventaglio sufficientemente ampio di argomenti, saranno fornite sette tracce: due per la tipologia A, tre per la tipologia B e due per la tipologia C. Struttura delle tracce Tipologia A . Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano, compreso nel periodo che va dall’Unità d’Italia a oggi. Saranno fornite due tracce che possano coprire due ambiti cronologici o due generi o forme testuali. Tipologia B . Analisi e produzione di un testo argomentativo. La traccia proporrà un singolo testo compiuto o un estratto sufficientemente rappresentativo ricavato da una trattazione più ampia, chiedendone in primo luogo un’interpretazione/comprensione sia dei singoli passaggi sia dell’insieme. La prima parte sarà seguita da un commento, nel quale lo studente esporrà le sue riflessioni intorno alla (o alle) tesi di fondo avanzate nel testo d’appoggio, anche sulla base delle conoscenze acquisite nel suo specifico percorso di studio. Tipologia C . Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. La traccia proporrà problematiche vicine all’orizzonte esperienziale delle studentesse e degli studenti e potrà essere accompagnata da un breve testo di appoggio che fornisca ulteriori spunti di riflessione. Si potrà richiedere al candidato di inserire un titolo coerente allo svolgimento e di organizzare il commento attraverso una scansione interna, con paragrafi muniti di un titolo. Durata della prova : sei ore. Nuclei tematici fondamentali Sia per quanto concerne i testi proposti, sia per quanto attiene alle problematiche contenute nelle tracce, le tematiche trattate potranno essere collegate, per tutte le tre tipologie, agli ambiti previsti dall’art. 17 del D.lgs. 62/2017, e cioè: ambito artistico; ambito letterario; u ambito storico; u ambito filosofico; u ambito scientifico; u ambito tecnologico; u ambito economico; u ambito sociale. u u
Obiettivi della prova Gli obiettivi dell’insegnamento dell’italiano riflettono una duplice esigenza, espressa sia dalle Linee guida per l’istruzione tecnica e professionale, sia dalle Indicazioni nazionali per i licei. Per la lingua, si tratta di «padroneggiare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti»; per la letteratura, di raggiungere un’adeguata competenza sulla «evoluzione della civiltà artistica e letteraria italiana dall’Unità ad oggi». Quanto alla lingua occorrerà distinguere tra le competenze di base, da presupporre per qualsiasi tipo di prova e per qualsiasi tipo di indirizzo, e quelle specifiche. Tra le prime figurano la padronanza grammaticale, la capacità di costruire un testo coerente e coeso, una sufficiente capacità nell’uso dell’interpunzione e un dominio lessicale adeguato (da saggiare anche attraverso la competenza passiva, a partire da un testo dato). Per quanto concerne le seconde, più che dell’astratta classificazione della tipologia testuale, con la distinzione tra testi espositivi, argomentativi ecc. (che può valere solo in linea di massima, dal momento che i testi reali presentano abitualmente caratteri in certa misura «misti»), occorre tener conto di caratteristiche inerenti all’argomento trattato e al taglio del discorso con cui esso viene presentato. Nell’analisi di un testo letterario, sono in primo piano la comprensione degli snodi testuali e dei significati e la capacità di interpretare e far «parlare il testo» oltre il suo significato letterale; il testo andrà messo in relazione con l’esperienza formativa e personale dello studente e collocato in un orizzonte storico e culturale più ampio; nell’analisi e nel commento si dovrà utilizzare un lessico puntuale ed efficace, che vada oltre quello abitualmente adoperato in un discorso orale. Per la tipologia B, lo studente in primo luogo deve mostrare
le capacità: di comprensione del testo dato; di riconoscimento degli snodi argomentativi presenti; di individuazione della tesi sostenuta e degli argomenti a favore o contrari; di riconoscimento della struttura del testo. Deve successivamente produrre un testo di tipo argomentativo anche basandosi sulle conoscenze acquisite nel suo corso di studio. Nello sviluppo di un elaborato di tipologia C, lo studente deve essere in grado di affrontare con sicurezza un tema dato, di svilupparlo gradualmente mettendo in campo conoscenze acquisite nel corso di studi seguito o giudizi e idee personali. Allo studente si chiede di organizzare le proprie conoscenze e di esporle con proprietà e chiarezza. Se la struttura e la definizione di una prova non possono prescindere dal quadro di riferimento della disciplina, per la valutazione della stessa è necessario avvalersi di strumenti sui quali individuare i livelli di prestazione, descritti con un dettaglio e una precisione che consentano a valutatori diversi di pervenire al medesimo risultato. A questo scopo, già dal 1999, con l’introduzione del nuovo esame di Stato sono state previste le griglie per la correzione e valutazione delle prove, che consentono di descrivere le prestazioni dei candidati in relazione a una serie di parametri o elementi (indicatori), a cui vengono associati, attraverso dei giudizi sintetici, i descrittori dei livelli, corrispondenti a un punteggio, espresso con un valore numerico. Le griglie di correzione e valutazione devono essere portate a conoscenza degli studenti prima dell’esecuzione della prova stessa. Per la valutazione delle competenze invece è preferibile utilizzare rubriche di valutazione, costruite possibilmente a livello collegiale: sia nei consigli di classe, per dare uniformità alla valutazione tra le varie discipline; sia nei dipartimenti disciplinari, per rendere omogenea la valutazione tra le varie classi. La rubrica permette un feedback continuo delle azioni programmate e realizzate a scuola e arricchisce la professionalità docente e la motivazione degli allievi, fornendo un valido contributo alla comunicazione della scuola non solo con le famiglie ma anche nel contesto sociale, culturale e produttivo [97] .
Ciascuna rubrica di valutazione deve prevedere la descrizione di ciò che si vuole valutare, i criteri con cui valutarlo, gli indicatori e i descrittori corrispondenti ai tre livelli di competenza: livello base; livello intermedio; livello avanzato. La rubrica dovrebbe essere inoltre accompagnata da una scheda di osservazione strutturata in cui l’insegnante annota per ciascuno studente e per ciascun criterio il livello di competenza riscontrato e da una lista di controllo in cui ogni studente effettua una revisione e autovalutazione del proprio operato. L’utilizzo delle rubriche consente: di valutare una prestazione dal punto di vista qualitativo e di focalizzare l’attenzione dell’insegnamento e dell’apprendimento sulla competenza; di essere trasparenti nell’utilizzo dei criteri di valutazione; u di promuovere competenze di autovalutazione e responsabilità da parte degli studenti, nel comprendere la qualità della propria e altrui prestazione; u di migliorare il livello di oggettività della valutazione; u di uniformare il sistema di valutazione tra le classi della stessa istituzione scolastica; u di aumentare la collegialità e la condivisione di documenti e buone pratiche; u di rendere inclusiva la valutazione attraverso la definizione di livelli adeguati a una progettazione per obiettivi minimi. u u
L’utilizzo a livello collegiale delle rubriche di valutazione consente inoltre a ogni istituzione scolastica di individuare le criticità su cui costruire il proprio processo di miglioramento per raggiungere gli standard nazionali.
4. La certificazione delle competenze La certificazione delle competenze nella Scuola secondaria di secondo grado avviene esclusivamente al termine del primo biennio, ossia quando i ragazzi, con il compimento del sedicesmo anno d’età assolvono l’obbligo d’istruzione. Il modello di certificazione delle competenze di base, previsto dal regolamento ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, è strutturato per assi culturali: l’asse dei linguaggi; l’asse matematico; u l’asse scientifico-tecnologico; u l’asse storico-sociale. u u
Le competenze riferite a ciascun asse, grazie anche al fatto che il primo biennio è caratterizzato da discipline e nuclei fondanti comuni, sono le stesse per qualsiasi tipologia di scuola. La certificazione è strutturata su tre livelli di competenza: livello base: lo studente svolge compiti semplici in situazioni note, mostrando di possedere conoscenze e abilità essenziali e di saper applicare regole e procedure fondamentali; u livello intermedio: lo studente svolge compiti e risolve problemi complessi in situazioni note, compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite; u
livello avanzato: lo studente svolge compiti e problemi complessi in situazioni anche non note, mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità. Sa proporre e sostenere le proprie opinioni e assumere autonomamente decisioni consapevoli. u
Il mancato raggiungimento delle competenze viene descritto con la dicitura «livello base non raggiunto», accompagnata dalla relativa motivazione. Successivamente al biennio non si prevede più alcuna certificazione di competenze. Il Certificato di diploma riporta infatti esclusivamente il tipo di percorso effettuato e una valutazione numerica, sommatoria dei risultati delle prove d’esame, del credito assegnato in base alla media dei voti conseguiti nello scrutinio finale degli ultimi tre anni scolastici e dell’eventuale bonus. Al Diploma sono allegati due ulteriori documenti: u
il supplemento Europass al Certificato che descrive in modo standard ciascun percorso e indirizzo ufficiale di istruzione secondaria di secondo grado, consentendo di dare sinteticamente trasparenza ai titoli di studio in termini soprattutto di competenze attese e di possibili sbocchi professionali
ma che «non rappresenta una certificazione delle competenze acquisite dai singoli diplomati» [98] ; il modello individuale di certificazione conclusivo dell’esame di Stato, di cui al D.M. 3 marzo 2009 n. 26, nel quale possono essere inseriti ulteriori elementi caratterizzanti il corso di studi seguito, come per esempio i dati relativi ai percorsi per le competenze trasversali e di orientamento (PCTO) o gli esiti delle prove INVALSI. u
L’unico ulteriore e timido tentativo di certificare le competenze è rappresentato dalle prove INVALSI di lingua straniera, introdotte nel 2018, riferite però esclusivamente alla ricezione della lingua scritta (reading ) e della lingua parlata (listening ). Tali prove, essendo strutturate secondo il QCER (Common European Framework of Reference for Languages ) consentono agli studenti di posizionarsi su un determinato livello di competenza e di far riconoscere tale livello al di fuori della scuola. Pare evidente che l’assenza di una certificazione finale delle competenze rappresenti un vuoto normativo che andrebbe colmato con sollecitudine, tuttavia ciascuna istituzione scolastica potrebbe in autonomia dotarsi di uno strumento di certificazione, come forma di rendicontazione sociale, per migliorare la propria credibilità e il proprio appeal .
[94] Obiettivo
n. 4.
[95] Paragrafo
4.7.
[96]
Regolamento recante la disciplina dei profili di uscita degli indirizzi di studio dei percorsi di istruzione professionale, ai sensi dell’art. 3, c. 3, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 61. [97] Alternanza [98]
scuola-lavoro, Quadro europeo delle qualifiche.
O.M. n. 252 del 19 aprile 2016, art. 27.
8. Gli organi collegiali a cura di Fabio Cannatà
1. Organo collegiale e organo individuale Un organo si configura come una parte di un ente (la scuola) che assume e realizza atti che sono imputati all’ente stesso, come pure imputati all’ente risultano gli effetti che da quegli atti scaturiscono. L’organo assume legittimamente gli atti per i quali l’ente ha attribuito, secondo la legge, competenza all’organo stesso. L’azione dell’organo, in sostanza, è azione dell’ente a cui tale organo appartiene: quando il consiglio di istituto di una scuola approva il Piano triennale dell’offerta formativa, quel piano è imputato alla scuola, è il piano della scuola. Un organo può essere individuale, qualora all’organo sia preposto un solo titolare (il dirigente scolastico è un organo individuale), o collegiale, se costituito da una pluralità di componenti ciascuno dotato di attribuzioni pari a quelle degli altri. I principali organi collegiali della scuola, come previsti dal D.lgs. 297/1994, sono individuati a livello di istituto (organi previsti dagli artt. 5-11 del D.lgs. 297/1994); distrettuale (Consiglio scolastico distrettuale, artt. 16-19 del D.lgs. 297/1994); provinciale (Consiglio scolastico provinciale, artt. 20-22 del D.lgs. 297/1994). Il D.lgs. 233/1999, su delega dell’art. 21 c. 15 della legge 59/1997, per armonizzare l’assetto organizzativo dell’amministrazione centrale e periferica rispetto all’impianto autonomistico delle istituzioni scolastiche, ha ridisegnato il quadro degli organi collegiali territoriali della scuola, individuando a livello centrale il consiglio superiore della pubblica istruzione; a livello regionale i consigli regionali dell’istruzione; al livello locale i consigli scolastici locali. In questo momento risulta costituito e operante il Consiglio superiore della pubblica istruzione. In questa sede ci soffermeremo sugli organi collegiali operanti a livelli di istituto, prestando anche attenzione sia all’assemblea e al comitato degli studenti (artt. 12-14 del D.lgs. 297/1994), sia all’assemblea e al comitato dei genitori (art. 15 del D.lgs. 297/1994) e cercheremo di precisare alcuni aspetti del funzionamento concreto di un organo collegiale.
2. Gli organi collegiali a livello di istituto A livello di istituto quello del dirigente scolastico, come detto, è un organo individuale (di natura monocratica). Gli organi collegiali sono invece il consiglio di istituto e la giunta esecutiva; il collegio dei docenti; il consiglio di intersezione, di interclasse e di classe; il comitato per la valutazione dei docenti. Sono meritevoli di attenzione anche sia l’assemblea degli studenti e il comitato studentesco, sia l’assemblea e il comitato dei genitori, pur trattandosi di soggetti che non si configurano quali organi collegiali. La composizione e il funzionamento degli organi collegiali della scuola risale al periodo dei cosiddetti decreti delegati del 1974 (DD.PP.RR. 31 maggio 1974, nn. 416-420, il n. 416 è quello che riguarda specificamente gli organi collegiali), ispirati a promuovere l’allargamento della partecipazione alla vita della scuola a tutte le componenti effettivamente coinvolte, compresi quindi i genitori e gli studenti. La relativa disciplina è confluita nel D.lgs. 297/1994 ed è rimasta di fatto inalterata, anche se nei decenni successivi è mutato profondamente il quadro normativo complessivo della governance della scuola. In molti ambiti, infatti, quanto previsto per gli organi collegiali della scuola mal si armonizza con le attribuzioni relative all’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 21 della legge 59/1997 e, in particolare, D.P.R. 275/1999 e in ultimo legge 107/2015) soprattutto con quelle relative alla dirigenza scolastica, prima disciplinata solo dall’art. 396 del D.lgs. 297/1994, oggi ampiamente superato dalla normativa successiva (artt. 4, 5, 17 e 25 D.lgs. 165/2001 in primis e D.I. 129/2019). La conseguenza più diretta è che per evitare la non infrequente frizione tra le previsioni pre-autonomistiche e quelle successive all’autonomia scolastica è necessario saper individuare l’effettivo riparto delle competenze tra organi collegiali e organo monocratico (dirigente scolastico). In merito si è espresso il Consiglio di Stato proprio all’avvio dell’ordinamento autotonomistico, sottolineando che dopo l’autonomia gli organi collegiali conservano solo le competenze residue rispetto a quelle che caratterizzano il ruolo del dirigente scolastico (Consiglio di Stato, sez. II, parere 27/10/1999, n. 1603 sulle compentenze circa il bilancio in capo al dirigente e al consiglio di istituto/giunta esecutiva; Consiglio di Stato, sez. II, parere 26/7/2000, n. 1021 sui cosiddetti collaboratori del dirigente, prima eletti dal collegio dei docenti e poi individuati dal dirigente scolastico in quanto delegati). 2.1 Consiglio di istituto e giunta esecutiva
Il consiglio di istituto è l’organo di indirizzo e di controllo dell’istituzione scolastica e pertanto ha competenze distinte rispetto a quelle del dirigente scolastico, che esercita invece funzioni di attuazione, di gestione e di organizzazione (art. 4, D.lgs. 165/2001). Se è il consiglio di istituto ad approvare il programma annuale, è competenza del dirigente scolastico metterlo in atto e riferire al consiglio di istituto in merito all’attuazione progressiva del programma stesso e all’andamento generale, didattico e amministrativo dell’istituzione scolastica anche sulla base di una specifica relazione presentata, appunto, dal dirigente stesso (art. 25, c. 6 del D.lgs. 165/2001). La composizione del consiglio di istituto e della giunta esecutiva è stabilita dall’art. 8 del D.lgs. 297/1994. Il consiglio di istituto è costituito da 14 componenti se la scuola ha fino a 500 alunni, da 19 componenti se la scuola ha più di 500 alunni. Il dirigente scolastico
è membro di diritto del consiglio di istituto; gli altri membri sono i rappresentanti rispettivamente dei docenti, del personale ATA, dei genitori e, nel caso delle istituzioni scolastiche superiori, degli studenti. Negli istituti comprensivi le componenti sono così rappresentate (cfr. Tabella 1): Tabella 1 numero alunni nella scuola
numero componenti del Consiglio di istituto
dirigente scolastico
numero docenti
numero Ata
numero genitori
fino a 500
14
1
6
1
6
oltre 500
19
1
8
2
8
Negli istituti di istruzione secondaria superiore i rappresentanti delle componenti sono così distribuiti (cfr. Tabella 2): Tabella 2 numero alunni nella scuola
numero componenti del Consiglio di istituto
dirigente scolastico numero docenti numero Ata numero genitori numero studenti
fino a 500
14
1
6
1
3
3
oltre 500
19
1
8
2
4
4
Il consiglio di istituto è presieduto da uno dei membri della componente dei genitori, eletto a maggioranza assoluta dei votanti o, se tale maggioranza non viene raggiunta nella prima votazione, a maggioranza relativa. Può essere eletto anche un vicepresidente. Il presidente affida le funzioni di segretario, tra cui quella di verbalizzare le sedute, a un membro del consiglio. Gli studenti non ancora maggiorenni non esprimono voto deliberativo in merito al programma annuale, al conto consuntivo, all’impiego dei mezzi finanziari e agli acquisti, in quanto non sono assoggettati alla responsabilità patrimoniale (responsabilità amministrativa: art. 19 del D.lgs. 297/1994). I rappresentanti dei docenti appartengono al collegio dei docenti, dal quale sono eletti; quelli del personale ATA sono eletti dal personale ATA stesso; quelli dei genitori dagli esercenti la responsabilità genitoriale sugli studenti iscritti alla scuola; quelle degli studenti dagli studenti stessi. L’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza (art. 37, c. 1 del D.lgs. 297/1994): questo significa che il consiglio può funzionare legittimamente anche se una componente (per esempio quella del personale ATA) non ha espresso propri rappresentanti. Le modalità e la tempistica di elezione, disciplinate dagli artt. 30-36 del D.lgs. 297/1994, sono stabilite dall’O.M. 215/1991, così come integrata dall’O.M. 293/1996 e dall’O.M. 277/1998. Il consiglio di istituto ha la durata di tre anni scolastici: i rappresentanti che durante il periodo perdono i requisiti per essere eletti (per esempio docente o ATA che viene trasferito ad altro istituto; genitore di alunno che si trasferisce ad altra scuola o termina il percorso scolastico prima della scadenza del consiglio) sono sostituiti dai primi dei non eletti delle liste di appartenenza. Solo la componente degli studenti è rinnovata ogni anno con elezioni specifiche (art. 35 del D.lgs. 297/1994). I membri eletti, che non intervengono, senza giusitificati motivi, a tre sedute consecutive dell’organo di cui fanno parte, decadono dalla carica e vengono surrogati nelle modalità stabilite dall’art. 35 (art. 38 del D.lgs. 297/1994). Le sedute si svolgono in momenti non coincidenti con l’orario delle lezioni e comunque in orario compatibile con gli impegni di lavoro dei componenti (art. 39 D.lgs. 297/1994). La giunta esecutiva, della quale sono componenti di diritto il dirigente scolastico e il DSGA, è eletta dal consiglio di istituto e ha la stessa durata del consiglio. Il dirigente scolastico la presiede, il DSGA funge da segretario. Il consiglio elegge nel suo seno i rappresentanti delle componenti concorrendo a quadro che può essere così illustrato (cfr. Tabella 3): Tabella 3 tipologia di scuola
dirigente scolastico
docenti
Ata
genitori
studenti
istituto comprensivo
1
1
1
2
-
Scuola secondaria superiore
1
1
1
1
1
L’art. 10 del D.lgs. 297/1994 stabilisce che il consiglio di istituto ha potere di deliberare, su proposta della giunta esecutiva, in merito a molteplici materie, che devono però essere considerate alla luce della normativa successiva. Come già detto, infatti, l’ordinamento autonomistico ha apportato integrazioni e modifiche di fatto a quanto previsto dal D.lgs. 297/1994 proprio circa la competenza sulle stesse tematiche. Il quadro delle materie su cui il consiglio è chiamato a deliberare, fatte salve le competenze degli altri organi, può essere articolato nei seguenti ambiti: a. programmazione: 1. approvazione del Piano triennale dell’offerta formativa: il D.P.R. 275/1999 all’art. 3, modificato dall’art. 1, c. 14 della legge 107/2015, dispone che il consiglio di istituto approva il PTOF, elaborato dal collegio dei docenti sulla base dell’atto di indirizzo adottato dal dirigente scolastico. Fondamentale risulta la coerenza tra il PTOF, il RAV, il PdM e le azioni di rendicontazione sociale che la scuola è chiamata a garantire (D.P.R. 80/2013). Da integrare nell’elaborazione del PTOF sono anche altre competenze del consiglio quali i criteri generali della programmazione educativa; la sperimentazione e aggiornamento ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 275/1999; i criteri per la programmazione e l’attuazione delle attività parascolatiche, interscolastiche ed extrascolastiche (corsi di recupero e di sostegno, visite guidate e viaggi di istruzione ecc.); le iniziative per l’educazione alla salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze (art. 106, D.P.R. 309/1990); 2. adattamento del calendario scolastico regionale alle specifiche esigenze ambientali;
b. risorse e attività negoziale: 3. approvazione del programma annuale, predisposto dal dirigente scolastico e proposto al consiglio dalla giunta esecutiva. Rilevante il ruolo che
il consiglio esercita circa l’utilizzo dell’eventuale contribuito volontario versato dalle famiglie per l’ampliamento dell’offerta formativa, che deve ricevere evidenza sia nel programma annuale sia nella relazione accompagnatoria del dirigente scolastico (così pure nel conto consuntivo). Il Consiglio d’Istituto verifica, almeno una volta durante l’esercizio finanziario, con apposita delibera di assestamento al programma annuale da adottarsi entro il 30 giugno, le disponibilità finanziarie dell’istituto, nonché lo stato di attuazione del programma e le modifiche che si rendono eventualmente necessarie (ulteriori verifiche possono essere disposte dal dirigente scolastico, art. 10, c. 1 del D.I. 129/2018); 4. approvazione del conto consuntivo, sottoposto al consiglio dal dirigente scolastico; 5. impiego dei mezzi finanziari per il funzionamento amministrativo e didattico dell’istituto; 6. definizione dell’utilizzo prioritario delle risorse finanziarie ai sensi dell’art. 88 del CCNL del comparto scuola 2006-2009 in coerenza con le priorità del PTOF; 7. forme di autofinanziamento; 11. forme e modalità per lo svolgimento di iniziative assistenziali che possono essere assunte dall’istituto ai sensi dell’art. 45, c. 1 lett. c) del D.I. 129/2018 relativo all’istituzione o alla compartecipazione a borse di studio; 8. acquisto, rinnovo e conservazione delle attrezzature tecnico-scientifiche e dei sussidi didattici, compresi quelli audio-televisivi e le dotazioni librarie, e acquisto dei materiali di consumo occorrenti per le esercitazioni.
Sull’attività negoziale delle istituzioni scolastiche è necessario tenere presente quanto disposto dal D.I. 129/2018, che definisce in modo preciso le competenze e i poteri del consiglio di istituto in materia di attività negoziale. All’art. 45 del D.I. 129/2018 le competenze del consiglio sono specificate nella loro distinzione rispetto a quelle del dirigente scolastico: il c. 1 dispone che il consiglio deliberi sui singoli contratti in merito: a. all’accettazione e alla rinuncia di legati, eredità e donazioni; b. alla costituzione o compartecipazione ad associazioni o fondazioni; c. all’istituzione o compartecipazione a borse di studio; d. all’accensione di mutui e in genere ai contratti di durata pluriennale; e. all’alienazione, trasferimento, costituzione, modificazione di diritti reali su beni immobili appartenenti alla istituzione scolastica; f. all’adesione a reti di scuole e consorzi; g. all’utilizzazione economica delle opere dell’ingegno e dei diritti di proprietà industriale; h. alla partecipazione dell’istituzione scolastica a iniziative che comportino il coinvolgimento di agenzie, enti, università, soggetti pubblici o privati; i. alla coerenza, rispetto alle previsioni del PTOF e del programma annuale, delle determinazioni a contrarre adottate dal dirigente per acquisizioni di importo superiore alla soglia comunitaria. Tale delibera del Consiglio d’Istituto deve essere antecedente alla pubblicazione del bando di gara o trasmissione della lettera di invito; j. all’acquisto di immobili, che può essere effettuato esclusivamente con fondi derivanti da attività proprie dell’istituzione scolastica, ovvero a seguito di legati, eredità e donazioni.
Al c. 2 è individuata, invece, la competenza del consiglio a determinare i criteri e i limiti per lo svolgimento da parte del dirigente scolastico delle seguenti attività negoziali: a. affidamenti di lavori, servizi e forniture, secondo quanto disposto dal D. lgs. 50/2016 e dalle relative previsioni di attuazione, di importo superiore a 10.000 euro; b. contratti di sponsorizzazione, per i quali è accordata la preferenza a soggetti che, per finalità statutarie e/o attività svolte abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell’infanzia e dell’adolescenza; c. contratti di locazione di immobili; d. utilizzazione da parte di soggetti terzi di locali, beni o siti informatici, appartenenti alla istituzione scolastica o in uso alla medesima; e. convenzioni relative a prestazioni del personale della scuola e degli alunni per conto terzi; f. alienazione di beni e servizi prodotti nell’esercizio di attività didattiche o programmate a favore di terzi; g. acquisto e alienazione di titoli di Stato; h. contratti di prestazione d’opera con esperti per particolari attività e insegnamenti; i. partecipazione a progetti internazionali; j. determinazione della consistenza massima e dei limiti di importo del fondo economale (il cosiddetto “fondo per le minute spese”, di cui all’art. 21 del D.I. 129/2018).
In tutti i casi individuati dai cc. 1 e 2, l’attività negoziale del dirigente scolastico è subordinata alla previa deliberazione del Consiglio d’Istituto. In tali casi, il dirigente scolastico non può, inoltre, recedere, rinunciare o transigere se non previamente autorizzato dal Consiglio d’Istituto; c. regolamentazione interna: 10. adozione del regolamento interno della scuola, in cui sono stabilite le modalità di funzionamento della biblioteca, di uso delle attrezzature e per vigilanza degli alunni durante l’ingresso, la permanenza e l’uscita degli alunni stessi e di partecipazione del pubblico alle sedute del consiglio, la partecipazione del pubblico ai lavori del consiglio ai sensi dell’art. 42 del D.lgs. 297/1994. Integrati al regolamento interno devono essere: il cosiddetto regolamento di disciplina per la legittimità dell’azione disciplinare nei confronti degli studenti (art. 4 del D.P.R. 249/1998), nel quale è previsto l’organo di garanzia interno (composto almeno dal dirigente scolastico, che lo presiede, da un docente, da due genitori nella scuola del primo ciclo o da un genitore e uno studente nel secondo ciclo: art. 5, cc. 1-2 del D.P.R. 249/1998); il patto educativo di corresponsabilità educativa (art. 5-bis del D.P.R. 249/1998 e art. 1, c. 4 del D.lgs. 62/2017); 11. criteri generali sulla formazione delle classi; 12. criteri generali per l’assegnazioni dei docenti alle classi;
d. interazione con il territorio:
13 promozione di collaborazioni con altre scuole anche attraverso la costituzione di reti o l’adesione a reti già esistenti ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 275/1999; 14. partecipazione della scuola ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo.
Qualora la scuola sia di nuova istituzione e quindi al 1 settembre dell’anno scolastico non sia in carica il consiglio di istituto, il dirigente scolastico ne dà comunicazione all’USR territorialmente competente al quale il dirigente chiede di nominare un commissario straordinario che provveda a adottare le delibere di competenza del consiglio stesso fino all’elezione del consiglio di istituto (prevista normalmente tra fine novembre e inizio dicembre). Il commissario straordinario delibera il programma annuale che il dirigente scolastico predispone per il periodo settembre-dicembre: per la regione autonoma della Sicilia è previsto invece un programma annuale della durata di 16 mesi. La giunta esecutiva costituisce l’organo istruttorio delle attività svolte dal consiglio di istituto. Essa, nell’impianto preautonomistico, era competente a predisporre il bilancio preventivo (programma annuale) e il bilancio consuntivo (conto consuntivo) da trasmettere al consiglio di istituto, oggi di competenza del dirigente scolastico con la necessaria collaborazione del DSGA; continua a preparare i lavori del consiglio di istituto, fermo restando il diritto di iniziativa del consiglio stesso, e, ai sensi dell’art. 10, c. 10 del D.lgs. 297/1994, cura l’esecuzione delle relative delibere, prerogativa però oggi attribuita al dirigente scolastico in qualità di organo individuale preposto all’attuazione e alla gestione. Così pure disapplicata la competenza prevista dall’art. 10 cc. 11-12 del D.lgs. 297/1994 per i provvedimenti disciplinari a carico degli alunni su proposta del consiglio di classe: tale competenza risulta oggi attribuita ai soggetti individuati nello specifico regolamento adottato dal singolo istituto in coerenza con il D.P.R. 249/1998 e il D.P.R. 235/2007. 2.2 Collegio dei docenti
Il collegio dei docenti è organo tecnico in materia di programmazione didattica, formativa e educativa. La natura tecnico-professionale di tale organo è ribadita dalla legge 107/2015 e dai relativi decreti attuativi. La composizione e le competenze del collegio dei docenti sono definite dall’art. 7 del D.lgs. 297/1994. Anche in riferimento al collegio dei docenti tali competenze sono state definite in un quadro di previsioni preautonoministiche e pertanto l’attuale sussistenza delle competenze elencate dal D.lgs. 297/1994 non può non essere verificata sulla base dell’attuale quadro postautonomistico. Per fare un esempio, l’art. 7, c. 2, lett. h) del D.lgs. 297/1994 prevede che il collegio dei docenti elegga due docenti collaboratori del dirigente scolastico, previsione oggi superata dall’art. 25, c. 5 del D.lgs. 165/2001 (il dirigente scolastico individua i docenti ai quali delegare compiti e funzioni). Il collegio dei docenti è composto dal personale docente appartenente all’organico dell’autonomia dell’istituzione scolastica (come definito ai sensi dell’art. 1, c. 63 della legge 107/2015), ed è presieduto dal dirigente scolastico che ne fa quindi parte. Il collegio dei docenti si insedia all’inizio di ciascun anno scolastico e si riunisce quando il dirigente scolastico ne ravvisi la necessità, oppure quando almeno un terzo dei suoi componenti ne faccia richiesta; comunque, almeno una volta per ogni trimestre o quadrimestre. Le riunioni del collegio hanno luogo durante l’orario di servizio in ore non coincidenti con l’orario di lezione. Le funzioni di segretario del collegio sono attribuite a un membro dal dirigente scolastico in qualità di presidente. Il collegio dei docenti delibera in merito alle seguenti materie: 1. funzionamento didattico: il collegio dei docenti cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i contenuti e le metodologie di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Si tratta di delineare i percorsi formativi da includere nel PTOF utili a far conseguire agli studenti i risultati di apprendimento declinati dal profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) previsto per lo specifico indirizzo di studi (indicazioni nazionali per scuole del primo ciclo e per i licei; linee guida per istituti tecnici e istituti professionali). Il collegio esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente (art. 33 Costituzione); 2. elaborazione, di conseguenza, del PTOF sulla base dell’atto di indirizzo adottato dal dirigente scolastico tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti (art. 3 del D.P.R. 275/1999 come modificato dall’art. 1, c. 14 della legge 107/2015). Nell’elaborazione del PTOF il collegio dei docenti cura la programmazione e l’attuazione delle iniziative per il sostegno degli alunni portatori di handicap e individua i mezzi per il recupero dei casi di scarso profitto o di irregolare comportamento degli alunni; 3. proposte al dirigente scolastico per la formazione, la composizione delle classi e l’assegnazione alle classi stesse dei docenti; per la formulazione dell’orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal Consiglio d’Istituto; 4. delibera, ai fini della valutazione degli alunni, della suddivisione dell’anno scolastico in due o tre periodi; 5. valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, e proposta, ove necessario, di opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica; 6. adozione dei libri di testo, sentiti i consigli di interclasse o di classe; 7. promozione di iniziative di aggiornamento dei docenti, con la previsione di uno specifico piano per la formazione e l’aggiornamento dei docenti, in coerenza con il PTOF di cui il piano fa parte integrante, ovviamente, e quindi con il RAV e il PdM (art. 1, c. 124 della legge 107/2015); 8. elezione dei suoi rappresentanti nel consiglio di istituto; 9. elezione, nel suo seno, dei docenti che fanno parte del comitato per la valutazione dei docenti; 10. parere al dirigente scolastico in ordine alla sospensione dal servizio e alla sospensione cautelare del personale docente quando ricorrano ragioni di particolare urgenza (art. 468 del D.lgs. 297/1994); 11. parere, per gli aspetti didattici, in ordine alle iniziative per l’educazione alla salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze (art. 106 del D.P.R. 309/1990).
Nelle proprie deliberazioni il collegio dei docenti tiene conto delle proposte e dei pareri dei consigli di intersezione, di interclasse o di classe. Per ragioni di funzionalità e opportunità operativa, da valutare sulla base degli obiettivi da raggiungere, il collegio si può articolare per dipartimenti (per esempio dipartimenti per discipline; per ambiti disciplinari; per assi culturali ecc.), fermo restando che la competenza a deliberare spetta al collegio convocato in seduta plenaria. 2.3 Il consiglio di intersezione, di interclasse e di classe
Il consiglio di intersezione, di interclasse e di classe è disciplinato dall’art. 5 del D.lgs. 297/1994. Si tratta di un organo con la medesima natura tecnica del collegio dei docenti, ma al quale partecipano oltre ai docenti (compresi quelli di sostegno; quelli per l’insegnamento della religione cattolica; quelli di materia alternativa all’insegnamento della religione cattolica; quelli tecnico-pratici) anche i rappresentanti dei genitori e, nelle scuole del secondo ciclo, quelli degli studenti come componenti di pari diritto. Il consiglio cura la programmazione didattico-formativa in riferimento agli studenti della sezione per la scuola dell’infanzia, delle classi parallele o dello stesso ciclo o dello stesso plesso della scuola primaria e della singola classe per la Scuola secondaria di primo e di secondo grado, nonché la valutazione dei risultati di apprendimento raggiunti dagli allievi. Si parla, infatti, di consiglio di intersezione nella scuola dell’infanzia; di consiglio di interclasse nella scuola primaria; di consiglio di classe negli istituti di istruzione secondaria di primo e di secondo grado. La composizione delle tre tipologie di consiglio è illustrata nella Tabella 4: Tabella 4 Consiglio
presidente
docenti
genitori
di dell’infanzia intersezione
scuola
dirigente scolastico (o delegato dal ds e appartenente al consiglio stesso)
tutti i docenti delle sezioni di Scuola dell’infanzia
1 per ciascuna sezione
studenti
di interclasse
primaria
dirigente scolastico (o delegato dal ds e appartenente al consiglio stesso)
tutti i docenti per classi parallele (per es. un consiglio di tutte le classi terze) o dello stesso ciclo o dello stesso plesso
1 per ciascuna sezione
di classe
secondaria di primo grado
dirigente scolastico (o delegato dal ds e appartenente al consiglio stesso)
tutti i docenti che insegnano nella singola classe 4 per ciascuna classe
di classe
secondaria di secondo grado
dirigente scolastico (o delegato dal ds e appartenente al consiglio stesso)
tutti i docenti che insegnano nella singola classe 2 per ciascuna 2 per classe ciascuna classe
Del consiglio di classe fanno parte a titolo consultivo anche gli assistenti addetti alle esercitazioni di laboratorio che coadiuvano i docenti delle corrispondenti materie tecniche e scientifiche, negli istituti tecnici, negli istituti professionali e nei licei. Il presidente designa, in apertura di seduta, un docente quale segretario verbalizzatore. I consigli si riuniscono in ore non coincidenti con l’orario delle lezioni, col compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e a iniziative di sperimentazione e con quello di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori e alunni. Spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti competenze relative alla: 1. realizzazione del coordinamento didattico e dei rapporti interdisciplinari; 2. valutazione periodica e finale degli alunni. Si tratta della seduta dedicata allo scrutinio per la valutazione periodica (alla fine del primo dei due periodi in cui la scuola ha deciso di articolare l’anno scolastico) e finale per deliberare l’ammissione o la non ammissione dello studente alla classe successiva. Il voto unico viene assegnato dal consiglio di classe sulla base delle proposte formulate, nonché degli elementi di giudizio forniti dai docenti interessati. I docenti di sostegno partecipano alla valutazione di tutti gli alunni della classe: qualora un alunno con disabilità sia affidato a più docenti di sostegno, questi si esprimono con voto unico. Le proposte di voto per le valutazioni periodiche e finali sono formulate dai docenti di materie tecniche e scientifiche, sentiti gli assistenti coadiutori.
In riferimento alla decisione di irrogare specifiche sanzioni disciplinari agli studenti della Scuola secondaria, secondo la previsione del D.P.R. 249/1998 e del regolamento di istituto, il consiglio deve operare in composizione completa (devono essere convocati tutti i componenti), ma non perfetta (la seduta è valida se è presente la metà dei componenti più uno). 2.4 I gruppi per l’inclusione scolastica
Si ritiene utile richiamare l’attenzione anche su alcuni organismi, previsti dalla normativa sull’inclusione scolastica (in particolare dall’art. 9 del D.lgs. 66/2017, come modificato dal D.lgs. 96/2019), che, pur non configurandosi come organi collegiali, con tali organi interagiscono in virtù delle proprie competenze: GLO (Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione dei singoli alunni con accertata condizione di disabilità): è istituito presso ogni istituzione scolastica e ha competenza per ogni alunno con accertata condizione di disabilità nella definizione del PEI, nella verifica dell’attuazione del processo di inclusione, nella proposta di quantificazione delle ore di sostegno. La sua composizione prevede la presenza di tutti i docenti del consiglio di classe, dei genitori degli alunni con disabilità presenti nella classe, delle figure professionali specifiche interne ed esterne all’istituzione scolastica e dei rappresentanti dell’unità di valutazione multidisciplinare. Si prevede anche la partecipazione attiva degli studenti con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nel rispetto del principio di autodeterminazione; u GLI (Gruppo di lavoro per l’inclusione, presso ogni istituzione scolastica): è presieduto dal dirigente scolastico e composto dai docenti, compresi quelli di sostegno, eventualmente da personale ATA, da specialisti della ASL e del territorio di riferimento: supporta il collegio dei u
docenti nella definizione e nella realizzazione del piano di inclusione di istituto, avvalendosi anche della collaborazione di studenti e di genitori e della consulenza delle associazioni delle persone con disabilità. Per quanto riguarda le modalità di utilizzazione delle risorse attribuite alla scuola per l’assistenza alle sedute del gruppo può partecipare anche un rappresentante dell’ente locale competente; u GIT (Gruppo per l’inclusione territoriale, presso ogni ambito territoriale provinciale): è nominato dal direttore generale dell’USR, è composto da personale docente esperto in materia di inclusione ed è coordinato dal un dirigente tecnico o da un dirigente scolastico che lo presiede. Il gruppo si esprime sulla proposta sul fabbisogno delle misure di sostegno avanzata dal dirigente scolastico, confermandola o esprimendo parere difforme; supporta le scuole nella redazione del PEI e nel potenziamento delle attività finalizzate all’inclusione; u GLIR (Gruppo di lavoro interistituzionale regionale, istituito presso ogni Ufficio scolastico regionale e presieduto dal dirigente preposto all’USR o da un suo delegato): presta consulenza e avanza proposte all’USR sull’inclusione scolastica, sulla continuità delle azioni sul territorio con particolare riferimento alle azioni di orientamento e ai percorsi integrati scuola-territorio-lavoro; supporta il GIT, nonché le reti di scuole per la realizzazione dei piani di formazione del personale. 2.5 Il comitato per la valutazione dei docenti
Il comitato di valutazione dei docenti è previsto dall’art. 11 del D.lgs. 297/1994. La disciplina dell’organo è stata oggetto di significative modifiche per l’effetto dell’art. 1, c. 129 della legge 107/2015, che ha definito una composizione variabile dell’organo a seconda delle competenze che di volta in volta l’organo stesso è chiamato a esercitare. Il comitato, che ha durata di tre anni scolastici, è presieduto dal dirigente scolastico ed è costituito dai seguenti componenti: a. tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto. Il collegio e il consiglio di istituto a tal fine stabiliscono le procedure di scelta più idonee, sempre nel rispetto dell’ordinamento; b. due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione; un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori, per il secondo ciclo di istruzione, scelti dal consiglio di istituto. I candidati possono anche non essere scelti tra i componenti del consiglio di istituto; c. un componente esterno individuato dall’ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici.
Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti, prevista dall’art. 1, cc. 126-129 della legge 107/2015 (bonus premiale), sulla base: a. della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti; b. dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche; c. delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.
Il comitato esprime parere sul superamento del periodo di formazione e di prova del personale docente e educativo neoassunto, articolandosi in una composizione specifica, costituita dal dirigente scolastico (che presiede l’organo) e dai docenti, ed è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di tutor del docente neoimmesso in ruolo: non sono parte dell’organo, quindi, i rappresentanti dei genitori, degli studenti e il componente esterno. L’organo valuta anche il servizio del personale docente che ai sensi dell’art. 448 del D.lgs. 297/1994, ne faccia richiesta, previa relazione del dirigente scolastico; nel caso di valutazione del servizio di un docente componente del comitato, ai lavori non partecipa l’interessato e il consiglio di istituto provvede all’individuazione di un sostituto. Il comitato esercita, infine, le competenze per la riabilitazione del personale docente (art. 501 del D.lgs. 297/1994) che sia stato destinatario di una sanzione disciplinare: trascorsi due anni dalla data dell’atto di irrogazione della sanzione, infatti, il dipendente che, a giudizio del comitato, abbia mantenuto condotta meritevole, può chiedere che siano resi nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva. 2.6 Assemblee degli studenti e dei genitori
L’art. 12 del D.lgs. 297/1994, realizzando l’ispirazione originaria dei decreti delegati del 1974, promuove la partecipazione alla vita della scuola di tutte le componenti interessate: dispone che gli studenti della Scuola secondaria superiore e i genitori degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado hanno diritto di riunirsi in assemblea nei locali della scuola e di costituire rispettivi comitati. Tali comitati non si configurano quali organi collegiali, viste le osservazioni sulla natura dell’organo amministrativo formulate in premessa. Per quanto attiene alle assemblee studentesche gli artt. 13 e 14 del D.lgs. 297/1994 prevedono che esse, sia che si configurino come assemblee di classe sia come assemblee di istituto, siano occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti. È consentito lo svolgimento di una assemblea di istituto e una di classe al mese nel limite, la prima, delle ore di lezione di una giornata e, la seconda, di due ore. L’assemblea di classe non può essere tenuta sempre lo stesso giorno della settimana durante l’anno scolastico: altra assemblea mensile può svolgersi fuori dell’orario delle lezioni, subordinatamente alla disponibilità dei locali. Alle assemblee di istituto svolte durante l’orario delle lezioni, e in numero non superiore a quattro, può essere richiesta la partecipazione di esperti di problemi sociali, culturali, artistici e scientifici, indicati dagli studenti unitamente agli argomenti da inserire nell’ordine del giorno. Questa partecipazione deve essere autorizzata dal Consiglio d’Istituto. Su richiesta degli studenti le ore destinate alle assemblee possono essere utilizzate per lo svolgimento di attività di ricerca, di seminario e per lavori di gruppo. Non possono aver luogo assemblee nel mese conclusivo delle lezioni. All’assemblea di classe o a quella di istituto possono assistere i docenti che lo desiderino, oltre al dirigente scolastico o un suo delegato, che ha potere di intervento nel caso di violazione del regolamento o in caso di constatata impossibilità di ordinato svolgimento dell’assemblea. I rappresentanti degli studenti nei consigli di classe, inoltre, possono esprimere un comitato studentesco di istituto per esprimere pareri o formulare proposte direttamente al consiglio di istituto.
L’assemblea di istituto è convocata su richiesta della maggioranza del comitato studentesco di istituto o su richiesta del 10% degli studenti. La data di convocazione e l’ordine del giorno dell’assemblea devono essere preventivamente presentati al dirigente scolastico. Per quanto riguarda invece le assemblee dei genitori l’art. 15 del D.lgs. 297/1994 prevede che le assemblee dei genitori possono essere di sezione, di classe o di istituto e che i rappresentanti dei genitori nei consigli di intersezione, di interclasse o di classe possono esprimere un comitato dei genitori del circolo o dell’istituto. L’assemblea di sezione o di classe è convocata su richiesta dei genitori eletti nei consigli di intersezione, di interclasse o di classe; l’assemblea di istituto è convocata su richiesta del presidente dell’assemblea, ove sia stato eletto, o della maggioranza del comitato dei genitori, oppure qualora la richiedano cento genitori negli istituti con popolazione scolastica fino a 500, duecento negli istituti con popolazione scolastica fino a 1000, trecento negli altri. Il dirigente scolastico, sentita la giunta esecutiva del consiglio di circolo o di istituto, autorizza la convocazione e i genitori promotori ne danno comunicazione mediante richiesta di affissione di avviso all’albo, rendendo noto anche l’ordine del giorno. L’assemblea si svolge fuori dell’orario delle lezioni. All’assemblea di sezione, di classe o di istituto possono partecipare con diritto di parola il dirigente scolastico e i docenti rispettivamente della sezione, della classe o dell’istituto.
3. Il funzionamento di un organo collegiale Ciascun organo collegiale gode del potere di autoregolamentazione del proprio funzionamento, fatto salvo il rispetto della normativa vigente: uno schema di regolamento tipo è fornito dalla circolare ministeriale 105/1975. Il funzionamento dell’organo non può prescindere dalle seguenti fasi: formulazione dell’ordine del giorno (elenco degli argomenti da trattare) e convocazione della seduta, indirizzati con congruo preavviso (di norma non inferiore a cinque giorni) a tutti i componenti dell’organo a cura del componente che presiede l’organo. L’art. 73, c. 2bis del D.L. 18/2020 (convertito dalla legge 27/2020) prevede che per tutta la durata dell’emergenza COVID 19 le sedute degli organi collegiali scolastici possono svolgersi in videoconferenza, anche se tale modalità non sia stata prevista nel regolamento interno (art. 40 del D.lgs. 297/1994); u verifica della costituzione regolare della seduta. L’art. 37 del D.lgs. 297/1994 fornisce alcuni principi fondamentali, disponendo in merito alla regolare costituzione degli organi, su cui si fonda la validità delle deliberazioni assunte. Prima di tutto un organo collegiale è da ritenersi validamente costituito anche nel caso, come abbiamo già detto, in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Questo significa, per esempio, che il comitato per la valutazione dei docenti può operare anche se una delle componenti previste non è rappresentata. Per la validità dell’adunanza del collegio dei docenti e del consiglio di istituto è richiesta la presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica al momento della seduta: si tratta del cosiddetto «quorum costitutivo (o strutturale)», che legittima l’organo a deliberare. Stesso principio vale per il consiglio di intersezione, di interclasse e di classe tranne nel caso in cui il consiglio svolga attività di valutazione e di giudizio sugli allievi (scrutinio): in questo caso il consiglio deve operare come collegio perfetto, con la presenza e il voto, quindi, della totalità dei componenti (cosiddetto «quorum integrale», per cui il quorum strutturale coincide con la totalità dei componenti). Qualora uno dei membri effettivi sia assente o impedito a partecipare, si procede a nominare un membro supplente; u presentazione delle mozioni, vale a dire delle proposte di decisione; u discussione sulle mozioni; u votazione e assunzione delle delibere: le deliberazioni dell’organo sono adottate a maggioranza assoluta dei voti validamente espressi («quorum deliberativo o funzionale»), salvo che disposizioni speciali prescrivano diversamente (art. 37, c. 3 del D.lgs. 297/1994). La deliberazione adottata dall’organo è, quindi, quella che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, tra i quali non vanno calcolati i voti nulli, ovviamente, e, secondo un orientamento giurisprudenziale, i voti degli astenuti: i componenti dell’organo che si astengono al momento della votazione concorrono alla definizione del quorum costitutivo, ma non a quella del quorum deliberativo: l’astenuto, infatti, contribuisce alla validità della seduta, pur potendo decidere di non esprimere un voto valido. Può accadere che un componente presente all’inizio della seduta si assenti durante una votazione: è, quindi, opportuno prima di ogni deliberazione che ha luogo in una forma che non consente di acclarare il numero dei partecipanti al voto (per esempio per alzata di mano) procedere a verificare la persistenza del quorum strutturale dandone evidenza nel verbale. In caso di vizio riguardante uno o più voti è ammissibile la cosiddetta prova di resistenza, che consiste nel fatto che tale vizio potrebbe non avere rilievo determinante ai fini della nullità o dell’annullabilità della deliberazione, che sarebbe salvaguardata in coerenza con il principio della conservazione degli atti amministrativi. Tale prova di resistenza deve essere esclusa nel caso in cui un componente in condizione di incompatibilità e in conflitto di interessi abbia partecipato non solo alla votazione, ma addirittura alla seduta stessa: non solo infatti l’espressione del voto al momento della votazione, ma la stessa presenza del componente in conflitto di interessi determina un effetto di condizionamento degli altri componenti che vizia la natura della deliberazione assunta. In questo caso, quindi, il componente che ha l’obbligo di astenersi non va calcolato nel quorum strutturale né in quello deliberativo. In caso di parità di voti prevale il voto del presidente (art. 37, c. 3 del D.lgs. 297/1994). Per alcuni casi è espressamente prevista l’unanimità decisionale (per esempio, per deliberare, in sede di scrutinio, la non ammissione alla classe successiva nella scuola primaria ai sensi dell’art. 3, c. 3 del D.lgs. 62/2017). Una votazione può realizzarsi in varie forme (per esempio alzata di mano o appello nominale), ma deve essere realizzato il voto segreto quando la delibera da assumere riguarda specifiche persone (in tal caso il pubblico, qualora previsto, non è ammesso alla seduta dell’organo); u verbalizzazione della seduta e approvazione del verbale: il verbale, redatto dal segretario dell’organo, documenta la manifestazione di volontà dell’organo stesso. Esso, infatti, deve essere sottoscritto dal presidente della seduta e dal segretario e deve contenere gli elementi utili a consentire la verifica dell’iter seguito per l’adozione dell’atto e della correttezza delle operazioni eseguite dall’organo: si deve dare conto, innanzitutto, del luogo e della data della seduta, della presenza dei componenti attestante il quorum strutturale e, quindi, in modo sintetico, degli elementi più rilevanti della discussione, delle modalità e dei risultati delle votazioni. Non è necessario che la redazione e l’approvazione del verbale abbiano luogo in concomitanza della seduta a cui il verbale si riferisce: molto spesso il verbale di una seduta viene approvato all’inizio della seduta immediatamente successiva. L’efficacia delle delibere assunte dall’organo, salvo che non sia diversamente disposto dalla norma, non dipende dall’approvazione avvenuta del verbale: le delibere sono quindi efficaci anche se il verbale non risulta ancora approvato. u
9. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti a cura di Marisa Monterosso
1. Introduzione Lo Statuto delle studentesse e degli studenti , emanato con il D.P.R. n. 249 del 24 giugno 1998 (successivamente modificato dal decreto del 21 novembre 2007, n. 235) ed entrato in vigore nell’anno scolastico 1998/99, costituisce un tassello importante del processo di rinnovamento che ha investito la scuola negli anni Novanta. Esso è nato dal confronto aperto tra il Ministero della Pubblica Istruzione – allora rappresentato dal ministro Luigi Berlinguer – e gli studenti delle Consulte provinciali e ha ricevuto l’apporto fondamentale dei contributi inviati dalle assemblee d’istituto. Lo Statuto risulta ispirato a politiche di partecipazione attiva e responsabile nella definizione del quadro delle relazioni tra gli studenti e sotto il profilo delle relazioni tra gli studenti e le altre componenti della comunità scolastica. Esso si colloca all’interno del processo di valorizzazione dell’autonomia che investe le comunità scolastiche chiamate a progettare la loro offerta formativa e detta le norme generali che ogni istituzione scolastica deve sviluppare e integrare nella formulazione del regolamento d’istituto, che costituisce uno dei documenti più importanti nella produzione documentale della scuola. 1.1 La riforma del 2007
Gravi episodi di violenza scolastica, sfocianti non di rado nel fenomeno del bullismo, hanno determinato la necessità di intervenire per integrare e migliorare lo Statuto fornendo alla scuola strumenti efficaci per contrastarli. Ciò è avvenuto attraverso l’emanazione del D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007 (accompagnato da una circolare esplicativa), che ha introdotto importanti modifiche su tematiche «strategiche»: la tipologia delle sanzioni disciplinari; il procedimento per l’applicazione delle sanzioni; u l’introduzione del Patto educativo di corresponsabilità. u u
La finalità non è solo la previsione di sanzioni più rigide e più adeguate a rispondere a fatti di gravità eccezionale (episodi di violenza e bullismo), quanto quella di creare «un’alleanza educativa» tra famiglie, studenti e operatori scolastici e di promuovere «l’educazione alla cultura della legalità intesa come rispetto della persona umana e delle regole poste a fondamento della convivenza sociale» [99] . 1.2 Statuto delle studentesse e degli studenti e Regolamento d’istituto
Al Regolamento d’istituto è affidato il compito di adattare le norme emanate in materia scolastica al contesto particolare nel quale opera il singolo istituto e dunque, anche quello di adeguare le norme in esso previste al contenuto dello Statuto delle studentesse e degli studenti. Il Regolamento d’istituto deve dettare spazi, tempi e modalità per la partecipazione degli studenti alla vita della scuola, ma deve anche prevedere norme precise che garantiscano il rispetto dei diritti e dei doveri e la previsione di sanzioni nel caso di infrazioni. È fondamentale, perciò, che esso nasca dal confronto tra tutte le componenti – dirigente, docenti, famiglie, alunni – che condividono l’obiettivo del successo formativo di ogni studente. Il Regolamento d’istituto, assieme al Piano dell’offerta formativa, costituisce uno strumento fondamentale per delineare un sistema organizzativo condiviso. In particolare, l’adesione a un regolamento che nasce dalla condivisione «partecipata» si configura in termini di assunzione di responsabilità e di consapevolezza del proprio contributo alla crescita e al miglioramento della vita scolastica. 1.3 Cittadinanza e democrazia
La scelta di una partecipazione attiva alla vita della scuola da parte della popolazione studentesca delle scuole italiane di secondo grado nasceva dall’affermazione del principio di cittadinanza nella comunità scolastica, che intendeva tradursi nella titolarità di diritti e doveri da parte degli studenti, considerati come «una risorsa strategica su cui investire per il futuro e il presente del nostro Paese» [100] . Lo Statuto sostiene l’idea di cittadinanza sotto un duplice profilo: sul piano democratico e nell’ambito del percorso formativo dello studente. Sul piano democratico, la scuola costituisce la palestra ideale per l’esercizio della democrazia, in quanto le ragazze e i ragazzi, attraverso la partecipazione responsabile alla comunità scolastica, si educano al confronto e imparano le regole fondamentali su cui si basa la vita sociale. Partecipare significa anche adempiere i propri doveri e rispettare i diritti degli altri: è per questo che lo Statuto delle studentesse e degli studenti affianca, alla previsione dei diritti, l’elenco dei doveri che i discenti sono tenuti a osservare. Nell’ambito del percorso formativo, lo studente è visto non come un semplice utente, ma come soggetto dell’apprendimento, titolare, perciò, di un diritto all’apprendimento, alla cui realizzazione deve tendere tutta l’organizzazione scolastica attraverso ogni sua componente. Ciò si evince dall’intero apparato normativo in materia di autonomia scolastica: se si compie una lettura multilivello del mosaico delle riforme che hanno investito l’organizzazione della scuola italiana a partire dagli anni Novanta, si osserva come l’introduzione della flessibilità dei curricoli, la differenziazione dei percorsi formativi, l’attenzione a forme di individualizzazione e di
personalizzazione dell’apprendimento, ad altro non siano rivolte se non al successo formativo dello studente. L’apprendimento non può essere considerato, dunque, un generico diritto all’opportunità di istruirsi, ma un vero e proprio diritto al successo formativo. 1.4 Destinatari
I destinatari delle norme contenute nello Statuto sono gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Lo Statuto non si applica alla scuola primaria, per la quale risulta ancora vigente il regio decreto 26 aprile 1928 n. 1297 nelle parti non incompatibili con la disciplina successivamente intervenuta. Occorre sottolineare tuttavia che, ai sensi dell’art. 7 della legge 92/2019, che introduce l’insegnamento dell’educazione civica, «la scuola rafforza la collaborazione con le famiglie, anche integrando il Patto educativo di corresponsabilità […] estendendolo alla scuola primaria». 1.5 Articolazione
Lo Statuto si compone di 6 articoli: ART. 1 Vita della comunità scolastica ART. 2 Diritti ART. 3 Doveri ART. 4 Disciplina ART. 5 Impugnazioni ART. 5bis Patto educativo di corresponsabilità Art. 6 Disposizioni finali Gli obiettivi che l’articolato normativo esprime si sostanziano nella certezza delle regole, nel riconoscimento di diritti e nell’assunzione di doveri, nell’ottica di un sistema d’istruzione che persegue la finalità dell’educazione alla cittadinanza e alla democrazia.
2. Principi generali L’art. 1 (Vita della comunità scolastica ) qualifica la scuola in termini di luogo di incontro e di cooperazione, all’insegna di regole condivise e rispettate da parte di ciascuna componente. La scuola è luogo di formazione, dialogo, ricerca, educazione, esperienza sociale. Essa contribuisce a realizzare la crescita della persona e il conseguimento di obiettivi culturali e professionali. All’interno della scuola, ogni componente, con pari dignità e diversità di ruolo, opera per garantire: la formazione della cittadinanza; la realizzazione del diritto allo studio; u lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno; u il recupero delle situazioni di svantaggio; u u
in coerenza con i principi contenuti nella Costituzione italiana, nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (New York, 20 dicembre 1989) e secondo i principi generali dell’ordinamento italiano. La comunità scolastica: fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni tra docente e studente; contribuisce allo sviluppo della personalità dei giovani, anche attraverso l’educazione alla consapevolezza e alla valorizzazione della identità di genere, del senso di responsabilità e di autonomia individuale; u persegue il raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati all’evoluzione delle conoscenze e all’inserimento nella vita attiva. u u
La vita della comunità scolastica si basa su: libertà di espressione, pensiero, coscienza e religione; rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono; u ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale. u u
3. Diritti L’art. 2 trasferisce nella realtà scolastica diritti fondamentali. Le norme in esso contenute sono di portata innovativa, in quanto rendono reale il coinvolgimento e la partecipazione effettiva degli studenti alla vita della comunità scolastica. Ai fini di un’analisi attenta, distinguiamo: u
Diritti che favoriscono la partecipazione degli studenti al percorso formativo
L’articolo 2 prevede il diritto dello studente a una formazione qualificata che rispetti l’identità di ciascuno e sia aperta alla pluralità delle idee. La scuola valorizza le inclinazioni personali degli studenti, anche attraverso la possibilità di sviluppare temi liberamente scelti e di realizzare iniziative autonome. I dirigenti scolastici e i docenti attivano con gli studenti un dialogo costruttivo in tema di programmazione didattica, di organizzazione della scuola, di scelta di libri di testo, di criteri di valutazione e promuovono processi di autovalutazione. Appare ben delineata, quindi, un’idea di scuola che punta a un insegnamento efficace che, oltre a valorizzare le capacità di ciascuno, si basa sull’ascolto dei bisogni di colui che apprende e tende a far maturare negli studenti capacità di giudizio autonomo e di autovalutazione. u
Diritti che favoriscono la partecipazione e la rappresentanza
Lo studente ha diritto a essere informato sulle decisioni e sulle norme che regolano la vita della scuola. È garantito agli studenti il diritto di riunione e assemblea, secondo la disciplina prevista nel Regolamento d’istituto. La scuola garantisce il rispetto della pluralità culturale e religiosa, anche attraverso la realizzazione di attività interculturali. La creazione di un sistema di rappresentanza studentesca ha contribuito a realizzare la maturazione di una cultura propositiva e responsabile da parte degli studenti, che ha dato vita a relazioni proficue fra le diverse componenti scolastiche. Con la direttiva n. 1455/2006, il Ministero ha sottolineato l’importanza, «attiva e propositiva» della partecipazione studentesca. Essa costituisce, infatti, il motore propulsivo di una scuola che è in grado di valorizzare le inclinazioni personali di ogni studente e di promuovere la formazione di una cittadinanza consapevole. Si legge nel documento indicato: La scuola è la palestra ideale di questa pratica, quando sviluppa nella persona che apprende la consapevolezza dei propri percorsi formativi e favorisce e sostiene un processo relazionale finalizzato alla crescita globale, nella convinzione che le ragazze e i ragazzi, attraverso l’assunzione di responsabilità partecipative, si educano al confronto ed imparano le regole fondamentali del vivere sociale.
Allo scopo, gli uffici periferici dell’amministrazione scolastica, nonché i dirigenti scolastici, vengono invitati a favorire le condizioni per rafforzare il dialogo fra la rappresentanza degli studenti e l’amministrazione scolastica e a incoraggiare occasioni di partecipazione responsabile da parte degli studenti, anche nelle sedi delle Consulte provinciali. In linea con la promozione di iniziative di partecipazione studentesca, si ricorda che il D.lgs. 297/74 all’art. 13, riconosce alle assemblee d’Istituto la valenza di «occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti» e specifica che «è consentito lo svolgimento di una assemblea di istituto ed una di classe al mese nel limite, la prima, delle ore di lezione di una giornata e, la seconda, di due ore». L’art. 74 dello stesso T.U. prevede che allo svolgimento delle lezioni siano assegnati almeno 200 giorni. La nota ministeriale n. 4733/2003 ha chiarito che le ore riservate alle assemblee studentesche di classe, periodicamente tenute con le modalità di cui al comma 6 dell’art. 13 del D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297, pur incidendo sul monte ore delle lezioni, non sono da recuperare; le giornate riservate alle assemblee d’istituto, durante l’orario delle lezioni, in numero non superiore a quattro, aventi ad oggetto problemi sociali, culturali, artistici e scientifici, alle quali abbiano partecipato esperti, regolarmente autorizzati dal Consiglio d’Istituto (comma 7, art. 13 T.U.), sono da considerare a tutti gli effetti come lezioni; le ore destinate, su richiesta degli studenti, alle assemblee e utilizzate per lo svolgimento di attività di ricerca, di seminario e per lavori di gruppo, concorrono pienamente al computo dei 200 giorni destinati allo svolgimento delle lezioni.
u
Diritti che favoriscono il benessere scolastico
La scuola si impegna a realizzare le condizioni per assicurare un ambiente favorevole alla crescita integrale della persona, a favorire la salubrità e la sicurezza degli ambienti, a implementare iniziative atte a recuperare situazioni di svantaggio e a prevenire il fenomeno della dispersione scolastica. È attenta, inoltre, a fornire servizi di promozione della salute e di assistenza psicologica.
4. Doveri L’art. 3 contiene l’enunciazione dei doveri a cui ogni studente è tenuto a adempiere. Gli studenti devono frequentare regolarmente i corsi e assolvere assiduamente agli impegni di studio, ma devono anche rispettare le persone che costituiscono le figure scolastiche di riferimento (capo d’istituto, docenti, personale ATA, compagni). Il rispetto dei doveri qui richiamati è connesso allo status (ruolo ) di studente. È da rilevare che, ai sensi dell’art. 3, i ragazzi hanno il compito di osservare nei confronti del dirigente scolastico, dei docenti, del personale tutto e dei loro compagni lo stesso rispetto che chiedono per loro stessi. In presenza di comportamenti lesivi, si attiva il meccanismo dell’applicazione della sanzione disciplinare.
Nel caso particolare rappresentato dalla lesione del diritto alla riservatezza, che si configura in relazione all’utilizzo improprio di videofonini, fotografie digitali, registrazioni audio e video – caso purtroppo non infrequente nella quotidianità scolastica – si delinea non solo un trattamento illecito di dati personali, ma anche una grave mancanza sul piano disciplinare, che prevede che «tali comportamenti siano sanzionati con rigore e severità dai Regolamenti d’Istituto» [101] . Ai doveri appena enunciati, si aggiunge il rispetto delle norme di sicurezza e dell’utilizzo corretto di macchinari, strutture, sussidi; doveri, questi ultimi, connessi al comportamento che lo studente deve mantenere all’interno dell’ambiente scolastico. L’ultimo comma dell’articolo 3 richiama il principio della condivisione nella responsabilità di rendere accogliente l’ambiente scolastico e averne cura, come importante fattore di qualità della vita della scuola. La dimensione partecipativa alla crescita della comunità scolastica assume, in questo caso, la connotazione di un’idea di cittadinanza che si traduce in attenzione e cura dell’ambiente circostante come fattore di qualità.
5. Regime disciplinare Prima di entrare nello specifico del regime disciplinare contenuto nell’art. 4, è opportuno considerare che l’elencazione dei «macrodoveri» di cui all’art. 3 non può essere ritenuta una mera affermazione di principio: essa deve trovare materiale collocazione all’interno del Regolamento d’istituto, «tramite la specificazione di doveri e/o divieti di comportamento e di condotta». [102] Le modifiche relative al regime disciplinare introdotte dal D.P.R. 235/07 impongono dunque alle istituzioni scolastiche il necessario adeguamento dei regolamenti interni anche sotto questo profilo. 5.1 Responsabilità
Gli studenti sono tenuti a osservare i doveri sanciti nello Statuto allo stesso modo in cui il personale scolastico è tenuto all’osservanza dei doveri attinenti alla deontologia professionale secondo la legge e secondo i Contratti collettivi nazionali di lavoro. [103] A tal fine, i regolamenti delle singole Istituzioni Scolastiche individuano i comportamenti che configurano mancanze disciplinari con riferimento ai doveri elencati nell’art. 3[…], le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento.
Ciò che si richiede alle scuole è, dunque, uno sforzo di tipizzazione: il Regolamento d’istituto deve consentire agli studenti la previa conoscibilità dei comportamenti passibili di sanzioni disciplinari e degli organi competenti a irrogarle. A ciò è destinata un’apposita sezione del Regolamento, costituita dal Codice disciplinare. Se lo studente non è posto nella condizione di conoscere preventivamente il suo dovere di «fare» o «non fare» e la relativa sanzione applicabile, la conseguenza è che l’eventuale sanzione comminata è illegittima, come sottolineato da numerose sentenze del TAR. Ciò richiama il principio contenuto nell’art. 2 del codice penale [104] , che rimanda all’art. 25 della Costituzione, comma 2: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». 5.2 Sanzioni
Occorre tenere presente che la nuova stesura dello Statuto mira a sottolineare la finalità educativa della sanzione disciplinare, che tende, essenzialmente, «al ripristino di rapporti corretti […], nonché al recupero dello studente attraverso attività […] a vantaggio della comunità scolastica». Nello Statuto delle studentesse e degli studenti viene superata la concezione della sanzione concepita in termini repressivi e punitivi ai sensi del regio decreto n. 653 del 1925, a favore di un modello sanzionatorio che si ispira al principio educativo che prevede comportamenti di natura «riparatoria-risarcitoria». In altre parole, si afferma il principio innovativo per cui la sanzione irrogata, anziché orientarsi ad «espellere» lo studente dalla scuola, deve tendere sempre verso una responsabilizzazione del discente all’interno della comunità di cui è parte. In base ai principi sanciti dallo Statuto, e tradotti nella realtà scolastica autonoma dal Regolamento di Istituto, si deve puntare a condurre colui che ha violato i propri doveri non solo ad assumere consapevolezza del disvalore sociale della propria condotta contra legem , ma anche a porre in essere dei comportamenti volti a «riparare» il danno arrecato [105] .
D’altro canto, vale anche per i giovani il principio che la violazione delle regole, la cui osservanza è posta nell’interesse della collettività, comporti l’applicazione di una sanzione prevista dalla legge. 5.2.1 Principi u
Un principio fondamentale è contenuto nel comma 3, ai sensi del quale: La responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato invitato ad esporre le proprie ragioni. Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto.
Come si evince, oltre al principio della responsabilità, sono richiamati il principio del contraddittorio e il principio di difesa, entrambi di rango costituzionale. [106] Da ciò discende la necessità di effettuare correttamente ogni passaggio del procedimento disciplinare, come richiamato nella pronuncia del TAR Calabria, sede di Catanzaro, sez. II, sent. 9 novembre 2007, n. 1936 che, con riferimento al voto in condotta, aveva disposto che esso se assume connotazione negativa, deve necessariamente trovare riscontro nella previa contestazione degli addebiti, effettuata nelle forme del procedimento disciplinare regolato per la Scuola secondaria dall’art. 4 del D.P.R. n. 249/98. Il voto in condotta deve presentarsi come la risultante di precedenti misure sanzionatorie, comminate nel rispetto delle garanzie offerte dal procedimento disciplinare.
Dal principio della responsabilità personale discende l’impossibilità di irrogare sanzioni di natura «esemplare» che colpiscano indistintamente prescindendo da singole responsabilità. u
Altro principio fondamentale è che le sanzioni disciplinari possono essere irrogate soltanto previa verifica della sussistenza di elementi concreti, precisi e concordanti dai quali si desuma che l’infrazione disciplinare sia stata effettivamente commessa dallo studente incolpato.
Numerose pronunce in ambito amministrativo hanno sottolineato l’importanza della contestazione degli addebiti per la verifica della reale sussistenza dell’infrazione in ordine agli elementi costitutivi (concreti, precisi e concordanti), sulla quale individuare la sanzione adatta. Si segnala, in proposito, la sentenza del TAR Puglia, sede di Lecce, sez. II, sent. 31 luglio 2007, 39 n. 30, che ha ritenuto illegittima la sanzione della sospensione dalle lezioni con obbligo di frequenza di un alunno che, non essendo stato posto nelle condizioni di essere sentito personalmente, non poteva vedersi comminare una sanzione senza che fosse stata verificata l’effettiva imputabilità all’incolpato e l’effettiva presenza degli elementi costitutivi (gravi, precisi, concordanti). Se tali prerogative non venissero garantite, si finirebbe con l’applicare sanzioni sulla base di meri sospetti. u
L’art. 4 definisce anche i caratteri della sanzione: le sanzioni sono sempre temporanee, proporzionate alla infrazione disciplinare e ispirate, per quanto possibile, al principio della riparazione del danno. Esse tengono conto della situazione personale dello studente, della gravità del comportamento e delle conseguenze che da esso derivano.
Per quanto riguarda la durata della sanzione, è da rilevare la pronuncia del TAR Lazio, sez. III quater, sent. 27 febbraio 2008, n. 3664 che, disponendo sull’adozione di una sanzione disciplinare di natura «simbolica» nei confronti di un alunno, ha stabilito che è illegittima la sanzione che non indichi la durata della stessa. Il termine di efficacia costituisce requisito essenziale a tutti i provvedimenti di durata, la cui mancata pre-fissazione vizia formalmente e sostanzialmente il provvedimento.
Sul principio di proporzionalità, il Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 18 ottobre 2002, n. 6794 ha chiarito che l’applicazione delle punizioni […] è correlata alla gravità della mancanza, il che comporta l’obbligo per l’Amministrazione di tenere conto che deve sempre sussistere una proporzione tra il fatto contestato ed accertato e la misura della sanzione disciplinare inflitta. [107] 5.2.2 Classificazione delle sanzioni
L’art. 4 riporta una classificazione delle sanzioni secondo un crescendo di gravità: Sanzioni diverse dall’allontanamento temporaneo dalla comunità scolastica (art. 4, c. 1) da definire e individuare nel Regolamento d’istituto; Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per un periodo non superiore a 15 giorni (art. 4, c. 8), comminata dal consiglio di classe in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari. In questo caso è previsto un rapporto con studente e genitori per preparare il suo rientro a scuola; u Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per un periodo superiore a 15 giorni (art. 4, c. 9), adottate dal Consiglio d’Istituto in presenza di due condizioni: a) devono essere commessi reati che violano la dignità della persona umana o deve essere presente una situazione di pericolo per l’incolumità delle persone; b) il fatto dev’essere grave tanto da giustificare la deroga al limite dell’allontanamento fino ai 15 giorni. In questo caso, la scuola promuove un percorso di recupero in coordinamento con la famiglia e, se necessario, anche con i servizi sociali e l’autorità giudiziaria; u Sanzioni che comportano l’allontanamento dello studente dalla comunità scolastica fino al termine dell’anno scolastico (art. 4, c. 9bis), comminate dal Consiglio d’Istituto in presenza di due condizioni: a) devono ricorrere situazioni di recidiva, oppure deve trattarsi di atti connotati da particolare gravità; b) non sono esperibili interventi per il reinserimento dello studente nella comunità; u Sanzioni che comportano l’esclusione dello studente dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi (art. 4, cc. 9bis e 9ter), adottate dal Consiglio d’Istituto. u u
Lo studente può iscriversi in altra scuola, anche nel corso dell’anno scolastico, se il rientro nella comunità scolastica sia sconsigliato dall’autorità giudiziaria, dai servizi sociali, o dalla situazione rappresentata dalla famiglia o dallo studente stesso. L’irrogazione della sanzione va adeguatamente motivata (art. 3, legge 241/90): maggiore è la gravità della sanzione irrogata, maggiore dovrà essere il rigore nella motivazione, al fine di dare dimostrazione che i principi di gradualità e proporzione siano stati rispettati. u «Allo studente è sempre offerta la possibilità di convertire le sanzioni in attività a favore della comunità scolastica». La finalità educativa della sanzione consente allo studente di chiederne la conversione in attività di natura sociale, culturale e in generale a vantaggio della comunità scolastica. Allo scopo, i regolamenti d’istituto individueranno le attività nelle quali la sanzione può essere convertita (volontariato, piccola manutenzione, pulizia dei locali, attività di segreteria…). u
5.3 Procedimento disciplinare
L’applicazione della sanzione non consegue in via immediata alla commissione dell’infrazione: essa è l’atto conclusivo di un iter , che è quello del procedimento amministrativo [108] , così come regolato dalla legge 241/90, che costituisce il quadro di riferimento per gli aspetti procedurali che riguardano l’azione disciplinare nei confronti degli studenti. L’atto di auto-organizzazione d’istituto (Regolamento), oltre al codice disciplinare, deve specificare il procedimento, che deve svolgersi secondo le disposizioni sugli obblighi procedimentali previste dalla legge 241/90 (criteri, conclusione del procedimento, motivazione dei provvedimenti, individuazione del responsabile del procedimento, comunicazione di avvio del procedimento, accesso agli atti…). Il procedimento disciplinare si compone di quattro fasi: 1. Fase dell’iniziativa . Si apre a cura del dirigente scolastico, quando questi viene a conoscenza di fatti passibili di sanzioni disciplinari secondo il Regolamento d’istituto, e prevede la comunicazione scritta dell’avvio del procedimento allo studente se maggiorenne, alla famiglia se minorenne. La comunicazione contiene la convocazione per consentire l’esercizio del diritto di difesa, con la possibilità di presentare memorie. La comunicazione va notificata in forma scritta. Sebbene la responsabilità finale del procedimento competa al dirigente scolastico, viene individuato un responsabile dell’istruttoria. 2. Fase istruttoria . Il dirigente scolastico, assieme al responsabile dell’istruttoria, acquisisce tutti gli elementi utili a ricostruire dinamiche e appurare responsabilità (testimonianze, memorie scritte). Convoca il consiglio di classe, che si riunisce con la presenza di tutte le sue componenti e, in presenza degli esercenti la potestà genitoriale (a cui sarà stata notificata data, ora, sede e ordine del giorno), ascolta gli studenti individuati come responsabili. In questa sede, lo studente sanzionato, può chiedere la conversione della sanzione. Se la sanzione applicabile non è di competenza del consiglio di classe, dev’essere convocato, con analoga procedura, il Consiglio d’Istituto [109] . Della seduta dovrà essere redatto analitico verbale, che dovrà contenere il percorso logico che ha portato alla sanzione e la motivazione del provvedimento, parti entrambe indispensabili per non incorrere in vizi di legittimità in caso di impugnazione.
3. Fase decisoria . Il dirigente scolastico redige l’atto conclusivo di assoluzione o erogazione della sanzione, sulla base del verbale dell’organo collegiale. Ricordiamo che esso va debitamente motivato, dovendo racchiudere il percorso logico-giuridico relativo alla fase istruttoria e dovendo contenere i presupposti di fatto e di diritto che hanno condotto alla decisione. Il provvedimento deve contenere l’indicazione del termine e dell’organo di garanzia interno cui ricorrere in prima istanza. 4. Fase integrativa dell’efficacia . Il provvedimento viene notificato per iscritto allo studente se maggiorenne, alla famiglia se minorenne [110] .
In ogni caso, la sanzione potrà essere attuata dopo la notifica, anche se non sono scaduti i termini per l’impugnazione, stante il carattere educativo della sanzione stessa e la natura di atto amministrativo del provvedimento che, come tale, è dotato di esecutività anche se non definitivo. Di norma, le sanzioni disciplinari vanno inserite nel fascicolo personale dell’alunno e lo seguono in caso di trasferimento presso altra scuola o nel passaggio da un grado all’altro.
6. Impugnazioni Contro la sanzione disciplinare, è ammesso il ricorso in primo e secondo grado. L’impugnazione delle sanzioni disciplinari soggiace alla logica della garanzia del diritto di difesa dello studente e, trattandosi di procedimento amministrativo, si realizza garantendo la snellezza e la rapidità del procedimento stesso (legge 241/90). Sul punto, dispone l’art. 5, che prevede che entro quindici giorni dalla comunicazione della sanzione è ammesso ricorso da parte di chiunque vi abbia interesse (genitori, studenti) all’organo di garanzia interno, presieduto dal dirigente scolastico e composto, per la Scuola secondaria di secondo grado, da un docente designato dal Consiglio d’Istituto, da un rappresentante eletto dagli studenti e da un rappresentante eletto dai genitori; per la Scuola secondaria di primo grado, da un docente designato dal Consiglio d’Istituto e da due rappresentanti eletti dai genitori. L’organo si pronuncia entro il termine di dieci giorni. Qualora la decisione non arrivi entro tale termine, la sanzione s’intende confermata. Il Regolamento d’istituto dovrà prevedere quanto non espressamente disciplinato dallo Statuto: numero di membri, durata in carica, modalità di funzionamento, validità della seduta, membri supplenti, assunzione delle delibere ecc. L’istituzione di un organo di garanzia interno costituisce un ulteriore segnale di volontà democratica e di coerenza pedagogica, in quanto risponde all’esigenza della condivisione sociale in ordine alla responsabilità dei processi. Attraverso l’istituzione di tale organo, si è voluta favorire la cultura della mediazione, finalizzata non a dare ragione o torto all’uno o all’altro dei contendenti quanto, piuttosto, ad aiutare i soggetti protagonisti del conflitto a trovare una soluzione, senza ledere i diritti di nessuna parte in causa. Per
questo motivo, il ruolo di «garanzia» non è stato affidato ai soli dirigenti, parti in causa anch’essi per il loro ruolo, ma a soggetti «terzi», legittimati a svolgere una funzione di equilibrio fra le ragioni, all’interno dei difficili processi di relazione. Il comma 3 dell’art. 5 prevede un’ulteriore fase impugnatoria: sui reclami contro le violazioni dello Statuto, è competente a decidere il direttore dell’Ufficio scolastico regionale, previo parere vincolante dell’organo di garanzia regionale che, dopo aver verificato la corretta applicazione della normativa e dei regolamenti, procede all’istruttoria ed esprime il proprio parere nel termine perentorio di trenta giorni, prorogabili per ulteriori quindici in caso di necessità istruttorie. Oltre tale termine, il direttore regionale può decidere indipendentemente dal parere. L’organo di garanzia regionale, presieduto dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale o da un suo delegato, è composto, di norma, per la Scuola secondaria di secondo grado, da due studenti designati dal coordinamento regionale delle consulte provinciali degli studenti, da tre docenti e da un genitore, designati nell’ambito della comunità scolastica regionale. Per la Scuola secondaria di primo grado, in luogo degli studenti sono designati altri due genitori.
7. Patto educativo di corresponsabilità L’art. 5bis del vigente Statuto include una disposizione che prevede che i genitori, contestualmente all’iscrizione a scuola, sottoscrivano il Patto educativo di corresponsabilità , documento il cui obiettivo è definire in maniera dettagliata il rapporto tra scuola, studenti e famiglie in relazione a diritti e doveri reciproci e stabilire con chiarezza modi e ambiti di partecipazione alla vita scolastica. Il Patto viene socializzato alle famiglie nelle prime due settimane d’inizio delle attività didattiche nell’ambito delle iniziative assunte per l’accoglienza degli alunni e per la condivisione degli altri documenti (PTOF, Statuto delle studentesse e degli studenti , Regolamento d’istituto) e dev’essere sottoscritto secondo la procedura stabilita nel Regolamento stesso. I «destinatari naturali» di questo documento di natura pattizia sono i genitori e quindi le famiglie, alle quali la Costituzione assegna, insieme alla scuola, la responsabilità di educare e istruire i giovani. [111] Il D.P.R. 416/74 aveva già determinato l’avvio della partecipazione dei genitori nella vita della scuola; i processi di innovazione che si sono succeduti nel tempo hanno, però, generato la necessità di occasioni d’incontro per una forma di condivisione e di collaborazione che, nel riconoscimento delle reciproche competenze, si realizzi in una vera e propria partnership educativa in grado di «costruire il sociale» attraverso la responsabilità di scelte in termini di valori educativi [112] . Diventa, perciò, opportuno «consolidare e diffondere ulteriormente politiche di governance che agevolino il passaggio dalla programmazione pianificata alla progettazione partecipata» [113] . Ciò è reso possibile attraverso la partecipazione attiva, nella realizzazione dei percorsi formativi, di tutte le componenti scolastiche (dirigente, docenti, studenti, famiglie, personale ATA), ma soprattutto attraverso la promozione dell’associazionismo degli studenti e dei genitori [114] . Il Patto educativo di corresponsabilità ha dunque il fine di rafforzare la condivisione delle finalità educative della scuola da parte delle famiglie e diventa per loro vincolante con la sottoscrizione. Caratteristica fondamentale del documento che stiamo esaminando è che esso richiama ruolo e responsabilità dei genitori all’interno di tutto un sistema normativo teso a individuare le funzioni cui ciascuna componente scolastica assolve per realizzare il successo formativo dello studente. Costituendo il quadro di riferimento generale all’interno del quale ciascun soggetto è tenuto ad adempiere i propri doveri, il Patto prevede l’osservanza degli stessi anche da parte dei docenti, che vi sono tenuti sia sotto il profilo normativo che sotto il profilo deontologico. Per quanto attiene agli studenti, l’inosservanza dei doveri comporterà l’applicazione della sanzione disciplinare. È da rilevare che, parallelamente, ciò comporta, per il personale scolastico, «l’esercizio rigoroso, tempestivo ed efficace del potere disciplinare» [115] . Dal punto di vista concettuale, il Patto educativo di corresponsabilità va distinto dal Regolamento d’istituto, sia per finalità che per contenuto. Il Patto è un documento condiviso, di natura normativa e amministrativa, avente la finalità di richiamare ruoli e responsabilità di studenti, genitori, docenti, nel processo educativo che ha come fine ultimo il successo formativo dello studente; esso diventa vincolante con la sua sottoscrizione. Il Regolamento d’istituto, invece, è atto unilaterale della scuola che specifica comportamenti consentiti o vietati e che diventa vincolante attraverso la sua adozione e la pubblicazione nell’albo d’istituto. Il Patto educativo di corresponsabilità e il Regolamento d’istituto devono «essere integrati con specifici riferimenti a condotte di cyberbullismo e relative sanzioni commisurate alla gravità degli atti compiuti» (art. 5, legge 71/2017). Il legislatore ha voluto rimarcare la necessità di una tutela efficace anche attraverso la previsione di condotte e sanzioni contenute all’interno del Patto e del Regolamento, al fine di prevenire e contrastare il fenomeno del cyberbullismo , divenuto dilagante a causa della diffusione dell’uso dei mezzi di comunicazione on line da parte di giovani e adolescenti. È fondamentale sottolineare in ultimo che, in caso di giudizio civile per episodi di bullismo, violenza, vandalismo da parte dei figli minori, che abbiano causato danni con la loro condotta a persone o cose, i genitori potranno essere ritenuti direttamente responsabili, ai sensi del codice civile, anche se abbiano sottoscritto il Patto di corresponsabilità : i doveri di educazione dei figli e le connesse responsabilità non vengono meno per il solo fatto che il minore sia affidato alla vigilanza di altri (art. 2048 C.c.) [116] . Essi continuano a rispondere di culpa in educando , per non aver impartito ai figli un’educazione atta a prevenire comportamenti illeciti, anche quando si
configuri la responsabilità del personale scolastico per culpa in vigilando in caso di omesso dovere di sorveglianza nei confronti degli studenti. [117]
8. Disposizioni finali L’art. 6 reca le disposizioni finali, che prevedono che i Regolamenti e la Carta dei servizi vengano adottati o modificati previa consultazione degli studenti (Scuola secondaria di secondo grado) o dei genitori (Scuola secondaria di primo grado). Tali disposizioni rafforzano il principio di un’effettiva conoscenza del Regolamento d’istituto per non incorrere in comportamenti passibili di sanzioni disciplinari. Inoltre, viene stabilito che una copia dello Statuto e dei documenti fondamentali della scuola vengano consegnati agli studenti all’atto dell’iscrizione.
[99]
Nota del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 3602 del 31.7.2008.
[100]
Jacopo Greco, consigliere del Ministro per le politiche giovanili.
[101] Direttiva [102] Nota
n. 104 del 30 novembre 2007.
del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 3602 del 31 luglio 2008.
[103] Direttiva
16/2007, recante Linee d’indirizzo per la prevenzione e la lotta al bullismo .
[104] «Nessuno
può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali». [105] Direttiva
Pubblica Istruzione n. 16 del 5 febbraio 2007.
[106]
Art. 24 Cost.: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». [107]
Gli stralci delle sentenze sono riportati nella Circolare n. 138/12 USR Piemonte.
[108]
Il procedimento amministrativo consiste in una sequenza preordinata di atti, finalizzati a produrre un atto finale, il provvedimento.
[109]
Art. 4, c. 6, D.P.R. 249/98: « Le sanzioni e i provvedimenti che comportano allontanamento dalla comunità scolastica sono adottati dal consiglio di classe. Le sanzioni che comportano l’allontanamento superiore a quindici giorni e quelle che implicano l’esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi sono adottate dal consiglio di istituto». [110]
Circolare n. 138/12 USR Piemonte, contenente suggerimenti in materia di irrogazione delle sanzioni disciplinari. «Esse (le sanzioni) risultano spesso vanificate nel loro intento educativo dalla mancata, puntuale applicazione delle norme procedimentali […] che risulta indispensabile al fine di poter attribuire ad ogni provvedimento disciplinare legittimamente assunto piena autorevolezza ed efficacia». [111]
Artt. 30, 33, 34 Cost.: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio»; «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi»; «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita». [112]
Linee d’indirizzo. Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa , trasmesso con nota ministeriale n. 3214/2012.
[113] Ibid
.
[114]
Al fine di realizzare forme organizzative che favoriscano il reale e concreto coinvolgimento nella vita della scuola, è stato istituito il FoNAGS (Forum nazionale dei genitori della scuola), composto dalle associazioni dei genitori maggiormente rappresentative e luogo d’incontro tra Ministero, Amministrazione e mondo delle associazioni (decreto ministeriale 18 febbraio 2002, n. 14). [115]
Nota del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 3602 del 31 luglio 2008, che richiama la circolare n. 72 del 19 dicembre 2006: «Gli studenti sono tenuti ad osservare i doveri sanciti dallo Statuto degli studenti e delle studentesse, in particolare quelli contemplati negli articoli 3 e 4 del D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, il personale scolastico quelli attinenti alla deontologia professionale enucleati dalla legge e dai Contratti collettivi nazionali di lavoro. La scuola […] deve avere consapevolezza che i comportamenti contrari a tali doveri costituiscono un grave vulnus dei principi e dei valori sopra richiamati [...]. Ciò posto, occorre richiamare la particolare attenzione di tutta l’Amministrazione scolastica circa la necessità che gli strumenti di controllo, prevenzione e repressione dei comportamenti che hanno rilevanza disciplinare siano utilizzati, in applicazione della normativa vigente, con rigore, tempestività ed efficacia». [116]
Art. 2048 c.c.: «Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi», «I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza […]». [117]
Cass. Sez III, 21 novembre 2000, n. 12501; 26 novembre 1998, n. 11984.
10. L’autonomia scolastica a sistema. Valutazione, miglioramento e rendicontazione a cura di Roberto Fiorini
1. Il Regolamento sul Sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (Decreto del Presidente della Repubblica del 28 marzo 2013, n. 80) Il Ministero della Istruzione, nel sito dedicato espressamente [118] , definisce sinteticamente il Sistema nazionale di valutazione (SNV) – di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 80 del 2013, «recante il Regolamento sul Sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione » - come «una risorsa strategica per orientare le politiche scolastiche e formative verso la crescita culturale, economica e sociale del Paese e per favorire la piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche». Per comprendere meglio il significato e il valore del SNV all’interno della professione docente della scuola della autonomia, che tale definizione implica (Paragrafo 1.3), e le azioni di cui si compone praticamente (Capitolo 2), conviene partire in primo luogo dal suo inquadramento legislativo, lungo il ciclo di riforme della amministrazione scolastica, che va dal 1990 al 2015 (Paragrafo 1.1), nonché dai fondamenti concettuali e culturali che stanno alla sua base (Paragrafo 1.2). 1.1 I riferimenti legislativi e la cornice ordinamentale
La legge 26 febbraio 2011, n. 10 – in particolare l’art. 2, c. 4 noviesdecies – disponeva l’emanazione, con Decreto del Presidente della Repubblica, del Regolamento con cui si individuasse il Sistema nazionale di valutazione. Lo stesso decreto legge ne indicava i tre assi portanti: 1. l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), – istituito dall’art. 19, c. 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 – «con compiti di sostegno ai processi di miglioramento e innovazione educativa e di formazione in servizio del personale della scuola»; 2. l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione (INVALSI) – istituito con decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286 – «con compiti di predisposizione delle prove di valutazione degli apprendimenti, di partecipazione alle indagini internazionali e di indagine sugli standard nazionali»; 3. il Corpo ispettivo, «autonomo e indipendente, con compiti di valutare le scuole e i Dirigenti Scolastici, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150».
La legge, nel disporre l’emanazione del Regolamento, prevedeva dunque che esso fosse volto a costruire un «sistema» articolato e organizzato a livello nazionale, attraverso il quale attuare la valutazione sia di tutto il sistema di istruzione e formazione, articolato nei singoli istituti autonomi, sia, in particolare, della gestione delle relative performance , affidate alle dirigenze scolastiche. La legge agganciava, insomma, la valutazione degli istituti autonomi alla definizione di standard nazionali, rispetto ai quali stabilire i parametri per un costante miglioramento e una trasparente rendicontazione , come disposto generalmente per la pubblica amministrazione dal D.lgs. 150/09. D’altronde, già lo stesso decreto legislativo 286/2004, istitutivo dell’INVALSI, coerentemente alla delega della legge 53 del 2003, aveva collegato strettamente la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione alla garanzia costituzionale del miglioramento della sua efficienza e della sua efficacia, con riferimento ai livelli essenziali di prestazione, previsti dal Capo V della Costituzione, così come riformato dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001. La legge stessa identificava quindi, in sintesi, i concetti fondamentali sui quali incardinare il Regolamento: 1. «Valutazione», attraverso la definizione e il controllo degli standard nazionali. 2. «Miglioramento» e «Rendicontazione», attraverso il sostegno ai processi, l’innovazione educativa, la formazione del personale, la trasparenza dei risultati per tutti coloro che sono interessati al servizio pubblico. 3. «Costruzione di un Sistema» – inteso come organizzazione e controllo del processo. 1.2 I fondamenti concettuali
Tali «cardini» concettuali sono più in generale quelli fissati dalla legislazione di riforma della scuola che, nell’ultimo decennio del Novecento, ha portato alla definizione della autonomia scolastica, all’interno della più ampia riforma della pubblica amministrazione e del Titolo V della Costituzione. Ma da dove origina, dunque, la necessità della valutazione, della pianificazione del miglioramento e della rendicontazione, che la legislazione ha assorbito e progressivamente trasmesso al sistema di istruzione e formazione, all’interno della pubblica amministrazione? 1.2.1 La valutazione
La autonomia scolastica – così come promossa da Sabino Cassese e da Sergio Mattarella nel corso della Conferenza nazionale della scuola del 1990 e poi realizzata da Luigi Berlinguer nel 1999 e sviluppata da tutta la legislazione successiva – ha completamente riformulato la finalità del sistema di istruzione, proseguendo in campo scolastico la riforma impostata dallo stesso Cassese, prima, riguardo al procedimento amministrativo, con la legge 241/90 e poi, riguardo alla pubblica amministrazione, con la legge 421/92 e il conseguente D.lgs. 29/1993.
Con la prima legge, il procedimento amministrativo è chiamato a percorrere il circolo virtuoso della economicità delle scelte, della efficacia delle azioni e della pubblicità dei processi realizzati e dei risultati ottenuti. Con il secondo provvedimento legislativo, d’altro canto, si è passati dalla «amministrazione delle procedure» alla «amministrazione dei risultati», il che ha significato puntare a una gestione per obiettivi, non più secondo la logica dell’adempimento, ma secondo quella della responsabilità e della contrattualità. E tale principio di responsabilità della pubblica amministrazione implica, poi, per un verso, il costante ascolto dei cittadini utenti, per altro verso l’attento controllo e la continua valutazione del processo. La stessa riforma della pubblica amministrazione, disegnata da Franco Bassanini sulle ampie campate previste dalla legge 59/97 e realizzata con i conseguenti decreti delegati, decentralizza l’azione della pubblica amministrazione, per renderla più vicina ai territori e responsabile rispetto ai bisogni dei cittadini, secondo il principio di sussidiarietà, che già il Preambolo del trattato di Maastricht, siglato il 7 febbraio 1992, aveva qualificato come principio cardine dell’Unione Europea. Come è noto, l’art. 21 della legge 59/97 prevedeva espressamente la autonomia gestionale degli istituti scolastici e, con il D.P.R. 275/99 – predisposto dal Ministro Luigi Berlinguer – le singole istituzioni scolastiche erano chiamate a progettare e realizzare gli interventi educativi, adeguandoli ai diversi contesti educativi. Si attuava, così, il definitivo passaggio dalla realizzazione dei programmi definiti a livello centralizzato, alla pianificazione educativa, funzionalmente autonoma, decentralizzata sui bisogni di formazione specifici dei singoli territori e volta al conseguimento del successo formativo di ciascun alunno. Si portava così a compimento legislativo l’intuizione fondamentale contenuta nel Libro Bianco di Jacques Delors, presentato dalla Commissione europea nel dicembre del 1993, che indicava, come risposta più efficace alla omologazione standardizzata indotta dalla incipiente globalizzazione tecnologica, un nuovo mandato formativo per le istituzioni educative europee – basato su un sapere situato , proprio dei territori, delle comunità e delle persone. Un sapere non più astratto e autosufficiente, ma invece del tutto coerente alla più ampia pianificazione delle azioni volte a rispondere ai contingenti mutamenti dell’economia, all’interno di un sistema complesso e integrato di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, materiali e tecnologiche. Si apriva, insomma, la lunga stagione delle «competenze», identificate come obiettivo fondamentale dei sistemi di formazione – e della principale tra di esse: «imparare a imparare per tutto il corso della vita», il Life Long Learning . Parallelamente, la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, di riforma del Capo V, parte seconda, della Costituzione italiana, operava una nuova e diversa ripartizione delle competenze normative tra Stato, Regioni ed Enti locali, in risposta ai principi della sussidiarietà, del federalismo e del partenariato – indicati a livello europeo nel Libro Bianco sulla governance , presentato dalla Commissione europea nello stesso 2001, sotto la presidenza di Romano Prodi. In generale, il principio di sussidiarietà ha riarticolato la amministrazione dello Stato, orientandola alla responsabilità nei confronti del cittadino e della comunità civile. In particolare, in materia di istruzione, il Capo V riformato ha limitato i compiti dello Stato alla definizione delle norme generali ordinamentali e al controllo dei livelli essenziali delle prestazioni , validi sul territorio nazionale, in termini di standard misurabili. I principi costituzionali di efficienza, efficacia ed economicità sono stati dunque ridefiniti come rispondenza dei processi al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tali riforme, dunque, convergono su un approccio qualitativo alla politica scolastica, orientato ai risultati (output ) e misurato su standard di livello, che rovescia completamente quello basato sul controllo degli input , proprio della amministrazione pubblica precedente alla riforma Cassese-Bassanini. Tutta l’architettura della scuola, all’interno della pubblica amministrazione così riformata, trova le sue architravi non più nel concetto di «programma», quanto in quello di «programmazione» e «pianificazione»; non più sulla «gestione», quanto sull’esercizio dell’«indirizzo» e della «leadership»; non più sull’«adempimento», quanto sulla «responsabilità»; non più sulle procedure, quanto sui risultati. Per tutto questo, necessariamente la scuola della autonomia ha un sostanziale bisogno di un continuo processo di valutazione delle sue scelte di programmazione e di gestione, così come di dati misurabili standardizzati, confrontabili e validi ai vari livelli: territoriale, nazionale e internazionale. Per questo motivo la riforma di Giuseppe Bertagna, con la legge 53/2003 e i decreti delegati successivi, ha previsto la creazione dell’Istituto di valutazione del sistema di istruzione e formazione e, in prospettiva, del Sistema nazionale di valutazione – proprio mentre centrava tutto il Sistema di istruzione e formazione sui percorsi di apprendimento «divergenti», propri della singola persona in formazione, nonché sulla realizzazione del Profilo educativo culturale e professionale di ciascun alunno. 1.2.2 La qualità e il miglioramento
Parallelamente, sono da considerare i paralleli sviluppi dei sistemi di controllo della qualità e del miglioramento continuo, che hanno preso vigore nel contesto pubblico in ambito europeo – in parte mutuandolo dal privato – nel corso dei due decenni a cavallo del millennio, dal cui terreno comune anche le riforme italiane hanno preso origine e si sono andate affermando. In particolare, con la sigla ISO 9000 si identifica una serie di normative e linee guida, sviluppate nel tempo dall’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO – International Organization for Standardization ), che definiscono i requisiti per la realizzazione, all’interno di un’organizzazione, di un sistema di gestione della qualità, al fine di controllare i processi aziendali, migliorare l’efficacia e l’efficienza, ottenere e incrementare la soddisfazione del cliente. Nata nel 1988 sulla base del modello di gestione e organizzazione aziendale del Total Quality Management (Gestione totale della qualità), la ISO 9000 è stata più volte revisionata fino al 2015. Nel 2005 è stata recepita dall’Ente nazionale italiano di unificazione (UNI) e reso applicabile agli enti pubblici. Proprio a partire dai sistemi ISO 9000, nel 1991, la European Foundation for Quality Management (EFQM), un’organizzazione non profit su base associativa fondata nel 1988 a Bruxelles per iniziativa di alcune tra le principali aziende europee, ha promosso un proprio modello di riferimento [119] , al fine di migliorare le prestazioni aziendali, attraverso un approccio complessivo più esteso e articolato e meno formale rispetto ai modelli classici ISO 9000.
Questo modello, che si basa sul principio della autovalutazione , è poi sostanzialmente alla base del CAF (Common Assessment Framework – Griglia comune di autovalutazione), lo strumento di Total Quality Management pensato e sviluppato per il settore pubblico dai vertici amministrativi degli stati membri dell’Unione europea e gestito dall’European Institute of Public Administration [120] . Il CAF è stato introdotto nel 2000, a Lisbona, alla Prima conferenza sulla qualità nelle Pubbliche amministrazioni europee, per assisterle nei processi di modernizzazione e di miglioramento continuo, attraverso la gestione della qualità finalizzata al miglioramento delle performance. Il CAF è sostanzialmente uno schema di autovalutazione, attraverso il quale un gruppo di dipendenti di un’organizzazione può effettuare una valutazione critica del proprio ente, sotto la guida di una struttura predefinita, pianificando un progressivo miglioramento, attraverso la correzione degli errori che volta per volta possono emergere. Esso si basa su tre presupposti fondamentali: 1. la definizione dei settori di azione strategici, identificati attraverso l’analisi delle opportunità e delle criticità rispetto a dati standard; 2. la autovalutazione da parte dei componenti della amministrazione; 3. la applicazione del ciclo di miglioramento continuo, basato su pianificazione-azione-controllo-implementazione (Plan-Do-Check-Act , PDCA, ciclo di Deming; cfr. Fig. 1). Figura 1 – È formula rispauta come acronimo inglese PDCA
Nel 2006, in forza del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, recante il «Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati delle attività svolte dalle amministrazioni pubbliche», a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 – dunque, proprio uno dei decreti delegati dalla riforma Bassanini – il Ministro per Riforme e Innovazioni nella pubblica amministrazione Luigi Nicolais ha emanato la «Direttiva per una Pubblica Amministrazione di qualità» [121] . In essa, il Ministro ha fissato gli obiettivi e le linee generali di un Piano di azione nazionale triennale, per dare impulso e sostegno al miglioramento della pubblica amministrazione, centrandolo sui due pilastri della autovalutazione e del controllo continuo. Tale miglioramento della pubblica amministrazione era posto finalmente come elemento cardine e decisivo per la competitività del sistema paese. 1.2.3 La rendicontazione (sociale)
Parallelamente, nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso si è affermato anche il progressivo sviluppo di quella che va sotto il nome di Corporate Social Responsibility (CSR, Responsabilità sociale di impresa). Con essa si intende normalmente l’impegno dell’impresa ad assumere un comportamento giusto, imparziale ed equo, che tenga conto delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali del proprio operato. Facendo seguito alla strategia individuata dal Libro Bianco di Delors del 1993, il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha posto all’Europa l’obiettivo di diventare l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale.
Sottolineando l’importante contributo del settore privato nel raggiungimento di questo obiettivo, il Consiglio europeo si rivolgeva per la prima volta al «senso di responsabilità sociale delle imprese», con particolare riguardo allo sviluppo di buone pratiche, life-long learning , organizzazione del lavoro, pari opportunità, inclusione sociale e sviluppo sostenibile. La Responsabilità sociale di impresa è stata immediatamente assunta dalla Commissione europea come termine di riferimento per lo sviluppo «sostenibile» della impresa nel Libro Verde «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese», pubblicato dalla Commissione europea a Bruxelles nel 2001 [122] , dove la Responsabilità sociale di impresa viene definita come «integrazione, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate (stakeholder )». Con il termine stakeholder si intendono i soggetti «portatori di interessi» nei confronti di una organizzazione: i clienti, i fornitori, i finanziatori, i collaboratori; ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all’azienda o le associazioni locali. Perseguire una politica di responsabilità sociale significa, in concreto, adottare un orientamento strategico e operativo, volto a
rispondere alle aspettative economiche, ambientali, sociali degli stakeholder di riferimento dell’organizzazione. Per gli enti pubblici, dei cittadini. All’interno della Responsabilità sociale di impresa, il Bilancio sociale è d’altronde lo strumento pratico che permette alle organizzazioni di rendicontare [123] , oltre all’aspetto economico della propria attività (ruolo svolto dal Bilancio economico d’esercizio), anche l’aspetto di relazione con i propri stakeholder esterni e interni. Il Bilancio sociale è dunque l’atto, l’esito del procedimento, con il quale l’azienda «rendiconta» le modalità con cui ha svolto il suo indirizzo etico, le sue scelte strategiche e le sue azioni quotidiane. Il Bilancio sociale, perciò, si configura come un vero e proprio processo di analisi dei rapporti che l’organizzazione intrattiene con tutti coloro che hanno un interesse nei confronti della struttura: della modalità di sviluppo della propria missione , della cura delle relazioni sociali e della distribuzione efficace del valore aggiunto, in senso lato economico, creato con la propria attività. È evidente che la rendicontazione sociale, così intesa, influisce sulla misurazione della qualità della performance . E infatti, nel 2005 la Responsabilità sociale entra nella normazione ISO e si avvia il lungo percorso che porterà, nel 2010, alla pubblicazione delle Linee guida sulla Responsabilità sociale delle organizzazioni (UNI ISO 26000): controllo della qualità, miglioramento e rendicontazione si saldano. Quasi contemporaneamente, nella legislazione italiana – a dieci anni dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (delegato della legge Bassanini) e anche in forza di esso – il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 dedica il suo Titolo II alla «Misurazione, Valutazione e Trasparenza della Performance ». Il Capo II introduce nell’ordinamento il «Ciclo di Gestione della Performance » come principio generale di funzionamento della pubblica amministrazione, in maniera del tutto coerente con il ciclo della programmazione finanziaria e con i contenuti del bilancio. Esso si articola infatti in: a. definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori; b. collegamento tra gli obiettivi e l’allocazione delle risorse; c. monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi correttivi; d. misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale; e. utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito; f. rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi.
In forza dei principi contenuti nel decreto legislativo 150, a partire dal 2009, sono stati progressivamente introdotti indirizzi specifici concernenti la valutazione delle performance delle organizzazioni pubbliche, a cura dei diversi organismi responsabili – Civit poi ANAC, INVALSI, ANVUR, solo per citarne alcuni. 1.3 Il contenuto del Regolamento
Coerentemente con il mandato legislativo, il Regolamento di cui al D.P.R. 80/2013 individua nell’INVALSI, nell’INDIRE e nel Corpo ispettivo i tre pilastri del Sistema nazionale di valutazione. Dispone altresì la creazione di due ulteriori soggetti: 1. la Conferenza per il coordinamento funzionale dell’S.N.V – istituita presso l’INVALSI e composta dal presidente dell’istituto, che la presiede, dal presidente dell’INDIRE e da un dirigente tecnico di nomina MIUR; 2. i Nuclei esterni di valutazione – costituiti da un dirigente tecnico del contingente ispettivo e da due esperti scelti dall’elenco che lo stesso INVALSI ha il mandato di selezionare e formare. Indica altresì, tra gli obiettivi del S.N.V.: 1. la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema educativo di istruzione e formazione al fine del miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti; 2. la raccolta di dati, a cura di INVALSI, da mettere a disposizione dei direttori generali degli Uffici scolastici regionali, al fine della disposizione degli incarichi specifici ai dirigenti scolastici e per la loro valutazione; 3. l’individuazione da parte del Ministro, con periodicità almeno triennale, delle priorità strategiche della valutazione del sistema educativo di istruzione, che costituiscono il riferimento per le funzioni di coordinamento svolte dall’INVALSI.
All’INVALSI affida, oltre al compito del coordinamento funzionale del S.N.V., anche quello di: a. proporre i protocolli di valutazione da parte dei nuclei di valutazione esterna; b. definire gli indicatori di efficienza e di efficacia in base ai quali l’S.N.V. individua le istituzioni scolastiche che necessitano di supporto e da sottoporre prioritariamente a valutazione esterna; c. mettere a disposizione delle singole istituzioni scolastiche strumenti relativi al procedimento di valutazione; d. definire gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici.
All’INDIRE affida il supporto alle istituzioni scolastiche nella definizione e attuazione dei piani di miglioramento della qualità dell’offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti. Al contingente ispettivo affida la realizzazione degli obiettivi dell’S.N.V., partecipando ai Nuclei di valutazione esterna. 1.3.1 Il procedimento di valutazione
L’art. 6 del D.P.R. è dedicato al Procedimento di valutazione. Esso viene articolato in quattro fasi: 1. Autovalutazione delle istituzioni scolastiche: a. analisi e verifica del proprio servizio sulla base dei dati resi disponibili dal sistema informativo del Ministero, delle rilevazioni sugli apprendimenti e delle elaborazioni sul valore aggiunto restituite dall’INVALSI, oltre a ulteriori elementi significativi integrati dalla stessa scuola;
b. elaborazione di un rapporto di autovalutazione in formato elettronico, secondo un quadro di riferimento predisposto dall’INVALSI, e formulazione di un piano di miglioramento; 2. Valutazione esterna : a. individuazione da parte dell’INVALSI degli istituti da sottoporre a verifica, sulla base di indicatori di efficienza ed efficacia previamente definiti dall’INVALSI medesimo; b. visite dei Nuclei esterni di valutazione, secondo il programma e i protocolli di valutazione adottati dalla Conferenza per il coordinamento funzionale del S.N.V.; c. ridefinizione da parte delle istituzioni scolastiche dei piani di miglioramento in base agli esiti dell’analisi effettuata dai nuclei; 3. Azioni di miglioramento : a. definizione e b. attuazione da parte delle istituzioni scolastiche degli interventi migliorativi anche con il supporto dell’INDIRE o attraverso la collaborazione con università, enti di ricerca, associazioni professionali e culturali; 4. Rendicontazione sociale da parte delle istituzioni scolastiche, attraverso pubblicazione e diffusione dei risultati raggiunti, utilizzando indicatori e dati comparabili, sia in una dimensione di trasparenza, sia in una dimensione di condivisione del servizio con la comunità di appartenenza, sia di promozione del miglioramento. 1.3.2 Il piano di miglioramento
Il Regolamento specifica poi, ai commi 4 e 5 del medesimo art. 6, che il procedimento di valutazione è diretto anche a evidenziare le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall’art. 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dal contratto collettivo nazionale di lavoro. E dispone che i piani di miglioramento, con i risultati conseguiti dalle singole istituzioni scolastiche, siano comunicati al direttore generale del competente Ufficio scolastico regionale, perché ne tenga conto ai fini della individuazione degli obiettivi da assegnare al dirigente scolastico in sede di conferimento del successivo incarico e della valutazione dei risultati connessi all’incarico dirigenziale. 1.3.3 Piano di miglioramento e Piano triennale della offerta formativa: il compimento della autonomia
I commi 14 e 93 della legge 107 del 2015 collegheranno infine il Piano di miglioramento dell’istituto al Piano triennale della offerta formativa – in relazione per un verso alla disponibilità di organico e per altro verso alla valutazione del dirigente scolastico, la quale deve tenere conto del contributo [del dirigente] al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel rapporto di autovalutazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, in coerenza con le disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
Infine la nota MIUR n. 2805 dell’11 dicembre 2015 «Orientamenti per l’elaborazione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa» ha sincronizzato su arco temporale triennale il Piano di miglioramento e il Piano triennale dell’offerta formativa, organizzando quindi finalmente su arco triennale sia il ciclo della valutazione progressiva del miglioramento, sia la pianificazione della offerta formativa, sia la durata dell’incarico dei dirigenti scolastici e, in prospettiva, forse, la campata temporale della valutazione del raggiungimento degli obiettivi del loro incarico – per ora ancora annuale.
2. La pratica della valutazione negli istituti scolastici e il contributo dei docenti Vediamo dunque come si svolge la pratica della valutazione, del controllo del miglioramento e della rendicontazione negli istituti scolastici. Si tratta di una azione complessa e articolata, che chiama in causa buona parte del personale dell’istituto scolastico, le competenze specifiche di singoli professionisti e di gruppi professionali, sotto il coordinamento di alcuni docenti specificamente incaricati e del dirigente scolastico. 2.1 I soggetti incaricati della valutazione
La circolare MIUR n. 47 del 21 ottobre 2014 a firma del D.G. per gli Ordinamenti scolastici e la Valutazione del S.N.I, Carmela Palumbo, ha evidenziato la opportunità che gli istituti scolastici si dotassero di «Unità interne di autovalutazione, costituite preferibilmente dal dirigente scolastico, dal docente referente della valutazione e da uno o più docenti con adeguata professionalità individuati dal Collegio dei docenti». Di fatto tali unità, per omologia con i Nuclei esterni di valutazione, sono stati poi identificati come «Nuclei interni di valutazione». Essi hanno il compito di coordinare l’azione di autovalutazione, che di fatto è tuttavia un’operazione complessa, che deve riguardare e coinvolgere tutte le componenti dell’istituto, a vario titolo. La autovalutazione è infatti in gran parte un’azione di riflessione sui dati rilevanti riguardanti l’istituto, nelle sue varie componenti e, per i docenti, costituisce un potente strumento di analisi, consapevolezza, miglioramento e crescita professionale. Il Nucleo interno di valutazione, coordinato dal docente responsabile della pianificazione formativa e dal dirigente scolastico, è altresì il
team che sovrintende poi alla definizione del Piano di miglioramento e al suo monitoraggio progressivo, oltre che alla predisposizione, insieme al dirigente e in collaborazione con il collegio dei docenti, alla conclusione del triennio di riferimento, della Rendicontazione sociale – termine conclusivo del ciclo della valutazione, come processo ciclico di durata triennale, secondo lo schema solito del ciclo di Deming. 2.2 Le fasi del processo
Le fasi del processo, come s’è detto, sono definite chiaramente nel Regolamento: 1. autovalutazione interna e definizione del processo di miglioramento; 2. valutazione esterna e validazione del piano di miglioramento; 3. monitoraggio del miglioramento; 4. rendicontazione sociale del miglioramento.
Vediamo ora nello specifico come si dipanano praticamente tali momenti della valutazione, all’interno degli istituti scolastici. 2.2.1 Le fasi del processo: la valutazione interna e il rapporto di auto-valutazione
Nessuna valutazione, connessa all’esercizio di competenze, può prescindere dal coinvolgimento attivo degli attori coinvolti: la riflessione consapevole sui punti di debolezza, la condivisa valorizzazione dei punti di forza, la auto-valutazione e la proiezione al miglioramento sono il cuore e lo strumento principale di ogni processo di valutazione delle competenze. Anche nel S.N.V., il cosiddetto RAV (Rapporto di auto-valutazione) è l’azione di avvio della valutazione di istituto. Si tratta di un ampio e articolato documento su piattaforma informatizzata, attraverso la quale è possibile analizzare e misurare determinati aspetti dell’istituto scolastico. Il RAV è a sua volta il momento conclusivo di un lungo lavoro scientifico precedente, da parte di INVALSI. Si tratta di un percorso di ricerca pluriennale, sviluppato dall’istituto a partire dall’a. s. 2004-2005 e aggiornato nelle successive sperimentazioni: «Valutazione e Sviluppo della Scuola» (VALES), dal 2004; «Valutazione e Miglioramento» (VM), dall’a. s. 2014-2015; «Valutazione di Sistema e delle Scuole» (VALSIS), nel triennio 2008-2011. Il percorso scientifico sperimentale ha portato sostanzialmente alla definizione di un «Questionario Scuola», rivolto a tutti gli istituti scolastici nel 2015 e nuovamente nel 2017. Il Questionario Scuola, progressivamente aggiornato, serve alla raccolta di dati utili alla costruzione di indicatori a supporto dei processi di autovalutazione e valutazione esterna della scuola. Il lavoro scientifico è stato volto a definire un «quadro di riferimento» (framework ) unitario, vale a dire un modello capace di identificare le aree significative da prendere in considerazione per la valutazione e la loro espressione in dati quantificabili, misurabili, confrontabili. Il quadro di riferimento per il Questionario (quindi per il RAV) – normalmente identificato come modello CIPO (Contest, Input, Process, Output ) [124] – tiene conto appunto di quattro dimensioni: a. il contesto in cui le scuole sono inserite (aspetti demografici, economici e socio-culturali nei cui confini la scuola si trova a operare e che ne determinano la sua utenza); b. gli input , ovvero le risorse di cui la scuola dispone per offrire il proprio servizio (umane, materiali, ed economiche); c. i processi attuati, ossia le attività realizzate dalla scuola (l’offerta formativa, le scelte organizzative e didattiche, gli stili di direzione); d. i risultati ottenuti, sia immediati (percentuali di promossi, votazioni conseguite agli esami di stato), sia a medio e lungo periodo (livello delle competenze possedute, accesso al mondo del lavoro).
Coerentemente al Questionario, anche il RAV si compone delle medesime voci, che specifica ulteriormente secondo il seguente schema (cfr. Fig. 2): Figura 2 – Struttura del RAV Infanzia 1. Contesto e risorse
1. Popolazione scolastica 2. Territorio e capitale sociale 3. Risorse economiche e materiali 4. Risorse professionali
2. Esiti
1. Risultati scolastici 2. Risultati nelle prove standardizzate 3. Competenze chiave europee 4. Risultati a distanza
3. Processi
A. Pratiche educative e didattiche 1. Curricolo, progettazione e valutazione 2. Ambiente di apprendimento 3. Inclusione e Differenziazione 4. Continuità e Orientamento B. Pratiche gestionali e organizzative 1. Orientamento Strategico e Organizzazione della Scuola 2. Sviluppo e Valorizzazione delle Risorse Umane 3. Integrazione con il Territorio e Rapporti con le Famiglie Processo di autovalutazione
Individuazione Priorità e Traguardi
⦁ Priorità e Traguardi ⦁ Obiettivi di processo
Rielaborando i dati ottenuti attraverso il Questionario, le rilevazioni statistiche sulle prove standardizzate – e i molti altri posseduti a vario titolo dalla amministrazione – INVALSI è stato in grado di restituire ai singoli istituti, con il RAV, una fascia di valori standard, riferiti: 1. ai dati di contesto (su popolazione scolastica, territorio e capitale sociale, risorse economiche e professionali); 2. agli esiti (risultati scolastici, risultati nelle prove standardizzate, risultati a distanza); 3. ai processi (le pratiche didattiche e quelle gestionali).
I dati sono desunti da quelli raccolti attraverso la compilazione del Questionario Scuola da parte di tutti gli istituti scolastici del territorio nazionale, ripartito per macro-aree o per comuni o province o regioni, oltre a quelli relativi alla misurazione statistica degli apprendimenti, rilevati attraverso la somministrazione delle prove INVALSI di italiano e matematica ai gradi scolastici 2, 5, 8, 10 e 13; di inglese ai gradi 5, 8 e 13. Attraverso il RAV, il dirigente, il Nucleo interno di valutazione e tutto il corpo insegnante sono invitati dunque a prendere consapevolezza delle opportunità e dei vincoli determinati dal contesto in cui l’istituto scolastico opera, delle risorse umane ed economiche di cui esso dispone, dei punti di forza e dei punti di debolezza della organizzazione, delle eccellenze o delle carenze negli esiti dei propri alunni, rispetto agli standard di riferimento (benchmark ) degli altri istituti del territorio e con profilo simile. In tal modo, gli insegnanti e i dirigenti possono riuscire a definire progressivamente la specifica missione del proprio istituto, a fianco di quella istituzionale, e soprattutto la specifica visione , cui ispirare consapevolmente e coerentemente le scelte didattiche e progettuali, volte al miglioramento. Il RAV fornisce dati, descrizioni e standard misurabili e confrontabili rispetto a tutte le voci in cui è articolato. Il singolo istituto scolastico può naturalmente integrare i dati forniti con altri, raccolti e misurati autonomamente, sempre attenendosi a rilevazioni che possano rendere disponibili dati numerabili e misurabili, tali da permettere confronti oggettivi. I passaggi della costruzione del RAV sono dunque i seguenti: 1. raccolta di tutti i dati disponibili, sia forniti dal sistema, sia raccolti dalle scuole; 2. comparazione di tutti i dati significativi, in relazione a ciascuna area oggetto di valutazione; 3. contestualizzazione dei dati oggetto di esame, per attribuire loro un significato; 4. interpretazione dei dati e valutazione vera e propria, con l’aiuto delle rubriche di valutazione predisposte nella parte conclusiva delle sottosezioni in cui è diviso il RAV.
Nel settore dell’istruzione, una rubrica è un insieme di criteri e standard collegati a obiettivi di apprendimento, che viene utilizzata per la valutazione autentica delle prestazioni di uno studente. Una rubrica, per essere tale, deve contenere i criteri di prestazione e una descrizione sintetica delle prestazioni buone e meno buone per ciascun criterio considerato. Essa mira a una valutazione accurata ed equa, a comunicare aspettative di qualità, a favorire la comprensione, a indicare un modo di procedere per un successivo miglioramento. Questa integrazione fra «prestazione» e «feedback » definisce la rubrica come uno strumento di riferimento per la valutazione formativa e la valorizzazione dei processi di apprendimento. È estremamente significativo – e deve essere tenuto in massima considerazione – il fatto che il SNV prenda con decisione la direzione di una valutazione formativa, che è soprattutto valorizzazione della intenzionalità e della consapevolezza, in funzione della attivazione e del controllo dei processi di miglioramento. All’interno di ciascuna rubrica del RAV sono presenti: a. il criterio di qualità; b. la scala di valutazione; c. uno spazio per descrivere le motivazioni del giudizio assegnato.
Coerentemente alla impostazione teorica della rubrica, i criteri di qualità o standard sono definiti come «proposizioni» (per esempio, per l’area «Inclusione e differenziazione»: «La scuola cura l’inclusione degli studenti con bisogni educativi speciali, valorizza le differenze culturali, adegua l’insegnamento ai bisogni formativi di ciascun allievo attraverso percorsi di recupero e potenziamento»). Ogni criterio di qualità viene esplorato attraverso una prospettiva «multifocale»: infatti all’interno della check list sono individuati degli indicatori, basati su precisi elementi o evidenze empiriche, afferenti a diverse dimensioni. Per ciascun criterio di qualità sono predisposte delle scale di valutazione a 7 livelli: da 1 «non accettabile», a 7 «eccellente». Al termine di ciascuna area di esito e di processo è presente uno spazio di testo aperto, intitolato «Motivazione del giudizio assegnato». In questo spazio si richiede alla scuola di argomentare il motivo per cui ha assegnato un determinato livello di giudizio nella scala di valutazione. Per la compilazione di questa parte, INVALSI suggerisce di tenere conto dei seguenti criteri generali: Completezza – utilizzo dei dati e degli indicatori messi a disposizione centralmente (MIUR, INVALSI ecc.) e capacità di supportare il giudizio individuando ulteriori evidenze e dati disponibili a scuola. Accuratezza – lettura dei dati e degli indicatori in un’ottica comparativa, confrontando la situazione della scuola con i valori di riferimento forniti (medie nazionali o regionali, andamento generale delle scuole di riferimento ecc.). Qualità dell’analisi – approfondimento e articolazione della riflessione a partire dall’analisi dei dati disponibili. L’analisi è articolata quando non ci si limita a elencare i dati o a descrivere ciò che la scuola fa, ma i dati vengono interpretati tenendo conto della specificità del contesto, oppure si evidenziano i punti di forza e di debolezza dell’azione della scuola, o ancora si individuano aspetti strategici.
2.2.1.1 Un esempio. Sezione 1 del RAV – il Contesto Vediamo un esempio di RAV di un ipotetico liceo del Nord Est, composta da due indirizzi: Scientifico (con opzione Scienze applicate) e Linguistico. Partiamo dalla sezione 1. Contesto [125] (cfr. la suddivisione del RAV di cui alla Fig. 2) Alla sezione «1.1.a Status socio economico e culturale delle famiglie degli studenti» / «1.1.a.1 Livello mediano dell’indice ESCS», troviamo la seguente tabella, che illustra la distribuzione, nelle varie classi dell’istituto, del livello di ESCS, ripartito su 4 livelli di percentili: Basso / Medio Basso / Medio Alto / Alto. (cfr. Fig. 3) Figura 3 – Livello mediano dell’indice ESCS - Anno Scolastico 2017-2018 1.1.a.1 Livello mediano dell’indice ESCS - Anno Scolastico 2017-2018 CLASSE/Indirizzo
Background familiare mediano
2 A - SCIENTIFICO
ALTO
2 B - SCIENTIFICO
MEDIO ALTO
2 C - SCIENTIFICO
MEDIO BASSO
2 D - SCIENZE APPLICATE
ALTO
2 E - SCIENZE APPLICATE
MEDIO ALTO
2 F - SCIENZE APPLICATE
MEDIO BASSO
2 G - LINGUISTICO
MEDIO ALTO
2 H - LINGUISTICO
MEDIO ALTO
2 I - LINGUISTICO
ALTO
2 L - LINGUISTICO
MEDIO BASSO
Alla sezione «1.1.b Composizione della popolazione studentesca» / «1.1.b.1 Quota di studenti con famiglie svantaggiate», troviamo la seguente tabella, che illustra la percentuale di famiglie svantaggiate nell’istituto, con indicati i benchmark regionali e di macro area (Nord Est). (Cfr- Fig. 4) Figura 4 – Quota di studenti con famiglie svantaggiate Anno scolastico 2017-2018 1.1.b.1 Quota di studenti con famiglie svantaggiate Anno scolastico 2017-2018 II Classe - Secondaria II Grado Studenti svantaggiati (%) Istituto
Regione (%)
Nord Est (%)
Italia (%)
0.4
0.2
0.6
0.3
Studenti svantaggiati (%) Benchmark
Alla sez. «1.1.c Studenti in ingresso nel II ciclo per esiti nel ciclo precedente» / «1.1.c.1 Distribuzione degli alunni iscritti al 1° anno per voto esame licenza media», troviamo le seguenti tabelle, che illustrano la distribuzione degli alunni con voti da 6 a 10 all’esame di Stato al termine del I ciclo. (cfr. Fig. 5). Figura 5 – Distribuzione degli alunni iscritti al 1° anno per voto esame licenza media Anno scolastico 2017/18 1.1.c.1 Distribuzione degli alunni iscritti al 1° anno per voto esame licenza media Anno scolastico 2017/18 6 (%)
7 (%)
8 (%)
9 (%)
10 (%)
10 e Lode
2.9
17.2
34.3
30.9
9.8
4.9
CITTÀ
5.2
19.0
36.5
29.2
7.3
2.7
REGIONE
4.3
16.3
33.7
32.8
9.4
3.5
ITALIA
6.1
20.4
31.9
29.1
9.0
3.5
Cod. Mecc. ISTITUTO ind. Linguistico Benchmark
1.1.c.1 Distribuzione degli alunni iscritti al 1° anno per voto esame licenza media Anno scolastico 2017/18 6 (%)
7 (%)
8 (%)
9 (%)
10 (%)
10 e Lode
2.0
11.4
21.3
42.1
14.9
8.4
CITTÀ
3.2
13.7
26.6
35.3
13.9
7.3
REGIONE
2.6
11.3
26.0
36.6
15.1
8.4
ITALIA
3.8
13.5
27.1
32.8
14.6
8.3
Cod. Mecc. ISTITUTO ind. Scientifico Benchmark
Ecco, infine, il Quadro di sintesi, con la indicazione delle Opportunità e dei Vincoli rinvenuti dal Nucleo interno di valutazione, relativamente ai dati di contesto per la intera «sez. 1.1.1 Popolazione scolastica» (cfr. Fig. 6). Figura 6 – Quadro di sintesi 1 OPPORTUNITÀ
VINCOLI
Il contesto socio-economico di origine degli studenti è, relativamente ai benchmark , complessivamente medio-alto.
Il contesto socio-economico di provenienza degli alunni presenta differenze significative a livello di distribuzione nelle classi, con punte di 50 punti percentuali di differenza tra una classe e l’altra, nel 20% circa delle classi, sia nello Scientifico, sia nel Linguistico.
Non si segnalano situazioni rilevanti di provenienza da zone particolarmente svantaggiate. La percentuale di studenti con cittadinanza non italiana è relativamente alta nello Scientifico, negli standard nel Linguistico. Le percentuali di iscritti con esiti all’Esame di Stato conclusivo del 1^ ciclo con votazione superiore all’8 è considerevolmente più alta rispetto ai benchmark relativi al territorio, sia per lo Scientifico, sia per il Linguistico.
Pur senza attribuire ai dati un livello di accettabilità sulla base di una rubrica di valutazione – azione che non potrebbe avere significato, relativamente a un ambito, quale il contesto di appartenenza, su cui l’istituto non può agire in modo diretto per modificarlo o migliorarlo – il Nucleo ha tuttavia preso consapevolezza di un fatto significativo: i livelli di status economico-sociale-culturale non sono omogenei nelle classi seconde dell’intero istituto, con differenze significative, anche di più di 50 punti percentuali (i livelli dell’ESCS sono 4 e ripartiscono una scala 1-100 su 4 intervalli di 25 punti). Inoltre i livelli sono sempre in ordine decrescente, dalla classe alfabeticamente più «alta» a quella più «bassa» di ciascun indirizzo – presumibilmente formatasi più tardi nel tempo. Questo è un vincolo di contesto, che tuttavia agisce all’interno dell’istituto, attraverso un’azione che costituisce in qualche modo una risposta a esso – assai rischiosa, se non consapevole. È casuale tale differenza nella formazione delle classi? Da che cosa può derivare? Quali sono i criteri di formazione delle classi? Chi ne tiene il controllo? Ha conseguenze sul corpo insegnante impegnato in quei corsi? Gli insegnanti più anziani e con maggiore anzianità sono impegnati nei corsi più «alti» o più «bassi»? Il problema è certamente relativo all’istituto, perché le concentrazioni di alunni con difficoltà è in linea con i benchmark territoriali; ma è interno all’istituto o ha origine nel territorio e nei bacini di utenza? Ci sono «cluster » territoriali, nell’ambito del bacino di utenza, che si fa fatica a identificare e sciogliere? Le scuole del primo ciclo ne sono consapevoli? Vedremo che, comunque sia, esso va messo in relazione con gli esiti delle prove standardizzate, correlandosi alla differenza di esiti tra le classi, soprattutto nella sezione del linguistico – evidentemente più «esposto» socialmente. 2.2.1.2 Un esempio. Sezione 2 del RAV – Esiti Vediamo un altro esempio di Quadro di sintesi, con la indicazione dei Punti di forza/debolezza e, di seguito, la Rubrica di valutazione, relativi alla «sezione 2. Esiti» / «sezione 2.2 Risultati delle prove standardizzate». (Cfr. la suddivisione del RAV di cui alla Fig. 2) Figura 7 – Quadro di sintesi 2 PUNTI DI FORZA
PUNTI DI DEBOLEZZA
Nelle prove nazionali di Matematica il Liceo scientifico raggiunge in genere risultati ottimi, nettamente superiori rispetto alla media regionale, a quella del Nord Est e dell’Italia. Il Liceo linguistico, con meno ore di matematica curricolari, raggiunge risultati assai diversificati: buoni o discreti - superiori o uguali a quelli medi regionali e a quelli del Nord Est - in due sezioni su quattro.
I livelli e la distribuzione dei risultati (alte concentrazioni su livelli 1-2-3) risultano assai negativi per la prova di matematica in una delle quattro sezioni del Liceo Linguistico.
Nelle prove standardizzate di Italiano i livelli sono buoni al Liceo Scientifico; discreti - in linea con la media Nella stessa sezione, livelli e distribu-zioni sono regionale e nazionale - al liceo Linguistico, in tre sezioni su quattro. negativi anche in italiano. La variabilità tra classi è statisticamente molto bassa. L’effetto scuola è scarsamente significa-tivo, leggermente superiore alla media regionale.
Le tre sezioni con i risultati peggiori coincidono con quelle in cui la diffe-renza nel punteggio rispetto a scuole con contesto socio-economico e cultu-rale simile (ESCS) risulta maggiormente negativa.
Figura 8 – Rubrica di Valutazione RUBRICA DI VALUTAZIONE -1 2 3 4 5 6 7 +
I risultati delle prove INVALSI confermano una preparazione complessiva di livello buono, con alcuni risultati critici ben individuabili e limitati ad alcuni corsi (20% circa del totale). l punteggio di italiano e matematica della scuola alle prove INVALSI è superiore a quello di scuole con background socio- economico e culturale simile. La variabilita’ tra classi in italiano e matematica è decisamente più bassa di quella media, anche se risulta presente per tre classi dell’istituto, correlandosi con la differenza negativa di ESCS degli alunni. La quota di studenti collocata nel livello 1 in italiano e in matematica è generalmente molto inferiore alla media regionale. L’effetto attribuibile alla scuola sugli apprendimenti è pari o lievemente superiore all’effetto medio regionale e i punteggi medi di scuola sono superiori a quelli medi regionali.
2.2.1.3 Un esempio. Sezione 3 del RAV – Processi Vediamo infine due esempi, relativi alla «sezione 3. Processi» / «3.B. Processi – Pratiche gestionali e organizzative» / «3.B.5
Orientamento strategico e organizzazione della scuola». (Cfr. la suddivisione del RAV di cui alla Fig. 2). La sezione 3.B.5 si articola in cinque parti: a. Gestione delle Funzioni Strumentali. b. Gestione del Fondo di istituto. c. Gestione delle assenze degli insegnanti. d. Progetti realizzati. e. Progetti prioritari.
Vediamo la parte 3.B.5.d. «Progetti realizzati». Troviamo le seguenti tabelle (cfr. Figg. 9-12), che riportano i dati sui progetti realizzati, alla data della rilevazione, assieme ai corrispondenti benchmark per aree territoriali 3.5.d.1 Ampiezza dell’offerta dei progetti Figura 9 – Ampiezza dell’offerta dei progetti Ampiezza dell’offerta dei progetti Situazione ISTITUTO
Riferimento Provinciale
Riferimento Regionale
Riferimento Nazionale
35
23.1
21.19
14.83
Ampiezza dell’offerta dei progetti (numero)
3.5.d.2 Indice di frammentazione dei progetti Figura 10 – Indice di frammentazione dei progetti Indice di frammentazione dei progetti Situazione ISTITUTO
Riferimento Provinciale
Riferimento Regionale
Riferimento Nazionale
3379.2
19062.34
13416.94
11443.68
Indice di frammentazione dei progetti - (Spesa Media per Progetto in Euro)
3.5.d.3 Indice di spesa dei progetti per alunno Figura 11 – Indice di spesa dei progetti per alunno Indice di spesa dei progetti per alunno Situazione ISTITUTO
Riferimento Provinciale
Riferimento Regionale
Riferimento Nazionale
72.43
223.97
162.2
92.34
Indice di spesa dei progetti per alunno in Euro
3.5.d.4 Indice di spesa per la retribuzione del personale nei progetti Figura 12 – Indice di spesa per la retribuzione del personale nei progetti Indice di spesa per la retribuzione del personale nei progetti
Indice di spesa per la retribuzione del personale nei progetti
Situazione ISTITUTO
Riferimento Provinciale
Riferimento Regionale
Riferimento Nazionale
47.88
29.1
29.88
29.89
Ed ecco il Quadro di sintesi, con la indicazione dei Punti di forza/debolezza, relativo alle sezioni 3.B.5. da a) a d). (cfr. Fig. 13). Figura 13 – Quadro di sintesi 1 PUNTI DI FORZA
PUNTI DI DEBOLEZZA
C’è una chiara divisione dei compiti tra i docenti con incarichi di responsabilità (coordinatori di dipartimento, coordina-tori di classe, responsabili di laboratorio, collaboratori del DS, coordinatori di in-dirizzo, Funzioni Strumentali).
Un elemento di forte debolezza è la pol-verizzazione dei progetti, evidente in tutte le rilevazioni statistiche rispetto al dato provinciale e regionale.
C’è una chiara divisione dei compiti tra il personale ATA, con una definizione del Piano delle Colpisce la bassa spesa per progetto, a confronto con l’alto attività stilato in collabo-razione tra DS e DSGA in base alle esi-genze della scuola e alle esigenze indice di spesa per docente, rispetto agli standard regionali e del personale. provinciali. La retribuzione delle Ff. Ss. è in linea con la media regionale e provinciale. La retribuzione degli del personale ATA, in percentuale sul FIS, è in linea con lo standard provinciale e regionale.
Pare necessaria una netta riduzione dei progetti e la loro coerente focalizzazione sul miglioramento, anche per rendere più efficiente la spesa.
Di seguito, al termine della sezione e), troviamo la Rubrica di valutazione, relativa alla intera «sezione 3.B.5.» (cfr. Fig. 14). Figura 14 – Rubrica di Valutazione RUBRICA DI VALUTAZIONE -1234 567+
La scuola ha definito la missione e la visione e queste sono condivise nella comunità scolastica, con le famiglie e il territorio. La scuola utilizza forme strutturate di monitoraggio delle azioni.
Responsabilità e compiti delle diverse componenti scolastiche sono individuati chiaramente. La maggior parte delle spese definite nel Programma annuale sono coerenti con le scelte indicate nel Piano triennale dell’offerta formativa. Le risorse economiche destinate ai progetti si disperdono su un numero elevato di questi, seguendo la iniziativa dei singoli docenti, più che la coerenza con Piano di Miglioramento e il conseguente, adeguato Piano di Investimento.
2.2.1.4 L’ultima sezione del RAV: priorità e traguardi L’ultima sezione del RAV è quella che funziona da ponte con il Piano di miglioramento. Infatti, in essa si chiede di identificare le Priorità per il miglioramento di istituto. Il Nucleo interno di valutazione, il dirigente e tutto il collegio sono chiamati a riprendere in considerazione le Rubriche di valutazione delle varie sezioni del RAV, identificando quelle in cui la valutazione è risultata più bassa. Si tratta, insomma, di identificare, tra questi temi, quelli sui quali la scuola ha rilevato le criticità più sensibili e affrontare proprio quelli come priorità per costruire il piano di miglioramento. È necessario concentrarsi su una o due priorità, in una o due aree al massimo: dunque, le priorità saranno in tutto da un minimo di 1 a un massimo di 4. Un numero maggiore di priorità renderebbe troppo complicata la pianificazione del miglioramento e rischierebbe di vanificare il lavoro. Al proposito va tenuto presente che la direttiva MIUR 11/2014 pone a obiettivo del SNV il miglioramento degli esiti, in particolare: 1. la riduzione della dispersione e dell’insuccesso; 2. la riduzione della varianza «fra» e «nelle» scuole; 3. il rafforzamento delle competenze di base; 4. la valorizzazione degli esiti a distanza.
Di fatto, l’obiettivo fondamentale viene ribadito essere quel successo formativo, che il D.P.R. 275/99 poneva a cardine della autonomia funzionale degli istituti scolastici. Ciascuna priorità deve essere descritta brevemente. Poi – per la necessità di tradurre tutti i parametri di controllo delle azioni in dati numerabili e confrontabili, che sovrintende a tutto il sistema di valutazione – per ciascuna Priorità si dovrà definire un Traguardo quantitativo, che costituisce lo scopo da raggiungere in un arco di tempo triennale. Dunque, quello cui tutto l’istituto dovrà tendere sarà raggiungere i traguardi di risultato, espressi in quantità ben misurabili. Ma sui risultati non si può intervenire direttamente, bensì agendo sulle «leve», che il RAV definisce come «obiettivi di processo», capaci di incidere su quegli esiti. Tali obiettivi di processo sono da identificare all’interno delle medesime sette aree di processo in cui si articola la «sezione 3 – processi» del RAV. Si tratta, insomma, di identificare le azioni concrete da avviare, attraverso le quali ottenere gli obiettivi di più breve periodo, anch’essi espressi in dati misurabili, da raggiungere di regola in un anno scolastico e che servono poi anche come punti di verifica intermedi del miglioramento triennale, definito a monte (cfr. Fig. 15). Figura 15 – Esemplificazione: dalla definizione delle priorità all’individuazione dei traguardi
Il RAV stesso chiede di descrivere gli obiettivi di processo da perseguire – all’interno delle aree di processo – specificando anche in che modo tali obiettivi possono contribuire al raggiungimento delle priorità (cfr. Fig. 16). Figura 16 – Obiettivi di processo Area di Processo
Descrizione dell’obiettivo di processo
a. Curricolo, progettazione e valutazione
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)... 2. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
b. Ambiente di apprendimento
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)... 2. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
c. Inclusione e differenziazione
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
2. (max 150 caratteri spazi inclusi)... d. Continuità e orientamento
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)... 2. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
e. Orientamento strategico e organizzazione della scuola
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)... 2. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
f. Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)... 2. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
g. Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie
1. (max 150 caratteri spazi inclusi)... 2. (max 150 caratteri spazi inclusi)...
Indicare in che modo gli obiettivi di processo possono contribuire al raggiungimento della priorità (max 150 caratteri spazi inclusi).
... ... ... In sintesi, per il SNV, la qualità della scuola, del dirigente, del corpo docente risiede negli esiti degli studenti (è una scelta di campo), declinati puntualmente in indicatori e descrittori Gli esiti sono il cuore del SNV, quindi le priorità di miglioramento e i rispettivi traguardi devono essere individuate nelle quattro aree degli esiti (risultati scolastici, risultati nelle prove INVALSI, competenze chiave europee, risultati a distanza). I processi sono le leve di miglioramento, suddivisi nelle due macro-aree: pratiche educative – didattiche (docenti/dirigente) e pratiche gestionali e organizzative (dirigente/docenti). Gli obiettivi di processo costituiscono essi stessi elemento sostanziale di miglioramento dei processi e insieme come concause generative di miglioramento. In tal modo, il SNV contribuisce alla costruzione condivisa della specifica visione di ciascuna scuola, in modo iterativo e dinamico e al contempo realizza la autonomia didattica e organizzativa di ciascun istituto. 2.2.2 La valutazione esterna
Il sopralluogo dei Nuclei esterni di valutazione è finalizzata a coadiuvare l’istituto scolastico nella azione di valutazione. Gli istituti da avviare a Valutazione esterna sono prioritariamente quelli individuati dagli Uffici scolastici regionali e dai coordinatori del Servizio ispettivo, sulla base di un protocollo nazionale. In ragione della esiguità del personale ispettivo disponibile in servizio, la percentuale annua di istituti sottoposti a valutazione dei Nuclei esterni non è potuta essere superiore al 4,6% nel 2017 e al 2,8% nel 2018. Il Programma e il Protocollo per le visite di valutazione esterna nel Sistema nazionale di valutazione è stato adottato il 3 marzo 2016 dalla Conferenza per il coordinamento funzionale dell’SNV – istituita presso l’INVALSI e composta dal presidente dell’istituto, che la presiede, dal presidente dell’INDIRE e da un dirigente tecnico di nomina MIUR. Esso prevede una fase di preparazione precedente la visita, con la lettura e l’analisi preventiva dei dati dell’istituto, dei suoi documenti contabili e organizzativi e delle evidenze del RAV; in presenza, una serie di visite ai locali dell’istituto e di interviste strutturate con il dirigente, lo staff di dirigenza e il NIV e una griglia per la raccolta di informazioni. Dopo la visita, il NEV condivide o riconsidera le priorità e gli obiettivi di miglioramento definiti dal RAV, stende il Rapporto di valutazione esterna e restituisce i dati della valutazione esterna, in presenza, all’istituto scolastico. 2.2.3 Il Piano di miglioramento
Con il triennio 2019/2022, il MIUR ha messo a disposizione dei Nuclei interni di valutazione una piattaforma digitale per la predisposizione del Piano triennale della offerta formativa, al fine di avere un format omogeneo e comparabile delle scelte autonome dei singoli istituti riguardo alla propria funzionalità. Coerentemente a quanto disposto dalla legge 107/2015, il PTOF è chiamato a definire con chiarezza le scelte strategiche, compiute dal singolo istituto in relazione al proprio contesto sociale e territoriale, rispetto agli obiettivi strategici individuati come prioritari tra quelli identificati dalla legge 107/2015, all’art. 1, c. 7, lettere a)-s), oltre alle Priorità di miglioramento e i relativi Traguardi, identificati attraverso il RAV e il Piano di miglioramento. Il PTOF 2019/2022 ha assunto dunque la seguente configurazione (cfr. Fig. 17): Figura 17 – Configurazione PTOF
Evidentemente le scelte collegate al miglioramento – e, più specificamente, il monitoraggio e la verifica della rendicontazione – divengono parte integrante della pianificazione didattica e gestionale della scuola della autonomia. Dal contesto vengono desunte le scelte strategiche e di miglioramento, sulle quali si incardina la offerta formativa, l’organizzazione didattica e gestionale e la allocazione mirata delle risorse (anche finanziarie, attraverso un bilancio programma annuale che dovrà essere coerente con le scelte compiute). Il Piano di miglioramento, in questa prospettiva di «piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche» (legge 107/2015, art. 1, c. 1), è parte essenziale del PTOF e impegna di fatto gli istituti autonomi nel corso del triennio di attuazione del PTOF stesso. In che cosa consiste tecnicamente tale Piano di miglioramento? Si tratta in sostanza di articolare e programmare la progettazione di istituto, sviluppata nel corso dei vent’anni di esperienza di autonomia degli istituti scolastici, in modo da: 1. selezionare i progetti e le attività significativamente utili al fine dell’ottenimento degli obiettivi di miglioramento prefissati; 2. articolarli in percorsi di miglioramento; 3. disporli in un cronoprogramma (diagramma di Gantt); 4. definire il funzionigramma dei responsabili di ciascuna attività; 5. allocare le risorse appropriate.
Per comprendere meglio il compito di dirigenti, Nuclei di valutazione e corpo docente, è particolarmente opportuno soffermarsi sulla costruzione della «mappa» dei «percorsi di miglioramento». Nel modello proposto sulla «Piattaforma PTOF» del MIUR [126] , il Piano di miglioramento è composto da «percorsi di miglioramento» (al massimo tre), ciascuno dei quali è organizzato in «attività» (al massimo tre per ciascun percorso). Un «percorso» è quindi l’insieme delle attività, riferibili agli obiettivi di processo, ordinate l’una all’altra secondo una tassonomia e una consecuzione logico-temporale, che realizzano il miglioramento. Ogni percorso di miglioramento nasce per realizzare uno o più obiettivi di processo, ciascuno dei quali è legato a una priorità che la scuola si è data. Nella piattaforma PTOF sono previste al massimo 3 attività per ogni percorso di miglioramento. Lo schema generale dell’azione può essere utilmente rappresentato operativamente con un diagramma ad albero, quale quello rappresentato sotto (cfr. Fig. 18), che traiamo dalle Note di accompagnamento alla «Road MAP» per il miglioramento e la rendicontazione sociale delle scuole 2019-2022 , pubblicata dall’USR ER a novembre 2019, a seguito di un triennio di sperimentazione compiuta nei territori della regione [127] : Uno schema che parte dai percorsi di miglioramento, scende a cascata agli obiettivi di processo e poi alle relative priorità, rende possibile ricondurre anche più di un obiettivo di processo o più di una priorità a ciascun percorso di miglioramento. Questo permette di avere una visione analitica del miglioramento – utile per l’attuazione del miglioramento – senza perderne la dimensione olistica, che ritorna nella Rendicontazione sociale. Figura 18 – Diagramma dei percorsi di miglioramento
Ciascun percorso, che dovrà avere un titolo e una breve descrizione, si articolerà quindi in azioni (al massimo tre), di cui dovranno essere previsti: 1. le eventuali sotto-attività; 2. i risultati attesi; 3. uno o più responsabili del procedimento; 4. i momenti a calendario per i controllo dei risultati in itinere ; 5. le risorse professionali e materiali necessarie e i relativi costi. Ovviamente, le azioni possono essere riferibili a più di un obiettivo di miglioramento e a più di un percorso. Facciamo un esempio. Ammettiamo che la Priorità di Miglioramento 1 sia relativa alle capacità di comprensione del testo degli alunni al termine del biennio. Un percorso potrà articolarsi nelle seguenti attività, relative all’area «Curricolo, Progettazione e Valutazione»: 1. attività per livello a classi aperte; 2. potenziamento pomeridiano per alcune categorie di studenti; 3. predisposizione di prove comuni. Ciascuna delle tre attività indicate sopra può essere articolata in un numero limitato di sotto-attività specifiche che la compongono. Per esempio, l’attività «Costruzione di prove per classi parallele» potrà articolarsi nelle sotto-attività: 1. predisposizione delle prove da parte di gruppi di lavoro ristretti; 2. elaborazione delle prove e delle rubriche di valutazione da parte del Dipartimento; 3. correzione incrociata/cieca delle prove. Un altro percorso potrà prendere in considerazione gli obiettivi relativi all’area «Ambienti di Apprendimento» o «Sviluppo delle Risorse Umane», per la formazione necessaria al dipartimento stesso. È probabile che tale percorso possa poi essere relativo anche ad altri obiettivi di miglioramento, incrociando quindi altri percorsi con altra e complementare articolazione temporale nel corso del triennio. 2.2.4 La Rendicontazione sociale
Si è visto che, in un contesto professionale avanzato e orientato all’autonomia, il processo di valutazione parte necessariamente dalla presa di consapevolezza dei punti di forza e di debolezza della propria attività professionale – sviluppata dagli attori stessi sulla base dei dati obiettivi forniti dalla amministrazione su base comparativa. Allo stesso modo, il processo di valutazione si compie, al suo termine, con la rendicontazione delle azioni svolte e dei risultati ottenuti, non solo e non tanto alla amministrazione, quanto soprattutto ai soggetti (generalmente definiti come stakeholder ) che hanno interesse al servizio svolto dagli istituti autonomi sui territori e nei contesti di vita e lavoro, per la loro crescita e il loro sviluppo sociale, economico e culturale: genitori, enti locali, Associazioni, fdondazioni, forze sociali, aziende, terzo settore ecc. Secondo il D.P.R. 80/2013, la pubblicazione e la diffusione dei risultati raggiunti deve avvenire – come per tutte le fasi del sistema di valutazione – attraverso indicatori e dati comparabili, sia in una dimensione di trasparenza, sia in una dimensione di condivisione e promozione al miglioramento del servizio con la comunità di appartenenza. Ciò risponde all’esigenza crescente di famiglie e parti sociali di conoscere i dati fondamentali della scuola e, da parte della scuola, di coinvolgere i cosiddetti stakeholder nella costruzione del servizio pubblico di istruzione e formazione. I risultati rilevati attraverso indicatori e dati comparabili determinano la rendicontazione nei confronti della amministrazione decentralizzata, relativamente alla valorizzazione dei territori della autonomia. In quanto tale, la rendicontazione conclusiva si configura certamente come un atto amministrativo interno. Ma la pubblicazione e diffusione con la comunità di appartenenza determinano la rendicontazione come un atto di natura sociale, anche nella forma e nelle finalità che normalmente sono destinate al controllo e alla cura della allocazione delle risorse economiche: quelle tipiche del «bilancio». In quanto tale, la rendicontazione finale è un atto amministrativo esterno, finalizzato alla trasparenza, alla condivisione, alla promozione. Consiste, dunque, nella presentazione pubblica dei risultati raggiunti, nella forma di un rapporto o di un bilancio «sociale», in occasione della quale si motivano le scelte effettuate e i processi attivati per raggiungere gli esiti previsti, espressi in termini di dati misurabili, a partire dai dati di partenza, sia in termini di contesto che di risorse (analisi dei risultati). Ovviamente, in quanto bilancio, potrà contenere anche riferimenti a eventuali ostacoli o imprevisti o errori, dei quali saranno illustrati le cause che li hanno generati e i modi in cui sono stati affrontati. Il focus sarà sempre e comunque sui dati di partenza (e di contesto), i processi attivati, i traguardi impostati, i risultati raggiunti o da raggiungere. Forse, anche più importanti dei risultati raggiunti o non completamente raggiunti, sono le motivazioni e la riflessione sugli errori compiuti e sulle strategie alternative per raggiungere gli stessi obiettivi o altri a essi complementari o alternativi. Attraverso la rendicontazione, al termine del triennio del PTOF, si chiude e si porta a compimento il circuito previsto dal SNV come una strategia di apprendimento, vertice e base di un sistema che apprende – suggello di organizzazione, a tutti i livelli, in apprendimento e per l’apprendimento.
[118] www.snv.pubblica.istruzione.it [119] Modello [120] EIPA,
EFQM per la eccellenza, www.efqm.org .
https://www.eipa.eu .
[121] www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/19-12-2006/direttiva-una-pubblica-amministrazione-di-qualita
.
[122]
www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/Terzo-settore-e-responsabilita-sociale-imprese/focus-on/Responsabilita-sociale-imprese-eorganizzazioni/Pagine/default.aspx . [123] L’Italiano
«rendicontare»/»rendicontazione»/»responsabilità» traduce l’inglese «account» /»accountability ». Il termine inglese è molto più ampio concettualmente, perché comprende assieme l’idea, al contempo economica ed etica, di «fare i conti», «assicurare la regolarità dei conti», «assumere la responsabilità », «corrispondere ad un affidamento », «svolgere un servizio con efficacia , senza sprecare denaro della comunità». Differente, quindi da «responsabilità», per cui la lingua inglese distingue. ll concetto di «responsibility» è legata al dovere agire. Il concetto di «accountability» è legato al rendere conto dell’azione fatta o fatta fare, al rispondere e al rendere conto dei risultati ottenuti, delle cose fatte (fatte bene e fatte male), con i soldi pubblici, e non propri, affidati dalla comunità. [124]
Il CIPO è un costrutto di ricerca scientifica, sviluppatosi nella seconda metà del secolo scorso, che ha in Jaap Scheerens il suo massimo esponente. Il costrutto coniuga competenze sociologiche (nella indagine sul contesto), psicologiche (nella indagine sul clima della scuola e della classe), pedagogiche (nella indagine interna alle classi), economico-aziendali (nella indagine sulla gestione), per cercare di isolare in modo quantitativamente determinato gli elementi che causano la specifica School Effectiveness (efficacia della singola scuola) e – agendo su quelli effettivamente modificabili (malleable , «malleabili») ai vari livelli di sistema, istituto e classe – identificare le «leve» capaci di determinare la «efficacia» e la «inefficacia» della scuola e, quindi, assicurare il miglioramento. La scuola viene descritta come una «cipolla»: il cuore (core ) sono gli esiti (output ), su questi agiscono i processi didattici e, a un livello più generale, i processi organizzativi (process ); a un livello ulteriore di «influenza» stanno i finanziamenti, le infrastrutture, le conoscenze degli alunni, la professionalità e l’entusiasmo dei docenti, la leadership dello staff di dirigenza (input ); e tutto il sistema è avvolto, contornato e quasi «situato» all’interno del contesto, che influenza la scuola come fonte di risorse, ma anche di vincoli. [125]
Il contesto in cui opera la scuola, secondo il modello CIPO, è un elemento non «malleabile» (malleable), vale a dire non modificabile direttamente, dai soggetti che operano all’interno del singolo istituto. Esso viene determinato in rela-zione a parametri come l’indicatore medio ESCS (Economic Social and Cultural Status) della popolazione scolastica, il tasso di disoccupazione e di immigrazione del territorio, i finanziamenti a disposizione, le caratteristiche edili del fab-bricato, le infrastrutture didattiche, le caratteristiche di stabilità del corpo docente ecc. Non essendo direttamente modificabile dalle azioni dei soggetti operanti nella scuola, il contesto è oggetto di valutazio-ne solo in termini di «opportunità» e «vincoli», ma nel RAV non è ovviamente presente una sua rubrica di valutazione specifica. Esso, tuttavia, è utilissimo e di fondamentale importanza, poiché serve a «situare» l’istituto e determinarne le caratteri-stiche «tipologiche», rese confrontabili e paragonabili in base alla considerazione della deviazione standard e alla media dei valori (benchmark ) degli altri istituti consimili, nell’ambito dei contesti territoriali considerati (provincia, regione, macro-area, Paese). Ed è punto di riferimento basilare per la consapevolezza della fotografia e della mappa, dello sfondo e del paesaggio, delle opportunità e dei vincoli, che quel contesto fornisce, rispetto alle azioni di miglioramento che, rimanendo pur sempre al suo interno, e confrontandosi con scuole di profilo consimile, saranno da identificare, scegliere e intraprendere, agendo su elementi effettivamente modificabili. [126] www.snv.pubblica.istruzione.it/snv-portale-web/ [127] www.istruzioneer.gov.it/2019/11/20/snv-la-road-map-per-il-ciclo-di-miglioramento-delle-istituzioni-scolastiche/
11. Il profilo professionale del docente a cura di Fabio Foddai
1. Cenni sul rapporto di impiego nella pubblica amministrazione 1.1 Uno sguardo d’insieme sulle fonti normative
La riforma del pubblico impiego, compiuta in tempi successivi dal legislatore a partire dagli anni Novanta, ha assoggettato il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con l’esclusione di alcune particolari categorie di personale in regime di diritto pubblico, alla disciplina del diritto privato, cioè alle disposizioni del Capo I, Titolo II del Libro V del Codice Civile e alle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nelle imprese, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 che costituiscono norme a carattere imperativo (art. 2 D.lgs. 165/2001). La prima fase della riforma risale alla legge delega 23 ottobre 1992 n. 421 e al conseguente decreto delegato, il D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 nel quale si ponevano per la prima volta la «privatizzazione» e la «contrattualizzazione» come principi guida dell’impiego pubblico. Il primo termine significa che l’azione della pubblica amministrazione nelle materie dei rapporti di lavoro è posta sullo stesso piano di quella del datore di lavoro privato; il secondo termine pone l’accento sul fatto che i rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente. Il rapporto tra la legge e i contratti collettivi nazionali ha visto nel corso degli anni alterne vicende, nel senso che interventi legislativi successivi hanno di volta in volta ampliato o ristretto lo spazio della autonomia negoziale collettiva. Con gli interventi avvenuti tra il 1997 e il 2001 il modello contrattuale diventa centrale e si afferma nettamente a discapito del modello autoritativo (i decreti legislativi nn. 396/1997, 80/1998 e 387/1998). Negli stessi anni prende anche avvio l’autonomia scolastica, nel nome del principio di sussidiarietà, che troverà successivamente una sanzione anche costituzionale, per gli effetti della riforma del Titolo V della Costituzione, e che avrà come conseguenza anche l’istituzione della dirigenza scolastica. L’intervento legislativo che opera un capovolgimento del rapporto tra legge e contratto a favore della prima è il D.lgs. n. 150/2009 (che deriva dalla legge delega 4 marzo 2009, n. 15) la cosiddetta «riforma Brunetta» in cui si affermano due principi: la preminenza della fonte unilaterale sul contratto e la sottrazione delle prerogative datoriali alla negoziazione. In anni più recenti il pendolo dei rapporti fra legge e contrattazione collettiva ha di nuovo oscillato in direzione dei contratti: la legge 7 agosto 2015, n. 124 («riforma Madia») infatti e il successivo D.lgs. 25 maggio 2017, n. 75 hanno restituito ai contratti collettivi successivi la possibilità di derogare alle norme di legge. In conclusione, al presente, per inquadrare il profilo professionale dei docenti (così come per tutto il personale delle istituzioni scolastiche), dovremo tenere in considerazione il Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto istruzione e ricerca del 19 aprile 2018, per il triennio 2016-2018 (da ora in poi CCNL 2018), il Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola 29 novembre 2007 per il quadriennio normativo 2006-2009 (da ora in poi CCNL 2007) per tutto quanto non è espressamente previsto dal CCNL 2018; il D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 oltre alle norme specifiche sulla scuola, in particolare il D.lgs. 16 aprile 1994 n. 297 (Testo Unico) e la legge 13 luglio 2015, n 107.
2. La funzione docente 2.1 Il D.lgs. 297/1994
Nell’articolo 395 del Testo Unico si definisce la funzione docente come: «esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità». Tale definizione, mai abrogata, a distanza di ben quarantasei anni dalla norma originale, (l’art. 2 del D.P.R. 31 maggio 1974 n. 417) deve essere letta oggi alla luce degli articoli dei contratti collettivi citati sopra e conserva il suo valore perché è parzialmente ripresa dalle definizioni successive. Nel testo della norma si colgono chiaramente due aspetti del ruolo dell’insegnante. Da una parte la dimensione culturale: il docente assume un ruolo di protagonista sotto la duplice prospettiva della «trasmissione» e della «elaborazione» della cultura; emerge il profilo di lavoratore intellettuale nel senso più pieno del termine. D’altra parte l’accento batte sulla dimensione più propriamente formativa, in cui il docente ha il compito di ispirare nell’alunno la consapevolezza rispetto ai medesimi processi di produzione e trasmissione della cultura, al tempo stesso ricoprendo anche una funzione di promozione della personalità dei giovani sotto il profilo umano e della capacità critica. In questa dinamica è facile cogliere nel Testo Unico il dato che, mentre al docente è affidato un ruolo attivo di «impulso», agli alunni è riservata invece una posizione subordinata, di «partecipazione», in attesa, appunto, di una spinta proveniente dal docente. È, con tutta evidenza, una visione della scuola e dei rapporti docente-alunno in cui prevale un profilo trasmissivo del sapere: l’alunno è più oggetto che soggetto della relazione formativa. Il medesimo articolo, al comma 2, integra la funzione docente, definita nel primo comma essenzialmente come attività didattica, con impegni che riguardano «l’aggiornamento culturale e professionale» (lettera a), la partecipazione agli organi collegiali (lettera b), la
«realizzazione delle iniziative educative della scuola deliberate dai competenti organi» (lettera c), i rapporti con le famiglie (lettera d), la partecipazione alle commissioni di esame e di concorso (lettera e). Il docente in queste attività da una parte diventa soggetto di «rapporti inerenti alla natura dell’attività didattica», e quindi strettamente collegati con la funzione fondamentale dell’insegnamento, e dall’altra partecipa «al governo della scuola». Possiamo considerare attratti nel primo ambito le lettere a), c) e d); nel perimetro del secondo possiamo inserire le attività individuate dalle lettere b) ed e). Già nel Testo Unico si riconosce pertanto una funzione docente divisa in due aspetti: l’attività didattica e le attività complementari alla attività didattica e a esse funzionali. 2.2 I contratti collettivi nazionali
Questa duplicità della funzione docente che prende in considerazione l’attività didattica e le attività «altre», integrative e funzionali alla prima, rimane un dato costante anche nelle successive formulazioni presenti nei contratti collettivi. Il quadro che deve essere attualmente considerato è contenuto negli articoli 26, 28 e 29 del CCNL 2007, e negli articoli da 25 a 28 del CCNL 2018. L’art. 26 del CCNL 2007 (la cui prima formulazione è già presente nell’art. 38 del CCNL 4 agosto 1995, che è il primo contratto del comparto scuola), inquadra la funzione docente in termini di realizzazione del «processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione». Appare parzialmente superata la visione prevalentemente trasmissiva presente nella formulazione del Testo Unico; mentre emerge l’idea che il lavoro del docente è sì quello di avviare un processo, ma che tale processo si compie attraverso l’interazione con gli alunni che apprendono. Viene precisata meglio anche la funzione di promozione della crescita degli studenti, declinata in riferimento, oltre che allo sviluppo umano, culturale e civile anche a quello professionale. Quest’ultimo termine è significativo perché è la spia del recepimento in Italia delle istanze che nei primi anni Novanta ispirarono le politiche europee a servizio dell’incremento della occupazione, espresse per la prima volta nel Libro bianco di J. Delors (dicembre 1993) e successivamente (1995) nel Libro Bianco su Istruzione e Formazione di E. Cresson e che introdussero l’idea che l’istruzione e la formazione devono essere connesse con il problema dell’occupazione e che funzione essenziale di esse è l’inserimento sociale e lo sviluppo personale. Queste idee sono anche a fondamento di tutti i successivi interventi di riforma e riordino del sistema di istruzione e formazione compiuti in Italia nei decenni successivi. Il CCNL 2007 si premura di sottolineare l’autonomia culturale e professionale dei docenti (art. 26, c. 2; ma vedi anche l’art. 24, c. 3 che parla di «libertà di insegnamento»), in armonia con le indicazioni già presenti nella disciplina del Testo Unico. Il richiamo è al dettato costituzionale (art. 33 Cost.), ma anche agli artt. 1 e 4 del D.P.R. 275/1999 (Regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche), dove però la libertà di insegnamento trova un contemperamento nella libertà di scelta delle famiglie e nelle «finalità generali del sistema»; tale autonomia si dispiega nell’ambito delle attività individuali e nella partecipazione alle attività collegiali e di aggiornamento. L’azione dei docenti in seno al collegio si precisa poi ulteriormente in quanto preordinata alla elaborazione del Piano triennale dell’offerta formativa, alla sua attuazione e alla sua verifica, limitatamente agli «aspetti pedagogici e didattici», sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione definiti dal dirigente scolastico (cfr. art. 3 D.P.R. 275/1999 dopo la modifica apportata dalla legge 107/2015). Il Piano triennale dell’offerta formativa della scuola, come è noto, è approvato invece dal consiglio di istituto. Il collegio deve inoltre nella sua attività di elaborazione del Piano dell’offerta formativa, tenere conto della realtà economica e sociale di riferimento, «anche al fine del raggiungimento di condivisi obiettivi qualitativi di apprendimento in ciascuna classe e nelle diverse discipline». Questa finalità, introdotta per la prima volta proprio con il CCNL 2007 (infatti, nei precedenti contratti si faceva riferimento esclusivamente al contesto socioeconomico, senza ulteriori specificazioni), chiama i docenti a esercitare la loro funzione, nella dimensione collegiale, finalizzando la progettazione didattica a un apprendimento di qualità (attenzione: apprendimento, non insegnamento), che, visto il contesto in cui la frase è inserita, non può che essere inteso come strumento essenziale per ridurre le differenze tra gli alunni originate dall’appartenenza a classi socialmente e culturalmente svantaggiate; e il valore sociale di questo ruolo proattivo dei docenti è ulteriormente confermato dal fatto che del raggiungimento di tali obiettivi va data informazione alle famiglie. L’art. 26 del CCNL 2018 poi, richiama le novità introdotte con l’approvazione della legge 107/2015 (art. 1, c. 63), in merito all’organico dell’autonomia, cui appartengono tutti i docenti in servizio che occupano i posti comuni, i posti per il sostegno e i posti per il potenziamento dell’offerta formativa. Tutti i docenti dell’istituzione scolastica concorrono alla realizzazione del Piano triennale dell’offerta formativa, mediante attività individuali e collegiali: «di insegnamento; di potenziamento; di sostegno; di progettazione; di ricerca; di coordinamento didattico e organizzativo». Dunque, il contratto fa emergere chiaramente la natura complessa del ruolo dei docenti all’interno della attuale organizzazione della scuola. Non più solo attività di insegnamento e attività individuali e collegiali alle prime riferite e a esse complementari, ma un più ampio spettro di funzioni che danno un riconoscimento formale al lavoro dei docenti che assumono compiti e incarichi di maggiore o minore responsabilità, sia in ambito didattico sia in ambito organizzativo, contribuendo a realizzare il piano dell’offerta formativa.
3. Profilo professionale 3.1 Quali competenze?
Il Testo Unico non prende in considerazione la questione del profilo professionale dei docenti inteso in senso stretto come declaratoria di un insieme di competenze tale da costituire il bagaglio imprescindibile per l’esercizio della funzione. Si pone il problema invece il contratto, che ne elabora una prima definizione fino dall’art. 23 del CCNL del 26 maggio del 1999; tale definizione è rimasta sostanzialmente la medesima nel corso degli anni e dei contratti. Il CCNL 2018, attualmente vigente, modifica solo pochi, ma comunque significativi dettagli: il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche , linguistiche , psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica. I contenuti della prestazione professionale del personale docente si definiscono nel quadro degli obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati nel piano dell’offerta formativa della scuola» (art. 27) [128] .
Le competenze tradizionalmente richieste agli insegnanti, cioè quelle relative alle conoscenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, di ricerca e documentazione e valutazione sono state integrate da quelle informatiche, imprescindibili in un mondo sempre più condizionato dalla diffusione di mezzi di comunicazione e informazione digitalizzati; da quelle linguistiche, in quanto mai come in questi anni si avverte la necessità di fondare l’apprendimento degli studenti su solide base di conoscenze e competenze nella lingua italiana; dalle competenze di orientamento: costituisce quest’ultimo parte integrante dei curricoli di studio e del processo formativo sin dalla scuola dell’infanzia e deve essere inteso come uno dei pilastri della lotta all’insuccesso e all’abbandono scolastico. Le competenze che fanno parte della professionalità dei docenti individuate dal CCNL trovano riscontro e integrazione nei criteri di valutazione dell’anno di formazione e prova contenuti nell’art. 4 c. 1 del D.M. 27 ottobre 2015, n. 850. Il periodo di formazione e prova è infatti finalizzato specificamente alla verifica della «padronanza degli standard professionali» riferiti al corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, in relazione ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti (lettera a); il corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali (lettera b); l’osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti con la funzione docente (lettera c); la partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti (lettera d). Non è inutile a questo punto del discorso sottolineare le novità che il decreto 850/2015, nel fissare gli ambiti entro cui inserire gli standard della professione docente, introduce nella definizione del profilo professionale del docente. Da una parte infatti, alla lettera a) mette in relazione il possesso delle competenze disciplinari con gli obiettivi di apprendimento: quello che conta nell’insegnante di oggi perciò non è più l’astratta disponibilità di saperi e conoscenze, ma la concreta capacità di intervenire come fattore di innesco per il raggiungimento e la maturazione da parte degli alunni dei traguardi e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti. Dall’altra alle lettere b) e c) individua, come parte irrinunciabile del bagaglio professionale non solo capacità relazionali ma il rispetto dei doveri connessi con il ruolo di pubblico dipendente e la funzione docente, in questo modo introducendo, uno stringente richiamo alla correttezza dei comportamenti e della condotta, valore inestimabile per chi ha a che fare quotidianamente con i giovani e i giovanissimi. Ultimo aspetto da rilevare è la sottolineatura della necessità di curare formazione e aggiornamento, che devono essere considerate leve strategiche per il miglioramento del sistema di istruzione e dell’offerta formativa. Le norme citate in cui si individuano le competenze dei docenti non fanno distinzione fra i docenti dei diversi gradi di istruzione. Un possibile testo di riferimento da cui trarre spunto di riflessione per i docenti della Scuola secondaria è il decreto legislativo 13 aprile 2017 n. 59 che pone in essere la delega prevista dall’art. 1 cc. 180 e 181 della legge 13 luglio 2017 n. 107 relativa al riordino, all’adeguamento e alla semplificazione del sistema di accesso nei ruoli di docente. Se gettiamo uno sguardo sugli obiettivi del percorso di formazione iniziale, possiamo farci un’idea riguardo alle caratteristiche attese nei docenti all’atto del loro ingresso nella scuola, e anche di conseguenza su un modello di profilo docente per la Scuola secondaria. Innanzitutto, si mettono in evidenza le competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, in relazione ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti (art. 2, c. 4, lettera a): colpisce qui la relazione tra la preparazione culturale e disciplinare del docente e i traguardi di competenza fissati per gli studenti. Le conoscenze disciplinari dei docenti non sono autoreferenziali, ma devono essere finalizzate ai traguardi degli studenti. Si delinea qui il profilo di un docente che non solo conosce la propria disciplina, ma sa quali competenze devono raggiungere i propri studenti. La lettera b) dello stesso comma aggiunge che devono essere poste come obiettivo del processo di formazione dell’aspirante docente «le competenze proprie della professione […] in particolare pedagogiche, relazionali, valutative, organizzative e tecnologiche, integrate in modo equilibrato con i saperi disciplinari», declinando quelle competenze che abbiamo già enucleato nei paragrafi precedenti; si conferma qui una immagine complessa della funzione docente, composta di molteplici competenze, anche organizzative, che adeguano la formazione dei docenti alle esigenze reali della scuola attuale. La lettera c) precisa ulteriormente l’ampiezza del profilo del docente di Scuola secondaria sottolineandone come essenziale la capacità di progettare percorsi didattici flessibili e adeguati al contesto scolastico, per favorire l’apprendimento critico e consapevole e l’acquisizione delle competenze da parte degli studenti: ancora un preciso riferimento alla necessità di personalizzare e individualizzare la proposta didattica in relazione alle necessità degli studenti. 3.2 Gli standard professionali
Nel testo del citato articolo 4 del D.M. 850/2017 si fa menzione di «standard professionali». Ma quali sono gli standard professionali e
dove trovarli? Se intendiamo l’espressione riferita a una descrizione puntuale di competenze «in situazione», che superi il generico e sintetico richiamo, che troviamo nel Testo Unico e nei contratti e che sia, invece, uno schema di comportamenti professionali attesi, allora va detto che non esiste un riferimento nelle leggi o nel contratto, che fondi su basi certe il richiamo agli standard professionali. La disposizione in parola sembra essere priva di una norma di chiusura che renda effettivo e cogente il rimando agli standard professionali. Insomma il legislatore sembrerebbe essersi dimenticato di definire con precisione l’idea di docente ideale che aveva in mente. Questa impressione è vera però solo in parte. La riflessione sul tema è rinvenibile prima di tutto nel Piano nazionale di formazione dei docenti 2016/2019 (adottato con D.M. 797 del 19 ottobre 2016). Il piano individua le aree sintetizzate nella Tabella 1 sulle quali fondare lo sviluppo professionale [129] . Tabella1 1. Area delle competenze relative all’insegnamento (didattica)
a. Progettare e organizzare le situazioni di apprendimento con attenzione alla relazione tra strategie didattiche e contenuti disciplinari; b. Utilizzare strategie appropriate per personalizzare i percorsi di apprendimento e coinvolgere tutti gli studenti, saper sviluppare percorsi e ambienti educativi attenti alla personalizzazione e all’inclusione; c. Osservare e valutare gli allievi; d. Valutare l’efficacia del proprio insegnamento.
2. Area delle competenze relative alla partecipazione scolastica (organizzazione)
e. Lavorare in gruppo tra pari e favorirne la costituzione sia all’interno della scuola che tra scuole; f. Partecipare alla gestione della scuola, lavorando in collaborazione con il dirigente e il resto del personale scolastico; g. Informare e coinvolgere i genitori; h. Contribuire al benessere degli studenti.
3. Area delle competenze relative alla propria i. Approfondire i doveri e i problemi etici della professione; formazione (professionalità) j. Curare la propria formazione continua; k. Partecipare e favorire percorsi di ricerca per innovazione, anche curando la documentazione e il proprio portfolio.
Rinveniamo in questa tabella un modello di azioni che implicitamente qualificano un modello dell’agire del docente ideale. È utile sottolineare un paio di elementi presenti in questo schema, che possono rappresentare nel primo caso una criticità e nel secondo una opportunità. Nello schema, in corrispondenza dell’area delle competenze relative alla partecipazione scolastica viene inserita la valorizzazione del contributo del docente al benessere degli studenti: è una competenza rilevante, che investe la capacità del docente di svolgere nei confronti degli alunni non esclusivamente un ruolo di trasmissione di saperi o comunque di facilitazione dei processi di apprendimento, ma anche di supporto psicologico e di ausilio per così dire «morale», che richiede forse una specifica preparazione culturale, non sempre rinvenibile nei percorsi universitari degli aspiranti docenti, e una attitudine personale, non soggetta per altro a nessuna forma di selezione ex ante. D’altra parte nell’area delle competenze relative alla formazione la competenza che richiede l’approfondimento dei doveri e dei problemi etici della professione oltre a rinviare a quanto già accennato più sopra rispetto al richiamo a condotte corrette, pone positivamente il docente nella necessità di riflettere criticamente sulla propria professione nei termini di una ricerca fortemente orientata alla analisi del proprio ruolo nella società. Le medesime azioni, a un di presso, opportunamente sviluppate in descrittori e in domande guida per la compilazione, sono presenti anche nello schema di Bilancio iniziale delle competenze, previsto dall’art. 5 del medesimo D.M. 850/2015, adottato inizialmente in via sperimentale per la formazione dei docenti neoassunti e presente in una versione ormai collaudata sulla piattaforma dedicata, tra i documenti forniti ai fini della valutazione dell’anno di prova e formazione (cfr. Tabella 2). Tabella 2 Area delle competenze relative all’insegnamento (didattica)
Organizzare situazioni di apprendimento Osservare e valutare gli allievi secondo un approccio formativo Coinvolgere gli allievi nel processo di apprendimento
Area delle competenze relative alla partecipazione alla vita della propria scuola (organizzazione)
Lavorare in gruppo tra docenti Partecipare alla gestione della scuola Informare e coinvolgere i genitori
Area delle competenze relative alla propria formazione (professionalità)
Affrontare i doveri e i problemi etici della professione Servirsi delle nuove tecnologie per le attività progettuali, organizzative e formative Curare la propria formazione continua
Il bilancio è strutturato infatti in tre aree e ogni area è articolata in tre ambiti, per un totale di nove ambiti, a costituire «‘le dimensioni generative’ delle competenze che il docente interpreta ed esprime nell’esercizio quotidiano della propria professione» [130] . Le aree
sono quelle delle competenze relative all’insegnamento e quindi le competenze didattiche; delle competenze relative alla partecipazione attiva alla vita della propria scuola e quindi le competenze organizzative; delle competenze relative alla propria formazione e quindi le competenze professionali, che possono essere considerati quanto c’è di più vicino a un format di standard professionale. Almeno nella fase di ingresso in ruolo dunque, il docente è chiamato ad autovalutarsi, misurandosi in riferimento a puntuali descrizioni di comportamenti che prefigurano l’immagine di un docente ideale. Varcato il limitare della professione, purtroppo, il sistema non prevede altre valutazioni. Un ulteriore approfondimento del tema specifico degli standard professionali è contenuto nel documento pubblicato dal Ministero nell’aprile del 2018 e messo a punto da tre gruppi di lavoro con l’obiettivo di accompagnare e arricchire la riflessione sul Piano nazionale di formazione. Uno dei tavoli di lavoro è stato appunto dedicato agli standard professionali dei docenti. In questo caso sono stati individuate cinque dimensioni professionali articolate in specifici standard. Per ciascuno standard nel documento vengono articolati una definizione, un criterio di qualità e degli indicatori ed è stato fatto uno sforzo anche per individuare alcuni descrittori riferiti a determinati ordini di studio o specifici per gli insegnanti di sostegno [131] . Tabella 3 1. Area delle competenze relative all’insegnamento (didattica) a. Organizzare situazioni di apprendimento
1. Individuare con chiarezza le competenze che gli allievi devono sviluppare 2. Rendere operativi gli obiettivi di apprendimento individuati, in modo da verificarne il conseguimento 3. (PRIMARIA, SECONDARIE) Conoscere in maniera adeguata i concetti chiave della disciplina 4. Progettare le attività didattiche e le attività e gli strumenti di valutazione tenendo conto delle conoscenze pregresse degli studenti 5. (INFANZIA) Collegare i campi di esperienza alle attività didattiche 6. (SOSTEGNO) Elaborare piani educativi inclusivi (PEI, PEP, PDP) per gli studenti che ne hanno necessità, in modo da essere coerenti con il percorso 7. Progettare le attività della classe, affinché queste tengano conto delle necessità degli allievi con bisogni speciali in modo da favorirne l’integrazione 8. Verificare l’impatto dell’intervento didattico in modo da coglierne le azioni più incisive 9. Utilizzare le tecnologie e le opportunità offerte dalle tecnologie e dai linguaggi digitali per migliorare i processi di apprendimento 10. Progettare attività in cui lo studente sia al centro del processo di apprendimento e di costruzione delle conoscenze 11. Prefigurare i possibili ostacoli all’apprendimento e predisporre adeguate strategie di intervento
b. Osservare e valutare gli allievi secondo un approccio formativo
12. Considerare gli obiettivi di apprendimento coerentemente con uno sviluppo verticale del curricolo 13. Rendere gli studenti consapevoli dei loro progressi rispetto agli obiettivi di apprendimento 14. Progettare attività di valutazione formativa utilizzando una pluralità di strumenti e tecniche 15. Progettare attività per la verifica delle competenze trasversali (soft skills)
c. Coinvolgere gli allievi nel processo di apprendimento
16. Costruire un ambiente di apprendimento capace di sollecitare partecipazione, curiosità, motivazione e impegno degli studenti 17. Sviluppare la cooperazione fra studenti e forme di mutuo insegnamento 18. Progettare attività per «imparare ad imparare» 19. Costruire e condividere con la classe regole chiare 20. (INFANZIA) Curare l’organizzazione di una giornata educativa equilibrata, ricca di momenti di accoglienza, relazione, gioco, apprendimento, vita pratica
2. Area delle competenze relative alla partecipazione alla vita della propria scuola (organizzazione) d. Lavorare in gruppo tra docenti
21. Elaborare e negoziare un progetto educativo di gruppo, costruendo prospettive condivise sui problemi della comunità scolastica 22. Partecipare a gruppi di lavoro tra docenti, condurre riunioni, fare sintesi 23. Proporre elementi di innovazione didattica da sperimentare in collaborazione con i colleghi 24. Innescare ed avvalersi di attività di valutazione e apprendimento tra pari (peer-review e peerlearning) 25. (SOSTEGNO) Focalizzare l’attenzione dell’intero gruppo docente (team, consiglio di classe, ecc.)
sui temi dell’inclusione e. Partecipare alla gestione della scuola
26. Contribuire alla gestione delle relazioni con i diversi interlocutori (parascolastici, enti, associazioni di genitori, ecc.) 27. (SOSTEGNO) Curare i rapporti con le équipe multidisciplinari ed i servizi specialistici 28. Organizzare e far evolvere, all’interno della scuola, la partecipazione degli allievi 29. Partecipare ai processi di autovalutazione della scuola, con particolare riferimento al RAV 30. Impegnarsi negli interventi di miglioramento dell’organizzazione della scuola
f. Informare e coinvolgere i genitori
31. Coinvolgere i genitori nella vita della scuola 32. Organizzare riunioni d’informazione e di dibattito sui problemi educativi 33. Comunicare ai genitori obiettivi didattici, strategie di intervento, criteri di valutazione e risultati conseguiti 34. (INFANZIA) Assicurare un rapporto personalizzato e accogliente dei genitori
g. Affrontare i doveri e i problemi etici della professione
35. Rispettare regole, ruoli e impegni assunti all’interno del proprio contesto professionale 36. Ispirare la propria azione a principi di lealtà, collaborazione, reciproca fiducia tra le diverse componenti 37. Contribuire al superamento di pregiudizi e discriminazioni di natura sociale, culturale o religiosa 38. Rispettare la privacy delle informazioni acquisite nella propria pratica professionale
3. Area delle competenze relative alla propria formazione (professionalità) h. Servirsi delle nuove tecnologie per le attività progettuali, organizzative e formative
39. Utilizzare efficacemente le tecnologie digitali per migliorare la propria professionalità 40. Utilizzare le tecnologie digitali per costruire reti e scambi con altri colleghi anche nell’ottica di una formazione continua 41. Esplorare le potenzialità didattiche dei diversi dispositivi tecnologici e dei linguaggi digitali
i. Curare la propria formazione continua
42. Documentare la propria pratica didattica 43. Utilizzare le proprie esperienze per riprogettare l’azione didattica 44. Aggiornare il proprio Bilancio delle competenze ed elaborare un proprio progetto di sviluppo professionale 45. Partecipare a programmi di formazione personale con colleghi, gruppi, comunità di pratiche 46. Essere coinvolto in attività di ricerca didattica, anche in forma collaborativa 47. Utilizzare i risultati della ricerca per innovare le proprie pratiche didattiche 48. Essere capaci di utilizzare le opportunità offerte dai progetti europei per sviluppare il proprio percorso di formazione
3.3 La valorizzazione del merito
A completamento del discorso, non si può non fare cenno, in questo contesto, ai criteri di valorizzazione del merito dei docenti contenuti nell’art. 11 del Testo Unico come modificato dal c. 129 della legge 107/2015. Come è noto il c. 3 definisce gli ambiti entro i quali il comitato di valutazione individua i criteri per la valorizzazione: anche a essi è possibile guardare per ampliare il perimetro del profilo professionale dei docenti. La qualità va riconosciuta in funzione del miglioramento dell’istituzione scolastica e del successo formativo e scolastico degli studenti (lettera a); del potenziamento delle competenze degli studenti, della innovazione didattica e della collaborazione alla ricerca didattica e alla diffusione delle buone pratiche (lettera b); infine delle responsabilità assunte a livello organizzativo e didattico e nella formazione del personale (lettera c). Ritornano quindi gli ambiti già ampiamente individuati: l’attività di insegnamento, con l’accento che batte però sugli effetti in positivo sulla formazione degli studenti; l’innovazione didattica e la collaborazione con gli altri colleghi; la disponibilità ad assumere responsabilità di tipo organizzativo didattico e di formazione dei colleghi.
4. Obblighi di lavoro 4.1 Attività di insegnamento
Gli obblighi di lavoro del personale docente sono correlati e funzionali alle esigenze dello svolgimento delle attività didattiche, come
regolate dagli organi competenti delle istituzioni scolastiche e in coerenza con il tipo di studi e con i ritmi di apprendimento degli alunni. La disciplina relativa alle attività di insegnamento è contenuta nell’art. 28 del CCNL 2007 e nell’art. 28 del CCNL 2018. L’attività di insegnamento si svolge nella scuola dell’infanzia in 25 ore, nella scuola primaria in 22 ore, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali. Alle 22 ore settimanali di insegnamento stabilite per gli insegnanti delle scuole primarie vanno aggiunte 2 ore da dedicare, anche in modo flessibile e su base plurisettimanale, alla programmazione didattica attraverso incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi non coincidenti con l’orario delle lezioni. Nell’ambito delle 22 ore di insegnamento, l’eventuale quota oraria eccedente l’attività frontale e di assistenza alla mensa (per esempio nel caso di classi a tempo pieno con orario su 40 ore, e senza compresenze [132] , affidate a due docenti, che hanno pertanto ciascuno 2 ore di quota oraria eccedente l’attività frontale o la mensa) è destinata, purché sulla base di programmazione a cura del collegio dei docenti, ad attività di arricchimento dell’offerta formativa e di recupero individualizzato. In mancanza di attività programmate dal collegio, o nel caso in cui la programmazione non copra tutte le ore disponibili, la quota oraria eccedente deve essere destinata alle supplenze in sostituzione di docenti assenti fino a un massimo di cinque giorni nell’ambito del plesso di servizio. Il tempo impiegato per la vigilanza e per l’assistenza degli alunni durante il servizio di mensa o durante il periodo della ricreazione è a tutti gli effetti orario di attività didattica. L’impegno didattico dei docenti della Scuola secondaria di I e II grado è di 18 ore settimanali. 4.2 Funzioni strumentali e attività di potenziamento
Già a partire dal CCNL 26 maggio 1999 erano previste, come forma di valorizzazione della professionalità docente, le «funzioni obiettivo» diventate poi con i contratti successivi «funzioni strumentali» per la realizzazione e la gestione dell’offerta formativa (art. 33 CCNL 2007 ma già nel CCNL 2002/2005). Le funzioni strumentali sono identificate con delibera del collegio in coerenza con il piano dell’offerta formativa, ma i docenti investiti di questi compiti svolgevano, e continuano a svolgere, le loro funzioni, oltre l’orario di lezione, con diritto a un compenso accessorio e senza diritto all’esonero. La legge 13 luglio 2015, n. 107, come abbiamo già detto sopra, ha introdotto l’organico dell’autonomia e con esso risorse di personale per lo svolgimento delle attività di potenziamento dell’offerta formativa. Le risorse del potenziamento si identificano con posti/docenti aggiuntivi rispetto all’organico che scaturisce dalle necessità di garantire l’orario di ordinamento. Questa disponibilità oraria consente da una parte un ampliamento degli interventi didattici, un sussidio alle attività di inclusione e di integrazione, di coordinamento, di ricerca e di progettazione, ulteriori rispetto a quelle occorrenti per assicurare la realizzazione degli ordinamenti scolastici; dall’altra assicura un supporto all’azione di organizzazione e di gestione amministrativa del dirigente (art. 28 del CCNL 2018) in aggiunta alle attività di collaborazione con il dirigente scolastico previste dal CCNL all’art. 34. 4.3 Attività funzionali all’insegnamento
Rientrano nelle attività funzionali all’insegnamento come disciplinate dall’articolo 29 del CCNL 2007 tutti gli impegni inerenti alla funzione docente previsti dagli ordinamenti e quindi tutte le attività, anche a carattere collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi. Quindi si individuano due tipologie di attività funzionali: gli adempimenti individuali e le attività di carattere collegiale. Tra le prime rientrano la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; la correzione degli elaborati; i rapporti individuali con le famiglie, i criteri e le modalità dei quali sono definiti dal consiglio di istituto su proposta del collegio dei docenti, al fine di assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti. Questi adempimenti non sono quantificati nel contratto in termini di ore in quanto sono considerati parte necessaria e irrinunciabile del lavoro didattico. Gli impegni relativi allo svolgimento degli scrutini e degli esami con la relativa compilazione degli atti, pur ricompresi tra le attività collegiali, non sono soggetti a una quantificazione oraria: sono per tanto un adempimento dovuto che è svincolato da ogni limite di ore annue. Sono invece calcolate fino al massimo annuo di 40 le ore destinate alle attività di carattere collegiale destinate alle riunioni del collegio dei docenti, comprensive dell’attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l’informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini intermedi e finali e sull’andamento delle attività educative nelle scuola materne. Le riunioni dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione non devono superare il limite massimo di altre 40 ore annue. Nella scuola primaria queste 40 ore non includono le ore di programmazione di cui si è fatto cenno prima. E quindi, nella programmazione di queste attività deve essere posta particolare attenzione agli insegnanti con più classi.
5. L’anno di formazione e prova 5.1 Requisiti dell’anno di prova e struttura della formazione
Gli obiettivi, le modalità di valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, le attività formative e i criteri per la valutazione del personale docente e educativo in periodo di formazione e di prova sono individuati, come si è già detto sopra, nel D.M. 27 ottobre 2015, n. 850 emanato ai sensi dell’art. 1, c. 118 della legge 107/2015. Sono tenuti all’effettuazione del periodo di prova i docenti al primo anno di servizio a tempo indeterminato, i docenti per i quali sia stata richiesta la proroga del periodo di formazione e prova o che non abbiano potuto completarlo; i docenti per i quali sia stato disposto il passaggio di ruolo. Il requisito oggettivo per il superamento dell’anno di prova sono lo svolgimento del servizio effettivo per almeno 180 giorni di cui almeno 120 per le attività didattiche.
Abbiamo già fatto cenno ai criteri per la valutazione e al bilancio iniziale delle competenze (vedi sopra). Il docente neoassunto in prova, al termine del periodo, traccia un nuovo bilancio di competenze per individuare gli ulteriori sviluppi della professionalità. Le attività formative sono distinte in quattro fasi per una durata di 50 ore complessive che si articolano in incontri propedeutici e di restituzione finale (per un massimo di 6 ore), laboratori formativi (per complessive 12 ore), «peer to peer» e osservazione in classe (per complessive 12 ore), formazione on line (per complessive 20 ore). La formazione iniziale e finale così come i laboratori formativi sono organizzati dalla amministrazione scolastica territoriale. All’interno della istituzione scolastica invece il docente in anno di prova e formazione svolge le attività di formazione tra pari insieme con il docente tutor; gli incontri sono finalizzati al miglioramento delle pratiche didattiche e devono essere concentrati sulle modalità di conduzione delle attività e delle lezioni, sul sostegno alle motivazioni degli allievi e sulla costruzione di climi positivi, nonché sulle modalità di verifica formativa degli apprendimenti. Il docente tutor designato dal dirigente, sentito il parere del collegio, ha il compito di accogliere il docente neo-assunto; è suo compito collaborare alla elaborazione del bilancio di competenze iniziale e conclusivo del percorso di formazione e prova; al termine dell’anno il docente tutor presenta una relazione sulle esperienze di insegnamento e sulla partecipazione alla vita dell’istituzione scolastica. La valutazione del docente in anno di prova e formazione è responsabilità del dirigente scolastico, sentito il parere del comitato di valutazione (ristretto alla sola componente dei docenti), che è obbligatorio per il dirigente ma non vincolante. Nel caso di giudizio non positivo l’anno di prova può essere ripetuto una sola volta.
6. La responsabilità disciplinare Per i docenti, diversamente che per il personale ATA e per i dirigenti scolastici, non è definita una norma contrattuale relativa alla responsabilità disciplinare. L’art. 29 del contratto 2018 infatti rimanda a una specifica sessione negoziale a livello nazionale la definizione, per il personale docente e educativo delle istituzioni scolastiche, della tipologia delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni. Pertanto, sono ancora applicabili gli articoli da 492 a 501 del Testo Unico, nonché le disposizioni valide per tuto il personale della pubblica amministrazione e cioè gli articoli da 55 a 55 octies del D.lgs. 165 del 2001 come aggiornati dal D.lgs. 75/2017 (riforma Madia) e il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (Codice di comportamento dei pubblici dipendenti). Le sanzioni applicabili, oltre alle ipotesi di licenziamento previste dal D.lgs. 165/2001 per tutti dipendenti pubblici, sono: l’avvertimento scritto, la censura, la sospensione da uno a dieci giorni, la sospensione dall’insegnamento fino a un mese, e da oltre un mese e fino a sei mesi. Le condotte che sono suscettibili di essere sanzionate non sono descritte dettagliatamente dal Testo Unico ma solo con un rimando generico ai doveri inerenti alla funzione tranne che per le condotte indicate dall’art. 494 alle lettere b) violazione del segreto di ufficio e c) violazione dei doveri di vigilanza.
[128]
Il corsivo è usato per evidenziare i termini introdotti dall’ultimo contratto.
[129] Capitolo
3, p. 21.
[130] La
citazione è tratta da «Bilancio iniziale delle competenze», p. 5; il documento è reperibile sul sito «Ambiente di supporto all’anno di formazione e prova per i docenti neoassunti. (Anno scolastico 2019/2020)» al seguente link: https://neoassunti.indire.it/2020/toolkit/ . Per ciascun ambito vengono usati dei descrittori di competenze (in tutto 48 descrittori!). [131]
AA.VV., Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio – documenti di lavoro , in particolare le pagg. 9-23: https://www.miur.gov.it/web/guest/-/sviluppo-professionale-e-qualita-della-formazione-in-servizio-documenti-di-lavoro . [132] Si
ricorda che le compresenze sono esplicitamente escluse dall’art. 4, c. 4 D.P.R. 89/2009.
Parte II Schede su fondamenti della psicologia dello sviluppo, della psicologia dell’apprendimento e della psicologia dell’educazione
1. Psicologia dello sviluppo applicata alla Scuola secondaria di primo e di secondo grado a cura di Zbigniew Formella
1. Introduzione «Insegnare ai bambini e agli adolescenti è un lavoro complesso che richiede alti livelli di sviluppo educativo generale e una preparazione specifica di orientamento» [133] . L’azione di insegnamento può essere letta sia come un’azione che mira a rendere sensibili, percepibili le conoscenze, le competenze, i valori che si intendono proporre all’azione di apprendimento degli allievi, sia come indicazione del loro significato, del loro grado di plausibilità e del loro valore soggettivo e comunitario [134] . L’insegnante viene sempre di più chiamato a essere anche un educatore. Per svolgere il suo ruolo in modo efficace [135] , servono la conoscenza e la padronanza non solo delle materie di insegnamento ma anche delle varie dinamiche dello sviluppo e delle abilità fondamentali nel campo educativo. Di seguito proponiamo le principali aree di psicologia dello sviluppo, sia nel campo scolastico che educativo, afferenti alla psicologia dell’educazione. Il contributo si riferisce agli insegnanti che lavorano con gli alunni della Scuola secondaria: di primo grado (dai 10/11 anni ai 13 anni) e di secondo grado (dai 14/15 anni ai 18/19 anni). Analizzeremo tre aree specifiche: i cambiamenti biologici (soma ), i cambiamenti mentali (psiche ) e i cambiamenti nell’area sociale (polis ).
2. Le potenzialità adolescenziali e il loro sviluppo L’adolescenza è un periodo della vita abbastanza lungo e variegato che va dai 10/11 anni ai 18/19 che, nel nostro caso, abbiamo diviso in due sottoperiodi, che coincidono con i due ordini di Scuola secondaria: la preadolescenza (Scuola secondaria di primo grado) e l’adolescenza (Scuola secondaria di secondo grado). Diversi autori descrivono questo periodo come periodo transitorio [136] , in cui il bambino in termini fisici, mentali ed emotivi deve diventare un adulto. Nella prima fase di crescita (Scuola secondaria di primo grado), ci sono numerosi e intensi cambiamenti in tutte le aree esistenti del preadolescente. Vecchi schemi, modellati durante l’infanzia, cessano di adempiere alle loro funzioni e i nuovi non sono ancora apparsi. Tutti i precedenti traguardi di sviluppo, tutte le competenze precedentemente acquisite, tutta la conoscenza della vita e della scuola, nonché tutte le capacità acquisite in varie circostanze durante l’infanzia stanno attraversando un momento di grandi prove. Il ragazzo inizia ad accumulare e a cercare nuove esperienze fisiche, sociali e intellettuali per poterle, poi, organizzare autonomamente e consolidare in nuovi schemi che lo prepareranno meglio per la vita adulta. Tuttavia, prima di trovare la propria strada e il proprio scopo nella vita e prima di determinare il ruolo che vorrebbe ricoprire nel mondo, si sottopone a numerose prove e verifiche per assicurarsi che le scelte fatte siano corrette. Questo lo aiuta a riscoprire se stesso, a scoprire «ciò che sono», «quali risorse ho» e «ciò che sono agli occhi degli altri» [137] . Questo, in generale, viene chiamato il processo di formazione della propria identità [138] . Questa formazione identitaria si svolge su due piani: personale e sociale (Tab. 1). Tabella 1 – Formazione di identità personale e sociale durante l’adolescenza [139] Preadolescenza (scuola sec. I grado) – I fase
Adolescenza (scuola sec. II grado) – II fase
⦁ Partecipazione a gruppi di pari (gruppi dello stesso sesso, multi-sesso e multi-task). ⦁ Relazioni eterosessuali (amicizie, relazioni intime, iniziazione sessuale). ⦁ Autonomia verso i genitori (indipendenza emotiva, fisica, «economicaparziale»). ⦁ Raggiungere relazioni nuove e più mature con coetanei di entrambi i sessi. ⦁ Padroneggiare il ruolo sociale legato al genere. ⦁ Prepararsi al matrimonio e alla vita familiare. ⦁ Sviluppare capacità e concetti intellettuali necessari per la competenza civica. ⦁ Desiderare e raggiungere comportamenti socialmente responsabili. ⦁ Sviluppare e raggiungere gradualmente l’indipendenza emotiva dai genitori e dagli altri adulti (inizio di autoregolazione).
⦁ Maturazione fisica (altezza e peso, maturazione sessuale, salto pubescente). ⦁ Operazioni formali (operazioni complesse su concetti, stabilizzazione delle relazioni reciproche, pensiero formale, ragionamento morale). ⦁ Sviluppo emotivo (controllo sulle emozioni). ⦁ Identità relativa al ruolo sessuale (interiorizzazione delle norme e aspettative sociali). ⦁ Moralità interna (passaggio alla moralità post-convenzionale). ⦁ Scelte relative alla professione e al lavoro (carriera, inizi dell’identità professionale). ⦁ Accettare la propria fisicità e uso efficace del proprio corpo. ⦁ Raggiungere sicurezza e indipendenza economica. ⦁ Acquisizione di un insieme di valori e di un sistema etico (religioso) come guida per il comportamento.
Nozioni di base sull’identità di gruppo
Nozioni di base sull’identità individuale
Riscoprire l’identità personale significa, per un adolescente, una scelta di obiettivi, valori, credenze, interessi, bisogni, pensieri e criteri di valutazione che possono essere mostrati al mondo come propri. Trovare la risposta alla domanda: «chi sono?» fa sì che una persona
si comporti in modo coerente in una varietà di situazioni e mantenga un senso di autostima nonostante vari eventi e difficoltà. Sul piano sociale, la formazione dell’identità è legata alla determinazione del gruppo a cui appartiene un giovane, con chi si identifica, da chi è accettato. Quindi cercherà persone che condividano con lui le stesse o simili categorie di autodescrizione e relazioni che lo colleghino con altre persone. I tentativi di trovare le risposte sono spesso associati al rischio di errori (in un certo senso inevitabili), ancora di più perché la formazione dell’identità non ha luogo in un mondo isolato, ma è inserita in un contesto sociale e culturale. Quindi, tutto questo diventa una sfida per gli adolescenti che devono affrontare i modelli e le pressioni (che provengono da adulti e coetanei e dai mass media) che determinano quale dovrebbe essere il loro futuro da adulti (si veda Tab. 2). Molte volte, la diversità e il potere di questi schemi costringono i ragazzi a fare delle scelte sotto una grande pressione [140] . Tabella 2 – Fattori che influenzano l’autostima [141] Un senso di disaccordo
⦁ come sono – cosa vorrei essere ⦁ quello che voglio – quello che ho raggiunto ⦁ importante per me – importante per gli altri ⦁ cosa penso di me stesso – cosa gli altri pensano di me
Credenze su di sé
⦁ perseguo i miei obiettivi personali ⦁ raggiungo ciò che è importante per me ⦁ le persone che contano per me mi accettano come sono ⦁ in situazioni difficili posso contare su persone vicine a me
Autostima
⦁ soddisfazione per la tua competenza ⦁ soddisfazione per l’attuazione degli obiettivi ⦁ soddisfazione per la qualità del supporto
Durante la prima e la seconda adolescenza, i cambiamenti in tutte le aree si intensificano e si determinano a vicenda [142] . Attraverso i propri comportamenti, un giovane costruisce un senso di autostima e quindi determina quanto si piaccia come essere umano, se è felice e se gli piace così tanto la sua vita. Questa autovalutazione è il risultato di due tipi di valutazione: interna ed esterna. La prima riguarda la percezione della separazione tra chi è e tra chi pensa di essere. Quando questa discrepanza è piccola, l’autostima dell’adolescente [143] è generalmente elevata. Se un ragazzo, però, apprezza molto il parere dei suoi coetanei, e se per qualche ragione non dovesse essere accettato tra i suoi compagni/e, allora avrà una minore autostima rispetto a un ragazzo che non tiene conto di quello che pensano di lui i suoi coetanei [144] . Il secondo fattore che influenza l’autostima è dato dal parere del cosiddetto senso totale (globale) di sostegno che arriva da persone importanti, in particolare dai genitori e dai pari. Se un giovane sente che le persone importanti sono come lui, nonostante gli errori che fa, ha un maggiore senso di autostima rispetto agli adolescenti che non provano tale accettazione [145] . Quindi, per creare un senso del proprio valore, è molto importante credere di perseguire i propri obiettivi personali e raggiungere ciò che è importante per la persona stessa, ma conta anche la percezione del supporto sociale. Entrambi questi fattori si influenzano a vicenda. La soddisfazione di un adolescente con i suoi obiettivi e il raggiungimento di ciò che vuole non lo protegge dalla bassa autostima se gli manca un sostegno sufficiente da parte di persone significative. Allo stesso modo, una famiglia o un gruppo di coetanei amichevoli e disponibili non garantisce alta autostima se, allo stesso tempo, il giovane non sente che nella vita sta realizzando tutto ciò che è importante per lui. Il funzionamento di ogni essere umano può essere descritto e analizzato attraverso il prisma di fenomeni che si verificano nelle tre aree: biologica (soma ), psichica (psiche ) e sociale (polis ). I cambiamenti in queste aree sono alla base del processo di formazione dell’identità. Queste aree non funzionano in modo autonomo, ma si influenzano l’una con l’altra (si veda Tab. 3). Tabella 3 – I principali cambiamenti e relazioni tra: soma – psyche - polis [146] Identità mentale
Formazione dell’identità Immagine di sé nella dimensione del soma
Identità sociale
Immagine di sé nella dimensione della psiche
Modellare l’autostima Cambiamenti nell’immagine biologica del soma
Immagine di sé nella dimensione del polis
Cambiamenti nell’immagine mentale (psiche )
Cambiamenti nel modo di funzionare
Cambiamenti nel quadro sociale del polis
3. Cambiamenti biologici (soma ) I primi segnali che indicano l’inizio dell’adolescenza sono dati dai cambiamenti fisici nell’aspetto del corpo e delle sue nuove funzioni. Essi sono causati da cambiamenti biologici, che sono definiti dal passaggio nella pubertà: questi cambiamenti si verificano intorno ai 10 anni, avvengono abbastanza rapidamente e possono essere una sorpresa per un preadolescente. Il corpo, finora conosciuto e prevedibile, improvvisamente perde le sue dimensioni e proporzioni, compaiono fenomeni sconosciuti che sono spesso difficili da accettare. Il giovane «perde sostegno» nel suo corpo, inizia a vivere il suo ritmo, il corpo diventa «straniero» [147] .
Qual è la ragione di tali rapidi cambiamenti fisici, caratterizzati da un aumento di altezza e peso e un cambiamento nelle proporzioni del corpo? Prima di tutto, inizia ad aumentare la quantità di ormoni secreti dalle ghiandole endocrine. Secondo H. Bee [148] , psicologa e autrice di numerosi libri sull’argomento dello sviluppo umano, compresi lo sviluppo dei bambini e lo sviluppo degli adulti, la secrezione di testosterone aumenta di circa diciotto volte nei ragazzi e di circa otto volte nelle ragazze con estrogeni. Tuttavia, i cambiamenti corporei associati all’adolescenza non sono immediatamente visibili all’ambiente e a loro stessi. La ragione di ciò è che la crescita e lo sviluppo influenzano prima le caratteristiche sessuali primarie, cioè gli organi situati all’interno del corpo (come l’utero, la ghiandola prostatica, il vaso deferente, le tube di Falloppio, le ovaie) o gli organi esterni, ma protetti e inaccessibili alle osservazioni esterne delle persone (come seno, vulva, pene, testicoli). Successivamente, durante il processo di maturazione, le caratteristiche sessuali secondarie si sviluppano a causa degli ormoni, e questi cambiamenti sono ora disponibili per l’osservazione diretta e l’osservazione di sé [149] . L’azione degli ormoni provoca cambiamenti, sia negli organi sessuali che nella struttura di tutto il corpo, cioè nella struttura di muscoli, grasso e ossa. La qualità e il ritmo dei cambiamenti emergenti sono diversi per ragazzi e ragazze, nonché all’interno di ciascuno di questi gruppi. Nelle ragazze, gli annunci di pubertà compaiono intorno ai 10/11 anni, quindi in media due anni prima rispetto ai ragazzi. L’intero processo di cambiamento durante questo periodo mira a raggiungere la possibilità di dare una nuova vita, portando a una forma corporea matura. Tuttavia, non tutte le parti del corpo raggiungono le dimensioni di un adulto contemporaneamente, la forma e le proporzioni del corpo di un adolescente subiscono una serie di cambiamenti graduali. A causa della sproporzione nella struttura del corpo, spesso consideriamo gli adolescenti goffi e non coordinati, e per questo motivo anche loro sentono il loro corpo come goffo [150] . Durante e dopo la maturazione fisica, la quantità proporzionale di grasso corporeo nelle ragazze aumenta, nei ragazzi diminuisce, a differenza della massa muscolare, che aumenta nei ragazzi e diminuisce nelle ragazze. Per esempio, negli uomini adulti, il 40% del peso corporeo totale è muscolare, mentre nelle donne solo circa il 24%. Questi e altri cambiamenti nel corpo, per esempio i cambiamenti associati allo sviluppo del cuore o dei polmoni, danno effetti non solo sotto forma di un cambiamento nella figura, ma anche nella resistenza e nella forza del corpo. Dopo la pubertà, la forza, la velocità e la resistenza sono molto più elevate nei ragazzi rispetto alle ragazze, sebbene fossero comparabili prima [151] . I giovani iniziano a paragonarsi con i loro pari, con i modelli proposti dalla cultura, per confrontarsi con le proprie aspettative e le proprie idee su come diventare adulti. Spesso questi confronti possono causare tensioni emotive elevate, motivo per cui l’inizio dell’adolescenza è stato chiamato «tempo di tempesta e pressione» (storm and stress ) [152] . In questa fase iniziale dell’adolescenza (che dura fino a circa 16/17 anni), si accumulano cambiamenti biologici, insieme alle loro conseguenze sociali e psicologiche. Il corpo di un adolescente, che cambia durante questo periodo, assume sempre più la forma di un adulto, e ciò fa sì che i genitori e l’ambiente inizino a trattarlo in modo diverso. Comincia anche a considerarsi quasi un adulto. L’aumento dello stress genitore-figlio e i casi di comportamento aggressivo possono derivare direttamente da un aumento dei livelli ormonali durante questo periodo. Gli studi mostrano [153] che l’aumento dei livelli di estradiolo nelle ragazze all’inizio della pubertà aumenta il livello di aggressività verbale e causa la perdita di autocontrollo. Nei ragazzi, livelli elevati di testosterone sono responsabili dell’aumento di irritabilità e impazienza. La mancanza di conoscenze e la poca preparazione da parte dei genitori o degli insegnanti riguardo ai cambiamenti legati alla pubertà possono causare tensione emotiva, sbalzi d’umore ed eccessiva attenzione ai problemi emergenti, fino ad arrivare all’uso di farmaci. I giovani, non conoscendo le cause di strani sintomi, possono trattarli in termini di malattia, patologia o deturpazione [154] . Possono esagerare il loro significato, il che a sua volta può portare ad evitare l’attenzione e l’interesse per l’ambiente limitando il contatto sociale con coetanei e adulti. È diverso, invece, quando i giovani sono preparati ai cambiamenti legati alla crescita. Gli studi mostrano [155] che esiste un altro fattore importante che influenza il livello di soddisfazione e di accettazione dei cambiamenti: la sua valutazione soggettiva. Ogni giovane ha un modello interno, un’idea di quando e come dovrebbero verificarsi i cambiamenti della pubertà. Quando i giovani percepiscono il loro sviluppo avvenire al di fuori dei limiti stabiliti dai loro desideri e aspettative o si percepiscono come significativamente diversi dai loro coetanei risultano meno soddisfatti del proprio corpo e del proprio aspetto, e per questo possono essere più depressi ed evitare il contatto con i coetanei e di stringere relazioni più strette con persone dello stesso sesso o di quello opposto [156] . Il processo di identificazione sessuale, vale a dire la scoperta e la consapevolezza del proprio sesso e l’identificazione con un genitore dello stesso sesso, ha luogo intorno ai 6/7 anni: ma questo è un processo che continua almeno fino ai 18/20 anni. Succede alle volte, però, che il livello biologico e psicosociale dello sviluppo di genere si manifesti in opposizione. Un caso estremo di questa incompatibilità è il transessualismo. La perdita temporanea di bellezza e del controllo del proprio corpo possono causare varie difficoltà, come l’ansia, l’ambivalenza o persino un’antipatia per il proprio corpo o per il proprio sesso, situazione questa che è più comune nelle ragazze che nei ragazzi [157] .
4. Cambiamenti mentali (psiche ) Durante l’adolescenza, accanto ai cambiamenti nel corpo, avviene anche un rapido sviluppo della mente che si riflette in un mutamento nel modo di pensare e di sperimentare e, quindi, nella sfera dell’emozionalità. Un/a ragazzo/a inizia vedere in un modo nuovo le persone e i fenomeni intorno a sé e ad analizzare le situazioni. Adesso incomincia a pianificare le proprie azioni secondo nuovi criteri e, di conseguenza, si comporta in modo diverso rispetto a prima. Le persone intorno all’adolescente possono essere sorprese da questi
cambiamenti, soprattutto perché, dal loro punto di vista, nulla è cambiato, quindi nulla autorizza il giovane a reagire in modo diverso da prima. Essi temono che qualcosa di brutto stia accadendo al ragazzo. Questa convinzione è tanto più forte quanto più mancano gli strumenti conoscitivi per comprendere cosa sta succedendo. Quindi cosa fa cambiare il comportamento di un adolescente? La prima fase dell’adolescenza (dai 10/11 anni ai 15/16 anni) è caratterizzata da un’elevata instabilità emotiva. In questo periodo si verificano forti reazioni emotive soprattutto in relazione a persone significative – i genitori. Una forma di opposizione è la ribellione [158] , che è un’espressione di disaccordo con ciò che l’adolescente percepisce soggettivamente come limitante, minaccioso o particolarmente incompatibile con le sue aspettative e immaginazioni idealistiche. La ribellione si manifesta nel piano dell’esperienza – interno – e nel piano del comportamento – esterno. Durante questo periodo, è difficile per un giovane capire che il problema può essere considerato da diversi punti di vista o risolto in differenti modi e che i comportamenti non possono sempre essere chiaramente valutati come giusti o sbagliati, buoni o cattivi. È solo nella fase avanzata dell’adolescenza che i ragazzi diventano consapevoli del fatto che ogni questione può essere discussa da diversi punti di vista e presentare un atteggiamento relativistico nel vedere la realtà che li circonda. La ribellione può anche essere basata sulle credenze degli adulti, su ciò che loro desiderano per quando saranno adulti. Questo egocentrismo nel pensare all’importanza del ruolo futuro da adulto è una tappa importante nell’adattamento alla società, nell’ingresso di un giovane nella società degli adulti [159] . È anche una preparazione alla creatività personale, che va oltre gli schemi accettati nella vita adulta. A 11/12 anni appare nel pensiero di un adolescente la capacità delle elaborazioni formali, cioè ipotetico-deduttive [160] , il che significa la capacità di riflettere liberamente e in modo distaccato dalla realtà, di risolvere sistematicamente problemi e pensare in modo logico. Il riflesso dell’adolescenza si stacca dalla realtà, il che significa che un giovane è in grado di immaginare situazioni irreali e stati di cose che non ha vissuto, non ha sperimentato, ciò che non è accaduto. Risposte emotive forti possono quindi sorgere quando la realtà non corrisponde alle idee o agli ideali. Ciò accade quando, per esempio, un adolescente si crea una propria visione dell’amore ed è convinto che questa sia quella vera e reale, condivisa dagli altri. Quindi, se si innamora, disegna il suo ideale, una visione d’amore per una persona reale. Allo stesso modo, i genitori dell’adolescente perdono il loro posto privilegiato ed unico nella vita del figlio (si veda Tab. 4). Tabella 4 – Funzionamento emotivo e cognitivo durante l’adolescenza [161] Area di cambiamento
Manifestazioni
Funzionamento emotivo
⦁ labilità emotiva, sbalzi d’umore ⦁ reazioni emotive eccessivamente forti ⦁ ribellarsi contro regole fisse, la situazione attuale ⦁ egocentrismo affettivo ⦁ negazione ⦁ soccombere alla pressione dei pari ⦁ è in conflitto con i genitori
Funzionamento cognitivo
⦁ interesse per problemi obsoleti, non legati a situazioni quotidiane ⦁ pensiero riflessivo; spiegazione e anticipazione dell’esperienza; anticipazione delle conseguenze delle azioni ⦁ pensiero formale; deduzione delle conclusioni da ipotesi pure; pianificazione; creazione di teorie astratte, ⦁ ricerca di soluzioni al problema in modo sistematico e metodico ⦁ inizialmente l’egocentrismo, in seguito la capacità di decentrare, di assumere le prospettive delle altre persone ⦁ intransigenza, autoritarismo ⦁ autostima discreta o sopravvalutata (megalomania) ⦁ egocentrismo intellettuale; la convinzione che il mondo debba obbedire ai sistemi, non i sistemi alla realtà ⦁ idealizzazione, per esempio l’amore come proiezione di un ideale
La capacità di pensare degli adolescenti distaccata dalla realtà, permette loro di pensare al proprio futuro. Un’altra caratteristica del pensiero formale è la ricerca di soluzioni al problema in modo sistematico e metodico. Questo è collegato alla capacità di considerare sistematicamente tutti i “pro” e “contro” dei vari problemi, controllando a loro volta diverse alternative per eliminare ciò che per qualche motivo non risponde o non è necessario per prendere le decisioni finali. Grazie a questa capacità, è possibile il processo di decentramento iniziato in precedenza nello sviluppo cognitivo e ora, durante l’adolescenza, il ragazzo diventa in grado di assumere la prospettiva fisica ed emotiva del punto di vista degli altri [162] . Che significato hanno le nuove abilità legate alla sfera del funzionamento cognitivo per il processo di formazione della propria identità durante l’adolescenza? Prima di tutto, aiutano nella realizzazione di uno dei compiti più importanti dell’adolescenza che è la preparazione di un giovane a funzionare nel mondo degli adulti. Ciò comporta l’assunzione di ruoli diversi (dipendente, partner, cittadino ecc.), conoscenza e comprensione dei princìpi della vita sociale, dell’organizzazione statale e di varie istituzioni. Pertanto, il processo di socializzazione di un giovane richiede da una parte la condivisione e il trasferimento di conoscenze sociali e dall’altra parte l’internalizzazione almeno parziale di questa conoscenza [163] . Tuttavia, non tutti gli adolescenti usano ugualmente il pensiero formale. La maggior parte è in grado di farlo ma, a causa della mancanza di formazione, lo usano solo in questioni e compiti che conoscono bene. Ciò significa che se un adolescente è bravo in matematica, ciò non garantisce che il pensiero formale usato lì sarà in grado di trasferirsi nella sfera del funzionamento sociale. La mancanza di formazione nell’applicare il pensiero formale in una varietà di situazioni può essere dovuta al fatto che poche delle nostre esperienze e attività quotidiane richiedono la sua applicazione. Molto spesso, affrontiamo i problemi emergenti con le strategie di pensiero più semplici. Quindi la conclusione è che, poiché la maggior parte degli adolescenti ha la capacità di pensare formalmente, questa capacità dovrebbe essere sviluppata e rafforzata in tutte le aree del loro funzionamento. Ciò può essere fatto a fronte di elevate
esigenze, che li costringono a pensare logicamente, anticipando gli effetti delle proprie azioni e le conseguenze positive e negative. Questa affermazione può essere un prezioso suggerimento per i genitori, per gli insegnanti e gli altri adulti che si relazionano con i giovani su come aiutarli a sviluppare la loro capacità di pensare formalmente [164] .
5. Cambiamenti nell’area sociale (polis ) Per gli adolescenti, in questa fase, i rapporti con genitori e coetanei sono ancora i più importanti. L’appartenenza a un gruppo di colleghi, le amicizie, le relazioni intime danno la possibilità di conoscere meglio il comportamento e le aspettative degli altri e offrono l’opportunità di migliorare la capacità di adattamento all’alterità dell’altra persona. 5.1 Gruppi di pari
Se un giovane trova in un gruppo di pari un posto importante per lui, per costruire una visione del mondo e il suo posto in esso, allora questo gruppo può diventare il più significativo, specialmente nelle prime fasi della crescita. Descrivere gli altri e se stesso come membro di uno o più gruppi aiuta a creare e a rafforzare l’identità di un adolescente. Il gruppo di pari ha riconosciuto e accettato, e quindi confermato, la correttezza delle opinioni espresse dal giovane, ha dato loro la conferma e la validità appropriate. Dà almeno un sollievo temporaneo e ripristina la fiducia in se stessi, soprattutto quando i cambiamenti che si verificano all’interno del corpo innescano un senso di inadeguatezza e discontinuità nella sua esistenza. In un gruppo di coetanei, gli adolescenti hanno l’opportunità di confrontare il modo in cui gli altri li vedono e come lo percepiscono. La necessità di un «auto-riconoscimento» inequivocabile può essere così forte che un giovane può identificarsi totalmente con i gruppi di riferimento. Assumerà la loro filosofia, il loro comportamento, il loro abbigliamento ecc. Questa totalità consente all’adolescente di identificare e distinguere tra chi lui è e chi lui non è. Lo aiuta anche a identificare potenziali amici e nemici, a determinare la direzione di ulteriori azioni e relazioni. Il gruppo dei pari è un passaggio importante dall’essere un membro della famiglia a un cittadino completo. Questo processo richiede il rifiuto di modelli familiari appresi e accettati a favore dell’adozione di regole corrispondenti all’organizzazione della vita nella società. Il gruppo di pari è un luogo sicuro per tale cambiamento perché, a causa dell’immediatezza e della spontaneità dei contatti, è simile alla famiglia, ma a causa della diversa struttura dei ruoli e dei modi di acquisire posizione, si avvicina alle regole crescenti del funzionamento sociale e amplia la qualità e la quantità delle sue interazioni sociali [165] . La struttura dei gruppi dei pari cambia anche durante l’adolescenza. Se ne possono identificare due sottocategorie [166] . La prima, chiamata cricca , appare all’inizio dell’adolescenza ed è composta da 4/6 persone dello stesso sesso, fortemente collegate tra loro. La cricca è caratterizzata da un’elevata coerenza e un alto livello di intimità. A poco a poco, le cricche si riuniscono in gruppi costituiti da rappresentanti di entrambi i sessi. Nel corso del tempo, i gruppi si dividono e si ricostituiscono. Essere un membro di qualsiasi cricca o gruppo aiuta un adolescente a crescere dall’amicizia alle relazioni con i partner. Quando tredicenni e quattordicenni metteranno alla prova le loro abilità in gruppo e acquisiranno maggiore fiducia in se stessi, saranno inclini a incontri individuali con il sesso opposto e a relazioni più coinvolgenti [167] . All’interno del gruppo dei pari viene sottolineata l’importanza delle relazioni intime. Specialmente durante la prima adolescenza, queste relazioni sono conosciute come pre-intime o primarie. Le relazioni primarie, tuttavia, hanno una funzione importante: preparano per relazioni intime successive, in cui vi è disponibilità per la collaborazione. Offrono l’opportunità di sperimentare la frustrazione associata al fatto che le proprie idee non sono adattate alla realtà, insegnano il reale e preparano ad affrontare le difficoltà che tale relazione deve affrontare. La necessità di un legame è così forte in questo periodo che il giovane affronta la sfida di mantenere l’equilibrio tra il coinvolgimento emotivo e altri compiti della vita (per esempio l’apprendimento). Come in molte altre sfere del funzionamento, in questo periodo, il ragazzo tenderà, inizialmente, a esagerare e vorrà subordinare completamente la sua vita a quella dell’altra persona. Quando, però, proverà delusione e frustrazione derivante dal confronto della realtà con le sue aspettative, paradossalmente potrà compiere (con un adeguato supporto dell’ambiente) un passo importante nella costruzione della propria personalità [168] . La stessa importanza viene data anche alle relazioni basate sull’amicizia [169] . Attraverso l’esperienza condivisa, i ragazzi apprendono la cooperazione, la preoccupazione per l’altra persona, la cordialità e la lealtà. Nel corso del tempo, questi contatti diventano sempre più intimi, in modo da poter scambiarsi, reciprocamente, sentimenti e segreti sempre più nascosti. Gli studi dimostrano che le amicizie possono durare per un anno o anche di più [170] . 5.2 Adulti: genitori e insegnanti
Sebbene, durante l’adolescenza, i giovani trascorrano con i loro coetanei più della metà del loro tempo libero e con i genitori solo circa il 5% di quel tempo, i genitori svolgono ancora un ruolo molto importante nella loro vita. Contrariamente alla credenza popolare, l’adolescenza non deve essere, e spesso non lo è, ragione di stress e shock nelle relazioni genitore-figlio. All’inizio di questa fase si osserva un aumento nel numero di conflitti ma nella maggior parte dei casi si tratta di argomenti innocui che riguardano questioni quotidiane, come i doveri familiari, la scuola, i cambiamenti dell’aspetto. Il disaccordo temporaneo tra genitori e figli può essere visto, dal punto di vista dello sviluppo, come un fenomeno salutare e positivo. Grazie a questo si svolgono due importanti processi: individuazione e separazione. L’adolescente aumenta la sua autonomia, diventando indipendente dai genitori, senza perdere i suoi legami con loro, a condizione, però, che i genitori accettino queste azioni. Paradossalmente, nonostante l’aumento della distanza e il temporaneo aumento delle tensioni familiari, l’attaccamento emotivo interno dell’adolescente ai genitori rimane forte, specialmente nelle famiglie in cui le relazioni precedenti erano soddisfacenti per entrambe le parti. Per i genitori, l’adolescenza può essere più
difficile che per i giovani stessi. L’aumento della distanza del bambino da essi e i valori trasferiti dal gruppo dei pari creano spesso tensioni connesse alla perdita di controllo e alla paura di un uso improprio da parte del bambino della nuova indipendenza acquisita in nuove aree. Tuttavia, dopo le manifestazioni iniziali, a volte molto forti, della propria indipendenza, il giovane ritorna a rispettare i valori trasmessi dalla famiglia [171] . Durante il periodo della tarda adolescenza, l’effetto di queste esperienze è una stabilità emotiva progressiva, che consiste nell’ottenere il controllo sull’espressione dei propri stati emotivi, l’indipendenza dall’approvazione emotiva dell’ambiente, compresi i sentimenti dei genitori. Di conseguenza, tutto questo prepara l’adolescente ad accettare e a rispettare le normative che sono in vigore nella società degli adulti. Il processo per raggiungere questa abilità è stato descritto da Kohlberg [172] . I giovani nell’adolescenza attraversano diverse fasi dello sviluppo del ragionamento morale (Tab. 5). Tabella 5 – Livelli di ragionamento morale durante l’adolescenza secondo L. Kohlberg [173] Livello Prima del
Tappa
Età
Caratteristica
Obiettivo
I individualismo scopi strumentali e di scambio; moralità di interesse personale
prima adolescenza, preadolescenza 10/15 anni circa
Gli insediamenti per bambini si basano su fonti di autorità provenienti dall’ambiente circostante (genitori, insegnanti). Gli adulti sono percepiti come quelli che conoscono meglio. La valutazione del fatto che qualcosa sia giusto o sbagliato dipende dagli effetti, dalle osservazioni esterne e dai benefici personali ottenuti. Agire in conformità con i nostri interessi e bisogni, permettendo agli altri di fare lo stesso. La consapevolezza che ognuno ha i propri interessi da perseguire può causare conflitti.
Si dovrebbero fare le cose che saranno ricompensate ed evitare quelle per le quali si sarà puniti. Così buono è ciò che porta a risultati piacevoli. «Aiutami, allora ti aiuterò».
15/19 anni circa
Gli insediamenti dei giovani si basano sulle regole e le norme del gruppo di appartenenza (famiglie, gruppi di pari); fiducia nella «regola d’oro». Il buon comportamento è quello che piace agli altri. La valutazione del comportamento viene effettuata non solo sulla base degli effetti, ma anche sulla base delle intenzioni.
È importante fare ciò che porta piacere e piacere agli altri (persone significative): madre, papà, amico, insegnante. Mettiti al posto di qualcuno. Mancata inclusione di un sistema generale di regole.
Il giovane è guidato dalle norme di gruppi sociali più ampi (Stato, Chiesa).
Si sforza di mantenere l’ordine sociale. Distingue il punto di vista sociale dalle disposizioni motivazionali e interpersonali. Giustifica i giudizi morali dal punto di vista delle autorità riconosciute, delle norme applicabili e dei ruoli sociali.
Meno importante è ciò che appaga il piacere di una persona in particolare e ciò che conta è il rispetto di regolamenti indiscutibili.
CONVENZIONALE II aspettative reciproche, relazioni e conformismo interpersonale; morale dell’armonia interpersonale III sistema sociale e coscienza; moralità della legge e dell’ordine
Per raggiungere il livello più alto, un giovane deve «abbandonare» i valori e le regole delle persone significative per lui durante l’infanzia, a favore delle regole inizialmente in vigore in un piccolo gruppo sicuro, per esempio nel gruppo dei coetanei. Solo dopo tale «addestramento» sarà in grado di entrare in modo sicuro e consapevole nelle regole che governano la società, le varie istituzioni, la vita pubblica e simili. Guardando cosa succede durante l’adolescenza dal punto di vista del processo di sviluppo del ragionamento morale, non dovremmo essere sorpresi dal fatto che i ragazzi si allontanano (almeno all’inizio) dai valori e dai principi trasmessi dai genitori. Forti emozioni da entrambe le parti possono accompagnare tutto questo. I giovani ricorrono alla ribellione e al comportamento ostentato a «causa della crescita». Gli studi indicano [174] , tuttavia, che le differenze non devono causare conflitti, ostilità e distanze. Quando i genitori rispettano un diverso punto di vista dei propri figli e non si sentono in dovere di lottare per i propri diritti, è possibile creare un piano di discussione e scambio di argomenti. L’adolescente perde gradualmente il suo egocentrismo, grazie al quale può dirigere la sua attenzione a problemi più ampi e di conseguenza essere coinvolto nell’area delle funzioni sociali. Come con i genitori, le relazioni con gli insegnanti dovrebbero basarsi sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Tra le aree di funzionamento dei giovani, è la scuola (e in modo particolare l’insegnante) che ha buone possibilità di diventare un’istituzione che, in modo consapevole e organizzato, è in grado di aiutare nella ricerca dell’identità di un giovane. Tuttavia, ciò sarà possibile solo se acquisirà la fiducia dei giovani, quando diventerà luogo in cui integrare varie esperienze importanti, ricercare ideologie e impegnarsi per mettere alla prova la propria visione del mondo e di se stessi. Perché ciò accada, la scuola deve accettare questo momento e ciò che porta con sé (per esempio la necessità di identificarsi nell’area dei valori, della filosofia di vita, dei ruoli sociali, delle relazioni intime ecc.) e trattarli come fattori prioritari nel processo di formazione dell’identità. Inoltre, deve creare un quadro di sicurezza che consenta ai giovani di ridurre al minimo le paure associate alla ricerca dell’identità, in modo che possano invece creare formule emotive e comportamentali che li aiutino a entrare nel mondo degli adulti. La scuola dovrebbe quindi essere un luogo in cui un giovane sarà in grado di utilizzare l’esperienza acquisita da varie situazioni e contesti per creare la propria identità unica. In tutto ciò, la scuola non dovrebbe dimenticare cha la famiglia dello studente è la fonte educativa primaria e collaborare con essa a questa difficile opera di accompagnamento della crescita nell’umanità dei propri allievi [175] .
6. Conclusione Il periodo adolescenziale è una tappa di sviluppo particolarmente ricettiva alle informazioni perché spesso un giovane non comprende del tutto o addirittura non immagina cosa sia realmente questo mondo. Sta cercando informazioni sul funzionamento globale del mondo e sul funzionamento dell’ambiente circostante (per esempio istituzioni, gruppi sociali). Solo quando forma la propria immagine del mondo può confrontarlo con quello degli adulti e quindi modificare o integrare la propria visione. Grazie a questo, sarà in grado di svolgere i compiti che lo attendono. Il giovane trae informazioni sull’immagine del mondo da varie fonti: dalla sua casa famigliare, da persone che identifica come autorità (insegnanti, clero, leader e capigruppo, capi di istituzioni), impara molto dai compagni, dai libri, dalla sua esperienza e dalle proprie riflessioni, e oggi sempre di più dai mass media (Internet, TV, giornali ecc.). In tutto ciò, le scuole, e in particolare gli insegnanti, possono essere di grande aiuto nell’orientamento ai valori, nell’indicare le giuste direzioni della formazione, in collaborazione con la famiglia e altre persone importanti per i giovani. L’insegnante di oggi è chiamato soprattutto a essere quello che accompagna lo sviluppo del ragazzo acquisendo adeguate conoscenze scolastiche e dando anche il proprio esempio. Nel suo insegnamento quotidiano sta diventando sempre più importante non tanto ciò che insegna, ma perché insegna questi contenuti specifici, come è in grado di dialogare con i giovani e se è preparato per il loro sviluppo dell’identità personale, che avviene non sempre all’interno di specifiche norme istituzionali.
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2. Schede di psicologia dell’apprendimento a cura di Fausto Moriani
La psicologia dell’apprendimento scolastico è l’ambito della psicologia, contiguo alla psicologia dell’educazione, che si occupa di come a scuola si impara – nella duplice consapevolezza dirompente che non solo a scuola si apprende e che, di fatto, non si può non apprendere, giusta la distinzione tra apprendimento formale , insegnato e istituzionale, da un lato, e apprendimento spontaneo , non insegnato e incidentale, dall’altro – focalizzando però non tanto i modi in cui la scuola può declinare il proprio ruolo formativo nel favorire i processi di apprendimento, che sono oggetto della didattica, quanto i termini entro i quali, nella scuola intesa come contesto privilegiato di apprendimento, l’apprendimento sia motore del processo di crescita dell’alunno. A partire dall’inquadramento degli apprendimenti e di come alla loro individuazione, descrizione e discussione teorica si sia storicamente pervenuti, l’attenzione va soprattutto all’apprendimento come processo di costruzione identitaria del soggetto, nella sua peculiarità irripetibile e in relazione con lo sviluppo psicofisico, il linguaggio, il contesto sociale, culturale e motivazionale.
1. I processi di apprendimento: gli studi classici Molti comportamenti sono innati , ossia si manifestano spontaneamente e pressoché identici in tutti gli individui della stessa specie, di solito in precisi momenti del loro sviluppo. Per esempio, sono innati il pianto dei neonati per richiamare l’attenzione e i rituali di corteggiamento degli animali. Altri comportamenti, come lo scodinzolare del cane all’arrivo del padrone o guidare la macchina, sono invece il risultato delle esperienze dei singoli individui nel loro ambiente, ossia sono appresi . I comportamenti appresi non derivano necessariamente da un insegnamento intenzionale. Per tutta la vita, ogni individuo interagisce con l’ambiente in cui si trova, facendone esperienza e, in conseguenza di questa esperienza, si comporta e modifica i propri comportamenti, dunque apprende. In generale, indipendentemente dal fatto che avvenga in modo formale o spontaneo, si definisce apprendimento ogni processo che conduce alla modificazione relativamente stabile del comportamento attraverso l’esperienza , escludendo, in linea di massima, i cambiamenti dovuti eminentemente allo sviluppo e laddove per comportamento si intende, in generale, ogni attività di un organismo vivente, con un sistema nervoso individuale, ancorché molto semplice, che provochi modificazioni spazio-temporali osservabili. Questo complesso equilibrio nel comportamento tra dimensione ereditaria e dimensione ambientale è utilmente codificato dalla psicologa americana Frances Horowitz (nata nel 1932) nell’articolazione di comportamenti universali di primo tipo (UI), cioè ereditati geneticamente, universali di secondo tipo (UII), i quali, pur ereditati geneticamente entro una specie animale, richiedono tempi lunghi per manifestarsi e affinarsi e sono maggiormente influenzati dall’ambiente, e comportamenti NU, cioè non universali, che dipendono dall’ambiente sociale e culturale entro il quale l’individuo si sviluppa. Nella specie umana, la stabilità del comportamento appreso è data, nei modelli cognitivistici, dalla permanenza dell’informazione nella memoria a lungo termine (Atkinson e Shiffrin, 1968) o dalla profondità dell’elaborazione mentale (Craik e Lockart, 1972). La stessa memoria a lungo termine, peraltro, non è una facoltà univoca, ma articolata, presentandosi come memoria semantica (conoscenze svincolate dai contesti del loro apprendimento), episodica (fatti, eventi), procedurale (sequenze e procedure di azione), prospettica (intenzioni e orientamenti futuri), emotiva, autobiografica – alcune delle quali esplicite o dichiarative, altre implicite – per cui articolato negli stessi sensi risulta anche l’apprendimento; si apprendono infatti nozioni, strategie, abilità, stili, relazioni, modi di fare e via discorrendo. In funzione della complessità del sistema nervoso di chi apprende e del tipo di comportamento considerato, gli apprendimenti possono essere classificati dai più semplici ai più complessi e suddivisi in associativi: condizionamento classico, apprendimento per prove ed errori, condizionamento operante; cognitivi: evitamento, apprendimento latente, insight o intuizione, apprendimento ad apprendere; u sociali: imprinting , imitazione, tradizione. u u
Gli apprendimenti più semplici si possono riscontrare anche in organismi dotali di sistemi nervosi poco sviluppati e, in un certo senso, addirittura in loro assenza. Gli apprendimenti cognitivi e sociali più complessi sono meno diffusi nel mondo animale, essendo caratteristici soprattutto dei comportamenti umani. Nell’uomo si possono riscontrare tutti i tipi di apprendimento, per il principio della stratificazione evolutiva. 1.1 Gli apprendimenti associativi
L’abituazione o assuefazione consiste nella progressiva diminuzione della reazione a uno stimolo innocuo che si ripete, come il ticchettio di un orologio o il rumore del traffico, cui alla lunga si tende a non fare più caso. L’abituazione è il tipo di apprendimento più semplice, anche se a rigore non si tratterebbe propriamente di un apprendimento, in quanto, rispetto allo stimolo, l’abituazione si manifesta come graduale perdita di reattività, piuttosto che come acquisizione di un nuovo comportamento di risposta. Per il suo valore adattivo è un fenomeno comportamentale diffuso in tutto il regno animale, dagli organismi con un sistema nervoso complesso come i
mammiferi agli organismi unicellulari, e sembra sia riscontrabile anche nella risposta all’ambiente di alcune piante. Attraverso l’assuefazione, infatti, l’organismo impara a ignorare stimoli irrilevanti che si presentano con frequenza. Vi si può accompagnare un fenomeno di sensibilizzazione , cioè di accentuata reazione a uno stimolo diverso da quello in corso di assuefazione: il sistema nervoso assuefatto a uno stimolo si pone in uno stato di allerta, facendo aumentare la reattività generica. Gli apprendimenti associativi propriamente detti sono stati definiti soprattutto nella prima metà del Novecento da psicologi della scuola comportamentista, i quali ritenevano che l’unico approccio, per comprendere scientificamente l’apprendimento, fosse studiare il comportamento osservabile e misurabile con metodo quantitativo, per lo più attraverso esperimenti di laboratorio. Il più semplice degli apprendimenti associativi è il condizionamento classico , nel quale la naturale risposta involontaria (riflesso incondizionato) a uno stimolo (incondizionato) viene indotta (riflesso condizionato) anche in risposta a un altro stimolo (inizialmente neutro) che vi è stato associato (stimolo condizionato). Il condizionamento classico è legato al nome del fisiologo russo Ivan Pavlov (1849-1936), che studiando in laboratorio i meccanismi fisiologici della digestione si accorse che la salivazione dei cani poteva essere indotta in assenza dello stimolo, il cibo, che solitamente la provoca. Nell’esperimento di Pavlov, c’è un cane che all’inizio produce saliva alla presentazione del cibo e quando ha fame. Poi viene fatto suonare un campanello prima della presentazione del cibo e, ripetendo diverse volte l’associazione tra suono e cibo, Pavlov osserva che il cane comincia a salivare al solo presentarsi dello stimolo sonoro, anche senza cibo: la salivazione, che all’inizio è la risposta incondizionata a uno stimolo incondizionato, poi diventa un riflesso condizionato a uno stimolo, il suono del campanello, che inizialmente era neutro ed è stato associato allo stimolo incondizionato, diventando stimolo condizionato. Per ottenere il condizionamento è necessario che lo stimolo condizionato preceda o accompagni, non segua, il riflesso che si intende condizionare, ed è rilevante che gli stimoli siano intensi e frequentemente accoppiati. Se l’associazione tra gli stimoli viene sospesa per un lungo periodo, il condizionamento si estingue (estinzione ); ma se viene successivamente ripresa, il condizionamento ricompare velocemente. Se lo stimolo condizionato viene sostituito con un altro diverso, ma simile, il condizionamento si manifesta ugualmente (generalizzazione ). Se lo stimolo viene sostituito con un altro decisamente diverso, il condizionamento non si manifesta (discriminazione ). Muovendo dagli studi di Pavlov, lo psicologo statunitense John Watson (1878-1948), fondatore del comportamentismo, studiò il condizionamento classico nell’uomo. Nel celebre caso del piccolo Albert, egli sperimentò che era possibile condizionare un bambino di 11 mesi ad avere paura di un topo bianco, attraverso un processo nel quale uno stimolo sonoro, terrorizzante per il bambino, era introdotto ogni volta che il bambino provava a toccare il topo. In base al principio di generalizzazione, il condizionamento sviluppò in Albert paura non solo del topo, ma di tutte le cose simili a esso, come il pelo di altri animali, i capelli bianchi, la bambagia, la barba di babbo Natale. Intorno all’esperimento si sviluppò un acceso dibattito, a causa della sua spregiudicatezza morale. Un’allieva di Watson, Mary Cover Jones (1897-1987), mostrò con un metodo analogo come superare una paura disfunzionale, una fobia, attuando un decondizionamento . Peter era un bambino terrorizzato dai topi bianchi e aveva generalizzato la paura ad altri animali e oggetti pelosi. Per decondizionarlo, Cover Jones pone Peter a giocare tranquillamente con dei compagni; poi introduce nell’ambiente un coniglio, di cui i compagni di Peter non hanno paura; poi prende a distribuire caramelle e dolci, mentre il coniglio esplora l’ambiente. Gradualmente Peter smette di essere spaventato. Il condizionamento e il decondizionamento si attivano spontaneamente in molte situazioni sia del vivere comune sia nel contesto della scuola e gli insegnanti devono esserne consapevoli. La loro efficacia è particolarmente utile in ambito psicoterapeutico. Infatti, per lo più, gli apprendimenti sono funzionali, cioè soccorrono nel rapporto con l’ambiente, risultando adattivi; ma si danno anche apprendimenti disfunzionali, che peggiorano la qualità della vita o pregiudicano la vita stessa, ostacolando l’adattamento. Intorno al 1950 il medico e psichiatra sudafricano Joseph Wolpe (1915-1998) mise a punto, sulla base dei principi del condizionamento, un metodo di cura delle fobie e di altre nevrosi, detto di desensibilizzazione sistematica , in cui lo stimolo ansiogeno veniva presentato al paziente rilassato, con intensità crescente via via che il paziente riusciva a tollerarlo, fino all’estinzione dell’associazione fra lo stimolo e l’ansia. È associativo anche un tipo molto comune di apprendimento: l’apprendimento per tentativi ed errori , che avviene attraverso un processo in cui un comportamento efficace viene appreso dopo averne tentati altri infruttuosi. Ne è un caso limite l’apprendimento per tentativo unico, quando un solo evento è sufficiente a indurre un certo comportamento – come quando, dopo aver mangiato una sola volta un cibo che ci ha provocato malessere, poi si tende a evitarlo. Tale apprendimento fu teorizzato dallo psicologo statunitense Edward Thorndike (1874-1949), che condusse esperimenti con gabbie-rompicapo (puzzle box ), da cui topi o gatti dovevano imparare a uscire, azionando una levetta o un bottone. Ciò avveniva per caso, dopo un certo numero di tentativi inefficaci. Thorndike notò che se, ogni volta che l’animale usciva, lo si rimetteva nella gabbia, la fuga avveniva sempre prima, per cui pervenne alla cosiddetta «legge dell’effetto», secondo cui un atto che ha conseguenze soddisfacenti ha più probabilità di essere ripetuto (stamping in ), mentre un atto che ha conseguenze insoddisfacenti ne ha meno (stamping out ). Rispetto al condizionamento classico, il condizionamento operante, teorizzato dallo psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner (1904-1990), evidenzia il ruolo attivo del soggetto che apprende, il quale non agisce in risposta a uno stimolo, ma agisce per riceverlo. D’altra parte, rispetto all’apprendimento per tentativi ed errori, il concetto skinneriano di rinforzo corregge un elemento poco comportamentistico della legge dell’effetto, ossia il riferimento alla soddisfazione o insoddisfazione del soggetto che apprende. Nelle sue Skinner box , Skinner aveva installato un congegno in cui un pulsante, se premuto dal soggetto sperimentale, attivava l’erogazione di un rinforzo, generalmente del cibo. Skinner osservò che l’azione seguita dal rinforzo tendeva ad aumentarne di frequenza, rispetto alle azioni non rinforzate e ne trasse la legge cardine del condizionamento operante, secondo cui un’azione rinforzata è più probabile che si ripresenti.
Skinner riteneva che il condizionamento operante spiegasse qualsiasi apprendimento, anche i più complessi, ed era convinto che anche le forme più elevate della cultura umana si apprendessero per condizionamento operante. Nel romanzo Walden Two (dal titolo del romanzo ottocentesco di Thoreau, Walden o vita nei boschi ) Skinner propone l’utopia di un’umanità resa felice dall’eliminazione dei comportamenti malvagi attraverso la sistematica applicazione del condizionamento operante. Del resto, Skinner non esitava a ricondurre al meccanismo del condizionamento operante fenomeni che diremmo eminentemente culturali come la superstizione, spiegata con la ricorrenza casuale di certi comportamenti (come lo sbattere le ali da parte dei piccioni) prima del comportamento che provoca il rinforzo (la pressione col becco del pulsante che eroga il cibo). L’impiego del condizionamento operante in ambito educativo portò Skinner a teorizzare un sistema di istruzione programmata , che prevedeva l’uso di apposite macchine per insegnare. Il principio alla base dell’istruzione programmata è lo shaping (modellaggio), un condizionamento operante in cui l’azione da apprendere è divisa in sequenze che si approssimano all’azione completa e in cui, a ogni sequenza giusta individuata, il soggetto riceve un rinforzo – anche solo per il fatto stesso di passare al livello successivo – in modo tale che il suo comportamento sia progressivamente plasmato. Skinner sottolinea i vantaggi della teaching machine , cioè il fatto che ciascuno studente apprende secondo i propri tempi, senza che si creino né competizione né frustrazione e potendo ricominciare da dove era rimasto. Inoltre, la quantità di informazioni apprese è maggiore in un tempo complessivamente minore, purché le sequenze di apprendimento (frames ) siano molto brevi e sufficientemente autoconsistenti. Anche se si tratta di una forma di autoapprendimento, il ruolo dell’insegnante non è affatto secondario in questo sistema, perché egli seleziona le informazioni tenendo conto della loro significatività per chi è chiamato ad apprenderle, introduce le informazioni nella loro sequenza logica, nella formulazione più chiara e accessibile e vi associa gli esercizi e le attività in grado di verificare l’effettivo apprendimento, valutando costantemente i risultati e rimodulando il programma in base a essi. Coalescente con l’impostazione skinneriana, ma più orientata al ruolo attivo di chi apprende, è la proposta di programmazione ramificata (branching programming ) di Norman Crowder (1926-2013), istruttore nell’aviazione militare statunitense e poi sacerdote, nei cui libri programmati le scelte dello studente lo conducono a parti diverse del programma, consentendo la costruzione di percorsi relativamente autonomi di apprendimento. Negli anni Cinquanta il principio dello shaping e in generale l’idea di un’istruzione programmata gestita da macchine, di supporto o in sostituzione dell’insegnante, non andarono oltre una debole diffusione in alcune zone degli Stati Uniti. Ma era nata ufficialmente la disciplina, oggi in primo piano, della education technology , e a partire dagli anni Ottanta i progressi della tecnologia, la nascita del web e la diffusione capillare di computer e altri dispositivi digitali hanno in qualche modo permesso al sogno di Skinner di realizzarsi. L’apprendimento multimediale è una realtà, anche se è aperta la discussione – non tanto da un punto di vista comportamentista, però, quanto cognitivista e costruttivista – su quali siano i limiti e i vantaggi della multisensorialità e della prevalenza del canale visuale nell’accesso alle informazioni, nella prospettiva del passaggio in corso dagli immigrati digitali (Digital Immigrants ) ai nativi digitali (Digital Natives ) e soprattutto dell’urgenza di una saggezza digitale fiduciosa, critica, competente, compiuta e matura (Digital Wisdom ), secondo la nota concezione di Marc Prensky, sviluppata dal 2001, anche in relazione alle potenzialità di apprendimento dischiuse delle nuove tecnologie digitali; e anche se i suoi rilevanti effetti, per esempio sulla memoria, sulla capacità di concentrazione e sulla condivisione della ricerca, appaiono tanto innegabili quanto controversi. In effetti, le macchine di Skinner erano tutt’altro che multitasking . Il condizionamento operante dà ragione del fatto che l’uso di rinforzi allo scopo di incoraggiare o scoraggiare i comportamenti sia da sempre praticato con efficacia, in ogni cultura umana, sia per l’addestramento degli animali sia in ambito pedagogico, anche se nei contesti umani è di solito difficile che un’azione produca un solo effetto e quindi un solo rinforzo, come nelle gabbie di Skinner, e, per di più, gli uomini perseguono frequentemente obiettivi diversi e mutevoli, perfino contraddittori, in relazione a interpretazioni complesse del futuro, quindi mediate cognitivamente, per cui diventa anche difficile stabilire quale comportamento il rinforzo stia, eventualmente, rinforzando. La rilevanza della mediazione cognitiva in senso lato mette in primo piano l’intervento di una variabile essenziale in alcuni processi di apprendimento ad alta interazione sociale – tipicamente quelli scolastici – di cui programmaticamente il modello comportamentistico non tiene conto e che invece la ricerca attuale enfatizza, ossia la mente e, di più, la rappresentazione introspettiva o inferenziale (teoria) degli stati mentali e la capacità di attribuirli, cioè un’adeguata teoria della mente (ToM, acronimo di Theory of Mind , Premack e Woodruf, 1978), relativa a desideri, attenzioni, convinzioni, opinioni, credenze, conoscenze ed emozioni propri e altrui. In alcune scimmie e nell’uomo, l’efficacia determinante di una ToM nell’apprendimento potrebbe essere resa possibile o facilitata dai neuroni sensomotori detti specchio (Gallese, Fadiga, Rizzolati, 2004), i quali scaricano messaggi elettrici sia nel compimento di un’azione sia nella visione di un altro agente che la compia. Ciò non significa che non si diano effettivamente anche situazioni semplificate nell’esperienza ordinaria o che non occorra che la complessità di una situazione sia tale, per sovrabbondanza o difetto di informazione, che non sia necessario semplificarla, come se la complessità non ci fosse, così come è possibile semplificare radicalmente contesti complessi in base a una meta fortemente perseguita. La scuola è, per esempio, un ambiente umano altamente complesso e organizzato, tipicamente sociale, in cui Brown e Elliot (1965) dimostrarono l’efficacia del condizionamento operante sulla riduzione dei comportamenti aggressivi in bambini di tre o quattro anni, le cui condotte antisociali venissero ignorate dalle maestre e quelle prosociali premiate, con un consistente miglioramento del risultato, a seguito di una ripresa del rinforzo dopo un periodo di sospensione. Per parte sua, Skinner mise piuttosto in evidenza l’importanza della frequenza dei rinforzi: quelli somministrati casualmente sono più efficaci di quelli continuativi e regolari. Egli operò una distinzione fra rinforzi positivi (qualcosa che viene dato) e rinforzi negativi (qualcosa che viene tolto), che non ricalca, ma è trasversale a quella fra premi e punizioni (un rinforzo negativo, ossia qualcosa che viene tolto, può essere un premio). Quanto alla punizione, Skinner riteneva più utile, per ottenere l’abbandono di un certo comportamento, cercare di farlo estinguere eliminando qualsiasi tipo di rinforzo. Una
punizione infatti può essere, oltre che poco efficace, controproducente, fungendo da rinforzo dei comportamenti che si intendono punire, se essi erano attuati per attirare l’attenzione. Infine, una significativa integrazione della teoria del condizionamento operante – che rende critici i suoi rigidi presupposti comportamentistici – è rappresentata dal cosiddetto «principio di Premack», lo psicologo statunitense (David Premack, 1925-2015) che lo studiò in scimmie e bambini, secondo il quale, in una coppia di risposte e di azioni, quella più probabile può rinforzare quella meno probabile, laddove la probabilità maggiore o minore può essere data dall’interesse, dalla preferenza e dalla desiderabilità di una risposta e di un’azione agli occhi del soggetto che apprende: posso prendere una medicina disgustosa se mi permetterà di tornare presto a giocare. 1.2 Gli apprendimenti cognitivi
Gli apprendimenti cognitivi sono tipi di apprendimento complessi. Non sono riconducibili allo schema comportamentista stimolorisposta, neppure nella versione ribaltata del condizionamento skinneriano, ma richiedono un riferimento a funzioni intellettive, come l’immaginazione o la formazione di mappe mentali. Sono stati studiati soprattutto da psicologi provenienti o influenzati dalla scuola della Gestalt e dalle teorie sulla percezione e sulla comprensione come atti globali. Gli studi sperimentali sull’apprendimento per evitamento furono condotti negli anni Trenta mediante la cosiddetta gabbia di MillerMowrer (shuttle box ), divisa in due stadi comunicanti, uno dei quali con il pavimento elettrificato e dotato di un dispositivo luminoso. Il soggetto sperimentale, per esempio un topo, nella prima fase dell’esperimento salta nella parte non elettrificata quando avverte la corrente elettrica; nella seconda fase, subito prima della scossa, lo sperimentatore accende la lampadina; ripetendo più volte la situazione, si osserva che il topo salta nella parte non elettrificata non appena vede la luce, evitando la scossa. Il comportamento di evitamento non è una semplice reazione a uno stimolo, ma implica un’operazione cognitiva di valutazione dell’esperienza. Il topo alla vista della luce salta, perché, sulla base della sua precedente esperienza, può prevedere ciò che sta per avvenire e lo evita. Del resto, anche studi che assumono la plausibilità complessiva del condizionamento classico (Rescorla, Wagner, 1972) mettono in evidenza l’impossibilità di interpretare la risposta a precisi stimoli neutri e non ad altri intervernienti, senza il riferimento esplicito all’aspettativa del soggetto sperimentale, cioè senza una predizione cognitiva, che giudichi attendibile uno stimolo predittore. L’apprendimento latente fu studiato dallo psicologo neo-comportamentista Edward Tolman (1886-1959), mediante esperimenti con labirinti. Tolman è riuscito a evidenziare come certi comportamenti di orientamento nell’ambiente implichino l’elaborazione di mappe o schemi mentali e che l’elaborazione può avvenire anche in assenza di comportamenti che vi siano direttamente implicati. In uno dei suoi esperimenti, a un topo bloccato su un carrellino viene fatto percorrere diverse volte il tragitto che conduce all’uscita; una volta liberato, il topo trova rapidamente l’uscita, senza procedere per tentativi ed errori. In un secondo esperimento, tre gruppi di topi devono trovare autonomamente l’uscita di un labirinto. Il primo gruppo riceve rinforzi sempre; il secondo mai; il terzo a partire dall’undicesimo giorno. Secondo la prospettiva di Skinner, i migliori risultati dovrebbero essere del primo gruppo, invece è il terzo a ottenerli. Questi topi, una volta che ricevevano il rinforzo, erano molto più veloci dei primi a trovare l’uscita, perché nei dieci giorni in cui non avevano ricevuto rinforzo avevano comunque appreso, avvantaggiandosi sugli altri. L’insight o apprendimento per intuizione o illuminazione fu studiato negli anni Venti del Novecento dallo psicologo gestaltista Wolfgang Köhler (1887-1967) su un gruppo di scimpanzé. Nell’esperimento del banana problem , un casco di banane è appeso al soffitto di una stanza e può essere raggiunto solo mediante strumenti lasciati a disposizione (casse, bastoni). Lo scimpanzé mostra comportamenti del tutto irrilevanti per la soluzione del problema (si gratta la testa, poggia il mento sulla mano), ma all’improvviso sgrana gli occhi, distende i muscoli facciali (si illumina) e risolve il problema: impila opportunamente le casse, vi sale sopra e colpisce le banane con un bastone per farle cadere e prenderle. Nell’apprendimento per insight , il soggetto adotta il comportamento adeguato allo scopo non procedendo per tentativi ed errori, ma scoprendolo al termine di un periodo di elaborazione della soluzione del problema (incubazione ) nel quale fa altro. Il temine insight indica un atto di ristrutturazione del campo cognitivo attraverso la revisione dei dati di esperienza disponibili, con un salto creativo che si chiama brillantemente Ah! Experience e che può passare attraverso un’apparente indifferenza verso il problema, un lavorio inconscio della mente, a prima vista improduttivo, perché non concentrato dichiaratamente sull’obiettivo, e invece efficace. Se l’autostrada è piena di traffico, raggiungeremmo prima la meta se tutti procedessimo più lentamente, con una velocità costante, apparentemente allontanandoci dal nostro obiettivo, così come certi problemi possono essere risolti non pensandoci troppo direttamente, lasciando alla mente la possibilità di intraprendere altre strade di ristrutturazione del campo cognitivo, per esempio rimettendo a posto gli appunti o leggendo un testo a tutta prima incongruente o manipolando oggetti o navigando in rete. Spesso le ristrutturazioni cognitive che conducono alla Ah! Experience sono favorite da eventi esterni che fanno vedere il mondo con occhi nuovi, come si dice, imponendo soluzioni creative e l’abbandono di pratiche consolidate, ricorrenti: la nascita di un figlio, la morte di una persona cara, un terremoto, una guerra, una pandemia. Talvolta infatti non apprendiamo perché ostinatamente aggrappati a routine improduttive, ma rassicuranti, che gli eventi si incaricano di sconvolgere. A parte questi casi estremi, in generale l’insight si manifesta di fronte a compiti sfidanti, non troppo facili da affrontare, ma alla portata dell’intelligenza e dello sviluppo di chi deve affrontarli. Köhler studiò un particolare tipo di insight , l’aggiramento degli ostacoli, attraverso esperimenti che mostrarono che la necessità di aggirare un ostacolo per raggiungere uno scopo non si apprende per tentativi ed errori, ma intuitivamente, attraverso l’attivazione, in un sistema nervoso sufficientemente complesso (come quello di uno scimpanzé, ma non di una gallina) di specifiche funzioni cognitive di riorganizzazione attiva dei dati di esperienza, che conducono a un momentaneo allontanamento dall’obiettivo, per conseguirlo. Köhler evidenziò inoltre che la socializzazione è una componente rilevante dell’intelligenza. Infatti, tra gli scimpanzé che parteciparono all’esperimento, una femmina allevata in cattività e meno inclusa nel gruppo di scimpanzé anche a causa del suo aspetto differente,
impiegò più tempo per aggirare l’ostacolo. L’apprendimento ad apprendere fu studiato dallo psicologo Harry Harlow (1905-1981), noto soprattutto per i suoi studi sull’attaccamento. Harlow mostrò che, se a un macaco viene proposto un problema e un set di strumenti per risolverlo, e il macaco risolve il problema per insight o per prove ed errori, quando successivamente gli viene proposto un altro problema, che può essere risolto applicando le stesse regole del primo, allora il macaco lo risolve molto più rapidamente. 1.3 Gli apprendimenti sociali
Alcuni apprendimenti, strettamente dipendenti dalle relazioni tra gli individui di un gruppo, sono detti sociali e mettono in grado gli individui di apprendere rapidamente e con minore sforzo comportamenti nuovi e complessi, anche al di là della loro portata. L’imprinting non è propriamente un apprendimento sociale, essendo una reazione innata; tuttavia è finalizzato all’instaurazione di un comportamento sociale e si attiva, di regola, attraverso una relazione sociale. È dunque un tipico caso di comportamento in larga parte biologicamente predeterminato, ma in parte esperienzialmente appreso. L’imprinting del seguire, per esempio, è il meccanismo attraverso cui i piccoli appena nati di alcune specie apprendono a seguire, riconoscendola come figura di riferimento, la propria madre. Il meccanismo scatta al primo contatto visivo del piccolo con un essere in movimento, purché si verifichi entro il cosiddetto periodo critico, un certo numero di ore dalla nascita. I classici contributi allo studio dell’imprinting si devono a Konrad Lorenz (1903-1989), uno dei padri dell’etologia, noto per le ricerche sul comportamento delle oche selvatiche e delle taccole, che gli hanno consentito, fra le altre cose, di individuare le caratteristiche tipiche dell’apprendimento per imprinting : avviene in una finestra temporale ristretta, in assenza di rinforzo ed è tendenzialmente irreversibile (anche se in misura minore di quanto egli pensasse) e più stabile se manifestato in presenza di ostacoli e ha una funzione adattiva. Lorenz sperimentò su se stesso la potenza dell’imprinting , che si verifica anche nel caso in cui il primo contatto visivo del piccolo non sia, come dovrebbe essere, con la madre, ma con un altro individuo della stessa specie, con un animale di un’altra specie o con un essere umano (Lorenz appunto, nel caso dell’ochetta Martina), ma anche con oggetti inanimati (una palla). Tuttavia, impostazioni diverse di ricerca, orientate a un’etologia cognitiva, sottolineano la rilevanza, per la stabilità dell’imprinting, della produzione di endorfine legata alla presenza di un modello cosiddetto confortevole (Hoffman, 1996). L’imitazione è un apprendimento in cui un soggetto riproduce (esecuzione) l’intera sequenza di comportamento di un modello che egli ricorda (ritenzione) e cui ha prestato attenzione, perché motivato a farlo. Il modello viene imitato per conseguirne lo status , perché quel comportamento ha avuto successo, perché il modello funge da rinforzo (rinforzo vicario o sostitutivo) e comunque, per autorinforzo, laddove chi imita ritiene che, se i modelli adottano quel comportamento, esso è conveniente, ammesso e condiviso. In effetti, attraverso l’osservazione di modelli, i soggetti imparano anche a inibire o a disinibire certi comportamenti o a praticarli quando altri li praticano (come capita di fronte a un buffet, dopo la prima esitazione). Nell’esperimento detto di Bobo Dol l, predisposto nel 1961 dallo psicologo neocomportamentista canadese Albert Bandura (nato nel 1925) per studiare in particolare l’apprendimento per imitazione dei comportamenti aggressivi, i bambini che avevano assistito ad atti aggressivi da parte di un adulto nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo tendevano a riprodurli, particolarmente quando avevano visto che i comportamenti aggressivi degli adulti erano premiati. Un trentennio di osservazioni accurate ha condotto negli anni Ottanta lo psicologo G.R. Patterson (nato nel 1926), in studi ormai classici, a formulare la coercive theory , secondo la quale i comportamenti antisociali infantili sono appresi, per imitazione e rinforzo, entro famiglie che privilegiano metodi educativi coercitivi. Mentre l’imitazione è un processo di apprendimento sociale che riguarda individui o singoli gruppi di individui, la tradizione riguarda comportamenti e conoscenze che coinvolgono le comunità nel loro insieme e, soprattutto, si trasmettono di generazione in generazione, anche grazie, nella specie umana, a istituzioni, luoghi, momenti, forme di comunicazione deputati. La tradizione è un apprendimento culturale – laddove per cultura si intende l’insieme di norme, regole, valori, usi e costumi, credenze, linguaggi condivisi dai membri di una società – ed è legata a circostanze di condivisione, come i pasti in comune, le vacanze con i familiari, la preghiera, le riunioni di famiglia, in cui i gruppi umani acquisiscono informazioni nuove, svincolandosi dalla dotazione biologica e gettando le basi del passaggio delle conoscenze e della cultura da una generazione all’altra, in un processo di crescita complessivamente costante, nonostante stasi, accelerazioni, cadute, rivoluzioni. Si sarebbe portati a credere che la tradizione sia un fatto esclusivamente umano. In realtà, risultano casi di trasmissione da una generazione all’altra di comportamenti di tipo culturale anche in alcune specie di animali. Il caso più noto è quello dei macachi dell’isola giapponese di Koshima, osservato dai primatologi giapponesi negli anni Cinquanta. Dopo che Imo, una giovane femmina, ebbe appreso casualmente a lavare le patate in acqua dolce e successivamente in mare, migliorandone il sapore, altri macachi appresero quel comportamento per imitazione e, attualmente, tutta la comunità di macachi di Koshima – e solo quella – lava in mare le patate e mostra altri comportamenti, come raccogliere piccoli semi dalla sabbia, lanciandone manciate in mare e lasciandoli galleggiare, appresi e trasmessi di generazione in generazione, ossia per tradizione.
2. Apprendimento, soggetto e contesto: nuovi orizzonti Il maggiore filosofo italiano dell’età moderna, Giambattista Vico (1668-1744) identificava conoscenza e azione, verità e trasformazione, verum e factum : l’uomo conosce veramente solo ciò di cui è autore, solo ciò che fa. Questa concezione filosofica può essere richiamata per chiarire la rivoluzione che caratterizza la prospettiva attuale della psicologia in ambito educativo, orientata a enfatizzare la centralità del soggetto che apprende (learner centered approach ) nella sua peculiare singolarità e della sua interazione
con il contesto in cui avviene il processo di apprendimento (didattica ecosistemica), laddove l’uno modifica e arricchisce l’altro, in un processo che il filosofo pragmatista John Dewey (1859-1952) avrebbe chiamato transazione . Per esempio, tra le metodologie d’insegnamento e apprendimento il cui valore è oggi più riconosciuto, c’è senz’altro l’apprendimento cooperativo (cooperative learning ), in cui gruppi di studenti, accuratamente individuati dall’insegnante, dotati di competenze diverse e integrabili, ma tutte indispensabili al buon esito dell’impresa comune di conoscenza, collaborano e rispetto a questo sono valutati. Una prospettiva come questa difficilmente può essere compresa fuori dal modello costruttivistico, secondo il quale l’apprendimento è un processo attivo di ristrutturazione delle conoscenze, che avviene in un contesto di interazione reciproca fra l’individuo, considerato nel suo sviluppo cognitivo, e il suo ambiente sociale e culturale; e dove la conoscenza è una costruzione soggettiva nella quale ogni individuo interpreta dal proprio punto di vista i dati dell’esperienza, anche se gli strumenti con cui ciò avviene sono determinati dal contesto sociale e culturale, sono quindi comuni, in modo che le conoscenze risultino condivise. Del resto gli apprendimenti cognitivi, richiedendo per la loro interpretazione il ricorso alla nozione di mente come attività ricostruttiva e di ristrutturazione della realtà da parte del soggetto (secondo la prospettiva peculiare della Psicologia della Gestalt ), avevano già messo in crisi il modello comportamentista, in cui apprendere significava essere modificati dagli stimoli ambientali, nello stesso modo in cui una tabula rasa , una lavagna, è modificata dai segni tracciati dal gesso. Contributi fondamentali alla definizione del modello costruttivistico sono venuti nel corso del Novecento da nuclei teorici anche profondamente diversi fra loro, ma infine di fatto coalescenti a definire una nuova interpretazione complessa del processo di apprendimento. 2.1 Il contributo del cognitivismo
A partire dagli anni Cinquanta, il cognitivismo è diventato un punto di riferimento imprescindibile nella concezione dell’apprendimento. Entro i termini di questa concezione, l’adattamento dell’individuo all’ambiente è presieduto dai processi psichici che dipendono senz’altro dallo sviluppo del suo sistema nervoso (hardware ) e delle unità specializzate in cui esso consiste, ma nei quali l’individuo si rapporta all’ambiente attivamente, selezionando e costruendo le informazioni, interne ed esterne, in base alle quali si muove più o meno efficacemente nel mondo. Questi processi non sono misteriosi né impossibili da indagare scientificamente e la mente – che i comportamentisti avevano escluso dal novero dei concetti propriamente scientifici come insondabile black box – può essere invece compresa. Essa è l’insieme delle funzioni psichiche che orientano il comportamento in base a schemi , veri e propri sistemi operativi e programmi (software ) che elaborano, processano e interpretano le informazioni, rendendole disponibili al soggetto che apprende. L’apprendimento consiste nell’interazione tra gli stimoli ambientali e gli schemi, a cominciare dall’attenzione o percezione selettiva. Questa interazione è descrivibile in termini di top-down e bottom-up : dall’alto verso il basso, con riferimento all’azione delle conoscenze pregresse e degli schemi che le organizzano, che condizionano la comprensione del dato nuovo di esperienza; dal basso verso l’alto, con riferimento all’azione di modifica che gli stimoli ambientali esercitano sugli schemi mentali, aprendoli efficacemente al nuovo. Ogni apprendimento è pertanto situato (situated learning approach ) nello sviluppo mentale di chi apprende e nel contesto naturale, sociale, culturale in cui egli si trova ed entro il quale persegue obiettivi. E siccome uno schema è una struttura astratta e gerarchizzata, implementabile per sua natura dalle esperienze dell’intero arco della vita, di apprendere non si finisce mai (apprendimento permanente ). Ai riflessi cui si affidavano i comportamentisti, i cognitivisti sostituiscono unità di analisi del comportamento complesse, come tipicamente quella proposta nel modello TOTE (G.A. Miller, E. Galanter, K. Pribram, 1960), un acronimo per Test (valutazione iniziale della congruenza tra ambiente e obiettivi), Operate (modificazione della condizione iniziale per adeguarla agli obiettivi), Test (verifica della congruità tra ambiente e obiettivi dopo le modifiche intervenute) ed Exit (termine del processo in caso di esito soddisfacente o rinvio al secondo passaggio in caso contrario). 2.2 Il contributo dell’epistemologia genetica
Lo psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980) concepisce l’apprendimento come un duplice meccanismo di assimilazione e accomodazione della conoscenza, finalizzato all’adattamento dell’individuo all’ambiente, attraverso il quale si compie il passaggio da uno stadio all’altro del processo di sviluppo dell’intelligenza che avviene fra 0 e 14 anni. La teoria che descrive le caratteristiche di questo processo di sviluppo è detta epistemologia genetica , in quanto riconduce le condizioni della conoscenza alla dimensione biologica dello sviluppo umano. Piaget individua quattro stadi principali di sviluppo, intendendoli più che come periodi, come insiemi coerenti di capacità di interazione con l’ambiente: sensomotorio (0-2 anni), caratterizzato da comportamenti comunicativi di tipo motorio e dalle prime rappresentazioni mentali degli oggetti e del mondo esterno; u preoperatorio (2-7 anni), in cui si forma il pensiero simbolico, nasce il gioco simbolico e domina l’egocentrismo, cioè l’incapacità di porsi dal punto di vista altrui; u delle operazioni concrete (7-11 anni), in cui si assiste al superamento dell’egocentrismo e al passaggio a forme di pensiero reversibile, ossia che riesce a tenere conto contemporaneamente di due fatti; u delle operazioni formali (11-14 anni), in cui si afferma e si affina il ragionamento astratto. u
All’interno di ciascuno stadio, le strutture cognitive o schemi mentali, che si sono formati sulla base delle esperienze precedenti, incamerano i contenuti delle nuove esperienze (assimilazione). A loro volta gli schemi vengono modificati dalle esperienze non riconducibili a essi, in modo che possano essere accolte (accomodazione). Piaget chiama equilibrazione il processo di aggiustamento cognitivo fra le due tendenze opposte dell’assimilazione al vecchio e dell’accomodamento al nuovo, l’esito del quale costituisce l’apprendimento. L’apprendimento risulta dunque condizionato dagli schemi mentali, nel senso che si può apprendere solo quello che
può essere filtrato dagli schemi; e perciò a ogni fase dello sviluppo del bambino corrispondono in linea di massima conquiste cognitive diverse, che non si possono forzare con insegnamenti irricevibili, salvo casi critici di décalage , cioè di presenza in stadi diversi di operazioni simili. 2.3 Il contributo dell’approccio socio-culturale
Nella prospettiva socio-culturale dello psicologo russo Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934), anticipatrice di temi costruttivistici, il tema del legame fra lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo biologico dell’individuo è condiviso con un’accentuazione dell’importanza ascrivibile ai fattori culturali e in special modo linguistici. Secondo Vygotskij l’individuo che conosce si trova immerso in un sistema storico, sociale e culturale di valori, che tanto inevitabilmente quanto inconsapevolmente determina il modo in cui il processo conoscitivo può procedere, considerato che l’apprendimento avviene per buona parte al di fuori della situazione di insegnamento, nel vivere quotidiano in mezzo agli altri. Tale condizione dell’apprendimento è tipicamente umana ed è legata al fatto che l’uomo è dotato di coscienza. Per questa ragione solo in parte possono essere considerate efficaci teorie dell’apprendimento e pratiche conseguenti, che facciano riferimento al comportamento di altri animali. Il linguaggio, in questo senso, ha per Vygotskij un ruolo determinante. Quando i bambini imparano a parlare, il linguaggio ha una funzione esclusivamente comunicativa nei rapporti interpersonali, ma rapidamente, attraverso un processo di interiorizzazione , diventa il mezzo attraverso cui l’individuo impara a pensare. Intorno ai cinque anni, infatti, il bambino parla non solo con gli altri ma anche a voce alta con se stesso; progressivamente la voce cessa di essere udibile, ma il bambino continua il dialogo con se stesso dentro di sé, e interloquendo con se stesso esercita e migliora le sue capacità intellettive di analisi dell’esperienza e di risoluzione delle sfide conoscitive che essa gli pone. È quindi ribaltata la prospettiva di Piaget, che faceva precedere il linguaggio egocentrico a quello sociale, affidandogli una funzione regolativa ed euristica nell’ambito di una fase dello sviluppo in cui il bambino non è in grado di assumere punti di vista sul mondo alternativi al proprio. Centrale è anche la nozione di zona prossimale di sviluppo , cioè l’idea che nessuno apprende da solo, quando si trova di fronte a un compito, ma lo fa con qualcuno che gli è accanto, un supporto esperto, che gli offre una sorta di impalcatura, grazie alla quale la costruzione della conoscenza diventa possibile. Ciascuno di noi non è un punto, ma una zona definita dal proprio livello di sviluppo e da quello di chi ci sta accanto, in una posizione sempre più o meno avanzata rispetto alla nostra. In questo senso, nella concezione dell’apprendimento di Vygotskij c’è più spazio per la figura dell’insegnante, rispetto a quanto non ce ne sia in quella di Piaget. Per Vygotskij la realtà è troppo sfaccettata e complessa culturalmente e socialmente per essere sufficientemente conosciuta da un bambino con le sue sole forze durante le tappe dello sviluppo. C’è bisogno di qualcuno che lo aiuti a estendere e approfondire il suo sapere. L’insegnante, nel suo ruolo di esperto, può farlo, muovendosi appunto all’interno della zona prossimale, ossia entro i confini fra ciò che il bambino sa (area effettiva di sviluppo) e ciò che può apprendere (area potenziale di sviluppo), proponendogli compiti alla sua portata appena al di fuori dell’area effettiva. 2.4 Il contributo del costruttivismo
Nel concetto di zona di sviluppo prossimale di Vygotskij opera il principio dello scaffolding di Jerome Seymour Bruner (1915-2016), psicologo e pedagogista difficile da iscrivere univocamente in un indirizzo di pensiero, ma sicuramente emblematico della transizione dal cognitivismo al costruttivismo, cioè alla concezione secondo cui mente, concepita come un organo intersoggettivo, e cultura si plasmano e, in certa misura, si creano vicendevolmente, tipicamente nell’apprendimento (culturalismo ). Il principio dello scaffolding è che l’apprendimento avviene o è facilitato se l’ambiente di apprendimento (spazi, programmi) viene strutturato in modo adeguato. Il concetto di struttura, o meglio impalcatura, rimanda all’idea della sua temporaneità e leggerezza, cioè alla sua funzionalità. Anche l’interazione fra genitori e figli è spesso caratterizzabile in termini di scaffolding : agisce secondo questo principio, tipicamente, il genitore che sostiene il bambino che sta imparando a camminare, prima con due mani, poi con una sola fino a lasciarlo andare. Analogamente l’insegnante è un facilitatore dell’apprendimento, che organizza e struttura i contesti, selezionando le esperienze; del resto, un autore classico come Robert Gagné (1916-2002), a cavallo fra comportamentismo e cognitivismo, ha potuto addirittura definire l’istruzione come una modificazione delle condizioni interne ed esterne dell’apprendimento (rinforzi, ripetizioni, contiguità, motivazioni, obiettivi, apprendimenti pregressi). Per esempio, il principio dello scaffolding opera in un momento cruciale dell’apprendimento delle abilità numeriche, quello in cui il bambino si aiuta a imparare a contare, contando sulle dita. Contare sulle dita è una pratica di scaffolding – tanto naturale ed efficace da essere universalmente diffusa e verosimilmente avere determinato l’adozione del sistema numerico decimale in molte culture. Il conteggio sulle dita sostiene infatti la strutturazione cognitiva dell’azione del contare, che sfocia nel calcolo a mente. Una volta che si è appreso a contare a mente, si smette di contare sulle dita: l’impalcatura di sostegno non serve più e viene smontata. Per Bruner, come è evidente, tutto può essere appreso da tutti, purché l’ambientazione dell’apprendere sia adeguatamente ponderata, costruita, selezionata, per esempio procedendo a spirale. La modalità più efficace di apprendimento è quella cosiddetta per scoperta , che per affinità rimanda alla maieutica socratica: non si tratta di travasare conoscenze come acqua in un recipiente vuoto, ma di facilitare (l’insegnante è un facilitatore) l’esplorazione libera di chi apprende, impegnandolo nella posizione e soluzione di problemi (problem posing/solving ), nell’individuazione e applicazione autonoma di procedure, nei processi di associazione e distinzione, nell’attribuzione e costruzione di significati, cioè di concetti, alla scoperta di relazioni e regolarità che orientino nell’ambiente vitale e culturale. Apprendere, in particolare a scuola, consiste non nell’accumulare nozioni, ma nell’essere attratti e coinvolti da incognite, da problemi per risolvere i quali sia necessario formulare ipotesi, con fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, sviluppando competenze. In questo senso, la conoscenza è una costruzione attiva del soggetto, riferita ai suoi bisogni, al suo sviluppo, alla sua complessiva
personalità, al suo profilo umano e cognitivo. Essa avviene sempre in un contesto, che pone problemi e offre strumenti. Il contesto stesso, pertanto, non è un mero dato di realtà, ma una costruzione di significati entro cui muoversi, consapevoli che l’apprendimento è un fatto sociale, che apprendere è sempre apprendere con gli altri, che sapere non è mera riproduzione, ma scoperta, ed è pertanto essenziale la consapevolezza del come si impara e del cosa stiamo facendo mentre apprendiamo (metacognizione ). È evidente che tale ambiente può senz’altro essere virtuale e digitale, laddove le possibilità di interazione significativa si moltiplicano all’infinito. In questi termini, Bruner pone la questione essenziale dell’apprendimento significativo : perché mai dovremmo apprendere? La sua risposta è l’apprendimento scoperta, ma vi sono anche risposte diverse, come quella di David Ausubel (1918-2008), favorevole invece a un apprendimento mediante esposizione di contenuti piuttosto strutturati, ma che soprattutto si aggancino, per omogeneità o differenza, a contenuti pregressi con l’aiuto di organizzatori di approccio. In entrambe le impostazioni, vale, tuttavia, il paradosso dei sofisti, illuminato dalla maieutica socratica, secondo il quale si cerca e si trova solo ciò che si sa, perché altrimenti non si saprebbe cosa cercare. 2.5 Gli stili di apprendimento, la motivazione e il contributo dell’approccio umanistico
In un contesto teorico di questo tipo assume senso la riflessione, che negli ultimi cinquanta anni ha attratto l’interesse di numerosi psicologi, con esiti molto discussi, intorno a temi non riconosciuti o considerati marginali nell’ambito della riflessione educativa, come quello degli stili e delle strategie di apprendimento (metacognizione, ripetizione, tecniche mnemoniche, gerarchizzazione delle informazioni). È un dato di fatto che a scuola si impara in forme diverse, con tempi diversi, ma soprattutto con modi diversi di relazionarsi ai compagni di studio o all’insegnante, alla lezione in classe e ai compiti, con modalità diverse di rielaborare le informazioni, con diverse motivazioni; in breve con diversi stili di apprendimento . Gli insegnanti possono accorgersi della predilezione degli alunni per un approccio all’apprendimento di un certo tipo piuttosto di un altro, osservando come reagiscono ai nuovi stimoli, alle nuove situazioni e alle richieste di nuovi comportamenti; e sulla base degli stili riconoscibili possono meglio adeguare la propria azione formativa alle esigenze individuali. Fra le molte teorie degli stili di apprendimento che sono state proposte, il modello elaborato dallo psicologo italiano Cesare Cornoldi (nato nel 1947) vede contrapposte sei coppie di stili: Verbale-visuale, a seconda della preferenza per il linguaggio o le immagini. Globale-analitico, a seconda della capacità o meno di avere una visione d’insieme di un problema. u Sistematico-intuitivo, a seconda del procedere graduale o meno nel ragionamento. u Impulsivo-riflessivo, a seconda della tendenza a intervenire più o meno prontamente in una discussione o lavoro di gruppo, o a mantenere un atteggiamento osservativo. u Convergente-divergente, a seconda della preferenza nell’uso di strategie e idee note e provate o nel cercare soluzioni nuove ai problemi. u u
Nel modello dello psicologo statunitense Robert Sternberg (nato nel 1949) sono individuate invece quattro categorie di stili: Stile monarchico, di chi fa intensamente una cosa per volta. Stile gerarchico, di chi sa organizzarsi in modo da fare molte cose insieme. u Stile oligarchico, di chi fa molte cose insieme ma fatica a organizzarsi. u Stile anarchico, di chi fa molte cose insieme preferendo non organizzarsi. u u
Al di là del diverso tipo di taglio che nei vari modelli proposti viene operato per l’individuazione delle categorie, il concetto di stile è direttamente connesso al tema delle tecniche di apprendimento. In termini ancora più generali, esso rinvia alla frontiera ineludibile della personalizzazione dell’apprendimento , nel contesto di un apprendimento significativo. Per entrambi gli aspetti, un contributo rilevante proviene dall’approccio umanistico alla personalità, precisamente dalla concezione psicoterapeutica non direttiva del cosiddetto approccio centrato sul cliente di Carl Rogers (1902-1987), che si traduce in strategie di apprendimento centrate sul soggetto, fondate sull’idea che necessariamente ciò che è significativo sia privato, legato ai vissuti individuali, ai feedback che costruiscono ciascuno di noi, laddove i comportamenti individuali, e quindi le spinte all’apprendimento e i successi e gli insuccessi in cui queste terminano, sono sempre coerenti con il concetto che ciascuno ha di sé. L’insegnamento diventa perciò soprattutto un’arte, capace di favorire i processi di apprendimento a partire dalle manifestazioni dei bisogni di ciascuno. Rilevante, in questo senso, è la canonica piramide dei bisogni di Abraham Maslow (1908-1970), cioè una gerarchizzazione dei bisogni e delle motivazioni comuni agli esseri umani in un modello che ha alla base i bisogni elementari e omeostatici e al vertice quelli di autorealizzazione, e in cui il livello successivo non compare se non sono soddisfatti i bisogni del livello precedente: bisogni fisiologici, di salvezza, sicurezza e protezione, di appartenenza, stima, prestigio, successo, infine bisogni di realizzazione di sé, cioè delle proprie aspettative, anche occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale. Risulta evidente, pertanto, anche al di là dell’impostazione umanistica, il legame tra motivazione (need for competence ) e apprendimento, laddove è impossibile apprendere senza motivazione, cioè senza la spinta soggettiva a procedere verso una meta significativa. Questa spinta soggettiva è anche legata alle diverse formae mentis di ciascuno, cioè alla pluralità di intelligenze che convivono in relativa autonomia, ma non con la stessa portata e intensità in ciascuno, pur essendo tutte da valorizzare nell’apprendimento, secondo la teoria dello psicologo statunitense Howard Gardner (nato nel 1943) detta appunto delle intelligenze multiple, individuate prima in sette, successivamente in nove (logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica e filosofico-esistenziale) e infine, in una diversa prospettiva, in cinque chiavi di accesso al mondo futuro (intelligenza disciplinare, sintetica, creativa, rispettosa ed etica).
3. Un indicatore dell’apprendimento inclusivo: i Disturbi Specifici dell’Apprendimento Si può definire abilità la capacità di eseguire un compito complesso con competenza, ossia con cognizione di causa, completezza, efficacia e possibilità di riproduzione in contesti che lo reclamino; e in generale si può dire che anche l’apprendimento di un’abilità è complesso. Apprendere un’abilità significa infatti stabilire nuove associazioni fra stimoli, reazioni e comportamenti; procedere in molti casi per tentativi ed errori, cercando di imitare un compagno o un maestro; ricevere rinforzo dal suo incoraggiamento; rimuginare su un problema e capire improvvisamente e inaspettatamente come si deve fare qualcosa. L’apprendimento di un’abilità è condizionato dall’età e dalle fasi dello sviluppo fisico e cognitivo individuale (non si può prendere la patente da bambini o fare capriole a ottanta anni), ed è influenzato dai più diversi fattori ambientali, emotivi e motivazionali, come la presenza di modelli di riferimento validi, ambienti e strumenti adeguati, un contesto familiare o sociale favorevole. Alcune abilità, riguardanti il modo di comunicare, affrontare le difficoltà, relazionarsi agli altri, avere consapevolezza di sé, le Life Skills , dal 1993 sono raccomandate a tutti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) perché il loro apprendimento può contribuire a migliorare il benessere psichico. Per l’apprendimento di un’abilità è indispensabile il possesso di requisiti, che a seconda dei casi possono essere fisici o cognitivi o, più spesso, entrambe le cose. Nel caso delle abilità scolastiche si parla di prerequisiti dell’apprendimento. I prerequisiti della lettura e della scrittura comprendono, fra gli altri, capacità di discriminazione visiva e uditiva, metafonologiche, di denominazione rapida, di memoria fonologica a breve termine, di associazione visivo-verbale. Prerequisito caratteristico della scrittura è inoltre un livello di coordinazione oculo-manuale che consenta di coordinare la vista con la motricità fine della mano. Prerequisiti del calcolo sono, fra gli altri, la conoscenza della sequenza verbale dei numeri, della numerosità, della corrispondenza biunivoca numero-oggetti, la capacità di confrontare fra loro numeri e insiemi. Tra i 5 e i 7 anni i prerequisiti tendono a stabilizzarsi per lasciare spazio allo sviluppo completo delle abilità strumentali che sottendono. Il possesso di qualsiasi abilità richiede l’automatizzazione di alcune procedure senso-motorie e cognitive. Tali procedure, cioè, devono essere eseguite in modo inconsapevole, cosicché l’attenzione possa essere diretta sugli altri processi cognitivi richiesti da quella abilità o da attività di altro tipo. L’automatizzazione consente l’esecuzione di molte azioni della vita quotidiana (vestirsi, andare in bicicletta); può raggiungere livelli spettacolari nelle performance sportive e artistiche (palleggi, piroette); è caratteristica della specializzazione professionale, dove non riguarda solo o necessariamente le prestazioni di tipo fisico (interpreti, medici). L’automatizzazione avviene attraverso l’esercizio, ossia la ripetizione della sequenza di operazioni che costituisce la procedura. Ripetere la sequenza, infatti, fa sì che essa venga immagazzinata nella memoria procedurale, da dove, quando viene recuperata, si traduce direttamente, e più velocemente, in un comportamento, senza che vengano consapevolmente ripassati tutti i suoi passaggi. La prima volta la sequenza viene eseguita consapevolmente, di solito attraverso le indicazioni o l’esempio di chi la sa già fare. Poi, con l’esercizio, viene eseguita sempre di più «in automatico». Quando l’automatizzazione tarda a instaurarsi, l’apprendimento delle abilità è rallentato. La mancanza di esercizio o fattori diversi, per esempio di tipo emotivo o motivazionale, possono essere alla base del problema. Tipicamente, tuttavia, il mancato o difficile sviluppo dell’automatizzazione della lettura, della scrittura e dell’abilità di calcolo segnala la presenza di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (Dsa). Riconosciuti con la Legge 170/2010, i Dsa sono oggetto di specifiche Linee Guida allegate al Decreto Ministeriale 12 luglio 2011, a tutela del diritto allo studio degli alunni che li presentano. Secondo le Linee, dipendono da disfunzioni neurobiologiche che possono essere aggravate da fattori ambientali; non sono dovuti a handicap o fattori esterni; hanno carattere evolutivo, manifestandosi con caratteristiche diverse nelle diverse fasi dello sviluppo e mostrano diversa espressività nelle diverse fasi di acquisizione dell’abilità cui si riferiscono; tendono a presentarsi in associazione fra loro. A seconda dell’abilità di base che riguardano, si distinguono in: Dislessia o disturbo nella lettura, intesa come capacità di decodifica di un testo scritto; Disortografia o disturbo nella scrittura, intesa come abilità nelle competenze ortografiche; u Disgrafia, o disturbo nella scrittura intesa come capacità grafo-motoria di riprodurre i segni alfabetici e numerici; u Discalculia o disturbo nelle abilità di numero e calcolo, intesa come capacità di comprendere e operare con i numeri. u u
La dislessia è caratterizzata da una lettura lenta e poco accurata, con errori di decodifica delle parole, lette usando il canale fonologico, invece del più veloce canale lessicale. La disgrafia è caratterizzata da disordine e trascuratezza nell’aspetto della scrittura, con forma, dimensione o posizionamento delle lettere errati; mentre nella disortografia la scrittura è caratterizzata soprattutto da errori di ortografia e grammatica, ossia relativi all’uso del codice linguistico. La discalculia si esprime nell’incapacità di comprendere segni e simboli numerici, usare le formule ed effettuare con fluidità operazioni di tipo matematico anche semplici. Gli alunni con Dsa elaborano frequentemente stili di apprendimento originali, per aggirare le difficoltà di apprendimento provocate dalla presenza del disturbo e riuscire comunque a soddisfare la spinta a imparare, nei bambini fortissima per natura. Gli insegnanti devono sostenerli in questo sforzo, adottando opportune strategie compensative e dispensative. Una possibilità bellissima per la scuola: fare apprendere tutti, confidando nell’autorità di Aristotele, secondo il quale «Tutti gli uomini tendono per natura alla conoscenza» (Metafisica , 980a).
Bibliografia Baroni M.R., D’Urso V., Psicologia generale , Einaudi, Torino 2004. Butler G., McManus F., Psicologia , Einaudi, Torino 2000.
Cornoldi C., Le difficoltà di apprendimento a scuola , Il Mulino, Bologna 2017. Mazzoni G., L’apprendimento , Carocci, Milano 2000. Mecacci L., Introduzione alla psicologia , Laterza, Roma-Bari 2008. Petter G., Il bambino va a scuola , Il Mulino, Bologna 2004.
3. Schede di Psicologia dell’educazione a cura di Paola Baldoni
1. Psicologia dell’educazione 1.1 L’ambito della disciplina
L’ambito di studio della psicologia dell’educazione risulta difficilmente delimitabile, in quanto tale branca della scienza racchiude in sé i risultati della ricerca scientifica, sia della psicologia che dell’educazione. La psicologia dell’educazione, da molti denominata psicopedagogia, si colloca infatti tra il soggetto in sviluppo e gli obiettivi didattici e educativi, ovvero tra le caratteristiche psichiche, emotive, relazionali proprie di chi apprende e i percorsi didattici, le strategie, gli strumenti per realizzare lo sviluppo del soggetto stesso. Anche se strettamente correlata ad altri ambiti di indagine, la psicologia dell’educazione ha una propria autonomia. Il suo campo di studio e operatività concerne i processi di apprendimento nelle varie fasi dello sviluppo in relazione con le richieste educative dei diversi ambienti di apprendimento. Appare evidente come la scuola sia il luogo privilegiato, ma non esclusivo, di intervento in un’ottica di long life learning . È ovvio che la psicologia dell’educazione, come del resto tutte le scienze dell’educazione, sia costantemente in stretta interrelazione con le altre discipline con le quali condivide settori di ricerca e strumenti di intervento. Molto spesso considerata solo come chiave di volta delle situazioni problematiche, la psicologia dell’educazione non esaurisce il suo fine in tali occasioni, ma si propone l’implementazione delle metodologie pedagogiche al fine di migliorare l’ambiente sociorelazionale-scolastico, in un costante connubio tra ricerca psicopedagogica e pratica educativa, tra problematizzazione delle situazioni educative e attività di sperimentazione e didattica. 1.2 Le radici storiche
L’origine della psicologia dell’educazione si può ravvisare nella pubblicazione, nei primi decenni del XX secolo, dell’opera Educational Psychology [176] da parte di E.L. Thorndike, all’interno della quale l’autore proponeva di trasporre metodi e teorie dalla psicologia generale all’ambito educativo per la risoluzione dei problemi connessi alla scolarizzazione di massa. Secondo l’ipotesi di Thorndike sviluppo e apprendimento coincidono nella costruzione della conoscenza. Diversa, invece, la prospettiva proposta da W. Wundt il quale proponeva come ambito di indagine della psicologia dell’educazione le funzioni psichiche superiori all’interno della cultura di riferimento. Perfettamente in linea con la scuola storico-culturale russa, l’Autore incentrava le sue formulazioni teoriche sul concetto di «zona di sviluppo prossimale», elaborato da L.S. Vygotskij [177] , sottolineando l’importanza delle funzioni psichiche del bambino nell’attività di cooperazione: sia l’insegnamento che l’apprendimento dipendono in ultima analisi dall’interazione sociale nei contesti educativi. Deve essere sicuramente attribuito a Vygotskij il merito di aver focalizzato l’attenzione proprio su quello che attualmente viene definito e delimitato come il campo di intervento della psicologia dell’educazione: la relazione tra sviluppo e apprendimento. Non possiamo non citare, infine, il contributo offerto dall’epistemologia genetica di J. Piaget, secondo il quale l’apprendimento deriva dai diversi livelli di organizzazione del pensiero (stadi) in una continua ricerca di equilibrio tra assimilazione e accomodamento. Lo sviluppo è, pertanto, il risultato di tre fattori: la crescita organica, l’esercizio e l’esperienza, le interazioni sociali [178] . 1.3 Psicologia dell’educazione e scuola
Molteplici sono le applicazioni della psicologia dell’educazione all’interno della comunità scolastica: da un lato l’analisi delle caratteristiche dei processi cognitivi, affettivi e sociali dell’individuo, per personalizzare e individualizzare l’insegnamento; dall’altro i fattori personali, interpersonali e contestuali, correlati ai sistemi di comunicazione e al clima psicosociale, che possono facilitare o ostacolare l’apprendimento. Inoltre la ricerca psicopedagogica indaga stili cognitivi e di insegnamento, analizza il rapporto discentedocente, progetta situazioni educative, elabora strategie di valutazione, in stretta relazione soprattutto con la psicologia dello sviluppo. Fondamentale è il contributo della disciplina nei casi in cui siano presenti bisogni educativi speciali (disturbi specifici dell’apprendimento, situazioni di handicap e di svantaggio socio-economico-culturale-linguistico) per la realizzazione di percorsi individualizzati. Svolge, invece, un’azione di prevenzione per evitare che il disagio si trasformi in abbandono scolastico (drop out ). Tutto ciò non può ovviamente avvenire senza una adeguata preparazione dei docenti in ambito psicologico, né senza una continua cooperazione tra i diversi attori del processo di insegnamento-apprendimento. Ne consegue, pertanto, che due sono gli elementi fondamentali da considerare: da una parte il docente con la sua preparazione e dall’altra la ricerca sperimentale inerente le condizioni e i fattori che determinano gli apprendimenti scolastici. Appare chiaro, quindi, come la psicologia dell’educazione non corrisponda a un mero trasferimento di concetti e pratiche psicologiche in campo educativo, né la panacea delle situazioni problematiche di singoli o gruppi all’interno della scuola, ma un filone di riflessione e di intervento specifici delle dinamiche dell’apprendimento. Possiamo, quindi, affermare che la psicologia dell’educazione è quella scienza che, pur utilizzando conoscenze e metodi provenienti da ambiti di ricerca affini, trova il suo campo di applicazione nelle situazioni educative: ricercando e problematizzando metodi, mezzi e strategie si adopera per coniugare gli elementi base del rapporto educativo, il discente e il docente, lo sviluppo e l’apprendimento,
ovvero il grado di crescita individuale con gli obiettivi da raggiungere per facilitare la migliore progressione possibile. La scuola rappresenta, quindi, l’ambiente di applicazione per antonomasia, in quanto luogo deputato all’insegnamento-apprendimento, il cui compito primario è stato purtroppo per lungo tempo identificato con la trasmissione del patrimonio culturale alle nuove generazioni. La costruzione delle conoscenze del singolo, nel momento in cui si impadronisce delle costruzioni sociali di riferimento, con particolare attenzione alla programmazione, alla docimologia e alle interazioni verbali, sono solo alcune delle tematiche di fondo della psicopedagogia che cercheremo di esplicitare nei prossimi capitoli.
2. La scuola come comunità 2.1 La scuola tra vision e mission
Ogni sistema scolastico, a partire dalla cultura di riferimento, individua i contenuti e le modalità organizzative per formare le nuove generazioni. La scolarizzazione è, infatti, lo strumento principale della società per la trasmissione culturale. L’educazione rappresenta da sempre una componente fondamentale dello sviluppo di un popolo, anche quando si dimostrano deficitarie le risorse necessarie per una educazione di massa. E pur essendo diverse le culture, i sistemi scolastici tendono ad assomigliarsi, almeno nell’aspetto organizzativo-logistico. Poiché esiste una diretta correlazione tra struttura organizzativa e funzionamento del sistema scolastico, esaminiamo brevemente le caratteristiche della scuola italiana. Tutte le scuole dipendono dal Ministero dell’Istruzione, pur avendo autonomia sul piano didattico e amministrativo, autonomia espressa nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) che include al suo interno scelte curricolari, organizzative e scelte inerenti la gestione del personale. Ovviamente a partire dai decreti delegati del 1974 le scuole hanno attuato un sistema di gestione collegiale, al quale partecipano tutte le componenti coinvolte (docenti, genitori, studenti, personale). Inoltre orientamenti, indicazioni e linee guida orientano le attività dei docenti. Ricordiamo che ogni istituzione scolastica è parte integrante della comunità di riferimento, del tessuto sociale e delle reti di informazione che la circondano. Anche la struttura scolastica intesa in senso architettonico influenza i modelli decisionali e quindi l’attività didattica che si svolge al suo interno. Ai docenti è richiesto di definire i contenuti dl curricolo (in linea con le indicazioni ministeriali e con il dettato costituzionale), metodi e strategie di valutazione, sempre tenendo ben presente l’uguaglianza delle opportunità educative e concretizzando il curricolo nazionale in attività didattiche specifiche per un determinato gruppo-classe. Dal lavoro sinergico di tutte le componenti al suo interno deriva la qualità della scuola stessa. Le ricerche sulla qualità della scuola hanno messo in luce, verso gli ultimi decenni del secolo scorso, cinque elementi fondamentali e determinanti dell’azione educativa: una forte leadership, alte aspettative dei docenti, l’importanza attribuita al possesso delle abilità di base, un clima sicuro, un uso costante delle attività di valutazione. In tempi più recenti si preferisce parlare di vision e di mission delle istituzioni, intendendo la prima come una sorta di prospettiva filosofica da tradurre poi in azioni concrete (la mission ). Il Ministero dell’Istruzione definisce la vision come tensione verso un obiettivo che si pone come meta ideale, fortemente voluta nell’organizzazione, nella strategia e nell’azione aziendale e la mission come scopo istituzionale dell’impresa, ovvero il complesso delle finalità e dei valori che la identificano nello scenario economico-sociale e che costituiscono il presupposto di ogni sua strategia e azione. È importante sottolineare come ogni singola scuola abbia una propria cultura identificata da simboli, storia e prodotti che influenza e determina in maniera dinamica la sua stessa esistenza. Tale cultura deriva da molteplici fattori, dalle scelte educative effettuate nel corso del tempo e da quelle attuali, dal contesto di riferimento, dal clima e dal grado di coesione presenti. 2.2 Il tessuto territoriale
Ogni istituzione scolastica è parte integrante della comunità di riferimento. Le scuole non sono monadi isolate, ma risentono di tutti gli elementi, materiali o immateriali, che le circondano: sono matrici culturali, icone e rappresentazioni della storia sociale nella quale sono inserite. La scuola deve essere uno spazio aperto e condiviso, all’interno del quale si intrecciano storie, esperienze e linguaggi, centro propulsore di cultura, luogo di crescita e «contaminazione», palestra per lo sviluppo della cittadinanza attiva. L’area territoriale è configurabile come un tessuto, un sistema di risorse, richieste, vincoli e opportunità che l’istituzione scolastica deve gestire e trasformare in rete formativa, mediante la mappatura dei servizi esistenti, la conoscenza delle radici storiche e architettoniche per la realizzazione sinergica di patti formativi. Per esemplificare è sufficiente pensare alla co-progettazione dei PCTO, Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, per l’attuazione dei quali la scuola si apre ad altre realtà e spazi fisici: il territorio diventa luogo di apprendimento guidato e veicolato dalla scuola stessa, con stage e tirocini che si rivelano «ponti» di collegamento tra l’identità della scuola, le inclinazioni degli studenti e il mondo del lavoro. In definitiva l’istituzione scolastica deve sviluppare progettazioni educative partecipate per configurarsi, col supporto di tutte le agenzie educative, centro propulsore di cultura. 2.3 Il clima della classe
Da sempre la scuola è stata identificata come il luogo deputato all’apprendimento delle abilità di base (leggere, scrivere e far di conto) o, come esplicitato in termini più moderni, di conoscenze, abilità e competenze. I «saperi» individuati a livello ministeriale devono essere tradotti in attività didattiche consone alle caratteristiche della classe di riferimento: la didattica si configura, quindi, come la trasformazione dei contenuti del sapere in contenuti dell’insegnamento. Il sapere diviene la base di una sorta di contratto di insegnamento-apprendimento tra discente e docente, rimodulato in sapere, saper fare, saper essere. Il team docente, con le sue dinamiche relazionali, determina il clima presente in una classe e ogni classe è una situazione sociale diversa con uno spazio comune e regole definite. Sul clima della classe agiscono molteplici fattori, impliciti ed espliciti: le aspettative dell’insegnante, il modello ideale di
alunno, il ruolo professionale, la motivazione, le richieste delle famiglie. Al suo interno vi sono interazioni simmetriche (alunnoalunno), asimmetriche (discente-docente) e interazioni faccia a faccia in un contesto comune. La frequenza della scuola prevede l’incontro con un tipo di linguaggio, il linguaggio scolastico, molto diverso da quello familiare o delle conversazioni quotidiane, che richiede una speciale attenzione da parte dell’alunno. In un simile contesto sociale, sempre citando L.S. Vygotskji, le funzioni psichiche superiori si configurano prima a livello interpersonale e poi a livello individuale. I compagni svolgono, infatti, una funzione di regolazione che condurrà in seguito all’autoregolazione. Qualunque sia il grado di istruzione al quale ci si riferisce, risultano sempre molto disomogenei i livelli di partenza degli studenti, ovvero le abilità già possedute nei vari ambiti. La provenienza da scuole primarie diverse, con metodi differenti, l’impatto con nuove figure e discipline rendono particolarmente delicati gli anni iniziali della Scuola secondaria, sia di primo che secondo grado. Altra configurazione che si materializza all’ingresso nella nuova scuola è il sistema di regole che la caratterizza, regole che devono essere continuamente definite in quanto il gruppo evolve in maniera dinamica. Il passaggio tra ordini diversi di scuola prevede in molti casi una nuova ridefinizione del sé individuale in rapporto al clima relazionale e gestionale presente all’interno dell’aula. Ciò è particolarmente rilevante soprattutto nella Scuola secondaria di secondo grado, in quanto si scindono sovente i legami di vicinanza territoriale, i gruppi e gli «abiti» comportamentali assunti precedentemente. Duplice quindi, il compito del docente che deve verificare i livelli di partenza in quanto la trasposizione didattica finalizzata a un apprendimento efficace prevede l’esplicitazione di argomenti e contenuti adeguati ai livelli degli alunni. Inoltre deve predisporre gli strumenti e le strategie didattiche da attuare secondo criteri di efficacia e responsabilità. D’altra parte deve facilitare la creazione di un clima di classe, basato sulla relazione e sulla comunicazione, in quanto agente che ne fa parte, clima che caratterizzerà e influenzerà, negativamente o positivamente, l’apprendimento. Ne deriva, quindi, che la classe è una comunità sociale in continua evoluzione, entro una specifica cornice culturale di riferimento, all’interno della quale, oltre alle disposizioni legislative, vige un contratto educativo influenzato da pressioni esterne, ma soprattutto da una molteplicità di fattori impliciti ed espliciti, consci e inconsci, ove ogni elemento definisce se stesso in relazione con gli altri.
3. La dimensione emotiva delle situazioni educative 3.1 Le dinamiche emotive
Sviluppo affettivo e sviluppo intellettuale procedono di pari passo. All’interno di ogni gruppo-classe si sviluppano relazioni e interazioni socio-affettive e la dimensione emotiva permea e configura la vita scolastica, influenzando la costruzione della conoscenza. La vita all’interno della classe risulta essere un altalenarsi continuo tra elementi prettamente egocentrici e comportamenti prosociali. Gli aspetti emotivi caratterizzano tutte le situazioni di apprendimento, ma purtroppo, nel qui e ora, non vi è quasi mai tempo per analizzarle e comprenderle. Classi numerose, attività programmate, situazioni di crisi e/o conflitto imminenti, specchio del vissuto personale dell’allievo e delle ansie nei confronti della scuola, tendono a condurre i docenti verso una soluzione veloce e «indolore». L’ansia scolastica e le preoccupazioni inerenti l’identità personale sono elementi da tenere in grande considerazione, soprattutto in tutti gli anni di passaggio da un grado di istruzione all’altro: la paura dell’ignoto e del distacco dalle esperienze pregresse, lo stress determinato dalle richieste scolastiche sono causa di ansia e frustrazione. Per evitare che le situazioni stressanti deteriorino o ostacolino il vissuto scolastico è necessario che i docenti rassicurino ma al tempo stesso spronino verso l’autonomia: esplorare la scuola, chiarire le regole, creare percorsi focalizzati sulla continuità tra i diversi gradi di istruzione sono alcune delle strategie da attuare per ridurre i livelli di ansia. Ma l’ansia da prestazione, supportata dalle richieste pressanti dell’ambiente esterno, viene a sua volta alimentata dall’ansia del docente, dalla paura di non efficacia, dai conflitti tra i colleghi, dalle richieste degli alunni. Sul piano affettivo la classe è, inoltre, l’insieme dei sentimenti di ogni alunno che influenza le relazioni tra docenti e discenti, soprattutto attraverso le sfide quotidiane. Tali sentimenti sono spesso resi espliciti dagli alunni che hanno assunto il ruolo di leader. Ogni leader accentra su di sé ed esprime i sentimenti costruttivi e distruttivi del gruppo o del sottogruppo, facendosene talvolta portavoce nei confronti del docente. Invece se i sentimenti del singolo alunno non corrispondono alla maggior parte del gruppo, rimangono per lo più ignorati. Il docente ha il compito di favorire l’espressione dei sentimenti positivi e di controllare quelli ostili, pur permettendo la loro espressione. Ogni alunno cerca di costruire a fatica la sua posizione all’interno del gruppo, mentre tenta di interpretare le reazioni dell’insegnante e dei compagni ai suoi comportamenti, per poterli a sua volta modellare. Come affermato da G. Pietropolli Charmet [179] , gli adolescenti mostrano due aspetti, fragilità e spavalderia, sono «eremiti metropolitani» [180] , spesso in situazione di sofferenza e disagio durante gli anni della Scuola secondaria, altalenanti tra bisogno di visibilità sociale e narcisismo, tra mancanza di autostima e vergogna. Proprio per i motivi sopra esposti la presenza dello psicopedagogista che affianchi i docenti e gli alunni nel contenimento dell’ansia, nell’espressione dei sentimenti ostili, nell’accettazione dei cambiamenti può migliorare considerevolmente le situazioni educative, ricreando o aiutando a ristabilire un ambiente favorevole senza il quale non può avvenire l’apprendimento. Tale figura è però spesso erroneamente vista come un intralcio, un’ingerenza scomoda, un limite all’autonomia dell’insegnante o, ancor peggio, come un segnale di inadeguatezza. È importante ricordare, invece, che tra gli obiettivi di apprendimento possiamo includere a tutti gli effetti quelli relativi alla sfera socio-emotiva. Su tali obiettivi, difficilmente misurabili se non in termini di ben-essere, influiscono in particolar modo l’atmosfera presente all’interno della classe e dell’istituzione scolastica, le attività comunitarie, le forme di comunicazione. È importante che i docenti chiariscano e condividano con i colleghi questi obiettivi e le modalità per perseguirli, mediante idonee strategie, affinché l’alunno costruisca la propria visione del mondo, organizzi un personale sistema di valori da condividere con il resto della comunità.
Tale sviluppo affettivo del discente procede nel corso degli anni in una direzione da un lato di sempre maggiore attività e dell’altra di più profonda interiorizzazione. La misurazione degli obiettivi educativi in tale ambito richiede ai docenti una particolare sensibilità, ma anche l’uso di specifici strumenti di misurazione, quali interviste o questionari in itinere, in modo da permettere un continuo adeguamento della programmazione. La situazione «scuola», attraverso la vita comunitaria e il rapporto con i docenti, permette allo studente di liberarsi progressivamente dalla fase dell’egocentrismo, interiorizzando le aspettative degli altri e procedendo verso forme più democratiche di partecipazione e cooperazione, in maniera sempre più autonoma e responsabile, sia nel rapporto duale con la figura adulta, sia nel rapporto tra pari: per dirla in termini piagetiani si attua il passaggio progressivo da una morale eteronoma a una morale autonoma. 3.2 Il ruolo della motivazione ad apprendere
Emozioni e motivazioni sono strettamente connesse e la motivazione ad apprendere è uno degli elementi basilari della psicologia dell’educazione. Le motivazioni sono definite estrinseche quando la spinta a compiere una determinata azione deriva da elementi esterni al soggetto (le pressioni dei genitori, le aspettative del docente), intrinseche quando è determinata da fattori propri dell’individuo. L’alunno motivato riesce a prefigurarsi un obiettivo, il cui raggiungimento avrà ripercussioni sul piano emotivo e cognitivo. Come afferma Berlyne, [181] gli stimoli esterni attivano la curiosità del soggetto sia a livello percettivo che epistemico. La curiosità percettiva è stimolata dalla incompletezza delle informazioni che ci spinge a cercare di capire e superare l’incertezza. La curiosità epistemica, d’altro canto, indaga a fondo per colmare le informazioni mancanti su un argomento conosciuto. Ai docenti è affidato il compito di suscitare la motivazione degli alunni, sia incoraggiando e rinforzando il lavoro svolto, sia programmando attività didattiche che sollecitino l’impegno degli allievi, mediante compiti adeguati ai livelli di sviluppo, che non determinino insuccesso. Questo è il significato dell’espressione che vede il docente come un facilitatore dell’apprendimento, in quanto propone attività individualizzate e calibrate sui livelli degli allievi, che determinino curiosità e motivazione. Qualunque sia il metodo di valutazione scelto, l’alunno riceve sempre un feedback da parte del docente e del gruppo classe sul suo comportamento o sul compito svolto, feedback che può inficiare il livello motivazionale. L’informazione inerente risultati e comportamenti, ovvero la valutazione, è parte integrante del compito stesso, qualunque esso sia. L’esplicitazione del feedback non può quindi essere ovviata, ma deve essere chiara e repentina, in modo che il soggetto comprenda gli effetti della sua prestazione. La valutazione, come vedremo nel paragrafo successivo, deve fornire il maggior numero di informazioni, affinché l’errore non venga reiterato. Compito del docente è dunque quello di esplicitare gli obiettivi, programmarli secondo i livelli di sviluppo, fornire valutazioni informative chiare e subitanee in modo da determinare un buon livello di motivazione all’interno della classe, sì che gli studenti possano gradualmente passare da motivazioni di tipo estrinseco a quelle intrinseche e siano motivati ad apprendere.
4. La diversità cognitiva 4.1 Stili cognitivi e intelligenze
Una delle sfide maggiori che il docente deve affrontare è quella delle diversità cognitive all’interno della classe, diversità nei livelli di partenza determinati dal background culturale, dalla situazione socio-economica, dalle disposizioni individuali, dalle connotazioni emotive, dagli stili di apprendimento e dagli apprendimenti precedenti. Lo studente della Scuola secondaria ha già effettuato un percorso, ovvero una serie di apprendimenti significativi che hanno prodotto una modificazione delle strutture conoscitive, che a sua volta influenzerà i futuri apprendimenti attraverso il transfer. Ogni alunno, a partire dalle proprie disposizioni, ha sviluppato e/o svilupperà un personale stile cognitivo, ovvero uno specifico modo di elaborare le informazioni per tradurle in apprendimento. L’insegnante deve, quindi, interpretare lo stile cognitivo dei diversi alunni, valorizzando la diversità come possibilità e risorsa per la crescita del gruppo. Come afferma H. Gardner, [182] non è più possibile parlare di un solo tipo di intelligenza, ma di intelligenze multiple: ogni essere umano è caratterizzato da un diverso profilo di intelligenza tra i nove indicati dall’Autore. Ogni individuo affronta le situazioni problematiche in maniera differenziata a seconda della costituzione biologica, della cultura, dell’ambiente di provenienza ma soprattutto a seconda del tipo di intelligenza posseduto. L’approccio gardneriano, sfidando il concetto di unicità dell’intelligenza misurabile, implica necessariamente la valutazione da parte del docente dei diversi tipi di intelligenza posseduti dagli allievi, che a loro volta determinano strategie e tattiche di prestazione differenti. Ciò si traduce a livello psicopedagogico nel proporre attività differenziate, percorsi e metodologie di insegnamento specifici e modalità di valutazione diversificate in modo da adattare la didattica alle caratteristiche individuali, valorizzando i punti di forza e rafforzando quelli di debolezza. Nel testo di più recente datazione, Cinque chiavi per il futuro [183] , Gardner identifica cinque nuove intelligenze da sviluppare in vista della complessità e inafferrabilità del mondo globalizzato: l’intelligenza disciplinare intesa come padronanza in uno specifico ambito di intervento; l’intelligenza sintetica , per non perdersi nel mare di informazioni nel quale siamo avvolti; l’intelligenza creativa come spinta all’innovazione; quella rispettosa delle varie diversità intese come forma di arricchimento e infine quella etica come sviluppo in vista di un bene comune. In ultima analisi potremmo configurare queste cinque chiavi per il futuro, e in particolare le ultime due, come gli obiettivi socio-emotivi di convivenza, cittadinanza attiva e sviluppo dell’identità personale dei quali abbiamo trattato nel paragrafo precedente. 4.2 Comunicazione e scolarizzazione
La scolarizzazione segna un passo decisivo nella configurazione della personale storia dell’allievo sul piano cognitivo. Attraverso
specifiche richieste cognitive orientate allo sviluppo di determinate funzioni logiche, lo studente deve essere in grado di «decontestualizzare» gli elementi trattati e di avviarsi gradualmente verso forme di astrazione e metacognizione. Allo stesso tempo si impadronisce sempre di più del proprio contesto culturale, formandosi una precipua rappresentazione della realtà, che esprime e condivide soprattutto tramite la comunicazione. Come ribadisce N. Chomsky, [184] il linguaggio è strumento del pensiero e il suo fine è la comunicazione. Nel passaggio dal primo al secondo grado della Scuola secondaria la capacità linguistica aumenta notevolmente, sia sotto l’aspetto lessicale e strutturale, sia dal punto di vista dell’efficacia comunicativa in termini sociali, soprattutto all’interno del gruppo dei pari. Diminuisce, però, nella maggioranza dei casi, la volontà di usare tale canale per esplicitare all’ambiente circostante la propria identità: risulta minore, in sintesi, la volontà di condividere attraverso il linguaggio il vissuto personale, soprattutto come forma di contrapposizione al mondo degli adulti. Ma la lingua è atto di identità e di identificazione nella ricerca e nella costruzione attiva e creativa di significati. È anche il veicolo principale dell’apprendimento, basti pensare all’attività decisionale e di elaborazione dell’informazione implicita nella produzione di testi scritti. La composizione di testi prevede, infatti, tutta una serie di attività quali programmare, pianificare, revisionare ma soprattutto anticipare la lettura che ne farà l’altro, proiettare il significato implicito nella traduzione che elaborerà un altro soggetto, un interlocutore astratto: ne deriva la necessità di uscire dal proprio punto di vista egocentrico in un’ottica di condivisione dei significati, analogamente a ciò che succede nelle interazioni tra pari in situazioni di problem solving . Nella Scuola secondaria l’espressione del proprio punto di vista in un’ottica di collaborazione diviene il canale privilegiato per lo sviluppo di nuove capacità psichiche. È per questo che è necessario favorire all’interno delle aule una comunicazione ecologica, efficace e creativa tra tutte le componenti del processo educativo mediante attività di brainstorming , cooperative learning e peer education , frequentemente proposte e favorite all’interno della programmazione delle situazioni educative.
5. Gli ambienti di apprendimento 5.1 Progettare situazioni educative
L’attività di insegnamento deve avvalersi di un’attenta opera di programmazione che preveda alcuni elementi fondamentali: da un lato la conoscenza della situazione di partenza dell’alunno, dall’altro la pianificazione degli obiettivi, calibrati a partire dalle realtà presentate dagli allievi, la scelta delle più opportune strategie metodologico-didattiche e degli strumenti e infine la valutazione. Per quanto riguarda la terminologia possiamo affermare che si è passati negli ultimi anni dall’uso del termine «programmazione« a quello di «curricolo», cercando di spostare il focus dell’attenzione sul processo di apprendimento, ovvero su un percorso flessibile i cui termini iniziali sono gli studenti con i loro bisogni e potenzialità, e i termini finali sono sempre gli alunni con le competenze acquisite. Il termine «curricolo», quindi, riassume al suo interno tutte le fasi del percorso. Per una maggiore chiarezza espositiva si è preferito scindere i due momenti (programmazione e valutazione) in due distinti paragrafi, pur sottolineando l’ineludibilità del rapporto di interconnessione tra i due processi. Purtroppo siamo abituati a vedere programmazioni preconfezionate su libri di testo, su riviste o fornite di default dagli archivi della scuola, che si accumulano in veste cartacea o digitale negli spazi scolastici. La programmazione, invece, entro la cornice di riferimento normativa, deve essere lo strumento costruito ad hoc per il gruppo classe, dopo un’attenta lettura e «diagnosi» della situazione esistente in termini di capacità, esperienze e relazioni, rilette e interpretate a partire dall’ambiente circostante. La definizione di un curricolo equivale alla progettazione di ambienti di apprendimento: si tratta di un work in progress , di un continuum progettuale flessibile e orientato, che si snoda attraverso ambiti e discipline, verso il raggiungimento delle competenze, al cui interno sono previsti strumenti di conoscenza e occasioni di esperienza. In termini psicopedagogici, al di là delle terminologie più o meno in voga, si è preferito parlare di progettazione di situazioni educative. Il team docente deve scegliere gli obiettivi di apprendimento relativi alle competenze possedute e da raggiungere da parte degli alunni: dalla scelta degli obiettivi deriva poi la scelta dei contenuti da proporre. Sul piano epistemologico, inoltre, ogni disciplina presuppone un linguaggio specifico e un’organizzazione mentale: all’interno di questa cornice di riferimento il docente, individua, in base ai livelli di partenza presenti, alcuni obiettivi a lungo termine, a loro volta suddivisi in obiettivi intermedi, la cui acquisizione sarà costantemente valutata per poter ricalibrare, con opportune strategie, l’attività didattica e a sua volta il macro obiettivo iniziale. Se gli obiettivi sono espressi in termini di capacità da acquisire, molta rilevanza nella costruzione del curricolo assumono la selezione e la progressione dei contenuti. Impliciti nella definizione degli obiettivi, a loro volta declinati secondo una progressione intermedia, sono anche i livelli di prestazione minimi e finali richiesti. Nella costruzione del curricolo entrano in gioco, quindi, molteplici elementi: il soggetto che costruisce l’apprendimento e la sua identità, il docente che predispone le modalità di insegnamento, l’ambiente circostante e l’organizzazione concettuale della disciplina. Inoltre le attività di programmazione hanno sempre una intrinseca dicotomia: valgono per il singolo alunno e per la classe nella sua interezza. In sintesi la programmazione di situazioni educative, svincolata da logiche abitudinarie, deve essere focalizzata su traguardi di apprendimento chiari e definiti. Gli obiettivi non rappresentano solo mete cognitive, ma devono riguardare lo sviluppo globale del soggetto, nelle diverse sfere di espressione, privilegiando un atteggiamento produttivo, sensibile agli aspetti socio-emotivi, che favorisca l’acquisizione di quelle competenze psichiche superiori (problem solving , indagine, creatività) trasferibili in tutti gli ambiti. Inoltre la programmazione all’interno del team docente deve svilupparsi nel senso dell’interdisciplinarietà e della trasversalità, in un’ottica di continuità con le esperienze precedenti e i livelli di prestazione richiesti in quelli successivi. 5.2 Didattica laboratoriale e peer education
La progettazione di situazioni educative deve svilupparsi considerando la centralità dell’alunno, verificarne costantemente i traguardi in
un’ottica di inclusione e favorire la formazione di un atteggiamento positivo nei confronti della scuola: ciò può avvenire privilegiando la didattica laboratoriale e la peer education . In particolare la metodologia dei laboratori e la cooperazione tra pari si rivelano strumenti indispensabili per la realizzazione di contesti educativi efficaci: il laboratorio non deve essere considerato un luogo fisico delimitato, ma un atteggiamento mentale che si traduce in modalità di ricerca, uno spazio mentale di collaborazione che permette l’acquisizione di competenze trasversali e life skills (pensiero critico e creativo, comunicazione efficace e gestione del conflitto, empatia, efficacia personale e collettiva). Il termine «laboratorio» non identifica un’aula dedicata, ma tutte le situazioni didattiche fondate sull’apprendimento attivo, un contesto metodologico non improntato sull’ascolto passivo, ma sulla operatività. La valenza della didattica laboratoriale si fonda innanzitutto sulla modificazione della modalità ricettiva in virtù di quella produttiva, favorendo la formazione di competenze di progettualità trasferibili in altri ambiti e lo sviluppo di uno stile cognitivo, che col tempo diventeranno propri dell’alunno. La didattica laboratoriale è una strategia didattica, e al tempo stesso un obiettivo a lungo termine che favorisce lo sviluppo integrale del soggetto che apprende a partire dalla sua unicità. Mediante l’operatività in condivisione si personalizza l’apprendimento socializzandolo. Ogni progetto prevede la realizzazione di un prodotto, una prestazione collettiva nella quale tutti i partecipanti si riflettono. Il laboratorio è il momento di costruzione della conoscenza: esperienza, linguaggio, azione e metacognizione si integrano in un prodotto individuale e sociale al tempo stesso, come già indicato da Vygotskij [185] con il concetto di zona di sviluppo prossimale e confermato dalle recenti scoperte nel campo delle neuroscienze sui neuroni specchio (mirror neurons ). L’esperienza, in senso deweyano, ovvero la sintesi tra aspetti teorici e pratici, si dimostra ora più che mai un validissimo strumento per sviluppare la motivazione, per problematizzare e socializzare la conoscenza, una conoscenza costruita in modo collaborativo e contestualizzata. Il protagonismo degli alunni nella costruzione del sapere rende il docente un cooper-attore che predispone, organizza e supporta rendendo possibile l’integrazione di differenti livelli di interconnessione. Con la metodologia della ricerca si costruiscono abilità e competenze, facendo leva sulla relazione educativa. Il processo di insegnamento, non più impostato solo ed esclusivamente sul «passaggio» di informazioni e sulla lezione frontale, deve essere costellato da momenti di crescita educativa attiva: l’uso della didattica laboratoriale permette di uscire dalla impostazione trasmissiva tradizionale per considerare l’individuo nella sua interezza, sia come singolo sia come parte di un gruppo. Soffermandoci sulla peer education , oltre alle indicazioni precedenti, possiamo affermare che tale metodologia agevola e favorisce le potenzialità di apprendimento del singolo in quanto parte di un piccolo gruppo, promuovendo una costruttiva interdipendenza tra i membri. La relazione tra coetanei, veicolata da una comunicazione face to face , meno problematica di quella asimmetrica docente-studente, libera il contesto di apprendimento dalle connotazioni ansiogene. L’educazione tra pari aumenta il senso di autoefficacia e l’autoconsapevolezza del singolo e facilita l’inclusione dei soggetti con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento; aumenta la capacità di gestire le emozioni, potenziando l’empatia e l’intelligenza interpersonale [186] . Permettendo lo sviluppo delle capacità comunicative, nel riconoscersi nell’altro attraverso il dialogo, amplifica le competenze psicosociali. L’importanza dell’educazione tra pari è sottolineata da molteplici interventi a carattere nazionale ed europeo, ed è sempre più utilizzata sia in ambito scolastico che in campo medico come strumento di prevenzione del drop out e di tutte le manifestazioni di disagio adolescenziale. L’utilizzo di tale strategia prevede la formazione dei peer educator , elementi attivi della comunità, parte integrante nella progettazione delle attività che svilupperanno le medesime capacità nei destinatari. Sicuramente tutte queste considerazioni implicano un cambiamento nel consueto modus operandi dei docenti e dei Consigli di classe: per adottare tali metodologie (ricerca-azione, laboratori, didattica per scenari, peer education e tutoring ) è necessario che i consigli di classe elaborino un curricolo flessibile, individuino le competenze da sviluppare sulle quali costruire progetti interdisciplinari, passando da una didattica per discipline a una didattica per competenze. Se gli insegnanti adottano tali strategie metodologiche, la scuola si propone come comunità di apprendimento al cui interno gli alunni partecipano attivamente al percorso di crescita e sviluppo, non solo sul piano cognitivo: l’istituzione scolastica, valorizzando le diverse abilità e competenze e sperimentando situazioni di cooperazione, in un sistema di relazioni e di condivisione dei significati, diventa realmente preparatoria per l’ingresso dello studente nel mondo sociale e lavorativo.
6. La valutazione: modelli ideali, autovalutazione e profili evolutivi Come abbiamo accennato nei capitoli precedenti, la valutazione, spesso considerata come una mera trascrizione di voti, è in realtà un processo complesso che riguarda molteplici ambiti, per esempio la valutazione del lavoro svolto, sia da parte del team docente che del discente, ma soprattutto del processo che ha condotto alla conquista dell’obiettivo. Oltre ai simboli numerici e ai giudizi materialmente assegnati, non si può negare l’esistenza in ogni gruppo-classe di un «prototipo» di bravura astratto, un ideale di alunno nel quale rispecchiarsi, cercare di avvicinarsi tramite l’esecuzione di tutta una serie di compiti prettamente scolastici. È come se l’allievo si sforzasse costantemente di immedesimarsi, ogni volta che si appresta a portare a termine un compito, in quel modello o almeno di assomigliarci, se pur per un breve istante. Sicuramente un simile parametro di valutazione aleggia in ogni classe ed è assunto dal discente, tramite la lettura del linguaggio verbale e non verbale dei docenti, come sistema di autovalutazione, personale oltre che pubblico. L’autovalutazione da parte degli studenti è spesso difficoltosa e la presenza di valutazioni chiare ed esplicative permette, o almeno dovrebbe, di verificare e/o modificare il proprio percorso. D’altro canto la valutazione riguarda anche il docente che, mediante i livelli di maturazione degli studenti, valuta il proprio operato, sia a livello individuale come «efficacia professionale», sia a livello pubblico in quanto offerta formativa dell’istituzione scolastica. Nella valutazione degli alunni i livelli di operatività sono numerosi: l’impegno, le capacità individuali, il livello di progressione, in definitiva il raggiungimento degli obiettivi prefissati. La valutazione
viene distinta in sommativa (ovvero conclusiva del lavoro svolto) o formativa (strumento di indagine per supportare l’alunno nel raggiungimento degli obiettivi), ma non sempre è possibile distinguere nettamente tra le due forme. Altri autori distinguono tra valutazione normativa e valutazione criteriale . In sintesi la valutazione normativa, nella pratica quotidiana, tende a fondarsi sempre su un parametro di riferimento: la classe. I risultati sono sempre letti avendo come termine di paragone la media dei risultati di tutti gli alunni. Il secondo tipo, la valutazione criteriale, indaga, invece, la sussistenza di uno specifico livello di prestazione presente nell’alunno. Fatto sta che ogni docente, nel momento in cui attribuisce un voto, ha di fronte a sé una storia, un vissuto personale, un background familiare, un profilo evolutivo di uno specifico soggetto dal quale non può e non deve svincolarsi. Ora se il criterio è l’acquisizione o meno di una competenza, se la norma della classe sembra averla raggiunta, sicuramente la valutazione del singolo alunno non può esimersi dal considerare tutte queste altre variabili che la rendono individualizzata, pur sempre in un quadro di riferimento più ampio, delimitato dalle indicazioni ministeriali, dalla programmazione, dalle consuetudini di vita scolastica, dai livelli degli altri alunni. Inoltre ciò che deve essere valutato è la trasposizione sul piano comportamentale dell’apprendimento. La valutazione risulta, quindi, una leva costante di autoregolazione del sistema insegnamento-apprendimento. È al tempo stesso un fondamentale strumento di diagnosi delle difficoltà degli alunni per intervenire in maniera tempestiva ed efficace. È quindi evidente quanti piani di lettura siano compresi in un voto tra l’immagine che l’alunno ha di sé e quella che l’insegnante ha di lui. Senza soffermarci sull’effetto alone, o pigmalione, non si può non considerare il «pregiudizio» basato sulle precedenti prestazioni dell’alunno e sul suo vissuto quotidiano all’interno della scuola. Anche la verifica dell’errore, che dovrebbe avere una valenza formativa, tende a stereotipizzarsi e ad assumere significati diversi a seconda del livello di bravura degli alunni: lo stesso errore può diventare una distrazione o una reiterazione inaccettabile a seconda dell’autore che lo ha compiuto. Sicuramente tutte le valutazioni rientrano e fortificano il «contratto» stipulato all’interno della classe, accennato nei paragrafi precedenti. Infatti ogni verifica diviene la transizione, effettuata in maniera più obiettiva possibile, dalle impressioni alle valutazioni. In ultima analisi appare ovvia l’ineludibilità ma anche la complessità di tale attività che si configura come valutazione da parte di un soggetto, con tutte le sue caratteristiche, di un processo mediante un metodo di un altro individuo, con tutte le sue specificità, in una relazione asimmetrica delimitata da un negoziato pubblico e al tempo stesso privato, definito da norme, programmazioni e aspettative socio-culturali.
7. Conclusioni Nel corso di questi brevi paragrafi si è tentato di specificare le caratteristiche di una scienza, la psicologia dell’educazione, che studia le situazioni di apprendimento lungo tutto il corso della vita, mutuando da altre discipline teorie, strumenti e mezzi, per problematizzare, comprendere, sperimentare e innovare le esperienze educative. Abbiamo concentrato l’attenzione sulle dinamiche del percorso formativo, sulle caratteristiche dei suoi protagonisti, docenti e discenti e sulle loro interazioni all’interno del contesto scolastico. Ci siamo soffermati solo su alcuni aspetti della vita della classe, sottolineando l’importanza degli elementi emotivi, sociali e cognitivi che caratterizzano, in un flusso dinamico e mutevole, ogni attività finalizzata all’acquisizione di competenze. In funzione della finalità del presente manuale una specifica analisi è stata dedicata all’importanza della programmazione, della valutazione e della progettazione di strategie e metodologie educative, prettamente correlate al ruolo dell’insegnante che coordina, in un’ottica di collegialità, il processo di insegnamento-apprendimento.
Bibliografia Berlyne Daniel E., Conflitto, attivazione e creatività , Franco Angeli, Milano 1971. Chomsky N., Tre lezioni sull’uomo , Salani, Milano 2017. Gardner H., Cinque chiavi per il futuro , Feltrinelli, Milano 2007. Id., Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza , Feltrinelli, Milano 1987. Piaget J., Inhelder B., La psicologia del bambino , Einaudi, Torino 1970. Pietropolli Charmet G., Fragile e spavaldo, ritratto dell’adolescente di oggi , Laterza, Bari 2008. Id., L’insostenibile bisogno di ammirazione , Laterza, Bari 2019. Thorndike E.L., Educational Psychology , Columbia University, Press, New York 1913. Vygotskij L.S., Pensiero e linguaggio , Giunti, Firenze 2007.
[176] E.L.
Thorndike, Educational Psychology , Columbia University, 1913
[177] L.S.
Vygotskij, Pensiero e linguaggio , Giunti, Firenze 2007.
[178] J.
Piaget, B. Inhelder, La psicologia del bambino , Einaudi, Torino 1970.
[179] G.
Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo, ritratto dell’adolescente di oggi , Laterza, Bari 2008.
[180] Id.,
L’insostenibile bisogno di ammirazione , Laterza, Bari 2019.
[181] Daniel [182] H.
Gardner, Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza , Feltrinelli, Milano 1987.
[183] Id., [184] N.
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[185] L.S. [186] H.
E.Berlyne, Conflitto, attivazione e creatività , Franco Angeli, Milano 1971.
Vygotskij, op. cit .
Gardner, op. cit .
Parte III La didattica: programmazione e progettazione educativo-didattica
1. La didattica per competenze a cura di Concetta Centamore
1. I nuovi saperi nella società della conoscenza Nella società contemporanea, che la Commisione europea ha definito Società della conoscenza [187] , la crescita è intimamente connessa alla capacità di gestire, elaborare, trasformare e diffondere conoscenze, promuovendo ricerca e innovazione. Vivere in una società complessa, globalizzata, multiculturale e liquida [188] richiede strategie inedite: infatti, per risolvere problemi nuovi – spesso radicalmente diversi dalle situazioni affrontate in precedenza – non basta più applicare in maniera ripetitiva le nozioni già acquisite. Occorre, piuttosto, saper apprendere in situazione , cioè costruire nuovi saperi facendo leva sui propri talenti; occorre saper mobilitare tutte le proprie conoscenze, sviluppate in ambiti spesso non coincidenti con il contesto scolastico, operando con creatività, responsabilità e autonomia. Occorre, soprattutto, imparare a imparare, in ogni circostanza e lungo tutto il corso della vita (lifelong learning ). Questo scenario spinge a una profonda revisione dei sistemi e dei modelli educativi: i nuovi bisogni di conoscenza non possono essere soddisfatti da una scuola che si limita a trasmettere nozioni, senza saper valorizzare i saperi maturati al di fuori dell’ambito scolastico. È forse per questo che la scuola, per decenni considerata un efficace strumento di mobilità sociale, è oggi ritenuta dall’opinione pubblica solo un «passaggio obbligato» che solo di rado riesce a incidere significativamente sulla collocazione sociale e lavorativa dei cittadini.
2. Il contesto di riferimento internazionale 2.1 La Strategia di Lisbona
Nel marzo dell’anno 2000, nel corso del Consiglio europeo tenutosi a Lisbona, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri concordarono di realizzare in Europa «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». La strategia complessiva che ne derivò, denominata appunto «Strategia di Lisbona», ha assegnato all’istruzione un ruolo chiave per lo sviluppo economico e sociale: è necessario favorire lo sviluppo di nuove competenze di base per tutti e promuovere l’apprendimento lungo l’intero corso della vita. 2.2 La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006
Nell’ambito della Strategia di Lisbona, la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 ha definito competenza chiave (life skill ) una particolare «combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto» che è necessaria per la cittadinanza attiva, l’apprendimento permanente e la piena partecipazione alla società della conoscenza. La Raccomandazione introduce otto competenze chiave: comunicazione nella madrelingua; comunicazione nelle lingue straniere; u competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; u competenza digitale; u imparare a imparare; u competenze sociali e civiche; u spirito di iniziativa e imprenditorialità; u consapevolezza ed espressione culturale. u u
2.3 La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008
La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 definisce un quadro comune europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (European Qualification Framework – EQF) che, mettendo in parallelo le certificazioni e i diversi titoli rilasciati negli Stati membri, consente alle autorità nazionali, ai datori di lavoro e ai cittadini di confrontare le qualifiche europee e, dunque, di agevolare la mobilità transnazionale. Nell’EQF ciò che conta non è il voto finale, il titolo, l’attestato, il certificato, ma piuttosto l’effettivo livello di apprendimento conseguito in termini di conoscenze, abilità e competenze. L’EQF è articolato in otto livelli di riferimento (dal livello 1, in Italia corrispondente alla licenza di Scuola secondaria di primo grado, al livello 8, corrispondente alla formazione post-laurea), specificati in termini di livelli di apprendimento che sono, a loro volta, articolati in termini di conoscenze, abilità e competenze. La Raccomandazione definisce:
i risultati dell’apprendimento come «ciò che un discente conosce, capisce ed è in grado di realizzare al termine di un processo d’apprendimento. I risultati sono definiti in termini di conoscenze, abilità e competenze»; u le conoscenze come il «risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative a un settore di lavoro o di studio. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche»; u le abilità come le «capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le abilità sono descritte come cognitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti)»; u le competenze come «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia». u
2.4 L’Agenda 2030 e la Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 maggio 2018
Nel mese di settembre 2015 l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle nazioni unite ha adottato il documento Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile , altrimenti noto come Agenda 2030. Si tratta di un complesso piano d’azione, sottoscritto dai 193 paesi membri dell’Onu, articolato in «17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile» e «169 Traguardi». L’Agenda 2030 assegna all’educazione e all’istruzione un ruolo strategico per il raggiungimento degli obiettivi e per la formazione di «nuove generazioni competenti e responsabili», in una prospettiva di apprendimento permanente e di educazione allo sviluppo sostenibile. In particolare, il quarto traguardo (Goal 4), più specificatamente rivolto alla scuola, si propone di «fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti». Nel contesto dell’Agenda 2030, lo scorso 22 maggio 2018 il Consiglio europeo ha emanato la Raccomandazione relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente e l’Allegato Quadro di riferimento europeo , che sostituiscono la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006. Nella Raccomandazione del 22 maggio 2018 il Consiglio europeo afferma che nell’economia della conoscenza, la memorizzazione di fatti e procedure è importante, ma non sufficiente per conseguire progressi e successi. Abilità quali la capacità di risoluzione di problemi, il pensiero critico, la capacità di cooperare, la creatività, il pensiero computazionale, l’autoregolamentazione sono più importanti che mai nella nostra società in rapida evoluzione. Sono gli strumenti che consentono di sfruttare in tempo reale ciò che si è appreso, al fine di sviluppare nuove idee, nuove teorie, nuovi prodotti e nuove conoscenze.
Vengono quindi definite le competenze come una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti, in cui: a. la conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento; b. per abilità si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi e applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati; c. gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni.
Le competenze chiave, «quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva», sono individuate nelle seguenti: 1. competenza alfabetica funzionale; 2. competenza multilinguistica; 3. competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4. competenza digitale; 5. competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; 6. competenza in materia di cittadinanza; 7. competenza imprenditoriale; 8. competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.
Le competenze chiave hanno uguale importanza e possono essere applicate in molti contesti differenti e in combinazioni diverse. Esse si sovrappongono e sono interconnesse [...] Elementi quali il pensiero critico, la risoluzione di problemi, il lavoro di squadra, le abilità comunicative e negoziali, le abilità analitiche, la creatività e le abilità interculturali sottendono a tutte le competenze chiave.
3. Un po’ di chiarezza 3.1 Conoscenza non è sinonimo di «contenuto»
Non tutti i contenuti diventano conoscenze, ovvero patrimonio assimilato in modo permanente dalla persona. Le conoscenze rimangono dopo l’interrogazione, dopo l’esame, dopo la fine del percorso scolastico. Non altrettanto avviene per i contenuti che, spesso, si riducono a semplici acquisizioni mnemoniche (nozioni) prive di significatività in termini di reale apprendimento e rapidamente
dimenticate. 3.2 Le abilità si manifestano attraverso le procedure
Il concetto di «abilità»̀, secondo la Raccomandazione del 22 maggio 2018, sul fronte sia cognitivo sia pratico-organizzativo rimanda all’esecuzione di procedure, di tipo teorico e/o pratico. L’abilità, in altri termini, è la profonda padronanza di una procedura, tale da permettere di affrontare imprevisti nella procedura stessa. Per esempio costruire un sillogismo, oppure eseguire un salto in alto, sono procedure che richiedono il possesso di abilità teoriche (nel primo caso) e teorico-pratiche (nel secondo). 3.3 Le capacità si ereditano, le abilità si acquisiscono
Spesso i termini «capacità» e «abilità» sono utilizzati come sinonimi, ma tali non sono. In effetti, le capacità sono tratti stabili e duraturi, determinati geneticamente (quindi ereditati) ed essenzialmente non modificati dalla pratica o dall’esperienza. Al contrario, le abilità si acquisiscono, sviluppano e modificano con la pratica e l’esperienza; a loro volta, dipendono da diversi sottogruppi di capacità. Per esempio il possesso del cosiddetto «orecchio assoluto», ovvero l’essere in grado di riconoscere l’altezza di una qualsiasi nota musicale senza avere alcun altro suono di riferimento, è una capacità innata, collegata a componenti fisiologiche dell’individuo; al contrario, saper suonare uno strumento musicale è un’abilità che si apprende nel tempo e che è legata al possesso di diverse capacità (tra le quali non vi è necessariamente il possesso dell’orecchio assoluto). 3.4 La competenza non è la semplice sommatoria di conoscenze e abilità
Secondo la Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 maggio 2018, la competenza è «una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti». La persona competente è capace di mobilitare tutte le proprie risorse (conoscenze, abilità, caratteristiche personali più profonde quali motivazioni, autostima, autoefficacia, resilienza, controllo delle emozioni, capacità di relazione e di empatia, capacità di riflettere sui propri percorsi logici e sul proprio operato…), agendo in autonomia e responsabilmente, a seconda del contesto. Il costrutto di competenza, dunque, è assolutamente multifattoriale. 3.5 La competenza non può prescindere dal contesto in cui si manifesta
Non è possibile disgiungere l’effettivo possesso di una competenza dal suo concreto manifestarsi in un contesto reale: si è competenti quando si è in grado di decidere, con autonomia e responsabilità, quali azioni compiere a seconda della situazione, attribuendo a tutto ciò che si fa un significato che sappia adattarsi e seguire ogni modificazione delle condizioni di sistema. La competenza è quindi «sapere agito». 3.6 La cultura risiede nel possesso di competenze, non di sole conoscenze
Recentemente sui principali quotidiani e su alcuni siti web sono apparsi numerosi interventi nei quali si sostiene, più o meno, che «la scuola delle competenze è la scuola degli ignoranti», oppure che lavorando per competenze «si trascurano le conoscenze». Di fronte a tali affermazioni è opportuno, o forse necessario, porre tre spunti di riflessione: 1. le conoscenze sono elemento integrante e sostanziale delle competenze; quindi una persona veramente competente possiede anche adeguate conoscenze; 2. possedere conoscenze senza saperle adeguatamente mobilitare nei diversi contesti di vita serve a ben poco; 3. la persona davvero competente è in grado, in qualsiasi situazione, di arricchire e ampliare le proprie conoscenze per agire con autonomia e responsabilità nel proprio contesto.
4. Classificazione delle competenze 4.1 Competenze di base
Sono le competenze non specifiche di un contesto lavorativo, ma rilevanti per la formazione generale della persona. Esse vanno sviluppate entro la conclusione dell’obbligo di istruzione. 4.2 Competenze tecnico-professionali (hard skills)
Sono le competenze specifiche di un determinato contesto lavorativo. Dipendono dal percorso formativo di ciascuno e dalle esperienze lavorative pregresse. Le competenze tecnico-professionali sono, in generale, multidisciplinari: ciò significa che al loro sviluppo concorrono due o più discipline, riferibili anche ad ambiti e assi culturali distinti. 4.3 Competenze trasversali (soft skills)
Sono le competenze che qualificano le persone non dal punto di vista culturale e/o tecnico-professionale, quanto piuttosto per l’atteggiamento assunto nei confronti di sé, degli altri, del mondo. Queste competenze, che possono derivare da capacità innate ovvero essere frutto dell’interazione con i diversi contesti di vita, sono essenziali per vivere in modo equilibrato e sereno la vita di ogni giorno e per interagire proficuamente in gruppo (dal piccolo team dei colleghi di lavoro, al gruppo di amici, fino alle più vaste comunità sociali). Le competenze trasversali possono essere distinte in due macro categorie: competenze trasversali interne , riguardanti il sé (autonomia, fiducia in se stessi, autostima, autoefficacia, resilienza, flessibilità / adattabilità, perseveranza, determinazione, consapevolezza del proprio agire e delle proprie emozioni, cura dei dettagli, rispetto delle regole, intraprendenza, u
spirito d’innovazione, pensiero critico, creatività, gestione dell’incertezza, saper risolvere i problemi…); u competenze trasversali esterne , riguardanti le relazioni con gli altri (capacità organizzative, capacità di mediazione, attitudine alla leadership, saper collaborare, saper gestire i conflitti, saper comunicare, saper ascoltare, saper essere empatici…).
Federico Vione, CEO del gruppo Adecco per gli Stati Uniti, Regno Unito e Irlanda, ha dichiarato [189] : «Ci interessa poco cosa il giovane abbia studiato […] A noi interessano le soft skills e, se troviamo persone capaci da questo punto di vista, le formiamo sulla professionalità specifica o le facciamo formare a nostre spese dall’azienda presso la quale dovranno lavorare». In altri termini, per i datori di lavoro le competenze trasversali (soft skills) sono altrettanto importanti quanto le competenze tecnicoprofessionali (hard skills). O, forse, sarebbe più corretto affermare che privilegiano le prime rispetto alle seconde [190] .
5. Le principali norme nazionali in materia di competenze 5.1 Il decreto ministeriale n. 139/2007
Il recepimento della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 avviene con l’emanazione del D.M. 139/2007, Regolamento sull’obbligo di istruzione decennale precedentemente introdotto dalla legge n. 296/2006. Il decreto articola i saperi dell’istruzione obbligatoria in quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale), per ciascuno dei quali individua le competenze di base che l’alunno deve possedere a conclusione dell’obbligo decennale di istruzione. Il decreto individua inoltre le seguenti otto competenze-chiave di cittadinanza , a carattere trasversale, che sono il risultato dei saperi e delle competenze di base relativi ai quattro assi culturali: imparare a imparare; progettare; u comunicare; u collaborare e partecipare; u agire in modo autonomo e responsabile; u risolvere problemi; u individuare collegamenti e relazioni; u acquisire e interpretare l’informazione. u u
5.2 Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (D.M. n. 254 del 16 novembre 2012)
Le Indicazioni nazionali di cui al D.M. n. 254 del 16 novembre 2012, in vigore a decorrere dall’anno scolastico 2012/2013, intendono fissare gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o campo di esperienza […] Il sistema scolastico italiano assume come orizzonte di riferimento verso cui tendere il quadro delle competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea (Raccomandazione del 18 dicembre 2006) […] Queste sono il punto di arrivo odierno di un vasto confronto scientifico e culturale sulle competenze utili per la vita […] le Indicazioni nazionali intendono promuovere e consolidare le competenze culturali basilari e irrinunciabili tese a sviluppare progressivamente, nel corso della vita, le competenze-chiave europee [191] .
La Indicazioni nazionali individuano, in successione, i traguardi per lo sviluppo delle competenze (rispettivamente a conclusione della scuola dell’infanzia, al termine della scuola primaria e a conclusione del primo ciclo di istruzione), nonché gli obiettivi di apprendimento (per le classi terza e quinta primaria, terza secondaria di primo grado) al fine di dare piena attuazione al Profilo educativo, culturale e professionale (PECuP) dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione, come delineato dal D.lgs. n. 59/2004. Il Profilo definisce le competenze di base e trasversali che lo studente deve possedere a conclusione del primo ciclo di istruzione; ai sensi del D.M. 3 ottobre 2017, n. 742, le competenze-chiave dello studente vengono certificate a conclusione dell’esame di Stato del primo ciclo. 5.3 La riforma dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali
I regolamenti di riforma dei licei (D.P.R. n. 89/2010) e degli istituti tecnici (D.P.R. n. 88/2010), così come il D.lgs. n. 61/2017 di riforma degli istituti professionali, individuano il Profilo educativo, culturale e professionale (PECuP) dello studente a conclusione del quinto anno di corso in termini di competenze attese in uscita. Le Indicazioni nazionali per i licei, allegate al D.I. n. 211 del 2010, enucleano, per ciascuna disciplina, gli Obiettivi specifici di apprendimento (OSA) a conclusione rispettivamente del primo biennio, del secondo biennio e del quinto anno. Con riferimento ai medesimi periodi didattici, le Linee Guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali declinano i risultati di apprendimento in termini di conoscenze, abilità e competenze attese. Queste, per gli istituti tecnici, sono definite — sia per l’area generale che per quella d’indirizzo — dalle direttive ministeriali recanti le Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento (direttiva MIUR n. 57 del 15 luglio 2010 per il primo biennio, direttiva MIUR n. 4 del 16 gennaio 2012 per il secondo biennio e quinto anno). Per gli istituti professionali le competenze attese sono definite dagli allegati al decreto ministeriale 24 maggio 2018, n. 92 e dalle Linee Guida allegate al decreto direttoriale 1400 del 25 settembre 2019.
5.4 Il D.lgs. 16 gennaio 2013, n. 13
Definisce le regole generali per l’individuazione e la certificazione delle competenze maturate in ogni tipo di apprendimento: formale, non formale e informale. I soggetti titolati alla certificazione delle competenze sono pubblici o privati, in possesso di autorizzazione o accreditamento regionale. Tra gli enti certificatori vengono individuati le Camere di commercio, industria e artigianato, le scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado, le università, gli enti regionali di formazione professionale e, più in generale, le istituzioni formative. Il D.lgs. n. 13/2013 inoltre definisce apprendimento permanente : qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale; u apprendimento formale : apprendimento che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in apprendistato, o di una certificazione riconosciuta, nel rispetto della legislazione vigente in materia di ordinamenti scolastici e universitari; u apprendimento non formale : apprendimento caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi sopracitati, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese; u apprendimento informale : apprendimento che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero; u competenza : comprovata capacità di utilizzare, in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale o informale. u
Il D.lgs. n. 13/2013 quindi riconosce assoluta rilevanza all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, che può avvenire in contesti formali (percorsi che si concludono con un titolo, una qualifica o una certificazione riconosciuta ai sensi di legge), in contesti non formali (per esempio attraverso corsi di formazione e/o aggiornamento sul lavoro, oppure corsi organizzati da privati o associazioni) e in contesti informali (cioè nell’ambito di attività della vita quotidiana, anche familiare, e nel tempo libero). Questi contesti formativi sono di pari dignità e, sinergicamente, concorrono allo sviluppo delle competenze del cittadino. 5.5 Il D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62
Il D.lgs. n. 62/2017 reca norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato del secondo ciclo. L’art. 1, che definisce principi, oggetto e finalità della valutazione e della certificazione delle competenze, afferma che la valutazione «documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze». Il c. 3 dell’art. 1 riferisce la valutazione del comportamento allo sviluppo delle competenze di cittadinanza; il c. 6 impone alle istituzioni scolastiche la certificazione delle competenze progressivamente acquisite dalle studentesse e dagli studenti, «anche al fine di favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi». Il primo comma dell’art. 9 specifica che la certificazione delle competenze a conclusione della scuola primaria e del primo ciclo di istruzione «descrive lo sviluppo dei livelli delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza progressivamente acquisite dalle alunne e dagli alunni, anche sostenendo e orientando gli stessi verso la scuola del secondo ciclo». Il c. 1 dell’art. 12, concernente l’oggetto e le finalità dell’esame di Stato a conclusione del secondo ciclo di istruzione, afferma che l’esame di Stato verifica i livelli di apprendimento conseguiti da ciascun candidato in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni indirizzo di studi, con riferimento alle Indicazioni nazionali per i licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali, anche in funzione orientativa per il proseguimento degli studi di ordine superiore ovvero per l’inserimento nel mondo del lavoro.
6. L’alunno, la classe, l’approccio per competenze 6.1 La centralità dell’alunno
L’alunno, con le sue specificità e inclinazioni, i suoi bisogni e i suoi interessi, è al centro del «sistema-scuola». Le risorse dell’allievo sono tutte egualmente importanti per lo sviluppo delle sue competenze: risorse cognitive (percorsi logici, stili di apprendimento, inclinazioni, interessi, capacità, saperi/convinzioni anche di tipo informale…); risorse metacognitive (autostima, autoefficacia, resilienza, livello di motivazione intrinseca/estrinseca…); u risorse emozionali (atteggiamenti, meccanismi e modalità di reazione, vissuto personale…). u u
Partendo dal dato di fatto che gli alunni sono tutti diversi, la programmazione di qualsiasi intervento didattico dev’essere sempre preceduta da una fase di indagine nella quale l’insegnante, insieme con i colleghi del consiglio di classe, individua per ciascun alunno lo stile di apprendimento prevalente (visivo verbale, visivo non verbale, uditivo, cinestetico, analitico, globale, individuale, di gruppo) e lo
stile di relazione verso gli altri (contributore, collaboratore, comunicativo, provocativo). A seguito di questa indagine, ciascun docente deve quindi personalizzare il proprio stile di insegnamento adattandolo alle individualità dei singoli alunni, in modo da valorizzare le loro caratteristiche migliori e far esprimere al meglio le potenzialità di ciascuno. 6.2 L’ambiente di apprendimento
Il senso dell’insegnamento non è trasmettere nozioni, ma aiutare gli alunni a diventare persone autonome e responsabili, capaci di realizzazione personale e sociale, cittadinanza attiva e inclusione. È evidente, a questo punto, che la didattica trasmissiva ed esercitativa, la scuola del «leggi e ripeti», la scuola del «sei meno meno» non basta più. Essa, nella migliore delle ipotesi, consente di acquisire nozioni, forse conoscenze e abilità, ma non competenze; inoltre, genera sempre più estraniazione e rifiuto negli alunni, che troppo spesso non riescono a comprendere il senso e il significato delle proposte e richieste della scuola. Secondo il costruttivismo, sviluppatosi nella seconda metà del Novecento, la conoscenza è frutto della costruzione di significato che l’individuo compie attraverso la rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze, emozioni. Il sapere, dunque, non può essere ricevuto in modo passivo ma risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà che lo circonda. Lo studente assume il ruolo di protagonista del proprio apprendimento. Proprio per questo, l’insegnamento dev’essere personalizzato sulla base degli interessi, delle esigenze e delle caratteristiche degli allievi, conformemente alla teoria di Gardner sulle intelligenze multiple [192] . Le metodologie costruttiviste promuovono l’apprendimento in contesto sociale e collaborativo, per dare rilievo ai contributi, alle capacità e alle attitudini diverse e per favorire la reciprocità (apprendimento cooperativo ). Si avvalgono della didattica laboratoriale e dell’alternanza scuola-lavoro (imparare facendo ), della peer education , del tutoring , del coaching , della didattica per progetti e per problemi, ma anche dell’apparato tradizionale di didattiche di trasmissione di contenuti e di procedure (lezione frontale, esercitazione). I contenuti vanno accuratamente vagliati e selezionati (essenzializzazione dei curricoli ): infatti non tutto è ugualmente rilevante, non tutto si può imparare, per imparare a vivere non servono conoscenze enciclopediche. Il docente, che assume la funzione di facilitatore, stimola la creazione di nuova conoscenza e sollecita negli alunni lo sviluppo di competenze proponendo alla classe di esaminare situazioni-problema, assolutamente reali, attraverso il ricorso a strategie, strumenti e materiali diversi. A tal fine è necessario che il docente: contestualizzi nella realtà e nell’esperienza i concetti, i principi, i contenuti disciplinari; si avvalga di mediatori vari e flessibili , anche a elevato contenuto tecnologico, per valorizzare i diversi stili cognitivi e di apprendimento degli allievi; u stimoli negli alunni la riflessione metacognitiva prima, durante e dopo l’azione, per trovare il senso e il fondamento al proprio procedere; u valorizzi l’esperienza dell’allievo attraverso la proposta di problemi reali da risolvere, situazioni concrete da gestire, studi di caso da approfondire, prodotti autentici da realizzare individualmente e in gruppo. u u
6.3 L’importanza del gruppo e l’apprendimento cooperativo
L’apprendimento, nell’approccio costruttivista, è determinato non soltanto dall’attività personale del singolo studente, ma anche (e soprattutto) dall’interpretazione della realtà e la negoziazione di significati con gli altri. Il gruppo diventa quindi una risorsa fondamentale per la produzione di una conoscenza fortemente contestualizzata, complessa e non riducibile in piccole parti. L’apprendimento cooperativo si distingue sia dall’apprendimento competitivo (in cui gli alunni lavorano uno contro l’altro per superarsi a vicenda), sia dall’apprendimento individualistico (in cui gli alunni lavorano da soli per raggiungere obiettivi di apprendimento distinti da quelli dei compagni). Il gruppo di lavoro, nell’apprendimento cooperativo, è caratterizzato da: 1. interdipendenza positiva , che viene raggiunta quando i membri del gruppo capiscono che è una questione di «uno per tutti, tutti per uno». Gli alunni comprendono che il fallimento del singolo è il fallimento dell’intero gruppo e che lo sforzo individuale va a vantaggio del singolo e di tutti gli altri membri del gruppo; 2. doppia responsabilità dei risultati: individuale e di gruppo . Il gruppo dev’essere collettivamente consapevole e responsabile del raggiungimento dei suoi risultati, e ogni membro lo deve essere individualmente nel contribuire con la sua parte di lavoro. In questo modo si impedisce lo sfruttamento del lavoro altrui; 3. interazione costruttiva diretta . Gli alunni devono lavorare realmente insieme, in presenza e in remoto, in modalità sincrona e/o asincrona, condividendo risorse, aiutandosi, scambiandosi informazioni e sostenendosi a vicenda; 4. insegnamento/apprendimento di abilità sociali . Nel gruppo di apprendimento cooperativo gli alunni acquisiscono conoscenze e sviluppano le abilità sociali per «funzionare bene» come gruppo: creare un clima di fiducia, comunicare, gestire i conflitti, assumere ruoli diversi, prendere decisioni; 5. autovalutazione di gruppo . Gli alunni, lavorando in gruppo, imparano a individuare i comportamenti positivi, a modificare quelli negativi e a migliorare il grado di cooperazione del gruppo.
7. Insegnare e valutare per competenze 7.1 La progettazione a ritroso
In accordo con gli studi di Wiggins e McTighe [193] , la progettazione per competenze avviene a ritroso: si parte da alcune domande
tipicamente valutative, per poi strutturare il vero e proprio percorso di insegnamento-apprendimento. Si tratta dunque di porsi, in successione, le seguenti domande: 1. Qual è il profilo di competenza che voglio contribuire a sviluppare con il mio percorso? La risposta a questa domanda sta nel PECuP dello studente nell’ordine e grado di scuola in cui si opera e nell’articolazione che, di questo PECuP, fanno le Indicazioni nazionali e le Linee Guida di riferimento. 2. In termini operativi, quali prestazioni mi aspetto da parte degli alunni «competenti»? A tal fine, occorre determinare le caratteristiche di ciascuna competenza descrivendola attraverso una rubrica . 7.2 La rubrica della competenza
La descrizione di una competenza avviene individuandone: ⦁ Sono le caratteristiche costitutive della competenza. ⦁ Sono i comportamenti concreti, gli indizi che denotano il possesso di ciascuna dimensione costitutiva. ⦁ Sono articolazioni di ogni indicatore secondo il livello di sviluppo della competenza. ⦁ Descrivono ciascun grado o livello in termini di prestazioni e comportamenti osservati nello studente. ⦁ Sono i punti di riferimento dei descrittori, cioè esempi concreti di manifestazioni osservabili nelle prestazioni/comportamento dello studente.
Nella Tabella 1 si riporta un esempio di rubrica di competenza, cosiddetta analitica perché per ogni singola dimensione specifica indicatori, livelli di padronanza e relativi descrittori. Tabella 1 – Rubrica per la competenza alfabetica funzionale – dimensione «lettura di un testo scritto» Competenza-chiave: Competenza alfabetica funzionale DIMENSIONE: lettura di un testo scritto INDICATORE
L’alunno legge correttamente e in modo scorrevole
LIVELLI DI PADRONANZA iniziale
basilare
La lettura è incerta e con numerosi errori
La lettura è quasi sempre corretta ma La lettura è corretta e poco scorrevole abbastanza scorrevole
intermedio
avanzato La lettura è sempre corretta e sicura
7.3 La valutazione autentica e il compito di realtà
Nella docimologia classica la valutazione del profitto scolastico è stabilita come confronto empirico tra i risultati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi (obiettivi di contenuto, espressi in termini di conoscenze/abilità). Il confronto può essere effettuato mediante prove di verifica di tipo strutturato, semi-strutturato o aperto. I criteri di valutazione, quantitativi, sono incentrati su scale numeriche (punteggi e voti). Il limite della docimologia tradizionale sta nel fatto che essa tende a valutare quello che l’alunno conosce/sa fare, verificando la «riproduzione» ma non la «costruzione» e lo sviluppo della conoscenza, e neppure la capacità di trasferire a contesti non noti le conoscenze e le abilità possedute. Com’è stato ampiamente osservato da numerosi insegnanti di vari ordini e gradi di istruzione, ci sono studenti che riescono molto bene in un test a scelta multipla, ma poi si ritrovano in seria difficoltà quando si chiede loro di dimostrare quello che sanno fare in un contesto reale. A seguito di queste osservazioni, nei primi anni Novanta del secolo scorso, negli Stati Uniti, a opera di G. Wiggins [194] si è sviluppato il movimento della valutazione autentica . Essa è fondata sull’accertamento di una prestazione (esecuzione di un compito di realtà, creazione di un prodotto originale) nell’ambito di un contesto reale, caratterizzato dalla complessità e dall’integrazione dei saperi. Il reale, come afferma Edgar Morin [195] , non è mai monodisciplinare: proprio per questo, la valutazione autentica può avvenire solo proponendo allo studente un compito reale e, in quanto tale, multi sfaccettato e complesso. L’intento della valutazione autentica è quello di verificare non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa . A tal fine, gli studenti vengono coinvolti in compiti sfidanti, non scontati, in cui mettersi alla prova (individualmente e/o in gruppo) per affrontare il problema reale posto. Vengono dunque scoraggiate le prove tradizionali (verifiche «carta-e-penna», verifiche orali di mera riproduzione di contenuti). Si riportano, di seguito, cinque esempi di compiti di realtà somministrati a studenti della Scuola secondaria di primo e di secondo grado.
Classe seconda di Scuola secondaria di primo grado Produrre un manifesto pubblicitario per la promozione della raccolta differenziata nel proprio comune, dopo aver analizzato le statistiche locali sul riciclo, le strategie d’intervento dell’ente locale e il linguaggio di alcune campagne pubblicitarie. Classe terza di Scuola secondaria di primo grado Progettare il viaggio d’istruzione di fine anno, dopo aver: a. analizzato il materiale sulla regione da visitare (carte geografiche, orari, mezzi di trasporto disponibili…); b. individuato i luoghi più interessanti da visitare; c. individuato il tipo di abbigliamento da utilizzare;
d. stabilito dove dormire/mangiare (anche attraverso la lettura dei pareri dei clienti su TripAdvisor); e. determinato il budget necessario per il viaggio; f. aver richiesto via e-mail la disponibilità a hotel/ristoranti.
Classe quinta di istituto tecnico economico, indirizzo «amministrazione, finanza e marketing» Realizzare un servizio giornalistico, da trasmettere nel corso del TG Economia, nel quale si discuta della crisi del mercato del lavoro e delle politiche internazionali per promuovere l’occupazione e la microimprenditorialità. All’interno del servizio giornalistico si simuli l’intervista, in lingua inglese, con il CEO di una company statunitense. Classe quarta di liceo scientifico, opzione scienze applicate Realizzare un docufilm che tratti il problema dell’inquinamento da idrocarburi nella propria regione. Il prodotto finale dovrà mostrare le operazioni di prelevamento di alcuni campioni significativi, documentare l’analisi dei risultati ottenuti e contenere proposte di soluzione concretamente realizzabili, per ciascuna delle quali andranno discussi i punti di forza e le criticità. Classe quinta ginnasiale (secondo anno di liceo classico) Realizzare un dossier sul tema delle migrazioni nell’antichità e nel tempo presente, confrontandone le dinamiche riguardo agli aspetti culturale, religioso, linguistico, economico, sociale e politico. Il dossier dovrà contenere riferimenti a vicende remote e attuali riguardanti il proprio territorio. 7.4 La valutazione come triangolazione
Per valutare una competenza attraverso una prestazione autentica, il docente deve effettuare una triangolazione sovrapponendo: 1. gli elementi oggettivi (correttezza formale e sostanziale, pertinenza, coerenza logica, qualità compositiva…) forniti dall’osservazione della prestazione/prodotto dello studente; 2. gli elementi soggettivi risultanti dall’autovalutazione che lo studente fa del proprio processo di apprendimento. Tali elementi possono essere documentati, da parte dello studente, attraverso strumenti quali il diario di bordo, l’autobiografia, il portfolio. Ai fini della valutazione dei livelli di padronanza delle competenze possedute, l’analisi della dimensione autovalutativa dello studente è un elemento imprescindibile, giacché la maturazione di una competenza avviene attraverso la mobilitazione di tutte le risorse della persona, comprese le abilità metacognitive ed emozionali; 3. gli elementi intersoggettivi rappresentati dalle osservazioni in itinere che i docenti compiono sul processo di apprendimento dello studente (in termini di autonomia, responsabilità, livello di partecipazione, capacità di relazione, grado di flessibilità e di consapevolezza…).
L’esito della valutazione si conclude con l’attribuzione, per la competenza esaminata, di un livello di padronanza espresso in termini qualitativi. 7.5 L’Unità di apprendimento
Nella didattica per competenze, l’unità minima di progettazione è detta Unità di Apprendimento (UdA). Essa costituisce la struttura di base dell’azione formativa. Per costruire un’Unità di apprendimento è necessario: definire gli obiettivi formativi (in termini di competenze disciplinari, pluridisciplinari e trasversali); definire le rubriche valutative (che permettono di esplicitare gli standard per la certificazione delle competenze acquisite); u analizzare la valenza formativa di ciascuna disciplina ai fini dello sviluppo delle competenze (analisi disciplinare ); u individuare le connessioni pluridisciplinari, interdisciplinari, transdisciplinari. u u
Le competenze, per loro stessa natura, costituiscono una costellazione : è difficile separarle rigidamente le une dalle altre. È arduo, se non impossibile, individuare competenze che riguardino esclusivamente una disciplina. Ciò è vero sia per le competenze di base, che per quelle tecnico-professionali, che per quelle trasversali. In ragione di ciò, non c’è da stupirsi del fatto che una singola Unità di apprendimento sia legata a un set inscindibile di competenze, riguardanti molteplici ambiti disciplinari. L’Unità di apprendimento è, dunque, uno strumento che favorisce la circolarità del sapere, la trans-disciplinarità e l’approccio alla complessità del reale. La struttura-tipo di un’Unità di apprendimento è rappresentata nella Tabella 2. Tabella 2 – Struttura dell’Unità di apprendimento (UdA) UNITÀ DI APPRENDIMENTO Contesto
Natura contestuale dell’apprendimento
Titolo
Denominazione dell’Unità
Compito – prodotto
Consegna agli studenti
Finalità generali
Descrizione dei risultati attesi in termini di miglioramento
Competenze in uscita
Elenco delle competenze attese a conclusione dell’Unità
Conoscenze Abilità Prerequisiti SEQUENZA FASI DI APPLICAZIONE: Presentazione UdA Organizzazione
Presentazione dell’unità e spiegazione della consegna agli alunni (compito – prodotto)
preliminare
Organizzazione delle attività individuali e di gruppo Brainstorming iniziale per la pianificazione delle attività
Realizzazione
Sequenza ordinata delle attività e ore dedicate a ciascuna attività
Tempi (numero complessivo di ore e periodo di attuazione) Risorse umane coinvolte Metodologie e strategie didattiche Strumenti e sussidi didattici Spazi Modalità di verifica e valutazione
I costrutti «Unità didattica» e «Unità di apprendimento» vengono talora considerati del tutto interscambiabili, anche se si riferiscono a strumenti profondamente diversi. Infatti l’Unità didattica: è centrata sui contenuti; è centrata sull’azione del docente; u si propone di far acquisire conoscenze e abilità essenzialmente attraverso la trasmissione di contenuti e/o lo svolgimento di esercitazioni o prove strutturate / semi-strutturate / aperte; u è corredata da un apparato di verifica e valutazione delle conoscenze e delle abilità; u è costituita prevalentemente da attività individuali o collettive eterodirette da parte del docente. u u
Al contrario, l’Unità di apprendimento: è centrata sulle competenze; è costruita intorno all’azione autonoma degli allievi; si propone di far sviluppare competenze attraverso la realizzazione autonoma e responsabile di un prodotto autentico da parte degli alunni; è corredata da un apparato di verifica e valutazione delle competenze, abilità e conoscenze, attraverso l’analisi del prodotto autentico, del processo di apprendimento e della riflessione dell’allievo sul proprio percorso e sulle modalità di costruzione del proprio sapere; u è costituita essenzialmente da attività di gruppo autonomamente condotte dagli studenti, con il supporto e la mediazione del docente che assume il ruolo di facilitatore. u u
8. Per una testa ben fatta Edgar Morin [196] , filosofo e sociologo francese, riprendendo il filosofo Montaigne afferma: «È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena». Una «testa ben piena» è costruita essenzialmente accumulando saperi; una «testa ben fatta» dispone, oltre che dei saperi, di un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi e avere i principi organizzatori che permettono di collegare i saperi e di dare loro un senso. L’obiettivo principale dell’educazione, dell’istruzione e della formazione dev’essere quello di promuovere una conoscenza capace di cogliere i problemi globali e fondamentali, nei quali inscrivere le conoscenze parziali. Il pensiero parcellizzato, monodisciplinare e cristallizzato in rigide classificazioni conduce a un’intelligenza cieca, in quanto viene sacrificata la normale attitudine umana a collegare i fatti e le conoscenze. L’iper-specializzazione dei saperi impedisce di vedere il globale e di apprezzare l’essenziale. Tuttavia, i problemi della vita reale non sono mai parcellizzati, ma multidimensionali e trans-disciplinari. La scuola delle competenze è, nella società della conoscenza, la via per educare alla complessità, per insegnare a conoscere il tutto attraverso le parti e le parti attraverso il tutto, per superare la parcellizzazione della conoscenza. È, in sintesi, un’opportunità preziosa e una sfida avvincente per riformare la società e rifondare il pensiero.
[187]
Commissione europea (1995), White Paper On Education And Training – Teaching And Learning Towards The Learning Society , COM(95) 590.
[188] Bauman [189]
Z., Modernità liquida , Laterza, Roma-Bari 2002.
Roger Abravanel R., D’Agnese L., La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro , Rizzoli, Milano 2015.
[190] Progetto [191] Annali
internazionale 21st Century Skills , http://www.21stcenturyskills.org/
della Pubblica Istruzione, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione , Numero speciale 2012.
[192] Gardner
H., Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento , Erickson, Trento 2005.
[193] Wiggins
G., McTighe J., Fare progettazione. La “teoria” di un processo didattico per la comprensione significativa , LAS, Roma, 2004.
[194] Wiggins
G., Assessing student performance: Exploring the purpose and limits of testing , Jossey-Bass, San Francisco, CA 1993.
[195] Morin
E., Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione , Raffaello Cortina, Milano 2015.
[196] Morin
E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero , Raffaello Cortina, Milano 2000.
2. La valutazione a cura di Licia Bevilacqua
1. Premessa generale La valutazione è una delle attività più significative e delicate inerenti alla funzione docente. Si tratta di un’attività multiprospettica e pluridimensionale, inserita in un quadro «di sistema» che implica diversi approcci che vanno oltre l’attribuzione di un valore fine a se stesso (misurazione) e che si articola in diversi profili corrispondenti a descrizioni che delineano campi di applicazione. Si parla infatti di valutazione della didattica in senso stretto (finalizzata a rilevare i processi e gli esiti dell’apprendimento), di valutazione di istituto (volta a individuare le caratteristiche del servizio erogato da una istituzione scolastica) e di valutazione di sistema (orientata a cogliere gli andamenti, il rapporto costi-benefici, i macro indicatori e il peso delle variabili geografiche e territoriali). In un’ottica sistemica e a completamento dei campi di applicazione rientrano anche la valutazione dei docenti e la valutazione dei dirigenti. Tutti i profili menzionati interagiscono, integrandosi e completandosi in quelle due macrodimensioni della valutazione che corrispondono all’autovalutazione interna, che coinvolge gli stessi soggetti impegnati nelle attività e nei processi della scuola e alla valutazione esterna che, condotta da esperti esterni, verifica il raggiungimento di obiettivi definiti a livello generale e quindi esterni al singolo istituto [197] . Tento conto di quanto premesso, si può affermare che nella scuola si realizzano diversi processi di valutazione che coinvolgono diversi attori in diversi momenti e che possono essere sintetizzati come in Tabella 1: Tabella 1 – Processi di valutazione nella scuola PROCESSI DI VALUTAZIONE NELLA SCUOLA Processi
Attori
Valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli alunni/studenti
Docenti
Certificazione delle competenze degli alunni/studenti
Docenti
Valutazione delle conoscenze e delle abilità degli alunni/studenti con prove standardizzate
INVALSI
Valutazione della qualità dell’offerta formativa
Scuola (autovalutazione), INVALSI e INDIRE
Valutazione di sistema (su risultati e politiche scolastiche)
INVALSI
Valutazione dei docenti
Comitato di valutazione e dirigente scolastico
Valutazione del dirigente scolastico
Nuclei di valutazione
In questo capitolo, riservato alla valutazione degli alunni/studenti della Scuola secondaria di primo e secondo grado, tratteremo la valutazione degli apprendimenti intesi come insieme di conoscenze, competenze e abilità nonché la valutazione del comportamento quindi i modi e i tempi della valutazione, i protagonisti, gli elementi di giudizio di cui tener conto, gli obblighi dei docenti e degli studenti finalizzati a legittimare sia i processi che gli esiti della valutazione in una dimensione trasparente e partecipativa. 1.1 Finalità e funzioni della valutazione
La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento di tutti gli alunni/studenti. Esente da ogni implicazione di tipo punitivo, la finalità della valutazione è invece formativa ed educativa, concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione di ciascun alunno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze. Valutazione e miglioramento sono quindi interfaccia del medesimo processo in quanto il miglioramento non è soltanto riferito ai risultati di apprendimento degli alunni ma comprende l’offerta formativa erogata dalla scuola, il servizio scolastico reso e le professionalità che operano all’interno. Pienamente inserita nel contesto delle azioni e delle attività scolastiche, la valutazione accompagna tutti i processi delle istituzioni scolastiche, pensati in congruenza con l’offerta formativa e con la personalizzazione dei percorsi, progettati tenuto conto degli ordinamenti propri di ciascun ordine di scuola e ciascun indirizzo di studi ovvero delle Indicazioni nazionali per il curricolo e dei Nuovi scenari (scuola infanzia e primo ciclo), delle Indicazioni nazionali (licei) e delle Linee guida (istituti tecnici e istituti professionali). Finalizzata al processo formativo oltre che ai risultati di apprendimento, nella duplice dimensione individuale (del singolo docente) e collegiale (del team docente o consiglio di classe), la valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari: li precede, nel momento in cui attiva le azioni selezionate; li accompagna, quando guida le azioni avviate; li segue, nel momento in cui sostiene il bilancio critico sulle azioni concluse. In questo senso la valutazione assume la duplice funzione formativa di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo. 1.2 La valutazione nel primo ciclo
L’art. 2 del D.lgs. n. 62/2017 dispone che la valutazione periodica e finale degli apprendimenti delle alunne e degli alunni nel primo ciclo, ivi compresa la valutazione dell’esame di Stato, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo, è espressa con votazioni in decimi che indicano differenti livelli di apprendimento [198] .
Riportata nel Documento di valutazione, questa si esprime quindi con votazione in decimi che indicano i diversi livelli di apprendimento conseguiti dagli alunni ed è integrata da un giudizio descrittivo del processo formativo, espresso in termini di progressi nello sviluppo culturale personale e sociale. La norma non prescrive indicatori di riferimento del processo formativo affidando la relativa individuazione al collegio dei docenti nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Considerata la finalità formativa della valutazione, il processo formativo è inteso come documentazione del percorso di miglioramento registrato nel tempo dall’alunno. Il giudizio descrittivo del processo formativo è espresso in termini di autonomia e grado di responsabilità conseguiti dall’alunno e delineano il livello globale degli apprendimenti in relazione al metodo di studio maturato, ai progressi registrati rispetto al livello di partenza e ad altri indicatori che il collegio dei docenti ritiene significativi per il contesto. La valutazione periodica e finale degli apprendimenti è effettuata dai docenti nell’esercizio della propria autonomia professionale, in conformità con i criteri e le modalità definiti dal collegio dei docenti, inseriti nel piano triennale dell’offerta formativa in una apposita sezione. Anche se la valutazione dei livelli di apprendimento riferiti alla/e disciplina/e insegnata/e parte dalla dimensione individuale del docente, la valutazione si configura come attività collegiale effettuata dal consiglio di classe. Al processo di valutazione partecipano di fatto tutti i docenti che a vario titolo operano nella classe, in aggiunta a quelli cui sono assegnate le discipline previste nel monte ore annuale dal piano di studi regolato dagli ordinamenti. Nelle classi operano infatti i docenti di religione cattolica o di attività alternative, quelli di sostegno, quelli di potenziamento, di arricchimento dell’offerta e quelli di strumento musicale (questi ultimi nei corsi a indirizzo musicale nella Scuola secondaria di primo grado). Svolgendo attività di insegnamento con tutti gli alunni o con gruppi di alunni, tutti partecipano al processo di valutazione anche se in modalità diverse. I docenti di religione cattolica e di attività alternative nonché quelli di strumento musicale valutano i soli alunni che si avvalgono di tali insegnamenti. I docenti di sostegno, contitolari della classe in cui operano come previsto dall’art. 13, c. 6 della legge 104/92, partecipano alla valutazione degli alunni di tutta la classe e, nel caso in cui sono affidati a uno stesso alunno diversamente abile, esprimono la valutazione con un unico voto. I docenti che svolgono attività di potenziamento o di arricchimento dell’offerta formativa invece non esprimono una valutazione numerica ma consegnano al coordinatore di classe una relazione contenente utili e significativi elementi conoscitivi sull’interesse manifestato da ciascun alunno. 1.3 La valutazione del comportamento
Oltre ai risultati conseguiti negli apprendimenti, la valutazione ha come oggetto il comportamento che si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Anche la valutazione del comportamento è espressa collegialmente dai docenti attraverso un giudizio sintetico riportato nel documento di valutazione [199] . Nel rispetto dell’autonomia riconosciuta alle istituzioni scolastiche, il collegio dei docenti definisce i criteri per la valutazione del comportamento e individua le modalità di espressione del giudizio [200] , deliberazioni solitamente inserite nelle attività programmatorie di avvio dell’anno scolastico. Imprescindibili documenti di riferimento per la definizione dei criteri e delle modalità di valutazione del comportamento sono Lo Statuto delle studentesse e degli studenti , il Patto educativo di corresponsabilità e i Regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche. Nell’ambito della propria autonomia didattica, organizzativa e di sperimentazione, le istituzioni scolastiche possono progettare iniziative (coinvolgendo anche le famiglie), suggerite anche da specifiche condizioni di contesto, finalizzate alla valorizzazione di comportamenti positivi da inserire nel piano triennale dell’offerta formativa. 1.4 Validità dell’anno scolastico
Requisito prioritario previsto per l’ammissione alla classe successiva e all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione è la validità dell’anno scolastico che consiste nel controllo e nell’accertamento della avvenuta frequenza di almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato, definito dall’ordinamento della Scuola secondaria di primo grado [201] . Nel monte ore personalizzato di ciascun alunno, da comunicare alle famiglie all’inizio di ciascun anno, rientrano tutte le attività progettate e realizzate nella classe e oggetto di valutazione periodica e finale da parte del consiglio di classe. Nell’ambito della propria autonomia e previa delibera del collegio dei docenti, le istituzioni scolastiche possono stabilire deroghe motivate al limite previsto ma a condizione che la frequenza accertata non pregiudichi la valutazione per mancanza di elementi di giudizio tali da non consentire al consiglio di classe di esprimersi in merito. È evidente che l’impossibilità di accedere alla valutazione, comporta la non ammissione alla classe successiva o all’esame conclusivo del ciclo. Tutte le operazioni connesse all’accertamento della validità dell’anno scolastico, effettuate sempre nel rispetto dei criteri definiti dal collegio dei docenti, devono essere motivate e verbalizzate dal consiglio di classe in seduta di scrutinio. 1.5 Ammissione alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione
Le modifiche apportate al D.P.R. 122/2009 (Regolamento in materia di valutazione degli apprendimenti ) dal decreto legislativo n. 62/2017 (Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato ) superano il requisito della sufficienza in tutte le discipline originariamente previsto per l’ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato. Tenuto conto delle rilevazioni periodiche e finali, infatti, la norma vigente prevede che in sede di scrutinio l’ammissione alla classe
successiva possa avvenire anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione [202] . Considerato che casi simili non sono isolati, l’istituzione scolastica è tenuta a trattare la materia nei regolamenti interni di valutazione (per esempio: documento docimologico di istituto) definendo impegni e azioni previste da partecipare alle famiglie e attivando strategie didattiche specifiche e alternative finalizzate a migliorare i livelli di apprendimento al fine di superare le lacune cognitive rilevate e tempestivamente comunicate alla famiglia. Soltanto nel caso in cui le iniziative programmate e attivate ad hoc non abbiano dato esiti positivi, è possibile la non ammissione alla classe successiva prevista quindi in casi eccezionali, comprovati da specifica motivazione e con decisione assunta all’unanimità. È compito del collegio dei docenti deliberare i criteri generali per la non ammissione alla classe successiva o all’esame conclusivo del ciclo. 1.6 Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti
Nel quadro «di sistema» della valutazione rientrano anche le rilevazioni nazionali sugli apprendimenti, ampiamente conosciute come prove INVALSI perché predisposte dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione. Esse contribuiscono al processo di autovalutazione delle istituzioni scolastiche e forniscono strumenti utili al progressivo miglioramento dell’efficacia della azione didattica [203] . Si svolgono on line durante il mese di maggio sulla piattaforma predisposta dall’INVALSI, sono previste nelle classi seconda e quinta di scuola primaria e nelle classi terze della secondaria di primo grado e riguardano l’italiano, la matematica e l’inglese. Le prove di inglese, posizionate sulle abilità di comprensione e uso della lingua, sono coerenti con il Quadro comune di riferimento europeo per le lingue (QCER). Le rilevazioni nazionali sono effettuate attraverso prove standardizzate, computer based , volte ad accertare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti in italiano, matematica e inglese in coerenza con le Indicazioni nazionali per il curricolo . Per la prova di inglese, l’INVALSI accerta i livelli di apprendimento attraverso prove di posizionamento sulle abilità di comprensione e uso della lingua, coerenti con il QCER, eventualmente in convenzione con gli enti certificatori, senza ulteriori oneri per lo Stato. La partecipazione alle prove è un requisito di ammissione all’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione quindi obbligatoria tanto che, nel caso in cui l’alunno risulti assente per gravi motivi documentati e valutati dal consiglio di classe, è prevista una sessione suppletiva per l’espletamento delle prove. La valutazione delle prove è di competenza dello stesso INVALSI mentre l’impegno dei docenti nelle azioni relative allo svolgimento delle rilevazioni nazionali rientra nelle attività ordinarie d’istituto. 1.7 Ammissione all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo
L’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione è finalizzato a verificare le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite dall’alunna o dall’alunno anche in funzione orientativa [204] . Il consiglio di classe, dopo aver verificato durante lo scrutinio il possesso dei requisiti previsti per l’ammissione (la validità dell’anno scolastico e la partecipazione alle prove nazionali predisposte dall’INVALSI), può ammettere l’alunno all’esame di Stato anche nel caso di parziale acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline. L’ammissione avviene con un voto espresso in decimi, senza frazioni decimali e anche inferiore al sei, considerato il percorso scolastico triennale compiuto dall’alunno in conformità con i criteri e le modalità definiti dal collegio dei docenti [205] . 1.8 Valutazione finale esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione
L’esame di Stato è costituito da tre prove scritte e un colloquio, valutati in decimi dalla commissione che predispone sia le prove d’esame sia i criteri per la correzione e la valutazione. Le prove scritte sono finalizzate a rilevare le competenze nella lingua italiana, quelle logico-matematiche e quelle acquisite nelle lingue straniere, definite nel Profilo finale dello studente come descritto nelle Indicazioni nazionali per il curricolo; il colloquio è finalizzato a valutare le conoscenze descritte nello stesso Profilo, con particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione dei problemi, di pensiero critico e riflessivo, nonché il livello di padronanza delle competenze di cittadinanza e nelle lingue straniere. Per i corsi a indirizzo musicale è previsto anche lo svolgimento di una prova pratica di strumento nell’ambito del colloquio [206] . Concluse le prove scritte e il colloquio, la commissione d’esame, su proposta della sottocommissione, esprime la valutazione finale che risulta dalla media (arrotondata all’unità superiore per frazioni pari o superiori a 0,5) tra il voto di ammissione e la media calcolata senza arrotondamenti delle prove d’esame (scritti e colloquio). L’esame si intende superato se l’alunno/a consegue una votazione non inferiore a sei decimi. Con una valutazione finale di dieci decimi, la commissione d’esame può anche attribuire la lode ma in presenza delle seguenti condizioni prescrittive: su proposta della sottocommissione la deliberazione deve avvenire all’unanimità, tenuto conto delle valutazioni conseguite nel percorso scolastico del triennio e degli esiti delle prove d’esame. Tutti gli esiti devono essere pubblicati mediante affissione all’albo della scuola. Per i candidati che non superano l’esame si pubblica esclusivamente la dicitura «esame non superato» senza il voto finale conseguito [207] . 1.9 Certificazione delle competenze
La certificazione delle competenze completa il processo di valutazione degli alunni e viene consegnata al termine del primo ciclo di istruzione una volta superato l’esame di Stato. Descrive il progressivo sviluppo dei livelli delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza a cui l’intero processo di insegnamento-apprendimento è finalizzato anche sostenendo e orientando gli alunni verso la scelta della Scuola secondaria di secondo grado. È rilasciata sui modelli nazionali adottati con il decreto ministeriale 742/2017, è redatta durante lo scrutinio finale dal consiglio di classe, viene consegnata alla famiglia dell’alunno e, in copia, trasmessa all’istituzione scolastica o formativa del ciclo successivo.
I modelli di certificazione delle competenze della Scuola secondaria di primo grado sono integrati da una sezione predisposta e redatta a cura dell’INVALSI che descrive i livelli conseguiti nelle prove di italiano e matematica. Sempre predisposta dall’INVALSI è presente una ulteriore sezione che certifica le abilità di comprensione e uso della lingua inglese a esito della prova scritta nazionale [208] . Per le famiglie degli alunni con disabilità certificata ai sensi della legge 104/1992, il modello nazionale può essere accompagnato da una nota che esplicita la corrispondenza fra il significato degli enunciati relativi alle competenze e gli obiettivi specifici del piano educativo individualizzato [209] . 1.10 Valutazione alunni con disabilità
La valutazione degli alunni con disabilità (certificati ai sensi della legge 104/1992) viene effettuata sulla base del Piano educativo individualizzato (PEI) in riferimento al comportamento, alle discipline e alle attività svolte. Anche gli alunni diversamente abili sostengono le prove standardizzate ma, in relazione alla gravità della patologia certificata e alle misure previste dal PEI, il consiglio di classe può prevedere misure dispensative o compensative, specifici adattamenti della prova o addirittura l’esonero dalla stessa [210] . Le prove d’esame vengono sostenute con l’uso di sussidi didattici, di attrezzature tecniche o qualunque altro sussidio già utilizzato nello svolgimento delle attività durante il corso dell’anno scolastico per l’attuazione del PEI. La sottocommissione d’esame può predisporre prove differenziate idonee a valutare l’alunno in relazione alle sue potenzialità e ai livelli raggiunti rispetto alla situazione di partenza. Le prove differenziate hanno valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma finale. Nel diploma finale non viene però fatta menzione delle modalità di svolgimento e delle differenziazione delle prove. Nell’ottica di una politica scolastica inclusiva che tiene conto di tutte le possibili difficoltà personali e di contesto nelle performance è garantito un attestato di credito formativo agli alunni con disabilità che non si presentano all’esame di Stato. L’attestato di credito formativo è a tutti gli effetti valido come titolo per l’iscrizione e la frequenza alla Scuola secondaria di secondo grado o ai corsi di istruzione e formazione professionale. 1.11 Valutazione degli alunni con Disturbi specifici di apprendimento (DSA)
La valutazione degli alunni con Disturbi specifici di apprendimento (DSA) viene effettuata tenendo conto del Piano didattico personalizzato (PDP) ed è riferita al livello di apprendimento conseguito mediante l’applicazione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi indicati nel PDP [211] . Anche gli alunni con DSA sostengono le prove standardizzate, per lo svolgimento delle quali il team insegnanti o il consiglio di classe può disporre adeguati strumenti compensativi coerenti con lo stesso PDP. Gli alunni dispensati dalla prova scritta di lingua straniera o esonerati dall’insegnamento della lingua straniera non sostengono la prova di lingua inglese senza che questa pregiudichi la validità dell’esame. Durante gli esami di Stato la commissione può anche prevedere tempi più lunghi di quelli ordinari, l’utilizzo di apparecchiature e strumenti informatici ma solo se impiegati durante l’anno scolastico per le verifiche o se comunque sono ritenuti funzionali allo svolgimento dell’esame. L’uso di questi strumenti non pregiudica la validità delle prove scritte. L’alunno sostiene le prove differenziate coerenti con il percorso svolto e con valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma. Come per gli alunni con disabilità, anche per gli alunni con DSA nel diploma finale non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e delle differenziazione delle prove [212] . 1.12 Valutazione alunni in ospedale o che seguono percorsi di istruzione domiciliare
Per la valutazione degli alunni in ospedale, la norma prevede due possibili situazioni. Nel caso di periodi temporalmente rilevanti di degenza ospedaliera, i docenti che impartiscono le lezioni in ospedale trasmettono alla scuola di appartenenza informazioni ed elementi necessari di conoscenza funzionali all’espressione della valutazione in ordine al percorso formativo individualizzato attuato dagli alunni. Nel caso invece di degenza continuativa, che comporta periodi di assenza dalla scuola prevalenti rispetto a quelli della classe di appartenenza, i docenti che hanno impartito le lezioni effettuano anche lo scrutinio, previa intesa con la scuola di riferimento che fornisce ulteriori elementi di valutazione elaborati dai docenti della classe. Il ricovero non esime l’alunno dallo svolgimento delle prove standardizzate: la prova infatti viene svolta nella struttura in cui l’alunno è ricoverato e la modalità di svolgimento fa riferimento al Piano didattico personalizzato temporaneo eventualmente predisposto per lo stesso. Se il ricovero coincide con il periodo di svolgimento dell’esame di Stato, è prevista una sessione suppletiva. Nel caso di una lunga degenza, gli alunni sostengono le prove d’esame in presenza di una commissione formata da docenti ospedalieri, integrata con i docenti delle discipline oggetto delle prove scritte, se non presenti, scelti e individuati in accordo con l’ufficio scolastico regionale e la scuola di provenienza [213] . Analoghe situazioni sono previste dalla norma per gli alunni che seguono percorsi di istruzione domiciliare: nei casi di particolare gravità e ove se ne ravvisi la necessità è consentito lo svolgimento delle prove anche attraverso modalità telematiche a comunicazione sincronica, alla presenza di componenti della sottocommissione appositamente individuati dall’istituzione scolastica di appartenenza. Se invece il percorso di istruzione domiciliare è coincidente con l’esame di Stato, è prevista la sessione suppletiva e in alternativa, se le condizioni di salute lo permettono, gli alunni sostengono le prove o alcune di esse in istruzione domiciliare alla presenza della sottocommissione della scuola di provenienza. Anche per lo svolgimento delle prove standardizzate sono previste misure: nei casi di particolare gravità e ove fosse necessario, gli alunni che seguono un percorso di istruzione domiciliare sostengono le prove INVALSI attraverso modalità telematiche a comunicazione sincrona, alla presenza di componenti del consiglio di classe individuati allo scopo [214] .
2. La valutazione nel secondo ciclo 2.1 La valutazione degli studenti
La valutazione degli studenti negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado è disciplinata dall’art. 4 del D.P.R. 122/2009 integrato dal D.lgs. 62/2017 per ciò che concerne l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione. La valutazione è formativa e sommativa e ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. È coerente con gli obiettivi previsti dal Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) e con quanto previsto dagli ordinamenti relativi a ciascun ordine e indirizzo di studi ovvero dalle Indicazioni nazionali per i licei e dalle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali. Ha anche una funzione di orientamento per la progettazione del curricolo e i piani di studio personalizzati. 2.2 Valutazione periodica e finale
La valutazione periodica e finale, attribuita con voti numerici espressi in decimi, è effettuata dal consiglio di classe presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato, con deliberazione assunta a maggioranza, alla fine di ogni quadrimestre (o trimestre/pentamestre) di ciascun anno scolastico. Il docente di ciascuna disciplina esprime la propria proposta di voto che viene discussa e approvata a maggioranza come voto finale di scrutinio. In caso di parità di voto, prevale il voto del presidente (il dirigente scolastico o un suo delegato). I docenti di sostegno, contitolari della classe, partecipano alla valutazione di tutti gli alunni e nel caso in cui un alunno fosse affidato a più docenti di sostegno, essi si esprimono con un unico voto. Sono ammessi alla classe successiva e all’esame di Stato gli studenti che in sede di scrutinio finale conseguono una votazione non inferiore a sei decimi nel comportamento e in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto. 2.3 Valutazione del comportamento
Anche la valutazione periodica e finale del comportamento è espressa in decimi. Il voto numerico è riportato anche in lettere nel documento di valutazione e concorre alla determinazione dei crediti scolastici. Essa fa riferimento allo sviluppo delle competenze di cittadinanza, le cui premesse imprescindibili sono riportate nello Statuto delle studentesse e degli studenti , nel Patto educativo di corresponsabilità firmato dagli studenti e dalle famiglie al momento dell’iscrizione e nei Regolamenti interni di ciascuna scuola. Una valutazione del comportamento inferiore a sei decimi in sede di scrutinio finale comporta la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato e può essere decisa dal consiglio di classe a condizione che all’alunno sia stata precedentemente irrogata una sanzione disciplinare. La decisione deve essere motivata e verbalizzata in sede di scrutinio intermedio e finale. 2.4 Validità dell’anno scolastico
In sede di scrutinio finale, prima di procedere alla valutazione, il consiglio di classe deve verificare la validità dell’anno scolastico ovvero accertare che lo studente abbia frequentato le lezioni per almeno tre quarti dell’orario annuale [215] : se le assenze superano il limite massimo previsto, lo studente è escluso dallo scrutinio finale con conseguente non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato. In fase di avvio dell’anno scolastico però, il collegio dei docenti può deliberare deroghe al limite dei tre quarti di presenza del monte ore annuale per casi eccezionali previsti dalla norma ma anche per esigenze dettate dal contesto territoriale e socioculturale. 2.5 Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti
Anche gli studenti che frequentano la Scuola secondaria di secondo grado sono obbligati alla valutazione esterna da parte dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI). Le prove nazionali standardizzate, comunemente conosciute con l’espressione prove INVALSI, vengono somministrate agli studenti, computer based , durante il secondo e il quinto anno del percorso di studi e sono finalizzate alla verifica dei risultati di apprendimento in italiano, matematica e inglese. Partecipano alle prove tutti gli studenti, inclusi quelli che si avvalgono dell’istruzione domiciliare. Le prove nazionali sono obbligatorie e anche requisito di accesso all’esame di Stato per gli studenti frequentanti l’ultimo anno [216] ; a tal fine è prevista una sessione suppletiva in caso di assenza giustificata dello studente alla sessione ordinaria. L’esito delle prove viene riportato all’esame finale ma non confluisce nel voto finale né viene trascritto nel curriculum dello studente [217] . 2.6 Sospensione del giudizio e debito scolastico
Nel caso in cui gli studenti non conseguano la sufficienza in una o più discipline, durante lo scrutinio finale il consiglio di classe sospende il giudizio ovvero evita di riportare immediatamente il giudizio di non ammissione e ne dà comunicazione alle famiglie. La sospensione del giudizio comporta il cosiddetto «debito formativo». L’abolizione dell’istituto degli esami di riparazione [218] obbliga le scuole ad attivare interventi per il recupero delle carenze rilevate (debiti): si tratta degli Interventi didattici educativi integrativi [219] , diffusamente conosciuti con l’acronimo IDEI. Nell’ambito della loro autonomia didattica e organizzativa le scuole e nella fattispecie i consigli di classe, possono programmare i corsi sia al termine degli scrutini intermedi sia a conclusione delle attività didattiche ma comunque entro l’avvio del successivo anno scolastico. I corsi attivati dopo lo scrutinio intermedio si concludono con verifiche intermedie obbligatorie, tese a dimostrare di aver superato il debito. I corsi organizzati dopo lo scrutinio finale per gli studenti che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline (debito formativo), si svolgono invece durante l’estate e si concludono con verifiche finali sui risultati conseguiti la cui valutazione determina il giudizio definitivo di ammissione o non ammissione alla classe successiva durante l’integrazione dello scrutinio finale. Per le classi del triennio, in caso di ammissione alla classe successiva viene anche attribuito il credito scolastico [220] .
2.7 I crediti scolastici
Durante lo scrutinio finale dell’ultimo triennio, oltre alla valutazione degli apprendimenti e del comportamento, agli studenti viene attribuito un ulteriore punteggio denominato «credito scolastico» [221] . Esso è determinato dalla media dei voti finali ottenuti nelle singole discipline e nel comportamento e dalla valutazione di fattori concomitanti come la frequenza scolastica, eventuali crediti formativi opportunamente documentati, la partecipazione al dialogo educativo, l’interesse alle attività integrative di arricchimento dell’offerta formativa, le eventuali sospensioni del giudizio e altre variabili deliberate dal collegio dei docenti all’inizio dell’anno scolastico e comunicate alle famiglie. Con l’entrata in vigore del D.lgs. 62 del 13 aprile 2017, agli studenti può essere attribuito un massimo di 12 punti di credito scolastico il terzo anno, 13 punti il quarto anno e 15 punti il quinto anno fino a un totale di 40 punti che rappresentano il credito finale. I punteggi sono delineati per fasce nella tabella A) allegata allo stesso decreto legislativo che prevede anche la conversione del credito per gli anni precedenti al nuovo regime per la disciplina del periodo transitorio [222] . Nella valutazione complessiva degli studenti rientrano anche i crediti formativi, riferiti alle competenze acquisite in contesti extrascolastici (per esempio attività di formazione culturale, artistica, sportiva o di cooperazione ecc.) e anche agli apprendimenti non intenzionali e sistematici di tipo informale e non formale. Per costituire credito formativo valutabile, oltre a essere attestate e documentate, le esperienze devono essere coerenti con il tipo di percorso intrapreso. Credito formativo e credito scolastico contribuiscono all’attribuzione del voto finale attribuito all’esame di Stato conclusivo. 2.8 Assolvimento dell’obbligo di istruzione
Nell’ambito del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione [223] , la normativa vigente considera assolto l’obbligo di istruzione (obbligo scolastico) al compimento dei sedici anni di età e a conclusione del primo biennio degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado. In concomitanza all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, le istituzioni scolastiche sono obbligate a compilare la certificazione delle competenze secondo il modello nazionale previsto dalla normativa vigente [224] . L’obbligo di istruzione è diverso dall’obbligo formativo che, nell’ambito del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, riguarda il diritto-dovere degli studenti che già hanno assolto all’obbligo scolastico, di frequentare attività formative fino all’età di 18 anni. L’obbligo formativo si concreta nella facoltà degli studenti di scegliere diversi percorsi possibili coerenti con i propri interessi e le proprie capacità: proseguire gli studi nel sistema dell’istruzione scolastica, frequentare il sistema della formazione professionale la cui competenza è della regione e della provincia, iniziare il percorso di apprendistato per conseguire una qualifica professionale o frequentare un corso di istruzione per gli adulti presso un Centro provinciale per l’istruzione degli adulti (CPIA). 2.9 Ammissione all’esame di Stato
Sono ammessi a sostenere l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione, in qualità di candidati interni, tutti gli studenti e le studentesse che hanno frequentato l’ultimo anno dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado. L’ammissione all’esame è disposta dal consiglio di classe in sede di scrutinio finale dopo aver verificato il possesso dei requisiti previsti dalla norma: la frequenza di almeno tre quarti del monte ore personalizzato; la partecipazione alle prove predisposte dall’INVALSI durante l’ultimo anno di corso; lo svolgimento dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (comunemente identificati con l’acronimo PCTO e riferiti all’alternanza scuola lavoro) come previsti dall’indirizzo di studio; una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto; un voto di comportamento non inferiore a sei decimi. Sono previste, a domanda, abbreviazioni di percorso per gli studenti del penultimo anno a condizione che essi abbiano seguito un corso regolare di studi riportando una votazione non inferiore a otto decimi in ciascuna disciplina e nel comportamento nel penultimo anno e una votazione non inferiore a sette decimi in ciascuna disciplina e a otto decimi nel comportamento negli scrutini finali dei due anni antecedenti il penultimo, esenti da non ammissioni alla classe successiva [225] . 2.10 Certificazione delle competenze
Nei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado la certificazione delle competenze è prevista in due momenti: al temine del secondo anno e a conclusione del ciclo di studi. La prima attesta l’assolvimento dell’obbligo di istruzione [226] in quanto rilasciata al termine del secondo anno agli studenti che nel corso dell’anno solare di riferimento hanno compiuto sedici anni e sono stati ammessi alla frequenza della classe terza in sede di scrutinio finale. È finalizzata a dimostrare le competenze di base acquisite, riportate in un modello nazionale aggiornato alle disposizioni previste dal Sistema nazionale di certificazione delle competenze [227] che, in linea con gli indirizzi dell’Unione europea, prevede la certificazione di competenze acquisite dagli studenti in contesti formali, informali e non formali. La certificazione rimane agli atti della scuola nel fascicolo personale dello studente o consegnata su richiesta dell’interessato. Il modello nazionale di certificazione delle competenze previsto a conclusione del secondo ciclo di istruzione a oggi non è stato ancora emanato. 2.11 Valutazione alunni con disabilità
La valutazione degli alunni con disabilità (certificati in conformità alla legge 104/1992) è espressa con voto in decimi. Viene effettuata sulla base del Piano educativo individualizzato (PEI) e si riferisce al comportamento, alle discipline e alle attività realizzate. Anche gli studenti diversamente abili sostengono le prove standardizzate predisposte dall’INVALSI ma il consiglio di classe, in considerazione dei limiti soggettivi conseguenti alla gravità della patologia certificata, può prevedere misure dispensative o compensative, specifici adattamenti delle prove o addirittura l’esonero dalle stesse. Durante le prove d’esame agli studenti è consentito l’uso di strumenti e sussidi già utilizzati durante il percorso scolastico per la realizzazione del PEI. Al fine di procedere a una valutazione quanto più
possibile calibrata sulle potenzialità dello studente, la sottocommissione d’esame può predisporre anche prove differenziate dal valore equivalente per il superamento dell’esame e il conseguimento del diploma finale. Come previsto dalla normativa vigente in materia di privacy, compreso il Regolamento europeo 2016/679, nel diploma finale non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione delle prove. Nell’ottica di una politica scolastica inclusiva che tiene conto di tutte le possibili difficoltà personali e di contesto ma che capitalizza la permanenza a scuola e i risultati conseguiti sotto il profilo bio-psico-sociale, agli alunni con disabilità che hanno seguito un percorso didattico differenziato ma che non si presentano all’esame di Stato è garantito un attestato di credito formativo [228] . Esso riporta informazioni dettagliate relative all’indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, l’indicazione delle discipline di insegnamento del piano di studi, il monte ore di ciascuna disciplina, competenze, conoscenze e capacità professionali acquisite nonché i crediti formativi documentati. 2.12 Valutazione degli alunni con Disturbi specifici di apprendimento (DSA)
La valutazione degli alunni con Disturbi specifici di apprendimento viene effettuata tenendo conto del Piano didattico personalizzato (PDP) ed è riferita al livello di apprendimento conseguito mediante l’applicazione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi indicati nel PDP [229] . La materia relativa ai disturbi specifici di apprendimento è regolata dalla legge 170/2010 cui fa riferimento tutte la normativa successiva. Per lo svolgimento delle prove standardizzate, il consiglio di classe può disporre degli strumenti già previsti dalla legge 170 ampliati dalla normativa in materia di bisogni educativi speciali (BES) purché coerenti con lo stesso piano didattico personalizzato. Per lo svolgimento degli esami di Stato la commissione può anche prevedere tempi più lunghi di quelli ordinari e l’utilizzo di apparecchiature e strumenti informatici ritenuti funzionali allo svolgimento dell’esame anche se già impiegati durante l’anno scolastico per le verifiche. L’uso di questi strumenti non pregiudica la validità delle prove scritte. In sede di esame di Stato l’alunno può sostenere prove differenziate coerenti con il percorso svolto e con valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma. Come per gli studenti con disabilità, nel diploma finale non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione delle prove [230] . 2.13 Valutazione alunni in ospedale
Le specifiche disposizioni previste per gli studenti ospedalizzati del primo ciclo sono estese al secondo ciclo di istruzione e formazione [231] . 2.14 Il diploma e il curriculum dello studente
Concluso con esito positivo l’esame di Stato, il presidente della commissione esaminatrice (o il dirigente scolastico su sua delega) rilascia il diploma di istruzione secondaria di secondo grado che permette di accedere all’istruzione terziaria. Il diploma può essere ritirato dallo studente se maggiorenne (dal genitore in caso contrario) presso la segreteria didattica con la ricevuta di avvenuto pagamento della tassa di rilascio diploma. La legge «Buona scuola» ha previsto che al diploma sia allegato il curriculum dello studente [232] , una specie di portfolio contenente informazioni dettagliate sul percorso di studi seguito e sulle competenze apprese anche in contesti para/extrascolastici. Il curriculum dovrà quindi contenere le discipline comprese nel piano degli studi con l’indicazione del monte ore complessivo destinato a ciascuna di esse, le competenze, le conoscenze e le abilità anche professionali acquisite, le attività culturali, artistiche e di pratiche musicali, sportive e di volontariato, le attività comprese nei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento e altre eventuali certificazioni conseguite. Non essendo stato predisposto ancora il modello ministeriale previsto, il «Decreto milleproroghe» [233] ha rinviato all’a.s. 2020/2021 l’applicazione del curriculum dello studente allegato al diploma con la novità che esso non dovrà riportare i risultati delle prove nazionali e la certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua inglese. 2.15 Valorizzazione delle eccellenze
La valorizzazione delle eccellenze si può considerare una articolazione della valutazione degli studenti nella Scuola secondaria di secondo grado ed è strettamente connessa al principio costituzionale secondo cui «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» [234] . Per questo motivo la scuola è chiamata a promuovere anche lo sviluppo dei talenti e delle vocazioni di ogni singolo studente [235] con l’obiettivo di valorizzare la qualità dei percorsi svolti e riconoscere i risultati superiori raggiunti. A questo proposito il Ministero ha attivato il Programma nazionale di valorizzazione delle eccellenze che offre diverse misure finalizzate non solo a innalzare il livello di apprendimento degli studenti, ma anche a orientare le loro scelte sulla base delle inclinazioni personali, a incoraggiare il proseguimento del percorso di istruzione fino al conseguimento del titolo di studi conclusivo, a potenziare il raccordo fra la scuola, l’università e le istituzioni dell’alta formazione. Il risultato conseguito nei percorsi di eccellenza è quindi riconosciuto e certificato dalla scuola, garantisce l’acquisizione di crediti formativi e varie forme di premialità che gli studenti possono conseguire o raggiungendo la valutazione massima all’esame di Stato o distinguendosi nelle iniziative e nelle competizioni organizzate dalla stessa amministrazione scolastica centrale e periferica o da soggetti esterni accreditati. Gli studenti meritevoli sono inseriti nell’Albo nazionale delle eccellenze pubblicato nel sito dell’INDIRE.
3. Conclusioni Per effetto dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, dal 5 marzo 2020 le attività didattiche in presenza sono state sospese e sostituite dalla attivazione della Didattica a distanza (DAD) divenuta unica attività ordinaria a erogare il servizio. La nuova modalità,
oltre a richiedere alle scuole e ai docenti adattamenti di tipo organizzativo, progettuale, metodologico, didattico e di relazione nel processo di insegnamento-apprendimento ha reso necessaria qualche deroga alle disposizioni previste dalla normativa vigente a partire dalla validità dell’anno scolastico. Nel confermare i contenuti generali in materia di valutazione degli apprendimenti e del comportamento, la legge di conversione del decreto «Cura Italia» [236] , al comma 3ter dell’art. 87 dispone infatti che la valutazione periodica e finale degli apprendimenti, oggetto dell’attività didattica svolta in presenza o a distanza a seguito dell’emergenza da Covid19, per l’anno scolastico 2019/2020 produce gli stessi effetti delle attività previste dal decreto legislativo 62/2017 per le istituzioni scolastiche del primo ciclo e dall’art. 4 del Regolamento di cui al D.P.R. 122/2009 e dal decreto 62/2017 per istituzioni scolastiche del secondo ciclo.
[197] Castoldi
M., Valutare a scuola: dagli apprendimenti alla valutazione di sistema , Carocci, Roma 2012, p. 27.
[198] Mentre
questo manuale era in stampa, è stata approvata la legge di conversione del D.L. n. 22 dell’8 aprile 2020, Legge n. 41 del 6 giugno 2020, il cui art. Art.1 comma 2bis dispone: “In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo, è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione”. [199]
D.lgs. 62/2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato , art. 1, c. 3.
[200] C.M.
1865/2017, Indicazioni su valutazione, certificazione competenze, esame di stato primo ciclo.
[201] D.lgs.
n. 59/2004, Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione , e s.m.i. art. 11, x. 1.
[202] D.lgs.
62/2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato , art. 6.
[203] Ibid
., art. 7.
[204] Ibid
., art. 8.
[205]
D.M. 741/2017, Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione , e C.M. 1865/2017 Indicazioni su valutazione, certificazione competenze, esame di Stato primo ciclo . [206]
D.lgs. 62/2017, art. 8.
[207]
D.M. 741/2017, art. 13.
[208]
D.lgs. 62/2017, art. 9 e D.M. 742/2017, Finalità della certificazione delle competenze .
[209] D.M.
741/2017, Finalità della certificazione delle competenze , art. 14.
[210] D.lgs.
62/2017, art. 11.
[211] Legge
8 ottobre 2010, n. 170, Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico .
[212] D.lgs.
62/2017, art. 11 e D.M. 741/201, art. 14.
[213] D.lgs.
62/2017, art. 22; D.M. 741/2017, art. 15.
[214] Ibid [215]
.
D.P.R. 122/2009, Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni , art. 14, c. 7.
[216]
D.lgs. 62/2017 art. 19 differito di un anno con la legge 108/2018, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. [217] Legge
88/2020 («Decreto milleproporghe»).
[218]
Decreto legge n. 253/1995, Disposizioni urgenti concernenti abolizione degli esami di riparazione e di seconda sessione ed attivazione dei relativi interventi di sostegno e di recupero . [219] Gli [220]
IDEI sono disciplinati dai decreti ministeriali n. 42 e n. 80 del 2007.
D.P.R. 122/2009, art. 4, c. 6.
[221] D.P.R. [222]
323/1998, Regolamento recante disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore , art. 11.
D.lgs. 62/2017, art. 15 e allegato a).
[223] D.lgs. [224] D.M.
76/2005, Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione .
139 del 22 agosto 2007.
[225] D.lgs.
62/2017, art. 13.
[226]
D.M. 9/2010, Adozione del modello di certificazione dei saperi e delle competenze acquisite dagli studenti al termine dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione [227] D.lgs.
13/2013, Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze . [228] D.P.R.
122/2009, art. 9.
[229] Legge
170/2010, Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico .
[230] D.lgs.
122/2009, art. 10; D.lgs. 62/2017, art. 11.
[231] D.lgs.
122/2009, art. 11.
[232] Legge
107/2015, art. 1, c. 28.
[233]
D.lgs. 162/2019, convertito in legge 8/2020, Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica . [234] Costituzione,
art. 34.
[235] D.lgs.
262/2007, Disposizioni per incentivare l’eccellenza degli studenti nei percorsi di istruzione , art. 1.
[236] Legge
27 del 30 aprile 2020, di conversione del D.L. 18/2020.
3. La valutazione delle competenze nei PCTO a cura di Andrea Marchetti
1. Premessa La legge 145/2018 ha introdotto importanti cambiamenti nella realizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro (ASL) oggi ridefiniti Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO). Le nuove linee guida dei PCTO pubblicate dal Ministero dell’Istruzione (M.I.) indicano come elemento fondamentale del percorso formativo dello studente lo sviluppo delle competenze trasversali. Vi è quindi un importante cambiamento di visione nella definizione dei percorsi curricolari che non sono più soltanto focalizzati sull’esperienza di pratica professionale da parte degli studenti presso le aziende o nei luoghi di lavoro o nel terzo settore, ma improntati alla definizione di un profilo d’uscita che consenta allo studente di acquisire competenze spendibili nei diversi contesti sociali e di lavoro. Il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), nel suo annuale documento Mercato del lavoro 2019 e contrattazione collettiva 2019 pubblicato il 27 novembre del 2019, evidenzia in modo più netto rispetto alle indicazioni ministeriali la necessità di una progettazione di percorsi formativi basati non solo sulle competenze trasversali ma soprattutto sullo sviluppo delle competenze tecnico-professionali utili per un proficuo inserimento nel mondo del lavoro. A questo proposito, appare interessante riportare il risultato emerso dall’indagine svolta dall’Area sistema formativo e capitale umano di Confindustria [237] , nella quale si rileva che, per quanto concerne l’esperienza di alternanza scuola lavoro è stata riscontrata una valutazione più che positiva per il 90% circa degli studenti delle scuole lombarde coinvolte. Tutti gli intervistati hanno riconosciuto l’importanza di ridurre, anche grazie a queste forme di collaborazione, la distanza ancora esistente fra scuola e mondo del lavoro attraverso il sostegno agli apprendimenti: l’effettiva integrazione fra i due mondi è la modalità con cui «allineare le competenze» e disporre in futuro di forza lavoro altamente qualificata, dotata non solo di conoscenza, ma anche di esperienza e professionalità. A questo si affianca una genuina attenzione verso le nuove generazioni e la convinzione dell’importanza di offrire ai giovani un’opportunità per entrare in contatto con il mondo del lavoro. Va comunque detto, in conclusione, che fra le motivazioni espresse emerge anche la possibilità di migliorare l’immagine dell’azienda nei confronti dell’opinione pubblica (e, in ultima istanza, dei clienti e consumatori finali), nonché la possibilità di testare sul campo possibili candidati per future opportunità di inserimento in azienda. Per quanto riguarda i vantaggi per l’azienda si evidenzia il miglioramento del clima aziendale oltre all’acquisizione di competenze anche da parte del personale che assume il ruolo di tutor. Inoltre, i percorsi di alternanza, offrono anche la possibilità all’azienda di assegnare ai ragazzi compiti adatti che sono però funzionali al normale lavoro, collaborando in tal modo alla buona riuscita di progetti e attività.
Le nuove linee guida sui PCTO incentrano il paradigma metodologico principalmente sull’acquisizione delle competenze trasversali, in quanto ciò permette allo studente di arricchire il proprio patrimonio personale con una serie di conoscenze, abilità e atteggiamenti che gli consentono di assumere comportamenti adeguati rispetto alle diverse situazioni in cui si può venire a trovare, dalla più semplice alla più complessa. Tali competenze si riferiscono ai processi di pensiero, di cognizione e di comportamento. Esse rivestono un ruolo essenziale nel processo di costruzione del sé, in cui lo studente è attore della propria crescita professionale e umana, e sono rilevanti anche ai fini della pianificazione e della progettazione dell’azione formativa. Consentono, inoltre, di attivare modalità e capacità di riflessione e di utilizzare strategie di apprendimento e di auto-correzione dell’atteggiamento, in contesti sociali e di lavoro.
Si cerca quindi di potenziare la centralità dello studente nell’azione educativa, di incrementare la collaborazione con il contesto territoriale e di predisporre percorsi formativi efficaci, orientati a integrare i nuclei fondanti degli insegnamenti con lo sviluppo di competenze trasversali o personali, comunemente indicate nella scuola e nel mondo del lavoro come soft skills .
Le indicazioni ministeriali pongono in evidenza che i percorsi curricolari basati sulle competenze trasversali, si caratterizzano per l’alto grado di trasferibilità . Tale ultima caratteristica consente ai giovani studenti di utilizzare le proprie abilità e capacità «in compiti e ambienti diversi». Sarà il livello posseduto di tali qualità che influenzerà e caratterizzerà l’atteggiamento dello studente e l’efficacia delle strategie che è in grado di mettere in atto, a partire dalle relazioni che egli instaura fino ad arrivare ai feedback che riesce ad ottenere sul lavoro svolto con l’obiettivo riorganizzare la sua azione (se necessario) [238] .
La legge 107/15 aveva di fatto introdotto un cambiamento nella metodologia didattica nella realizzazione dei percorsi di l’alternanza scuola-lavoro coinvolgendo l’intero consiglio di classe, come già previsto dai DD.PP.RR. 87, 88 e 89 del 2010. L’alternanza non è un’esperienza isolata collocata in un particolare momento del curricolo ma va programmata in una prospettiva pluriennale. Può prevedere una pluralità di tipologie di integrazione con il mondo del lavoro (incontro con esperti, visite aziendali, ricerca sul campo, simulazione di impresa, project work in e con l’impresa, tirocini, progetti di imprenditorialità ecc.) in contesti organizzativi diversi, anche in filiera o all’estero, in un processo graduale articolato in fasi. I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro, possono essere svolti anche in momenti diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni, per esempio d’estate, soprattutto nei casi in cui le strutture ospitanti sono caratterizzate da attività stagionali.
Oltre a ciò, è importante, in particolare, che l’esperienza di alternanza scuola lavoro si fondi su un sistema di orientamento che, a partire dalle caratteristiche degli studenti, li accompagni fin dal primo anno per condurli gradualmente all’esperienza che li attende. L’attività di orientamento va concepita anche in vista delle scelte degli studenti successive al conseguimento del diploma quinquennale.
La valutazione dei livelli di apprendimento relativi al percorso di PCTO è realizzata da tutti i docenti del consiglio di classe o da quei docenti delle discipline concretamente coinvolte nella programmazione di moduli didattici specifici per i PCTO nelle seguenti modalità: 1. valutazione degli apprendimenti delle singole discipline e voto di condotta a conclusione dell’anno scolastico, attuata dai docenti del consiglio di classe; 2. valutazione del percorso in alternanza svolto presso le strutture ospitanti o in modalità di Impresa formativa simulata (IFS) tenuto conto delle attività di valutazione in itinere svolte dal tutor esterno sulla base degli strumenti predisposti. La maggior parte delle scuole adotta un report di valutazione delle competenze condiviso insieme al tutor aziendale, il quale, sulla base delle indicazioni contenute nel progetto di PCTO, esprimerà una propria valutazione sulle attività svolte dallo studente presso la struttura ospitante; 3. certificazione delle competenze finali in alternanza da predisporre prima dell’esame di Stato.
La legge 107/2015 ha introdotto l’alternanza scuola-lavoro come percorso curricolare e di conseguenza lo ha reso obbligatorio per tutti gli studenti del secondo biennio e ultimo anno delle scuole secondarie di secondo grado. La successiva legge 145/2018 non modifica l’impianto dell’obbligatorietà del percorso ma riduce il piano orario triennale che da 400 ore per gli istituti tecnici e professionali e 200 per i licei è passato a 210 ore nei professionali, 150 ore nei tecnici e 90 ore nei licei, da svolgersi per tutti gli indirizzi di studio dalla classe terza alla classe quinta. Nel 2016/2017 le scuole che avevano realizzato percorsi di ASL si attestavano intorno al 94% del totale e gli studenti coinvolti erano circa il 90%. Nel 2017/2018 le scuole impegnate nei percorsi di ASL sono state il 78% mentre gli studenti coinvolti erano pari al 55% (per coloro che erano iscritti in terza e quarta e solo il 44% degli alunni che frequentavano la quinta) [239] . Nel 2018/2019 dai primi riscontri non definitivi si registra un’ulteriore diminuzione delle scuole e degli studenti comprese le strutture ospitanti che da 208.000 sono passate a 190.000 [240] . Il MIUR, attraverso le nuove linee guida approvate con D.M. 774/2019, individua l’alternanza come un’esperienza che va programmata in una prospettiva pluriennale. In essa è quindi possibile prevedere una pluralità di tipologie di integrazione con il mondo del lavoro (incontro con esperti, visite aziendali, ricerca sul campo, simulazione di impresa, project work in e con l’impresa, tirocini, progetti di imprenditorialità ecc.) in contesti organizzativi diversi, anche in filiera o all’estero, in un processo graduale articolato in fasi.
2. Progettare i PCTO La progettazione del percorso di PCTO implica l’elaborazione di un progetto educativo che coniughi il piano curricolare della scuola con l’esperienza da sviluppare presso strutture ospitanti. Secondo quanto riportato dalle più recenti indagini relative ai fabbisogni delle strutture ospitanti tra le competenze trasversali più richieste ai giovani in ambito lavorativo annoveriamo: l’autonomia, la creatività; l’innovazione nel gestire il compito assegnato, la capacità di risolvere i problemi (problem solving ), la comprensione della complessità dei vari linguaggi, la comunicazione, la capacità di lavorare e saper interagire in un gruppo (team working ), la flessibilità e l’adattabilità, la precisione e la resistenza allo stress. A questo riguardo, l’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) ha fornito un interessante contributo sul significato di «competenze trasversali». Secondo l’INAPP infatti, le competenze trasversali sono riconducibili ad un vasto insieme di abilità della persona, implicate in numerosi tipi di compiti lavorativi, dai più elementari ai più complessi e sviluppate in situazioni operative tra loro diverse. In altre parole, ci si riferisce ad abilità di carattere generale, a largo spettro, relative ai processi di pensiero e cognizione, alle modalità di comportamento nei contesti sociali e di lavoro, alle modalità e capacità di riflettere nonché di usare strategie di apprendimento e di auto-correzione della condotta. Nella proposta dell’Istituto per l’Analisi delle Politiche Pubbliche le competenze trasversali si declinano in
capacità diagnostiche : comprendere le caratteristiche dell’ambiente, i tratti essenziali dei problemi da affrontare, i compiti da svolgere, le proprie risorse di fronte alle situazioni; capacità relazionali : mantenere un rapporto costruttivo con gli altri e con l’ambiente sociale, dall’ascolto alla comunicazione chiara, dalla negoziazione al controllo delle emozioni; capacità di fronteggiamento : affrontare i problemi e i compiti adottando le strategie di azione più adeguate, dall’assunzione di responsabilità al riconoscimento dei ruoli gerarchici, dalla gestione dei tempi alla valutazione delle conseguenze delle azioni [241] .
3. La progettazione per Unità didattiche di apprendimento/moduli didattici del Piano di lavoro curricolare I PCTO sono elaborati in base ai profili di competenze in uscita esplicitati nel PTOF. Il collegio dei docenti avrà cura di individuare gli obiettivi formativi necessari da raggiungere al termine del percorso quinquennale di studio previsto in relazione agli specifici indirizzi scolastici. In questa sede si propone una scheda di progetto d’istituto sulla realizzazione dei PCTO rispetto al quale si suggerisce di adottare altri report valutativi dei percorsi di apprendimento e delle competenze dei singoli studenti. Il progetto PCTO di istituto sarà quindi utile ai fini della predisposizione di una certificazione delle competenze finale secondo quanto previsto dal dettato della legge 107/2015 al termine del percorso formativo triennale. Schema per elaborare le linee di attuazione del percorso alternanza scuola-lavoro (modello di progettazione) [242]
1. Presentazione della scuola 2. Informazioni relative alle dimensioni della scuola 3. Sintesi dell’idea progettuale (questo elemento progettuale deve essere un macrocontenitore dove viene inserita la sintesi dell’idea del progetto di alternanza legata al profilo di uscita previsto dall’indirizzo di studi). Analisi dei bisogni della scuola, degli alunni e del territorio, le particolarità del settore e obiettivi da raggiungere. Sezione tecnica con indicazione di: u Titolo. u Durata del progetto. u Articolazione su uno o più anni scolastici. u Le fasi operative durante l’anno scolastico. u Le modalità di coinvolgimento delle classi (criteri di selezione degli studenti; indicare se effettueranno il progetto tutti nello stesso periodo o in periodi diversi oppure se debbano rispondere alle esigenze della programmazione, del settore lavorativo ecc.). N.B. per l’attuazione degli elementi sopra indicati occorre un’apposita delibera del collegio docenti. 4. Destinatari del progetto (individuare i seguenti punti come da dettaglio): u Il numero delle classi partecipanti (per esempio: indicare se le terze o le quarte e quanti per ogni classe). u Modalità di partecipazione (per esempio: classi intere o solo gruppi di alunni). u Nel caso di gruppi indicare le modalità di selezione (per esempio: valorizzazione delle eccellenze oppure rimotivazione o riorientamento). u Individuare il numero delle femmine e dei maschi. u Il numero degli studenti con disabilità impegnati presso le strutture ospitanti o in Impresa formativa simulata (IFS). u Modalità di selezione, individuando chi deve fare la selezione: il consiglio di classe, il docente delle discipline professionalizzanti, il referente del progetto, oppure una selezione attraverso una serie di colloqui con i ragazzi. In questo ultimo caso indicare chi si occupa di fare la
selezione tenendo presente che i colloqui sono importanti per individuare le motivazioni e le attitudini. Indicare nel progetto se questo deve essere obbligatorio oppure no. u Condivisione dell’esperienza con i ragazzi, elemento fondamentale per la buona riuscita del progetto. 5. Tipologie di aziende/partner (individuare i seguenti punti come da dettaglio) u Tipologie di aziende (queste cambiano a seconda dell’indirizzo di studio dalle biblioteche/musei alle aziende chimiche/meccaniche dalle sociosanitarie agli enti pubblici e privati). u Il profilo professionale (mansioni da svolgere come da progetto formativo). u Attinenza tra le aziende e le mansioni previste dall’indirizzo di studio (specificare in modo dettagliato l’indirizzo di studio e il percorso formativo). u Declinare le competenze che i ragazzi devono avere alla fine del percorso (certificazione delle competenze finali). 6. Articolazione del progetto per competenze (indica ciò che i ragazzi dovrebbero sapere fare alla fine del percorso. Per quanto concerne le competenze trasversali è importante essere in linea con lo strumento di certificazione delle competenze) u Competenze previste dal profilo in uscita dell’indirizzo di studi, in particolare conoscenze e competenze di base: inglese, diritto, normativa sulla sicurezza, competenze professionali specifiche (per esempio: informatica, economia aziendale, storia dell’arte, chimica ecc.). u Competenze trasversali legate a sé e agli altri (per esempio: rispettare gli impegni, i tempi di consegna degli incarichi che gli vengono affidati, saper collaborare e comunicare, lavorare in team). 7. Individuazione delle discipline coinvolte (nel lavoro di coprogettazione con l’azienda, nel momento in cui si stabiliscono le competenze professionali, occorre individuare anche le discipline curricolari coinvolte) 8. Monitoraggio (individuare i seguenti punti come da dettaglio. È importante essere in linea con gli strumenti di monitoraggio successivamente presentati) u Monitoraggio: a) in itinere b) finale. u Rivolto a) al ragazzo b) ai tutor aziendali c) tutor scolastici. u Monitoraggio finale da somministrare a: tutor scolastici, tutor aziendali, consiglio di classe, ragazzi, collegio docenti e personale ATA impegnato nella parte amministrativa della progettazione e realizzazione del PCTO. 9. Valutazione (individuare i seguenti punti come da dettaglio. È importante essere in linea con gli strumenti di valutazione elaborati). Riguarda due aspetti: u Organizzazione e riuscita del progetto: il progetto ha funzionato? Cosa bisogna correggere? u Risultati ottenuti in termini di formazione e apprendimento con verifiche a cura dei tutor aziendali e del consiglio di classe. 10. Certificazione delle competenze (le competenze acquisite vengono certificate dal consiglio di classe attraverso un certificazione finale appositamente predisposta). 11. Modalità di diffusione (individuare le modalità di diffusione, interna ed esterna, del progetto, attraverso i report , la scheda di progetto e i modelli appositamente elaborati per diffondere le informazioni oggettive). I canali di informazione possono essere, in primo luogo il sito web della scuola, la stampa locale ed eventualmente altri canali da individuare.
Secondo le nuove linee guida sui PCTO è consigliabile operare attraverso una modalità modulare facendo corrispondere alle varie discipline e a i singoli contenuti scelti più moduli o Unità didattiche di apprendimento. È importante sottolineare che il tema centrale scelto sarà declinato e svolto da tutte quelle discipline che ad esso siano riferibili e che consentano per loro natura di svilupparlo in modo completo. Con questa modalità sarà possibile lo svolgimento dell’argomento scelto toccando, in modo naturale e organizzato, tutti gli aspetti peculiari disciplinari.
Il Piano di lavoro curricolare ha una durata triennale ed è realizzato sulla base di una programmazione non solo pluriennale, ma che interessa come già detto più discipline. Occorrerà quindi programmare per competenze, abilità e conoscenze scegliendo dei temi che consentano uno sviluppo trasversale tra discipline.
4. Valutazione dei percorsi di PCTO Il consiglio di classe opera una valutazione dei livelli degli apprendimenti conseguiti nei moduli didattico-formativi delle discipline previste dal progetto di ASL e svolti nelle attività di classe. È altresì importante verificare l’effettivo grado di raggiungimento delle conoscenze, delle abilità cognitive/pratiche e del livello di autonomia e responsabilità dimostrati dallo studentessa/studente presso le strutture ospitanti al termine del percorso triennale di alternanza scuola-lavoro. Per una corretta valutazione delle competenze in alternanza è opportuna una condivisione dei report di valutazione col tutor esterno. La valutazione delle esperienze svolte presso le strutture ospitanti o attraverso attività in Impresa formativa simulata rappresenta un momento fondamentale in cui tutti i soggetti coinvolti (studenti, scuola, struttura ospitante) nella realizzazione dei percorsi di PCTO concorrono alla definizione delle competenze di base, trasversali e tecnico-professionali. Le competenze devono essere descritte in termini di responsabilità e autonomia e collegate alle risorse interne di un soggetto (conoscenze, abilità, altre qualità personali) che ne sono fondamento. «La percezione della propria competenza influenza notevolmente non solo il comportamento dei soggetti, ma anche i
loro pensieri e le loro emozioni». Secondo Pellerey, la competenza, dal punto di vista soggettivo è la capacità di orchestrare in maniera valida ed efficace, in specifici contesti di apprendimento, un insieme abbastanza articolato e differenziato di risorse interne di natura cognitiva, affettiva e volitiva, in vista del raggiungimento di un obiettivo specifico, tenuto conto anche degli influssi che derivano da fattori di natura relazionale e sociale.
Appare necessario disporre di un set di strumenti di valutazione, al fine di poter misurare sia i livelli di apprendimento e di competenza raggiunti dagli studenti, sia il grado di soddisfazione e di efficacia ed efficienza dell’intero percorso di PCTO svolto presso le strutture ospitanti. La realizzazione dei PCTO richiede la messa a punto di alcuni strumenti di valutazione. A questo proposito, si rende necessario adottare un set di strumenti validi per la valutazione sia delle competenze dello studente presso le strutture ospitanti sia della qualità del percorso di ASL. Tali documenti verranno utilizzati dalla scuola in collaborazione con l’azienda: 1. valutazione del percorso formativo in azienda operata dal tutor aziendale; 2. valutazione-tutor scolastico, raccolta dati di sintesi; 3. autovalutazione dello studente; 4. monitoraggio del percorso; 5. certificazione finale delle competenze.
A conclusione di questa parte relativa alla valutazione degli studenti in PCTO, si raccomanda una particolare attenzione nella individuazione delle aree valutative della certificazione finale affinché esse trovino corrispondenza con le stesse competenze valutate in tutti gli altri report. Risulta infatti estremamente importante che gli item scelti siano coerenti nei vari documenti per rendere possibile tra loro un confronto e una rapida confluenza [243] .
5. I PCTO per gli studenti con disabilità Il PCTO rientra nel percorso ordinamentale del curricolo e ne è parte integrante. In particolare, al fine di strutturare il percorso in ASL in coerenza al profilo di funzionamento del ragazzo diversamente abile occorre prevedere i seguenti elementi nel PEI: 1. Adozione delle metodologie didattiche più rispondenti per lo studente con disabilità Si ricorda che in base al profilo di funzionamento è opportuno indicare, per le singole discipline che sono oggetto del percorso di alternanza scuola-lavoro dello studente con disabilità, le modalità più rispondenti per una trasmissione efficace dei contenuti. Al fine di rendere il percorso più attinente ai contesti operativi, è opportuno adottare strategie didattiche che si basano sulla risoluzione di problemi e su un approccio reale e autentico. Tale obiettivo è raggiungibile attraverso la somministrazione di compiti che abbiano riferimenti a situazioni concrete e vicine alla vita degli studenti e quindi utili per l’osservazione di competenze agite. In particolare, per i percorsi di ASL, l’attività di apprendimento deve consentire a ciascun allievo di svolgere i compiti a lui assegnati in un contesto strutturato e normalmente sotto la diretta supervisione di un tutor. 2. Impegno orario dello studente nei percorsi in ASL giornaliero e settimanale L’impegno orario dello studente con disabilità nel luogo di lavoro o nella struttura ospitante va organizzato prestando attenzione alla capacità dell’allievo di sopportare i ritmi di lavoro e di adattarsi al nuovo ambiente e alle persone adulte che svolgono la propria attività lavorativa all’interno della struttura ospitante. Di norma è opportuno far precedere questa attività da incontri preliminari di conoscenza dell’ambiente di lavoro e delle persone con le quali lo studente entrerà in contatto. Questa è una fase molto importante dell’attività di ASL per i ragazzi con disabilità, poiché la strutturazione di un ambiente accogliente è fondamentale per il successo dell’attività di tirocinio formativo. Si consiglia di far iniziare l’attività di ASL affiancando al ragazzo, ove possibile, il docente di sostegno o l’assistente educatore o altra figura nominata a sostegno dell’allievo. Progressivamente, qualora le condizioni dello studente lo consentano, si potrà ridurre al minimo la presenza dell’insegnante di sostegno, che potrà limitarsi a mantenere contatti con l’azienda per monitorare l’andamento del percorso e per effettuare le procedure di valutazione finali. 3. Discipline e moduli didattici coinvolte nel percorso di alternanza scuola-lavoro I moduli didattici teorici sono programmati dai docenti delle discipline del consiglio di classe e inseriti nella programmazione ordinaria. Tali moduli concorrono al calcolo delle ore di alternanza previste dalla legge 107/15 e possono essere svolti anche da personale esperto esterno (per esempio consulenti del lavoro, manager di aziende, rappresentanti di associazioni di volontariato ecc.) che partecipano a incontri programmati dall’istituzione scolastica. Al fine di procedere a una valutazione dei livelli degli apprendimenti del percorso di alternanza, si ricorda che è opportuno somministrare un test di verifica al termine degli incontri compresi quelli svolti dagli esperti esterni. Anche in questo caso le modalità di valutazione e di somministrazione seguiranno le indicazioni previste nel PEI dello studente diversamente abile. 4. criteri di valutazione dei livelli degli apprendimenti e delle competenze di base, trasversali e tecnico-professionali La personalizzazione dei percorsi di alternanza impone di individuare le competenze da raggiungere in base alle capacità, abilità e conoscenze possedute dallo studente con disabilità.
È possibile quindi far seguire nella programmazione differenziata percorsi che possono discostarsi in parte o del tutto dai Profili in uscita dell’indirizzo di studio dell’istituzione scolastica. L’aspetto fondamentale sarà quello di individuare le aree o gli ambiti sui quali definire le competenze da far acquisire nei percorsi di ASL. In linea generale si suggerisce di analizzare le seguenti aree di competenze: A. competenze/abilità lavorative trasversali; B. competenze sociali e relazionali; C. competenze comunicative ed espressive; D. competenze/abilità tecniche/professionali; E. capacità funzionali.
Altro aspetto rilevante è individuare collegialmente i criteri di valutazione dei livelli di competenze ed elaborare degli specifici report di valutazione descrittivi dei risultati raggiunti. È necessario, inoltre, condividere con il tutor esterno le modalità di valutazione dei percorsi di ASL che vedranno impegnato lo studente con disabilità al fine di avere un’uniformità dei criteri di valutazione che saranno adottati nella progettazione del percorso di alternanza. La stesura del progetto di formazione in alternanza scuola-lavoro deve prevedere la valutazione multidimensionale dei livelli delle capacità, attitudini, desideri e il livello di funzionamento degli studenti con disabilità al fine di garantire anche ai ragazzi in situazione di handicap grave e gravissimo la partecipazione alle iniziative di pratica professionale previste dall’istituzione scolastica
6. Riferimenti normativi I riferimenti normativi qui riportati riguardano gli ultimi atti emanati per l’inclusione degli studenti nelle scuole e per l’organizzazione dei percorsi di PCTO. Decreto interministeriale del 3 novembre 2017 n. 195 Regolamento recante la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le modalità di applicazione della normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro. Carta dei diritti e doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro Parere del Consiglio di Stato per garantire ai giovani il pieno rispetto dei loro diritti e per definire i loro doveri in materia di alternanza scuola-lavoro. Decreto Legislativo 13 aprile 2017 n. 66 Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’art. 1, cc. 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107. Circolare Inail del 21 novembre 2016 n. 44 Studenti impegnati in attività di alternanza scuola-lavoro. Legge 13 luglio 2015, n. 107, cc. 33-43. Criteri per la trattazione dei casi di infortunio. Aspetti contributivi. Legge 13 luglio 2015 n. 107, art. 1, cc. dal 33 al 43 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81, art. 43 Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, c. 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Legge 10 dicembre 2014 n. 183, art. 1, c. 7 lettera d Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Legge 8 novembre 2013 n. 128, art. 8 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca. Legge 3 marzo 2009 n. 18 Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Intesa tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali del 20 marzo 2008, art. 3 Intesa in merito alle modalità e ai criteri per l’accoglienza scolastica e la presa in carico dell’alunno con disabilità. Decreto legislativo 17 ottobre 2005 n. 226, art. 16
Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell’art. 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53. Decreto legislativo 15 aprile 2005 n. 77, art. 4, c. 5; art. 6, c. 3 Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, ai sensi dell’art. 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53. Legge 28 marzo 2003 n. 53, art. 4 Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275, art. 7 Regolamento recante norme in materia di Autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21, della legge 15 marzo 1999, n. 59. Legge 24 giugno 1997 n. 196, artt. 16 e 18 Norme in materia di promozione dell’occupazione. Legge 5 febbraio 1992 n. 104, art. 3, cc. 1 e 3; art. 13 Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
[237]
Ricognizione, analisi e valutazione della modalità di gestione dell’alternanza scuola-lavoro nelle scuole 2017 .
[238] Guida
operativa sui PCTO del M.I. 2019.
[239] Fonte: [240] Libro
elaborazione Il Sole 24 Ore su dati MIUR.
CNEL.
[241] Tratto
da: Alternanza scuola-lavoro Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Guida operativa , pubblicata da ANP Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola, Roma 2019. [242] La
scheda di progetto è tratta da Tonarelli A. (a cura di), Un approccio partecipativo all’alternanza scuola lavoro. Linee guida e strumenti per la scuola , Pacini, Pisa 2014. [243]
Tratto da Alternanza scuola-lavoro , cit.
4. Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR prot. n. 4232 del 19.02.2014) a cura di Maria Centonze
1. Introduzione Le «Linee guida nazionali per l’orientamento permanente», emanate dal Ministero dell’Istruzione con nota n. 4232 del 19 febbraio 2014, recano la firma del Ministro Carrozza a pochi giorni dalla conclusione del mandato nel governo Letta. Il documento sostituisce le precedenti «Linee guida in materia di orientamento lungo tutto il corso della vita», di cui alla circolare ministeriale n. 43 del 15 aprile 2009, con le quali il Ministero si proponeva di realizzare azioni anche a carattere territoriale nel settore formativo dell’orientamento, con il coinvolgimento della scuola, delle famiglie, dell’università, degli enti locali, della formazione professionale, delle imprese. Le più recenti Linee guida, pur proponendosi come naturale sviluppo del documento precedente, contengono rilevanti elementi di novità, sia per il richiamo esplicito a più linee di indirizzo delle istituzioni politiche europee sia per l’introduzione nella scuola italiana, in coerenza con tali indicazioni, del nuovo principio dell’orientamento permanente, da cui discendono nuove responsabilità e sfide non solo per la scuola stessa, primariamente investita del compito di orientare i propri utenti, ma anche per tutti gli attori sociali ed economici che a vario titolo concorrono, in collaborazione con la scuola, alla formazione dell’individuo e allo sviluppo sociale (famiglia, enti locali, imprese, servizi del territorio). Sin dal 2000 le politiche europee avevano indicato l’orientamento come elemento chiave dello sviluppo e la Strategia di Lisbona aveva riconosciuto l’apprendimento permanente come diritto per tutti, condizione essenziale per l’esercizio della cittadinanza attiva nella nuova società della conoscenza. La Raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo del 18 dicembre 2006 aveva a sua volta definito il quadro di riferimento delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, invitando i Paesi membri ad armonizzare i sistemi di istruzione e formazione nazionali con gli indirizzi europei e a inserire le competenze chiave nei curricula scolastici. Il 21 novembre 2008 la Risoluzione del Consiglio e Parlamento europeo «Integrare maggiormente l’orientamento permanente nelle strategie di apprendimento permanente» aveva indicato l’orientamento permanente come strumento essenziale per la costruzione del percorso di ogni individuo e per lo sviluppo sociale, ribadito la necessità di qualificare e rafforzare i servizi di orientamento nell’intero arco della vita dei cittadini, indicato precise linee di intervento da realizzare in modo integrato con il concorso dei diversi soggetti a ciò chiamati a livello locale e nazionale. È nella Risoluzione del 2008 che l’orientamento riceve la sua definizione di processo continuo che mette in grado i cittadini di ogni età, nell’arco della vita, di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione nonché gestire i loro percorsi personali di vita nelle attività di Istruzione e Formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui è possibile acquisire e/o sfruttare tali capacità e competenze. L’orientamento comprende attività individuali o collettive di informazione, di consulenza, di bilancio di competenze, di accompagnamento e di insegnamento delle competenze necessarie per assumere decisioni e gestire la carriera.
La Raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo del 20 dicembre 2012 è intervenuta infine a rafforzare l’ottica dell’apprendimento permanente, attribuendo fondamentale importanza per lo sviluppo dell’individuo agli apprendimenti acquisiti in contesti informali e non formali ed evidenziando come l’orientamento eserciti una funzione trasversale nei diversi contesti di apprendimento, anche di natura extrascolastica. I due concetti dell’apprendimento permanente e dell’orientamento permanente sono dunque strettamente correlati: la prospettiva dell’apprendimento permanente (lifelong learning e lifewide learning ) richiede infatti per realizzarsi il supporto, lungo tutto l’arco della vita, dall’orientamento permanente inteso come diritto dei cittadini e parte integrante del percorso di educazione e formazione, a partire dai primi gradi dell’istruzione scolastica, nell’ottica di promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale. Il quadro di riferimento europeo appena delineato permette di comprendere la nuova prospettiva che le Linee guida introducono nella scuola italiana. L’orientamento permanente si propone infatti come un processo diacronico che: accompagna l’individuo per tutto l’arco della vita, in risposta a esigenze e bisogni formativi diversificati e in rapido cambiamento; si realizza attraverso l’intervento integrato di una pluralità di soggetti, istituzioni e figure professionali specifiche; u influenza positivamente non solo il singolo cittadino ma la società tutta, contribuendo all’occupazione attiva, alla crescita economica e all’inclusione sociale. u u
Una visione ampia e articolata, che supera l’impostazione tradizionale dell’orientamento meramente informativo e limitato ai principali momenti di transizione del percorso scolastico, solitamente destinato alle ultime classi delle scuole secondarie di primo grado e alle classi quarte o quinte delle scuole secondarie di secondo grado, a conclusione delle quali i fattori che maggiormente influenzano le decisioni e incidono sulle scelte risultano ancora oggi il rendimento scolastico, le aspettative dei genitori, il giudizio degli insegnanti, le
scelte operate dai compagni di classe, la vicinanza e la raggiungibilità della scuola o dell’università. I dati relativi all’insuccesso e alla dispersione scolastica in Italia, attestati ben al di sopra delle medie europee e del 10% previsto dal Piano strategico «Europa 2020», confermano la necessità di ripensare il concetto di orientamento e affinché esso rappresenti non più solo un momento informativo ma divenga un sistema integrato di servizi che, coinvolgendo i diversi gradi dell’istruzione dai 3 ai 19 anni, sia volto tanto a promuovere il successo individuale e lo sviluppo sociale attraverso la conoscenza di sé e del contesto di riferimento, tanto a favorire l’elaborazione di progetti di vita, di studio e di lavoro più consapevoli e coerenti con le inclinazioni, le attitudini, le competenze di ciascuno ma anche con le prospettive del mercato del lavoro.
2. Impostazione e struttura generale del documento Le Linee guida sono accompagnate da una breve nota di trasmissione a firma del Ministro Carrozza e articolate in una premessa, cinque paragrafi dedicati a singoli aspetti del tema generale, tre allegati. Nella poche righe di accompagnamento si pone l’accento sul valore strategico del nuovo concetto di orientamento permanente, non più solo «strumento per gestire la transizione tra scuola, formazione e lavoro» ma «valore permanente nella vita di ogni persona», tale da «promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale». È tuttavia necessario a tale scopo l’impegno «ai vari livelli in uno sforzo di integrazione», vale a dire superare la condizione di isolamento in primo luogo della scuola e realizzare un sistema integrato di orientamento in cui i soggetti a vario titolo coinvolti nel processo (famiglia, scuola, università, mondo del lavoro, associazionismo e terzo settore) possano insieme mettere a punto e realizzare percorsi e servizi di orientamento in grado di impattare più efficacemente sul futuro delle persone e della società.
3. La premessa Nella premessa le Linee guida rinviano a un ampio quadro di interventi europei e nazionali e, in coerenza con essi, si propongono di contribuire allo sforzo congiunto di migliorare il sistema di istruzione e formazione e i servizi di orientamento, alla luce dei cambiamenti in atto nel mondo del lavoro e dell’economia. Così, la nuova prospettiva dell’orientamento permanente può essere meglio compresa se inserita nella cornice di riferimenti che fanno da premessa ai contenuti essenziali del documento e che possono ricondursi a: Le politiche europee, in particolare nelle strategie di «Lisbona 2010» e di «Europa 2020» che, considerando «l’orientamento lungo tutto il corso della vita» quale «diritto permanente di ogni persona», aprono la strada a una visione più moderna della formazione professionale che garantisca: ⦁ massimo accesso dei giovani all’apprendimento permanente; ⦁ maggiore mobilità dei giovani; ⦁ maggiore qualità dei corsi e acquisizione di competenze necessarie a lavori specifici; ⦁ maggiore inclusione; ⦁ la creazione di una mentalità creativa, innovativa e imprenditoriale. u
Le politiche nazionali, in particolare nel D.L. n. 104/2013 convertito dalla legge n. 128/2013 «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», che agli artt. 8 e 8bis aveva previsto: ⦁ interventi a sostegno dei percorsi di orientamento rivolti agli alunni, anche con disabilità, della scuola di primo e secondo grado; ⦁ il rafforzamento del legame tra istruzione e formazione per il lavoro, con la previsione di giornate di formazione in azienda, particolarmente per gli istituti tecnici e professionali; ⦁ il rafforzamento dell’apprendistato di alta formazione nei percorsi ITS; ⦁ la sperimentazione di contratti di apprendistato per gli studenti del penultimo e ultimo anno, con oneri a carico delle imprese interessate. u
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Il processo di condivisione e integrazione in atto tra soggetti e istituzioni competenti, con particolare riferimento: ⦁ all’accordo fra Governo, Regioni ed Enti Locali del 5 dicembre 2013 sul documento «Definizione delle linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente»; ⦁ al piano «Garanzia per i giovani» finalizzato a garantire ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro o di formazione; ⦁ ai lavori e ai documenti prodotti da soggetti pubblici e privati competenti in materia; ⦁ alla programmazione comunitaria, volta a prevenire il disagio giovanile e a rafforzare le competenze della popolazione adulta e in particolare ai NEET (Not in Education , Employment or Training ).
Esplicito è anche il richiamo alle previgenti Linee guida e all’importante ruolo che a livello territoriale potrebbero giocare i team regionali operanti a livello degli Uffici scolastici regionali, ai fini della costituzione di reti finalizzate alla realizzazione di azioni di contrasto alla dispersione scolastica e all’insuccesso formativo.
4. L’orientamento a scuola La nuova prospettiva dell’orientamento permanente assegna naturalmente un ruolo centrale alla scuola, in quanto luogo privilegiato della formazione e della crescita degli studenti, dell’acquisizione di competenze di base e trasversali, dello sviluppo della loro identità personale, della loro autonomia. Le Linee guida ribadiscono pertanto la necessità che tutti i percorsi e i livelli scolastici, dai 3 ai 19 anni, realizzino attività di orientamento, autonomamente o in rete, impegnandosi a modificare l’approccio tradizionale, a superare l’impostazione informativa e frammentaria delle attività orientative, a ripensare l’idea stessa di istruzione affinché la scuola sia al passo con i tempi, con le mutate esigenze della società e del mondo del lavoro, con i nuovi modelli e stili di apprendimento, con i bisogni specifici degli studenti, particolarmente di coloro che sono più deboli e più esposti al rischio di esclusione sociale e culturale. Secondo il nuovo approccio, dunque, compito della scuola è mettere gli studenti in grado di identificare le proprie capacità, i propri interessi, le proprie competenze, di prendere decisioni consapevoli riguardo alla prosecuzione degli studi e all’inserimento lavorativo. Per far ciò, occorre che la scuola abbandoni un modello di orientamento ormai superato e l’attività orientativa divenga parte integrante dell’azione educativa, nella logica del lifelong learning , del lifewide learning , del lifelong guidance e del career guidance , secondo la definizione di orientamento permanente desunta dalla Risoluzione del Consiglio d’Europa del 2008 sopra richiamata. I livelli di intervento che le Linee guida indicano alla scuola sono essenzialmente di due tipi: 1. L’orientamento formativo o didattica orientativa/orientante. In questo caso l’orientamento si realizza per tutti gli alunni nel corso dello stesso processo di insegnamento/apprendimento. Infatti, attraverso le attività programmate dal docente gli studenti sono accompagnati verso l’acquisizione di competenze di base, abilità cognitive, logiche e metodologiche, competenze trasversali, comunicative e metacognitive: un vero e proprio processo di maturazione, in cui la scuola ha il compito di aiutare gli studenti, singolarmente o in gruppi o a classe intera, a identificare i propri interessi, le opportunità e le risorse, ad affrontare i processi decisionali riguardanti la propria istruzione e il proprio futuro, a compiere scelte motivate, ad auto-orientarsi, a elaborare un progetto personale di studio e di vita. È evidente come l’orientamento formativo, o didattica orientativa, si configuri come un processo continuo e complesso, che considera lo studente nella sua globalità e in rapporto ai numerosi fattori che influiscono sulla sua crescita e sulla sua maturazione, sia di natura cognitiva, che emotiva e sociale. Lungo tale processo il docente svolge una importantissima funzione tutoriale, aiuta infatti lo studente a comprendere meglio se stesso, a diventare consapevole delle proprie inclinazioni, delle proprie attitudini e capacità, a conoscere il proprio stile di apprendimento e i propri processi cognitivi, a scegliere, a orientarsi. 2. Le attività di accompagnamento e di consulenza orientativa Le attività di accompagnamento e di consulenza orientativa si svolgono per lo più al di fuori dell’orario curricolare e rispondono a bisogni specifici di singoli alunni o di gruppi di alunni: sportelli di informazione sugli sbocchi professionali, sull’offerta formativa del territorio, sul mercato del lavoro e i suoi cambiamenti, oppure vere e proprie azioni di consulenza formativa e di sostegno alla progettualità, che possono prevedere anche il coinvolgimento dei servizi sul territorio, dei centri per l’impiego, di figure esterne in possesso di specifiche competenze professionali. Il docente e/o la figura esperta accompagnano la riflessione, favoriscono la capacità degli studenti di fare un bilancio delle proprie esperienze, attitudini, aspirazioni, delle proprie competenze e di operare una mediazione tra queste e le richieste del mondo del lavoro, non solo locale. Una forte funzione orientativa possono assumere, in questo senso, i percorsi di alternanza scuola-lavoro, gli stage, le esperienze in azienda che permettono il consolidamento delle competenze trasversali degli studenti. Le Linee guida individuano inoltre i processi essenziali attraverso cui ogni scuola può operare il cambiamento di prospettiva, nell’ottica della didattica e consulenza orientativa: Definire un curricolo formativo unitario e verticale, dai 3 ai 19 anni, recuperando nei vari gradi dell’istruzione il valore del lavoro. Valorizzare la funzione orientativa delle discipline. u Erogare servizi di orientamento, di tutorato e di accompagnamento. u Predisporre un piano di standard minimi per l’orientamento da inserire nel POF. u u
Si tratta cioè di portare a sistema l’orientamento permanente attraverso la messa in trasparenza di percorsi e servizi da realizzare anche in collaborazione con il territorio (centri per l’impiego, amministrazioni locali, servizi socio-sanitari ecc.), a partire dall’analisi dei fabbisogni del territorio e dei bisogni delle persone. Si tratta, soprattutto, di superare l’occasionalità degli interventi attraverso la progettazione di una più ampia gamma di opportunità formative che arricchiscono e qualificano il Piano dell’offerta formativa.
5. Il sostegno della scuola ai percorsi di orientamento formativo Le Linee guida richiamano l’attenzione su ben precisi strumenti e azioni di fondamentale importanza per implementare i processi sopra richiamati e realizzando con efficacia i percorsi di orientamento formativo all’interno del Piano dell’offerta formativa. Ogni istituto è chiamato a individuare, sin dalla scuola primaria, specifiche figure di sistema, a investire nella formazione iniziale e in servizio dei docenti, a documentare le fasi essenziali del percorso scolastico e le attività di orientamento realizzate, a promuovere l’educazione alla
cultura del lavoro e all’imprenditorialità come parte integrante dell’orientamento, a sensibilizzare e coinvolgere i genitori degli alunni. 5.1 Figura di sistema (tutor dell’orientamento)
La previsione per tutti gli istituti, a partire dalla scuola primaria, di una figura di sistema o tutor dell’orientamento, risponde all’esigenza sempre più diffusa di figure professionali dedicate a specifiche aree di progettualità. Si tratterebbe del cosiddetto middle management , ossia di quei docenti in possesso di competenze organizzative e professionali più ampie e specializzate rispetto alla sola funzione docente, in grado di garantire la funzionalità dei processi, presidiare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, coordinare le risorse necessarie, sostenere e finalizzare l’impegno dei colleghi. In concreto, il tutor dell’orientamento corrisponderebbe a un nuovo profilo di docente in grado di svolgere, avendone il tempo e le competenze, tutti i compiti organizzativi e di coordinamento connessi alla realizzazione dei diversi interventi di orientamento programmati. All’interno della scuola il tutor dell’orientamento dovrebbe organizzare e coordinare le attività rivolte agli studenti, relazionarsi con il gruppo di docenti della commissione orientamento; personalizzare gli interventi, organizzando e coordinando attività di orientamento mirate e in grado di rispondere ai bisogni specifici di particolari target , come gli alunni in condizioni di disagio o plusdotati. All’esterno della scuola il tutor dell’orientamento dovrebbe relazionarsi con gli orientatori esterni, con le reti di orientamento eventualmente presenti sul territorio, con singole figure professionali. Considerata la funzione strategica della figura di sistema, le Linee guida dedicano al tutor dell’orientamento e ai suoi compiti buona parte dell’allegato 1, contenente una «Nota sulla figura di sistema». Vi si individua lo specifico ambito di intervento, quello della cura delle relazioni, e se ne declinano in maniera precisa gli ambiti di intervento e i compiti: Progettare e coordinare attività di accompagnamento rivolte agli studenti e ai genitori. Assicurare il raccordo con i dipartimenti disciplinari allo scopo di presidiare efficacemente la didattica orientativa. u Mantenere i rapporti con il territorio allo scopo di consolidare le collaborazioni, partecipare alle reti esistenti, promuoverne di nuove. u u
Si comprende come l’esercizio di competenze professionali e organizzative così specializzate da parte della figura di sistema non possa che richiedere alla scuola un investimento in formazione, in particolare sui temi dell’orientamento e della comunicazione interpersonale. A fronte di tale investimento e impegno, sarebbe importante che la scuola avesse gli strumenti per la stabilizzazione di figure fortemente specializzate che solo attraverso una collaborazione pluriennale possono essere messe in grado di non disperdere l’esperienza professionale, mettere a sistema le buone pratiche, consolidare la rete di relazioni, assicurare la trasferibilità delle esperienze realizzate, produrre innovazione all’interno dell’istituzione scolastica. 5.2 Formazione dei docenti
La visione ampia e articolata dell’orientamento introdotta dalle Linee guida presuppone la centralità del ruolo del docente, impegnato come si è detto nella didattica orientativa, nell’accompagnamento degli studenti, nel presidio di processi di natura organizzativa e educativa, nella comunicazione interna ed esterna su temi non sempre strettamente disciplinari. La formazione obbligatoria iniziale e continua di tutto il personale docente della scuola diventa così un elemento chiave dello sviluppo e dell’innovazione scolastica in tema di orientamento, oltre che della valorizzazione professionale dei docenti stessi. Le Linee guida vi fanno riferimento ipotizzando interventi da realizzare sia nella fase sia della formazione iniziale, sia della formazione in servizio. La formazione iniziale dei docenti di nuova nomina dovrebbe includere moduli obbligatori sulla didattica orientativa, sulle tecnologie della comunicazione, sulla gestione del gruppo classe, sulle tecniche e le metodologie di orientamento, sulla costruzione di un progetto di orientamento, sulla conoscenza del mondo del lavoro. La formazione continua per tutti i docenti in servizio dovrebbe prevedere percorsi di approfondimento del contesto socioeconomico, del mondo universitario, del mercato del lavoro, dell’imprenditorialità, della cultura e dell’etica del lavoro. Sia che si tratti di master universitari sull’orientamento, sia che si tratti di percorsi di perfezionamento, la formazione appare nelle Linee guida quale condizione imprescindibile dell’azione professionale di tutti i docenti che, per poter dare un taglio orientativo all’azione didattica, dovranno conoscere il contesto socioeconomico e i problemi specifici del mondo del lavoro. Le metodologie attraverso cui erogare la formazione dei docenti dovrebbero prevedere sia la modalità in presenza, sia la modalità on line ma una delle condizioni di efficacia di tali momenti di formazione e aggiornamento anche in servizio starebbe soprattutto nel coinvolgimento, insieme al personale della scuola, di operatori provenienti da altri settori, quali i centri per l’impiego o la formazione professionale: la condivisione dell’esperienza formativa permetterebbe infatti ai diversi partecipanti il confronto di esperienze e prospettive, lo scambio professionale, la condivisione di linguaggi e metodologie operative, rafforzando le intese e la capacità di progettazione integrata degli interventi. 5.3 Cultura del lavoro e dell’imprenditorialità come parte integrante dell’orientamento
A sostanziare il nuovo concetto dell’orientamento permanente, interviene il richiamo alla conoscenza approfondita dello scenario sociale ed economico caratterizzato, come appena detto, da profondi mutamenti e contrassegnato in Italia dalla difficile transizione tra mondo dell’istruzione e della formazione e mondo del lavoro. Dalla consapevolezza della difficoltà di tale transizione deriva la proposta di introdurre nella scuola e inserire stabilmente nei piani dell’offerta formativa percorsi di educazione alla cultura del lavoro e all’autoimprenditorialità, già positivamente sperimentati in numerose istituzioni scolastiche attraverso sinergie tra scuola, imprese e territorio. Affinché dunque l’orientamento permanente promuova la cittadinanza attiva e responsabile, è necessario che non solo gli studenti siano
accompagnati a conoscere se stessi, la propria dimensione psicologica e individuale, i fattori cognitivi e affettivi che condizionano i loro stili di apprendimento, occorre offrire loro anche l’opportunità di sperimentare l’esperienza diretta del mondo del lavoro attraverso visite aziendali, l’alternanza scuola-lavoro, i tirocini, di mettere in gioco nel contesto aziendale quanto appreso a scuola, di partecipare a specifici progetti di imprenditorialità, approfondendo la conoscenza della comunità di appartenenza, nella sua identità sociale e professionale, nella sua memoria storica, nei valori condivisi. È infatti indubbio che la transizione tra scuola e lavoro, lo sviluppo professionale, l’inclusione e l’occupazione sono obiettivi molto complessi, per il cui conseguimento la scuola deve rafforzare reti e partenariati a livello locale con il terzo settore, le imprese, il territorio che recuperano il proprio ruolo formativo e supportano le scuole a sviluppare la cultura del lavoro, rendendo gli studenti più capaci di orientarsi nel mercato del lavoro in rapido cambiamento. 5.4 Documentazione dei percorsi e delle attività di orientamento
La documentazione è un momento essenziale dell’attività progettuale della scuola e lo è anche in riferimento alla realizzazione delle attività di orientamento permanente. Attraverso la documentazione, infatti, è possibile garantire la continuità e la trasparenza dei processi; monitorare le azioni di orientamento realizzate; seguire l’andamento degli esiti scolastici degli studenti anche a lungo termine. Si tratta insomma di una attività di carattere trasversale, che permette alla scuola di conservare memoria delle esperienze realizzate, di farle conoscere, di non disperdere i risultati, di sostenere il lavoro dei docenti attraverso la diffusione delle buone pratiche. Secondo quanto contenuto nelle Linee guida, ciascuna scuola dovrebbe essere in grado di documentare: Le attività sull’orientamento in specifici archivi (anche via web) accessibili a tutti allo scopo sia di scambiare informazioni, sia di monitorare l’andamento delle attività, sia di promuovere l’auto-valutazione e la valutazione. u Le fasi essenziali del percorso scolastico e di orientamento di ciascun alunno, a partire dalla scuola d’infanzia, attraverso la strutturazione di un portfolio o e-portfolio u
5.5 Sensibilizzazione/formazione dei genitori (entro il Patto di corresponsabilità educativa)
Le Linee guida affrontano il tema del coinvolgimento dei genitori e della loro sensibilizzazione, attraverso specifiche azioni di informazione e formazione progettate dalla scuola, allo scopo di realizzare efficacemente il Patto di corresponsabilità scuola-famiglia non sempre da solo sufficiente a promuovere la partecipazione consapevole delle famiglie all’azione educativa e orientativa della scuola. I genitori d’altra parte, in quanto educatori primari, possono giocare un ruolo determinante nel supportare l’orientamento dei figli, nel favorirne i processi decisionali e le scelte. Non sempre pronti al dialogo e all’ascolto dei figli, non sempre disponibili a favorire le loro scelte autonome, non sempre a conoscenza delle opportunità formative del territorio, essi concorrono tuttavia a tale scelta, pur tra dubbi e incertezze, particolarmente al momento del passaggio alla Scuola secondaria di secondo grado. D’altra parte numerosi fattori di ordine culturale, linguistico, sociale ed economico possono condizionare in modo sensibile la capacità dei genitori di contribuire efficacemente alle scelte dei figli, così come la capacità decisionale degli studenti può essere più o meno esposta ai condizionamenti degli stessi genitori o dei coetanei. In ogni caso, il momento della scelta è un momento critico e richiede un supporto esterno che aiuti sia i genitori che gli studenti a riflettere più attentamente sulle diverse opportunità e a compiere una scelta consapevole. Le Linee guida si soffermano su almeno due azioni specifiche da rivolgere ai genitori: Corsi di formazione: essi rappresentano un momento importante perché permettono di fornire informazioni e strumenti di cui spesso i genitori sono privi ma che sono utili a supportare i figli nelle scelte, basti pensare alle informazioni sulle opportunità formative del territorio, sul mondo del lavoro, gli sbocchi professionali che taluni indirizzi di studio possono far prevedere. u Consulenza psicologica: si tratta di interventi più mirati ma molto importanti, che possono prevedere anche colloqui individuali in presenza di specifiche criticità, quali il rischio di abbandono e dispersione scolastica di alunni poco motivati o a rischio di esclusione. u
Le attività informative e formative rivolte ai genitori si configurano quindi come iniziative non occasionali e frammentarie e la loro previsione nel Patto di corresponsabilità educativa sopra richiamato può costituire la premessa di un coinvolgimento reale ed efficace, piuttosto che risolversi come talvolta accade in un mero adempimento formale e burocratico.
6. Orientamento permanente e inclusione sociale Le Linee guida evidenziano il ruolo strategico dell’orientamento permanente nel promuovere l’inclusione sociale e favorire l’inserimento nel mondo del lavoro dei soggetti più vulnerabili. È necessario, a tale scopo, superare la condizione di solitudine e costituire una vera e propria «comunità orientativa educante» di cui siano parte integrante la scuola, la famiglia, le istituzioni e i servizi del territorio. A tale riguardo le Linee guida ricordano il pacchetto di interventi «Gioventù in movimento» con cui sin dal 2010 l’Unione europea ha proposto azioni concrete a sostegno dei giovani e del loro inserimento lavorativo, migliorando le loro qualifiche, la qualità dell’istruzione e le opportunità di formazione. Per costituire un sistema integrato e responsabile, finalizzato a favorire lo sviluppo personale e professionale, sostenere l’occupabilità, garantire l’inclusione sociale e superare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, tra le competenze dei giovani e le richieste del mercato del lavoro, è necessario puntare sulle potenzialità dei giovani attraverso l’empowerment , rafforzare le reti tra i sistemi
dell’istruzione e formazione e le realtà economiche e sociali, porre attenzione alle competenze che i giovani devono possedere e che sono necessarie per adattarsi ai cambiamenti sociali e alle trasformazioni del mondo del lavoro. Si tratta delle cosiddette competenze orientative, definite dall’Unione europea career management skills : competenze che permettono di gestire autonomamente informazioni, prendere decisioni, affrontare le transizioni e i cambiamenti. In uno scenario caratterizzato dalla crisi economica, dalla mancanza di posti di lavoro, in cui la fragilità dei legami socio-familiari accentua la vulnerabilità dei soggetti più deboli, l’orientamento permanente deve valorizzare le competenze orientative per promuovere la partecipazione proattiva alla vita sociale, la possibilità degli individui più deboli di elaborare e realizzare un progetto di vita e di lavoro. In questo senso, l’orientamento diviene «un’azione sociale», sostiene il soggetto nel complesso processo di socializzazione, assicura una solida e stabile occupabilità a coloro che sono più esposti al rischio di esclusione politica, culturale e sociale: sia che si tratti di giovani che hanno abbandonato la scuola, che non hanno completato il percorso di studi, che sono in difficoltà nel processo di integrazione sociale e professionale. In quanto parte essenziale della comunità orientativa educante sopra richiamata, la scuola può favorire l’inclusione sociale attraverso la creazione di un nuovo e aperto ambiente di apprendimento, non finalizzato alla trasmissione tradizionale del sapere, ma in grado di rispondere a bisogni specifici attraverso interventi, anche di carattere strutturale e permanente, finalizzati a: Potenziare la collaborazione con il mondo del lavoro sia nell’ambito della progettazione che della valutazione. Sviluppare esperienze imprenditoriali, come nel caso delle start up che valorizzano lo spirito di iniziativa imprenditoriale dei giovani. u Creare laboratori di career management skills . u Condividere modelli di certificazione delle competenze. u Sviluppare e rendere strutturali stage e tirocini. u Promuovere l’apprendistato. u Individuare le migliori pratiche sperimentate con successo. u u
7. Orientamento e Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) Anche le Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) hanno un posto rilevante nella società della conoscenza, per le potenzialità che assumono ai fini dell’apprendimento, dell’orientamento, dell’inserimento nel mondo del lavoro, dell’inclusione. L’«Agenda Europa 2020» attribuisce a esse un ruolo chiave ai fini del raggiungimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva che l’UE si è prefissata per il 2020. Per quanto riguarda in modo specifico i servizi di orientamento, nella realtà i servizi on line coesistono con l’erogazione di servizi in presenza. In ogni caso, la prospettiva di affidare alle TIC le azioni orientative richiede alla scuola di verificare che esistano le condizioni per l’uso efficace dei servizi on line nel tempo, ponendo particolare attenzione agli aspetti di maggiore criticità, quali: Il digital divide : è necessario cioè accertare che tutti gli studenti e tutte le famiglie possano accedere al web e a risorse tecnologiche di qualità. La mancanza di formazione specifica: i docenti e gli operatori del servizi di orientamento on line richiedono di essere specificamente formati allo scopo. u Trasparenza e inclusività degli strumenti: l’erogazione di servizi di orientamento on line richiede la progettazione di strumenti idonei, che garantiscano l’accessibilità e l’usabilità da parte di tutti gli utenti. u u
8. Integrazione tra i sistemi In chiusura del documento, le Linee guida tornano su un tema cruciale, richiamato sin dall’apertura: l’integrazione dei sistemi. È necessario, infatti, superare la frammentazione degli interventi e dei compiti e aderire a una visione globale dell’orientamento permanente, che componga in un quadro unitario le competenze dei diversi soggetti e definisca un sistema integrato e centrato sulla persona. A tale riguardo viene richiamato l’Accordo in Conferenza unificata del 5 dicembre 2013 per la «Definizione delle linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente», un precedente importante che ha cercato di superare la frammentazione di competenze e responsabilità in tema di orientamento definendo il livello di governance con riferimento al coordinamento interistituzionale dell’insieme degli interventi realizzati a livello territoriale Una delle maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi per l’orientamento permanente da parte degli utenti è infatti determinata dalla mancanza di integrazione tra le competenze dei diversi soggetti interessati e, soprattutto, la mancanza di un approccio sinergico che renda maggiormente efficaci i singoli interventi. Un modello positivo è costituito dall’esempio delle reti – sia reti di scuole, sia reti costituite con la partecipazione di altri soggetti – per la capacità strategica che le stesse hanno di promuovere e valorizzare lo scambio di buone pratiche tra i diversi soggetti della rete, di produrre legami, dialogo, condivisione, di rispondere a bisogni diversificati e a richieste di servizi specifici. Il tema del lavoro in rete è dunque considerato in chiusura come tema chiave della formazione continua degli insegnanti, allo scopo di garantire un rapporto stabile tra i principali attori dell’orientamento, migliorare la qualità dell’offerta, valutare in termini di efficacia ed efficienza i risultati conseguiti, anche nell’ottica del bilancio sociale.
9. Allegati al documento Le Linee guida presentano tre allegati contenenti annotazioni relative ad alcuni dei temi più controversi già trattati: Nota sulla figura di sistema; Nota su Alternanza scuola-lavoro, stage e tirocini (Allegato 1) L’allegato 1 torna sulla figura di sistema e sulla mancanza nella scuola di figure appositamente formate e stabilmente inserite nell’organizzazione scolastica, specificamente dedicate alla cura delle relazioni e al presidio dei processi previsti per la realizzazione del piano di orientamento. Ciò sancisce l’incompiutezza dell’autonomia scolastica, poiché l’assenza del middle management nella scuola, impedisce di investire sullo sviluppo e sull’innovazione dei processi. Riguardo all’alternanza scuola-lavoro, stage e tirocini si evidenzia come tali percorsi, per quanto ben distinti, vengano spesso assimilati nel linguaggio corrente. Ricorda poi la funzione tutoriale prevista per i percorsi di alternanza scuola-lavoro dall’art. 5 del D.lgs. 77/2005 ed esercitata da un tutor interno e un tutor esterno. u Portali dedicati all’orientamento (Allegato 2) Il secondo allegato è dedicato ai portali per l’orientamento, in quanto strumenti utili sia a garantire l’integrazione delle risorse e dei soggetti, sia a favorire l’accesso alle risorse digitali per l’orientamento, a un glossario nazionale per l’orientamento, ai materiali didattici sull’orientamento, alle buone pratiche. I portali possono anche favorire la formazione continua dei docenti e azioni di informazione, formazione e documentazione a uso di tutti i soggetti interessati. Per favorire l’accesso e la fruibilità si propone di avviare l’analisi di siti web e portali per l’orientamento interconnessi e si cita come utile riferimento il portale MIUR di recente attivazione: www.istruzione.it/orientamento/ . u Proposta di strumenti per l’integrazione dei sistemi (Allegato 3) Il terzo allegato propone strumenti per l’integrazione dei sistemi, ipotizzando la costruzione di «Centri interistituzionali per l’orientamento permanente» operanti come multi-agency di orientamento. Progetti comunitari già sperimentati in provincie e regioni italiane costituiscono l’esempio di riferimento. u
5. La relazione educativa: un aspetto performante dell’insegnamento a cura di Daniele Scarampi
«Non si tratta di vedere o sentire cose diverse, si tratta di guardarle e ascoltarle in modo diverso». Arthur Conan Doyle «Il fallimento di una relazione è sempre un fallimento di comunicazione». Zygmunt Bauman
1. L’architrave della relazione educativa Aspetto fondante della relazione tra l’educatore e colui che viene educato risiede nella complicità tra i valori del primo e le convinzioni del secondo; complicità che sovente si traduce in un rapporto di reciproca fiducia, orientato verso una prospettiva futura condivisa. Ora, la relazione tra educante e educato si gioca sull’assai delicato equilibrio tra l’accoglienza incondizionata da parte delle figura adulta di riferimento, che si sostanzia nella valorizzazione del giovane e delle sue potenzialità, e l’accoglienza condizionata o «richiedente», che presuppone invece la richiesta di alcune prestazioni del giovane, dimodoché l’educatore non accondiscenda – in modo acritico e permissivo – ai valori e ai bisogni di cui i giovani con cui opera sono portatori (Mario Pollo, 2004). Primo presupposto della relazione educativa è comunque la condivisione, da parte di chi deve educare, del mondo dell’educato: essa si compie attraverso la fiducia reciproca, ma anche mediante il riconoscimento degli interessi e delle priorità in capo al giovane, che siano essi di tipo ricreativo o culturale; fondamento dell’educazione è infatti la presa di coscienza della possibilità di educare le persone partendo dai «frammenti» della loro esistenza e dalla complessità degli interessi che ne conseguono. L’educando non è una monade, piuttosto è immerso in un ambiente sociale intessuto di relazioni e di stimoli: la relazione educativa non può in alcun modo prescindere dal contesto multidimensionale in cui si compie. In altri termini, la mission dell’educatore – e più specificamente del docente – si realizza compiutamente nella relazione educativa, la quale intercetta una serie di variabili: la globalità degli individui, considerati nella loro interezza, i punti di forza e i punti di debolezza della persona, nonché l’integrazione individuo-società, a seconda dei contesti differenti e delle situazioni mutevoli (Giuseppe Perpiglia, 2018). Del resto i processi afferenti alla relazione educativa comprendono sia il saper fare sia il saper essere dell’educatore/docente; non a caso l’etimo del termine educare riporta al latino ex ducere , ovverosia «condurre fuori», incentivare, favorire l’emergere nell’individuo di tutto ciò che può esser funzionale alla propria maturazione interiore, allo scopo di condurlo verso una cittadinanza attiva e consapevole. Il processo d’apprendimento è un cammino complesso e si compone di una fase d’acquisizione delle conoscenze, di una fase procedurale di quanto è stato appreso e, infine, di un’ultima fase in cui si sostanzia una rielaborazione attiva da parte del soggetto: in tutti questi passaggi un ruolo di prim’ordine è ricoperto dalla qualità della relazione educativa, poiché essa incoraggia, sollecita e incentiva ciò che si è appreso, costruendo vissuti emozionali positivi. 1.1 La reciprocità relazionale passa per l’asimmetria educativa
Atteso che la relazione educativa tra educante e educato si fonda sulla reciprocità e la fiducia, elementi peraltro imprescindibili, essa non concede al primo – sia esso educatore o docente – la libertà di costruire un’interazione simmetrica con il secondo, di fatto eludendo le profonde differenze esperienziali e generazionali. L’educatore invece, affinché possa garantire con efficacia il proprio ruolo, dev’essere in grado di sfruttare compiutamente il gap generazionale, attraverso oculate strategie, allo scopo di colmare la distanza emotiva fino a eliminarla. Invero la distanza generazionale è quanto di più naturale ci possa essere e, in qualche modo, non è che lo specchio dei processi evolutivi d’ogni civiltà e garanzia di progresso e di miglioramento continuo. Ne consegue che la relazione educativa, e ancor prima la relazione comunicativa, debbano prevedere – per progredire – un educatore e un educato per certi versi simili e per altri differenti. Infatti il patrimonio valoriale e culturale, che l’adulto trasmette al giovane, può passare soltanto se c’è un’asimmetria, una sorta di differenza potenziale tra i due (Luft, 1975). Attraverso l’asimmetria delle relazioni educative, insomma, i processi sociali e culturali si tramandano e l’essere un buon educatore/docente presuppone la capacità di cementare una relazione con i giovani che sia asimmetrica, dialogica e intergenerazionale. 1.2 Informazione e relazione: le basi della comunicazione autentica
Per comunicazione autentica s’intende quella relazione comunicativa che permette a coloro che comunicano di porsi senza filtri l’uno dinanzi all’altro: essa consente agli individui una crescita emotiva significativa e il superamento di quelle barriere che solitamente sono d’ostacolo. La comunicazione autentica è quindi interattiva e bidirezionale, perché l’invio di uno o più messaggi è subito seguito da un feedback da colui che li riceve; nel comunicare autenticamente ci si influenza, in quanto non passa solo l’oggetto che viene comunicato, bensì anche la dimensione personale/affettiva tra il mittente e il destinatario: all’informazione fa seguito la reazione personale (ossia la
comunicazione dell’effetto prodotto dal messaggio) e, sovente, una reazione «giudicante», con la quale chi riceve il messaggio esprime un giudizio di merito sulle idee del mittente (D. Jackson, 1971).Allo scopo di costruire una comunicazione autentica, l’interazione tra i comunicanti è condicio sine qua non , dal momento che stimola la costruzione di significati condivisi, «universi comuni» che uniscono e avvicinano, pur mantenendo intatta la dimensione personale. Di più: comunicare in modo autentico significa sapersi esprimere restando fedeli alla nostra verità interiore pur percependo, al contempo, la realtà altrui in modo simmetrico e complementare (Margherita Pagni, 2008); del resto, la pragmatica della comunicazione è una dimensione molto complessa: l’effetto che si ottiene non dipende soltanto dal significato di ciò che si dice, ma da come lo si dice, dal rapporto tra gli interlocutori, dal contesto e da svariati altri fattori, che non possono prescindere dalla credibilità di chi sta comunicando e dall’autenticità del rapporto che si viene a creare con l’interlocutore. 1.3 L’ascolto attivo come presupposto del dialogo educativo: l’insegnante animatore e facilitatore
Dunque, come già sottolineato in precedenza, la comunicazione interpersonale autentica si compie attraverso una complessa interazione; è poi mediante il dialogo che si realizza pienamente, in quanto la dialogicità – come ben intuito da Mario Pollo (2004) – è l’unica forma di comunicazione umana autentica e solidale, in grado oltretutto di garantire elementi basilari quali la reciprocità, la terziarietà del messaggio (che deve essere impostato affinché il ricevente lo possa «tradurre» in modo comprensibile) e, non in ultimo, l’introiezione dell’immagine dell’altro (presupposto del processo conoscitivo tra gli interlocutori). L’educatore/docente deve partire anzitutto dall’ascolto attivo, che si sostanzia nello spazio che intercorre tra la trasmissione del messaggio da parte dell’interlocutore e la ricezione da parte del destinatario: esso non è che un atto intenzionale che ci impegna a cogliere quanto chi ci sta dinanzi riferisce in modo implicito o esplicito, a livello verbale e non verbale. Ascoltare attivamente il proprio interlocutore contribuisce a connettersi con il suo modo di osservare il mondo e, di conseguenza, dà la possibilità di costruire un messaggio che sarà in grado di comprendere (Marianella Sclavi, 2003). Se la qualità della relazione è basilare in qualsiasi tipo di comunicazione, l’ascolto attivo, maieutico ed empatico, ne è il presupposto. L’educatore/docente, in un contesto didattico ormai sempre più laboratoriale, è facilitatore, animatore e mediatore. Facilitatore perché utilizza linguaggi adeguati e strategie comunicative efficaci; animatore perché fa emergere e valorizza le potenzialità dei discenti; mediatore perché instaura relazioni autentiche con i ragazzi, attraverso sensibilità, flessibilità e apertura al dialogo, stimolando in questo modo gli stili extra cognitivi e meta cognitivi, quali la motivazione, l’autostima e l’autoefficacia (Renza Cerri, 2015).
2. Il ruolo dell’insegnante nella relazione educativa Il ruolo dell’insegnante, base del processo d’apprendimento, si realizza e si compie nella relazione educativa che, a sua volta, poggia sul quel rapporto dinamico capace di sviluppare integralmente la personalità dello studente. A lungo l’educazione si è basata su un mero trasferimento di informazioni dal docente al discente, tuttavia la spinta motivazionale ad apprendere passa giocoforza solo attraverso la capacità di gestire e indirizzare i propri stati emotivi verso obiettivi prefissati (Laura Alberico, 2019). In questo contesto la relazione educativa concorre a fornire un processo di acquisizione di conoscenze significativo e non sterile. Come già arguito da C.R. Rogers, la relazione educativa abbisogna di una triade di atteggiamenti chiave: l’autenticità, la considerazione positiva e, soprattutto, la comprensione empatica; ne consegue che l’insegnante facilitatore è chiamato a costruire un legame di fiducia e di sicurezza emotiva, dal quale nascerà il processo di educazione e di formazione dell’individuo. La relazione educativa, comunicativa e mediativa (dal momento che costruisce ponti tra il soggetto e l’oggetto da apprendere), fa sì che l’insegnamento diventi efficace e significativo, fornendo cioè ai discenti gli strumenti metodologici necessari per rielaborare le proprie conoscenze e trasferirle in contesti pratici e operativi. L’educatore quindi, nell’insegnare a imparare , stimola mediante la relazione l’autovalutazione dei processi d’apprendimento: così l’approccio metacognitivo stimola la regolazione del pensiero e la riflessione personale sui processi cognitivi, a giovamento dell’apprendimento permanente. Il quadro emotivo contribuisce al successo dell’apprendimento, perché concretizza l’interiorizzazione dei saperi, coinvolgendo le risorse emotive. 2.1 L’insegnamento significativo: la maieutica dell’apprendimento
È noto: gli studenti della Scuola secondaria, in particolar modo quelli del primo grado e del primo biennio delle superiori, sono nel pieno della propria evoluzione interiore e vivono, spesso tra disagi e svariate contraddizioni, il delicato passaggio dallo status di bambino a quello d’adulto. L’adolescenza è caratterizzata da tensioni, pulsioni e continue sfide, che finiscono per riverberarsi dall’ambiente familiare a quello sociale, financo a quello scolastico. In questo contesto delicato e instabile, una comunicazione autoritaria tra docente e discente ostacola irrimediabilmente ogni apprendimento significativo; al contrario, la comunicazione dialogica ed empatica, fondata sull’ascolto attivo, incoraggia e stimola nell’adolescente comportamenti positivi; l’apprendimento infatti scaturisce da un processo dialogico e affettivo, perché l’affettività è «maieutica dell’apprendimento» (Massimo Melani, 2018): essa produce partecipazione attiva, cooperazione, spirito d’iniziativa e corresponsabilità, ossia una sorta di reciproco sentire, di visione condivisa. L’insegnante che sa essere affettivo, e che fonda sul dialogo il proprio palinsesto educativo, è in grado di capire lo studente e di decodificare nel profondo le sue peculiarità; allo stesso modo è in grado di scovare le dinamiche del gruppo, risolvendone le difficoltà o prevedendone le tensioni. D’altronde l’apprendimento è un fatto prettamente relazionale ed è legato al modo in cui l’individuo – interfacciandosi con gli altri –
interpreta la realtà, dopo averla filtrata attraverso le proprie strutture concettuali. Quando si costruisce una rappresentazione della realtà, sosteneva D. Asubel (1988), questa viene incorporata nel nostro quadro concettuale e finisce per modificare le nostre conoscenze e i nostri schemi. 2.2 Affettività ed esperienze emotive nel processo d’apprendimento
Le emozioni sono i fattori identitari della persona, contribuiscono a determinare le scelte che quotidianamente si operano e, agendo sui processi cognitivi, influiscono sull’apprendimento. La dimensione emotiva e affettiva è ormai al centro di ogni dinamica che intercorre tra docente e discente, perché (più volte lo ha affermato Piaget) per sviluppare armonicamente la personalità del discente è necessaria una stretta connessione tra cognizione e affettività, nonché un dialogo continuo tra il piano affettivo e quello intellettuale. L’affettività dunque veicola e condiziona il processo d’apprendimento, che è lungi dall’essere una semplice assimilazione passiva di contenuti, e attraverso la complementarità che si crea tra insegnante e studente quest’ultimo pone le basi per lo sviluppo della sua identità; insomma, affettività e apprendimento (B.S. Bloom, 1979) sono intimamente legati e le variabili affettive svolgono un’azione consistente nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione, tipici del contesto scolastico. Ora, l’insegnante affettivo, guida autorevole e al tempo stesso mediatore assertivo, svolge un ruolo di prim’ordine nei delicati processi che portano alla formazione dell’interiorità dello studente, perché è in grado di valorizzare, approfondire, comprendere, capire o intuire stati d’animo, sentimenti o semplici intenzioni. La scelta di strategie educative e didattiche efficaci passa anche attraverso la capacità dell’insegnante di immaginare il modo di pensare dei propri alunni, in termini di desideri, aspettative e credenze: la «risonanza emotiva», per dirla con Daniel Goleman, può divenire il culmine del processo didattico e un utile strumento di conoscenza per l’insegnante. Partendo dal presupposto che emozione deriva da «ex-motu», ovvero portar fuori, dichiarare, e «in-segnare» è dare forma in chi non la possiede, allora è possibile far evolvere le emozioni, siano esse individuali o collettive, per dar loro il ruolo di base che occupano nella vita di ogni individuo (Donatella Ghisu, 2016). 2.3 L’insegnante empatico quale costruttore della relazione educativa
Nel vasto ambito delle competenze relazionali, occorre che l’insegnante possieda – oltre all’attitudine all’ascolto attivo e alla capacità d’intuire le dinamiche di gruppo – una naturale propensione all’introspezione e al rapporto empatico con i propri studenti; la preparazione tecnico-professionale, afferente alle discipline insegnate, nonché la conoscenza particolareggiata delle più recenti metodologie didattiche sono condizioni basilari ma non sufficienti: le competenze comunicative e relazionali sono ormai imprescindibili affinché si realizzi una «sintonizzazione affettiva» con gli allievi (cfr. Massimo Melani); il ruolo del docente è proprio quello di ricevere gli input che arrivano dai discenti, interpretandone atteggiamenti, comportamenti, difficoltà o specifiche attitudini, in modo da costruire una relazione educativa fertile ed efficace. La comprensione empatica , restando ancora in linea con le tesi di C.R. Rogers, volta a «difendere e incrementare il potenziale di umanità dell’alunno» e a intuire stati d’animo o emozioni, crea un ambiente d’apprendimento assertivo attraverso il quale l’insegnante riconosce gli interessi e le specificità di ogni alunno, tenendone ben presenti richieste e bisogni. Del resto, ogni ambiente d’apprendimento, caratterizzato da variabili di contesto (gli spazi o gli arredi), di prodotto (le metodologie utilizzate) e di processo (i rapporti interpersonali), ha finalità didattiche ma anche – e soprattutto – finalità relazionali ed emotive, dalle quali non si può prescindere. Empatia, autenticità e, nondimeno, sollecitudine accogliente sono le tre caratteristiche principali dell’insegnante facilitatore; colui che è in grado di predisporre un ambiente caratterizzato da accoglienza e accettazione, di sostenere le qualità degli studenti e di condividerne le idee, di creare un gruppo-classe stimolante e stimolato.
3. La relazione educativa si traduce nell’acquisizione delle competenze trasversali L’ambiziosa sfida che la scuola oggi è chiamata ad affrontare, attraverso l’azione educativa e relazionale, ruota attorno alla promozione della centralità dello studente (che a sua volta richiama quel nuovo umanesimo a cui alludevano le Indicazioni nazionali del 2012), inserito nel mutevole panorama del proprio contesto territoriale. Sfida che presuppone la completa sinergia tra i nuclei fondanti dell’insegnamento e quelle competenze trasversali (o soft skills ) considerate nodali nello sviluppo interiore degli studenti. Quest’evidenza, a sua volta, sottolinea la necessità di promuovere – in tutti gli ordini e i gradi scolastici – un modello d’apprendimento che poggi saldamente sulla quotidianità e sul modo reale, attraverso attività orientate allo sviluppo delle competenze trasversali. Le competenze trasversali, sulla scorta della definizione che ne ha dato l’Unione europea, sono «le capacità che permettono al cittadino d’agire consapevolmente in un contesto sociale complesso e di affrontare le sfide poste da modelli organizzativi sempre più digitalizzati e interconnessi»; il Consiglio europeo, attraverso la Raccomandazione del 22 maggio 2018 – che di fatto sostituisce la precedente Raccomandazione del dicembre 2006 – ha strutturato in un quadro coeso e specifico le competenze trasversali, riconducibile a quattro segmenti: la competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare , ovverosia l’attitudine dell’individuo a gestire metacognitivamente il proprio apprendimento relazionandosi in modo costruttivo con gli altri; la competenza afferente alla cittadinanza attiva , ovvero la predisposizione alla vita sociale nel rispetto delle regole e della sostenibilità ambientale e sociale; la competenza imprenditoriale , cioè la capacità di progettare azioni che siano in grado di apportare un valore aggiunto sociale, culturale o economico; nonché la competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale , ovvero la capacità di agire in contesti sociali differenti, attraverso varie forme artistiche, culturali o ricreative. Ora, è necessario che le competenze trasversali siano poste al centro del percorso didattico ed educativo che la scuola propone, in
ragione del fatto che, meglio di qualsiasi altra evidenza, aumentano il grado di consapevolezza dello studente rispetto alla propria crescita interiore. Esse hanno infatti una spiccata funzione auto-orientativa, stimolano le capacità riflessive e le relazioni all’interno di tutti i contesti sociali, permettono di orientarsi in ambiti anche molto diversi tra loro e, soprattutto, danno agli studenti la capacità di riorganizzarsi e di interfacciarsi con i più svariati contesti sociali o lavorativi (cfr. ASNOR, Associazione nazionale orientatori). Non è superfluo notare che la particolare natura delle competenze trasversali vincoli la scuola a un profondo rinnovamento metodologico e didattico, orientato al consolidamento dell’interconnessione tra le competenze maturate in contesti formali, informali e non formali. Non a caso, come già rimarcato in precedenza, gli aspetti relazionali ed emotivi, che le competenze trasversali presuppongono, sono la pietra d’angolo di ogni processo d’apprendimento. 3.1 Le soft skills nella programmazione didattica
Talento, resilienza, problem solving , spirito d’iniziativa, attitudine al lavoro di gruppo: sono solo una parte delle soft skills (life skills nel mondo anglosassone), le competenze trasversali non sempre individuabili e misurabili con immediatezza che, in modo esaustivo, concorrono a determinare le caratteristiche intrinseche della persona (cfr. Antonio Guadagno). In esse rientrano non solo le doti emotive e relazionali, ma anche l’attitudine a gestire le contingenze quotidiane in modo maturo e responsabile: non a caso sono competenze particolarmente richieste nel mondo del lavoro, perché accrescono e migliorano la capacità di lavorare in gruppo e di cooperare sinergicamente per raggiungere gli obiettivi prefissati; allo stesso modo permettono di gestire situazioni stressanti, di adottare comportamenti adeguati o di prendere decisioni razionali e funzionali. La Commissione europea, facendo riferimento nello specifico alle soft skills afferenti al mondo del lavoro, le ha suddivise in cinque macro aree: le skills d’efficacia personale (autostima, autoregolazione, self control , creatività); le skills relazionali (comunicazione, cooperazione, attitudine ai rapporti personali); le skills relative a impatto e influenza (persuasione, leadership , capacità organizzative); le skills orientate alla realizzazione (spirito d’iniziativa, problem solving , approccio proattivo) e le skills cognitive (capacità d’analisi o capacità di pensiero astratto). Queste soft skills , pertanto, essendo propedeutiche alla formazione complessiva della persona, sono basilari nel mercato del lavoro e, in ragione della loro importanza strategica, andrebbero precocemente inserite nella programmazione didattica, a partire dalla scuola dell’infanzia, come già aveva suggerito il D.M. 254/2012 a proposito di Indicazioni nazionali per il curricolo (poi riformate nel 2018). I processi di trasformazione della società, continui e profondi, impongono alla scuola di indugiare sull’acquisizione di quelle competenze che possano aiutare ad affrontare situazioni inedite oppure ad approcciare i vari contesti lavorativi attraverso modalità flessibili e collaborative.
4. Verso un modello assertivo d’insegnamento Mario Comoglio, in Educare insegnando (Feltrinelli, 1998), definisce le abilità sociali (social skills ) come un «insieme di comportamenti motivati e cognitivamente controllati che permettono a una persona di iniziare, sviluppare, mantenere e affrontare in modo efficace una buona relazione con gli altri e un buon inserimento nell’ambiente che la circonda»; queste competenze sociali, indispensabili per esercitare una cittadinanza attiva e consapevole, implicano proprio le soft skills , assoluta priorità nella scuola di oggi: sono le competenze personali, interpersonali e interculturali, che riguardano tutte le forme di comportamento e che consentono alle persone di partecipare costruttivamente alla vita sociale e lavorativa. Ed ecco che l’assertività diventa peculiarità decisiva dell’insegnamento, valore aggiunto nel bagaglio professionale dell’insegnante empatico: il termine assertività deriva dal latino ad serere , ovvero «trarre, portare a sé»; si tratta infatti di uno stile comportamentale attraverso cui l’individuo riesce ad affermarsi nei rapporti interpersonali, ottenendo risultati apprezzabili senza far ricorso all’aggressività (E. Giusti, A.Testi, 2006). Essere assertivi, pertanto, significa esprimere i propri pensieri e i propri punti di vista in modo onesto e appropriato, senza soverchiare i diritti degli altri. L’insegnante assertivo è capace di riconoscere le emozioni, sa comunicare i sentimenti attraverso molteplici strumenti comunicativi, ha rispetto di sé e degli altri ed è in grado di valorizzare i comportamenti positivi che riconosce. Comunicare in modo assertivo e, più in generale, insegnare in modo assertivo costituisce un efficace metodo di interazione, perché mette in pratica un approccio con il discente empatico e non oppositivo; atteggiamento che ha un riverbero positivo (e decisivo) sui processi d’apprendimento.
Bibliografia e sitografia di riferimento Cerri R., L’evento didattico , Carocci, Roma 2015. Comoglio M., Educare insegnando , LAS, Roma 1998. D. Asubel, Educazione e processi cognitivi , Franco Angeli, Milano 1988. Giusti E., Testi A., L’assertività , Sovera, Roma 2006. Melani M., Affettività e apprendimento nella relazione educativa , Photocity Edizioni, Napoli 2012. Pagni M., La comunicazione autentica , Apogeo, Milano 2008. Pollo M., Comunicazione educativa , Elledici, Leumann, Torino 2004. Sclavi M., Arte di ascoltare e mondi possibili , Mondadori, Milano 2003. Alberico L., La relazione educativa , www.mentesociale.it .
Ghiso D., La dimensione emotiva del processo d’insegnamento e apprendimento , www.psychomedia.it . Guadagno A., Sviluppare le soft skills a scuola , www.agendadigitale.it . Perpiglia G., La relazione educativa , www.culthrera.it . Sferrazzo G., Cos’è il modello assertivo: una soluzione per parlare senza gridare , www.orizzontescuola.it . Soft skills, cosa sono e come inserirle nella programmazione didattica , www.tuttoscuola.com . Le competenze trasversali, cosa sono e come si inseriscono nella scuola di oggi , www.asnor.it Aspetti della relazione educativa , www.igeacps.it
6. Il processo di insegnamento-apprendimento a cura di Costanza Cavaliere
Le azioni dei docenti concorrono al conseguimento del successo formativo degli allievi rendendo la progettata situazione di apprendimento «luogo di apprendistato di vita», direbbe J. Dewey [244] , strategica per quella mediazione culturale che permette agli studenti di integrare l’offerta di saperi formali ricevuta dalla scuola con quelli non formali – che derivano da attività pianificate, ma non esplicitamente progettate per l’apprendimento come gli insegnamenti dei familiari, dei gruppi dei pari o di altre organizzazioni formative – e con quelli informali – che possono derivare da esperienze quotidiane e occasioni di lavoro, tempo libero e altro –, garantendo l’accesso all’educazione e all’istruzione in modo intenzionale, regolare e sistematico [245] . L’istruzione, afferma E. Wenger [246] , non è causa dell’apprendimento, perché essa crea un contesto in cui l’apprendimento prende posto come fa in altri contesti, ossia la conoscenza è interrelata al contesto e all’esperienza di un individuo e non esistono procedure insegnative precostruite che possano avere esiti fissi e standardizzati, in quanto l’apprendimento individuale ha fasi diverse, ricorsive e a rete, collegate ai personali interessi e scopi del discente. Risulta, pertanto, quanto mai attuale l’affermazione di J.S. Bruner [247] secondo cui costruire un curricolo vuol dire far interagire organicamente e mettere in relazione la struttura concettuale e sintattica delle discipline – loro concetti chiave e peculiari metodologie di indagine – con le strutture psicologiche di chi apprende, a seconda delle peculiari fasi di sviluppo cognitivo. Il modello strutturalista, utilizzato dall’autore per descrivere l’elaborazione della conoscenza già alla fine degli anni Sessanta, proponeva ai sistemi scolastici l’elaborazione di un curricolo a spirale, caratterizzato da richiami – feedback – alle conoscenze precedenti e nel quale le esperienze di apprendimento si configurino come attività di ricerca, fondate sul problem solving , per permettere agli allievi di confrontarsi con situazioni aperte, problematiche e di acquisire, così, non solo nuove e significative conoscenze, ma soprattutto di sperimentare come si acquisisca la conoscenza nei diversi campi del sapere. Inoltre, come indicano le scienze psicologiche e pedagogiche, non tutti hanno lo stesso tipo di intelligenza, data la diversa struttura mentale degli individui.
1. Il pensiero degli insegnanti È importante comprendere come l’educatore può collocarsi nel processo di insegnamento-apprendimento solo se riesce a pensare che sia l’educando che se stesso ne sono parti attive, in un’ottica dialogica che permetta di porre le condizioni per realizzare progetti finalizzati al successo formativo dell’allievo. Negli anni Ottanta nasce negli Stati Uniti il filone di ricerca denominato teachers’ thinking , ovvero «pensiero degli insegnanti» dell’American Educational Research Association (AERA), con la finalità di affermare l’influenza della soggettività del docente all’interno del processo di insegnamento. Questo movimento si sviluppa parallelamente a un’altra teoria di ricerca didattica, ossia all’affermarsi del modello dei «processi mediatori» che, superando l’idea che l’apprendimento discenda in maniera deterministica dall’insegnamento e sia misurabile in termini di risultati raggiunti dagli allievi – modello del «processo-prodotto» –, dimostra che esso consiste principalmente nell’attività degli alunni, ovvero nel processo di conoscenza e di cambiamento, o process learning , piuttosto che nel prodotto finale delle conoscenze acquisite [248] . Tale modello dà priorità a tutti gli elementi che costituiscono il «campo pedagogico» e descrive un sistema in cui docenti e studenti interagiscono con l’oggetto culturale, che diventa centrale, influenzandoli in modo diverso. Il non considerare più l’apprendimento come conseguenza diretta dell’insegnamento fa spostare l’indagine pedagogica dai processi di apprendimento e dai risultati raggiunti dai discenti ai processi di insegnamento. Il fatto è sostenuto dalla convinzione che i docenti pensano l’insegnamento secondo modalità ricche e articolate e che i loro pensieri hanno un’incidenza reale su quello che succede in classe. Nel 1980, tale filone si stacca dall’AERA per costituire l’International Study Association on Teachers’ Thinking (ISATT), coordinato da S.L. Shulman [249] , psicologo interessato a scoprire come cambia la conoscenza di ciò che anche E. Damiano, definisce «oggetti culturali», quando li si deve insegnare. L’autore americano, convinto che si conosca a fondo un contenuto proprio al momento del suo insegnamento, porta all’attenzione quanto sia importante distinguere cosa è più difficile e cosa più facile da apprendere; come si interviene sulle pre-concezioni e sulle mis-concezioni degli studenti; in cosa consiste la conoscenza pedagogica del contenuto, ovvero come si insegna un dato contenuto. Di seguito alle indagini dell’ISATT, la ricerca si estende a livello internazionale e, in ambito americano, l’interesse verte sui cosiddetti «argomenti pratici», ossia sulle motivazioni, spesso implicite, che stanno alla base delle scelte compiute dai docenti durante la loro
azione didattica. Sulla base dell’idea di professionista riflessivo di D.A. Shön [250] , P. Perrenoud [251] e altri studiosi in ambito francofono continuano a indagare le rappresentazioni degli insegnanti, i principi organizzatori della loro azione didattica, il loro modo di riflettere in azione e sull’azione al fine di costruire il proprio habitus professionale. La questione riportata è importante per essere consapevoli che il docente può essere ostacolato nell’obiettività delle sue decisioni didattiche da tecniche alle quali fa usualmente ricorso, dall’idea che ha di sé, del proprio ruolo, della scuola e dell’alunno, e dalle teorie dello sviluppo e dell’apprendimento a cui fa riferimento. Ne deriva che lo stile di insegnamento da adottare deve basarsi su un’intelligente disponibilità a ricercare, partendo dai problemi concreti posti dalla relazione educativa, al fine di permettere l’efficace mediazione e facilitazione necessaria a rendere agevole l’incontro tra la struttura psichica dell’alunno, nella sua realtà dinamica, e la struttura logica ed epistemologica delle discipline, o contenuto del programma, nella considerazione dell’influenza degli ambienti di apprendimento e dei contesti di vita degli studenti.
2. Metodi e stili di insegnamento È necessario interrogarsi sull’efficacia del metodo da seguire per riuscire a impostare una didattica per competenze in grado di prefigurare situazioni formative, per gli alunni reali con cui si interagisce, che mobilitino le conoscenze mettendole a servizio dell’esperienza degli stessi discenti. Sviluppare le competenze a scuola significa agire non più attraverso programmazioni lineari per obiettivi, bensì modulari, ossia attraverso dispositivi didattici che cerchino di corrispondere alla struttura reticolare del sapere e alle caratteristiche soggettive degli allievi. Anche le teorie psicologiche cognitivistiche e costruttivistiche considerano la conoscenza come una continua ricostruzione della realtà che il modulo – che si può far corrispondere alle unità di apprendimento descritte da diverse normative e, in particolare per il secondo ciclo di istruzione, dalle Linee guida degli istituti tecnici e professionali e dalle Indicazioni per i licei del 2010 – rappresenta come parte significativa ed esemplificativa, altamente omogenea e unitaria, di un più esteso percorso formativo disciplinare, multi, pluri, inter o trandisciplinare. Il metodo, termine derivante dal greco methodos , «percorso che conduce oltre», indica l’itinerario che consente di giungere al risultato atteso, attraverso un insieme di azioni condotte secondo determinati principi, grazie a un certo ordine finalizzato a un risultato, un procedimento di ricerca che segue regole predefinite per ottenere gli esiti desiderati. In campo educativo, vi sono due approcci diversi sul come intendere il metodo. Secondo il primo, che potremmo definire «storico», esso è un insieme organico di teorie, itinerari, strumenti ai quali ricondursi per impostare e gestire un processo di insegnamentoapprendimento, binomio che può essere rappresentato attraverso la metafora dell’itinerario che si svolge nel tempo: una storia che ha un inizio, una drammatica di interazioni fra i protagonisti e una conclusione. Secondo l’altro approccio, sperimentale, l’insegnamento viene considerato come un percorso lungo il quale a una situazione iniziale si aggiunge un intervento intenzionale, controllabile come cambiamento indotto e verificabile nella situazione conclusiva. Si tratta di una definizione operazionalizzata, come si richiede in un contesto scientifico, proprio della pedagogia sperimentale. Il comportamentismo, nell’edizione skinneriana del condizionamento operante, integra il modello con la nozione di feedback . Il processo dell’insegnamento prende così l’avvio con un in-put , si svolge mediante l’organizzazione di una serie di iniziative appositamente finalizzate (through-put ) che danno luogo a dei risultati in uscita (out-put ) nei quali possono essere visti come cambiamenti, che generano essi stessi le condizioni per riorientare il percorso, oppure come informazioni di ritorno o di ricaduta, che vengono tenute presenti per ottimizzare l’organizzazione del lavoro. Siamo di fronte a un andamento che si alimenta dell’esperienza da essa stessa promossa, secondo cicli che possono ripetersi, sia pure con avanzamenti, variazioni e sviluppi. Sotto questo profilo, la diversità dei due impianti non comporta differenze; si tratta sempre di un set ordinato nel tempo e nello spazio, uno scenario che conta necessariamente sulla stessa punteggiatura : una situazione , la sua modificazione , le conseguenze . Insomma, un ciclo che si può ripetere. Percorsi di questo genere descrivono bene gli eventi didattici, siano essi unità molto semplificate di insegnamento – accertamento della situazione iniziale, esecuzione dell’insegnamento, verifica degli esiti e nuova definizione della situazione – e realizzate in tempi brevi, come le lezioni su un circostanziato ambito contenutistico, siano essi corrispondenti di un ciclo scolastico, avviato con un esame di ammissione e concluso con un esame di valutazione, per il conseguimento di un titolo di studio formale. In questa prospettiva, come afferma A. Prost [252] , produrre l’apprendimento significa dirigere delle operazioni: scrivere, riassumere, distinguere, classificare, confrontare, definire, argomentare. Sono azioni condotte sulla base di precise informazioni, per cui il fare degli insegnanti è ordinato dal fare degli alunni. Ne deriva che il docente migliore è colui che fa lavorare meglio gli alunni, nel modo più intelligente, più stimolante ed efficace. Deve alimentare il lavoro di apprendimento, guidarlo, graduarlo, differenziarlo, correggerlo, riesaminarlo, riprenderlo, integrarlo, valutarlo. Come dire che il suo insegnamento è un fare che provoca e promuove l’apprendimento. La rappresentazione semplificata di schemi operativi per realizzare azioni educative costituisce un «modello didattico», o «metodo didattico», definizioni che si utilizzano per riferirsi alla più generale impostazione delle attività didattiche e delle interazioni con gli allievi. Prendere in esame la questione del metodo vuol dire anche entrare nel vivo della ricerca didattica, che nasce storicamente come disciplina che si interroga sul come insegnare.
La riflessione pedagogica ha affrontato a lungo tale problema, offrendo contributi importanti, ma il vero salto di qualità si è verificato tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, grazie alla corrente attivistica di J. Dewey, sintetizzata nella formula learning by doing («apprendere facendo»). A quel tempo, porsi il problema del metodo significava andare oltre una concezione della didattica fondata sulla precettistica e sulla perpetuazione delle pratiche abituali per avviare un progressivo costituirsi della didattica del settore di ricerca scientifica. Ciò segnò la svolta verso le esigenze di chi apprende, e pedagogisti esemplari della corrente attivistica riuscirono a porre l’attenzione sul coinvolgimento degli allievi nel processo di insegnamento – attraverso la discussione, il laboratorio, il lavoro di gruppo – e funsero da apripista ai primi percorsi individualizzati di apprendimento. Su questi temi il dibattito si è periodicamente riacceso, avvalendosi in particolare dei contribuiti offerti dalla ricerca psicologica e sociologica. Si è vista la configurazione di posizioni antinomistiche, per esempio quella che contrappone i contenuti ai metodi, chiedendosi a cosa debba mirare l’apprendimento scolastico: ad acquisire conoscenze o a sviluppare strategie che permettono di acquisire conoscenze? Dalle risposte a tale questione, è nata la contrapposizione tra l’opportunità di una progettazione sequenziale e strutturata con una più flessibile e attenta ai processi e alle variabili di contesto. Pertanto, il modello di apprendimento nel primo caso fa riferimento alla figura del docente, all’ascolto e all’attenzione, quindi alla trasmissione del sapere; nel secondo caso fa perno sulla partecipazione degli allievi, sul loro attivo coinvolgimento su attività di apprendimento incentrate su problemi e situazioni aperte. Oggi non si ritiene più che la risposta ai problemi dell’agire didattico possa venire dall’adozione del metodo giusto e si è abbandonata l’illusione che esista un metodo migliore in assoluto rispetto ad altri. La ricerca educativa e la realtà scolastica suggeriscono altro, ossia che le ragioni legate alla scelta di un metodo a volte sono connesse con i caratteri del metodo stesso, che può essere più o meno efficace rispetto all’apprendimento dei contenuti e/o sollecitare più o meno lo sviluppo di abilità e competenze; altre hanno a che fare con le risposte individuali degli allievi che non apprendono tutti allo stesso modo, né negli stessi tempi a causa di un insieme vasto di fattori tra loro interagenti. Nell’ambito della progettazione didattica, la scelta dei metodi impone un’attenta considerazione d’insieme delle variabili in gioco per identificare, caso per caso, quello più idoneo. Dirimente è anche la coerenza tra obiettivi e metodi, perché ci deve essere congruenza tra il tipo di apprendimento auspicato e le procedure e i processi attivati. Si deve anche accertare di quali risorse, umane e materiali, si possa disporre ai fini di un’attenta valutazione dei costi e dei benefici. Esiti formativi di qualità impongono un ragionevole alternarsi di momenti più o meno direttamente centrati sull’azione dell’insegnante e di momenti che riconoscono agli allievi spazi di maggiore autonomia nell’ambito di una progettazione mirata delle esperienze formative in grado di far sperimentare agli alunni modalità diverse di apprendimento, sostenendo lo sviluppo di abiti critici e riflessivi. I metodi migliori appaiono quelli che consentono di valorizzare al massimo le risorse a disposizione e di contenere il peso dei vincoli [253] . Nella scelta dei metodi è opportuno avvalersi di indicazioni di ordine generale. A riguardo risulta prezioso il contributo di M. Pellerey [254] che individua alcuni principi da cui un metodo dovrebbe essere ispirato per risultare efficace: il principio di significatività : entra nel merito della qualità degli apprendimenti, indicando l’esigenza di creare le condizioni che favoriscono il collegamento tra quanto gli allievi già sanno e quanto di nuovo si propone loro; u il principio di motivazione : ricorda di stimolare l’attenzione e l’attività dell’allievo. Si devono creare le condizioni che mettano in crisi ciò che l’allievo già sa e lo spingano a essere soggetto attivo nei processi cognitivi e metacognitivi da attivare; u il principio di direzione : l’itinerario da seguire è indicato dall’insegnante, ma è efficace se costruito insieme con gli alunni; u il principio di continuità : invita alla riproposizione dei contenuti per far cogliere gli elementi di continuità nell’esperienza formativa, senza con questo ridursi a una semplice riproduzione e rievocazione, ma sempre sottolineando la dimensione della ricostruzione attiva; u il principio di ricorsività : suggerisce sia di riprodurre più volte lo stesso contenuto allo scopo di allargare sempre più il raggio d’azione (estensione), sia di approfondire sempre più l’analisi (intensità), ma anche di sollecitare processi cognitivi più complessi; u il principio di integrazione : mira sia a favorire i raccordi in orizzontale tra le diverse aree di studio e di proposte esterne, sia a sviluppare una buona organizzazione interna delle diverse conoscenze affrontate; u il principio di organizzazione : l’intervento organizzato non prevede solo la strutturazione dei saperi, ma anche la pianificazione e gestione funzionale di spazi, tempi e risorse, che altri autori hanno indicato con la definizione di curricolo implicito, che interviene nell’apprendimento dello studente; u il principio di stabilizzazione : mira a far sì che gli apprendimenti siano duraturi grazie all’attivazione di processi cognitivi in grado di inserire in modo organico i contenuti nella struttura cognitiva di chi apprende; u il principio di consolidamento : punta a sostenere e valorizzare ciò che il discente apprende, ampliando i contesti d’uso e riorganizzando gli ambienti formativi; u il principio di trasferibilità linguistica e di applicabilità : allude alla capacità di trasferire quanto acquisito da un sistema rappresentativo all’altro e di applicarlo a nuovi casi, sollecitando il transfer delle conoscenze e delle competenze. u
I metodi didattici sono gli itinerari che creano le condizioni, interne ed esterne, che agevolano il processo di apprendimento da parte degli allievi; pertanto, sono modalità procedurali e processuali al tempo stesso. Essi si distinguono in tre grandi gruppi: quelli che fanno perno sull’azione diretta dell’insegnante, quelli che si incentrano sull’azione dell’allievo e quelli che seguono una via intermedia. Nella realtà le questioni sono meno nette. F. Tessaro [255] propone la distinzione tra «metodi didattici» e «tecniche di insegnamento per
apprendimenti eccellenti». Nei primi, scelti tra quelli più idonei per l’insegnamento secondario, sono inclusi: la lezione (o metodo espositivo), il laboratorio (o metodo operativo), la ricerca sperimentale (o metodo investigativo), la ricerca-azione (o metodo euristicopartecipativo), il mastery learning (o metodo individualizzato). Questo insieme di metodi vedono un diverso coinvolgimento da parte dell’allievo e sono finalizzati al conseguimento di specifici obiettivi formativi con l’acquisizione di conoscenze grazie alla lezione; di un saper fare nel caso del laboratorio; di atteggiamenti e abilità di ricerca nelle due modalità di indagine proposte; di una piena competenza di sapere e di saper fare nel caso delle strategie di individualizzazione. Tra le tecniche di insegnamento per apprendimenti eccellenti rientrano quelle che sono di fatto strategie, dispositivi più utilizzati nella formazione degli adulti e sono collocabili in quattro grandi aree: di simulazione , che si fondano sull’assunzione di ruoli sociali, quali per esempio il role playing , secondo cui i soggetti coinvolti recitano a soggetto e, nell’impersonare un ruolo, sono sollecitati a mettersi nei panni altrui, a comprendere meglio gli altri – oltre che se stessi – , a decifrare in modo più accorto le relazioni sociali, a incrementare le abilità relazionali; u di analisi della situazione , quali lo studio di caso, che prende in esame una situazione reale, descritta in modo puntuale, e la decodifica per coglierne caratteri e problemi e delinearne possibili soluzioni; u di riproduzione operativa , quali dimostrazioni ed esercitazioni; u di produzione cooperativa , quali il brainstorming che mira a far esprimere il massimo di idee nell’analizzare un problema che parte da un gruppo, sollecitando la libera espressione di ciascuno, e il cooperative learning , un metodo didattico a forte mediazione sociale, che valorizza l’interazione tra i soggetti. u
Nel loro insieme, queste tecniche evidenziano un processo evolutivo della ricerca didattica perché si avvalgono di nuovi contributi rispetto ai metodi prima analizzati. Il role playing , per esempio, che deriva dalle tecniche sociometriche di J. Moreno, è una strategia di grande impatto formativo non solo per lo sviluppo di competenze comunicativo-relazionali, ma anche per l’importante ruolo assegnato agli osservatori che devono valutare le prestazioni di quanti assumono il ruolo di attori. Così, sia gli attori che gli osservatori sono chiamati ad autovalutarsi rispetto ai comportamenti orientati al compito, alle relazioni, al sé. Tessaro sottolinea che tali tecniche favoriscono un apprendimento personalizzato, permettendo la costruzione del percorso di formazione alla competenza direttamente con lo studente attraverso richiami costanti tra la conoscenza, l’esperienza, l’azione e la riflessione metacognitiva, ma anche di relazione, perché stimolano esiti formativi frutto di collaborazioni e cooperazioni, di partecipazioni e scambi reciproci tra gli allievi e gruppi. Esse, inoltre, consentono di sperimentare modi di conoscere diversi da quelli più usuali nell’ambiente scolastico: esperienze ad ampio raggio perché richiedono l’impegno in prima persona, coinvolgendo l’individuo non solo relativamente alle dimensioni del conoscere, ma lo sollecitano, al tempo stesso, all’elaborazione di processi di livello cognitivo elevato, oltre che attività di riflessione critica, di valutazione e autovalutazione, avvalendosi della presenza di un gruppo. Tutte queste strategie stimolano gli allievi a mettersi in gioco con forza, ricorrendo ad abilità e competenze di alto profilo, confrontandosi con compiti aperti e problematici che si possono aggredire seguendo sentieri noti. Queste sono le ragioni che ne consigliano un uso maggiore, soprattutto nell’ambito della didattica centrata sulle competenze. Un’altra interessante classificazione è proposta da A. Calvani [256] , secondo cui vi sono dieci formati classici di tecniche didattiche tra le più accreditate nel mondo della scuola e della formazione. Le dispone in sequenza gerarchica, secondo un asse istruttività-attività nel quale il primo estremo pone l’accento sull’azione del docente (dimensione soprattutto comunicativa) e il secondo valorizza il ruolo dell’allievo (dimensione soprattutto costruttiva). Tali formati sono: lezione; modellamento, apprendistato (pratica guidata); approccio tutoriale e drill and practice ; discussione, seminario; studio del caso; apprendimenti cooperativi di gruppo; problem solving , scoperta guidata; simulazione, role playing ; progetto; espressione libera individuale, brainstorming . La teachership , o stile di insegnamento, che alcuni autori (quali lo stesso Calvani con Rotta [257] ) definiscono funzione del docente come instructor , moderator , facilitator , mentor , counselor , assessor , coach ecc., si gioca in questi diversi approcci formativi e ne costituisce l’elemento fondamentale per la reale efficacia delle strategie metodologico-didattiche attivate in un contesto di apprendimento. Il docente professionista deve essere in grado di comprendere quali siano gli obiettivi da porsi per il successo formativo dello studente (contenuti, conoscenze, abilità, competenze) e quale modello didattico vada applicato per la gestione del singolo e della classe (centrato sul docente, centrato sullo studente/gruppo di apprendimento, e così via). A queste indicazioni di massima vanno accostate abilità generali, declinabili in competenze specifiche, quali la capacità di comprensione del contesto e l’abilità a situare l’azione didattica in un ambiente di apprendimento innovativo; competenze di pianificazione, di mediazione e valutative; di gestione delle relazioni interpersonali e della motivazione in un gruppo di apprendimento. Insomma, la riuscita pedagogica si gioca molto attorno a uno stile di leadership trasformazionale, che J.M. Burns [258] considera espressa da quattro fattori caratterizzanti: influenza idealizzata (idealized influence ), ossia la capacità del leader di essere un modello di comportamento da imitare per i collaboratori/discenti; u motivazione ispiratrice (inspirational motivation ), la capacità del leader di ispirare, fornendo agli altri significati e sfide condivise e trasmettendo entusiasmo e ottimismo; u stimolazi one intellettuale (intellectual stimulation ), la capacità del leader di spingere i soggetti a essere innovativi e a adottare prospettive u
sempre nuove per riconsiderare problemi vecchi e situazioni note; u considerazione individualizzata (individualized consideration ), la capacità del leader di agire come un coach, di assistere i discenti nell’espressione del loro potenziale, promuovendo occasioni di apprendimento e un clima di reciproco sostegno.
Lo strumento migliore per rendere l’attività didattica un’indagine costruttiva differente dalla passiva ricezione e il clima scolastico expansive not restrictive è possibile, secondo Joyce e Weil [259] , quando il docente padroneggia un’ampia gamma di strategie didattiche capaci di risvegliare molteplici modalità apprenditive, favorendo il superamento delle forme di disagio e di difficoltà. In questa prospettiva, l’autore con i suoi collaboratori conduce un’indagine approfondita sui modelli di insegnamento e li classifica in quattro categorie: information processing models , social models , personal models , behavioural and cybernetic models . Gli information processing models enfatizzano le modalità di intensificazione degli stimoli innati dell’essere umano a dare senso al mondo acquisendo e organizzando dati, intuendo problemi e generando soluzioni per essi, sviluppando sia concetti sia linguaggi per consentirne la comunicazione, insomma aiutano gli studenti ad apprendere come costruire la propria conoscenza, facendo leva sulle loro capacità intellettuali. Tale categoria raggruppa: l’inductive thinking , che promuove l’abilità nello sviluppare classificazioni, costruire e testare ipotesi, produrre concetti; il concept attainment , ipotizzato inizialmente da J. Bruner, fra i cui scopi vi è far conseguire agli studenti una comprensione metacognitiva, per metterli in grado di auto-controllare le proprie strategie intellettive; u la scientific inquiry , prefigurata da J. Schwab, che si basa sull’acquisire metodi d’indagine ricalcanti l’euristica delle differenti discipline, ossia sull’apprendere come la conoscenza è prodotta e organizzata; u l’inquiry training , incentivante il ragionamento causale; u la piagetiana cognitive growth , diretta a favorire lo sviluppo intellettuale adattando l’istruzione alle fasi della crescita; u l’advance organizers , dovuta a D. Ausubel, che pone l’accento sull’incremento dell’attitudine ad assorbire e organizzare le informazioni ricevute con le lezioni o la lettura; u la mnemonics , orientata ad accrescere la memorizzazione, incrementando la capacità di controllo metacognitivo del processo di informazione. u u
L’insieme dei social models aiuta gli studenti ad affinare le proprie cognizioni attraverso le interazioni con gli altri, a lavorare in modo produttivo con soggetti che rappresentano una varietà di personalità, a operare come membro in un gruppo. Sono importanti strategie didattiche per Joyce, il quale manifesta la propria convinzione pragmatista, affidando alla scuola il compito di insegnare a praticare direttamente la democrazia attraverso il confronto intersoggettivo. Questi modelli comprendono: il group investigation , il cui promotore è stato J. Dewey, inteso come percorso diretto a sviluppare una comunità di learners , così da far loro acquisire gli strumenti per partecipare al processo democratico, mediante la promozione d’indagine cooperative concernenti importanti problemi sociali e culturali; u la social inquiry , che persegue i medesimi scopi implementando strategie di problem solving intorno a questioni di interesse sociale; u la jurisprudential inquiry , fondata sull’analisi delle problematiche politiche, dei valori, delle credenze personali; u il laboratory method , dedicato alla comprensione delle dinamiche di gruppo e degli stili di interazione; u il role playing , predisposto per far emergere, insieme ai valori sociali e al loro ruolo nell’interscambio fra le persone, comportamenti adeguati per affrontare e risolvere le conflittualità; u la positive interdependence , secondo cui le capacità d’interazione si sviluppano attraverso la comprensione delle emozioni implicate in ogni relazione; u la structured social inquiry , caratterizzata dall’applicazione di strategie cooperative nello studio disciplinare. u
Nel personal models teaching l’enfasi è posta sull’unicità di ciascun essere umano e sullo sforzo per svilupparsi con persone equilibrate, sicure di sé e competenti. La mèta è rappresentata dall’aiutare ciascuno nel proprio sviluppo, per raggiungere l’autostima e l’armonia personale. Sono modelli debitori soprattutto verso la psicologia umanistica e comprendono: il rogersiano nondirective teaching , teso a promuovere l’autocomprensione, l’autonomia e la stima di sé; l’awareness training , interessato ad accrescere oltre a tali aspetti, la sensibilità interpersonale, l’empatia, la capacità di esplorazione del mondo; u il classroom meeting , diretto a migliorare, insieme alla self-understanding , la responsabilità verso sé e gli altri; u la self -actualization , dovuta ad A. Maslow, i cui traguardi sono mirati a sviluppare, con la comprensione della propria singolarità, capacità per la sua espressione; u i conceptual systems , imperniati sullo sviluppo della complessità e flessibilità personale riguardo al processo d’informazione e all’interazione con gli altri. u u
I behavioural and cybernetic models hanno tutti una comune base teorica, essendo frutto dell’approccio behavioristico. Tale concezione considera gli essere umani quali sistemi autocorrettivi che modificano il comportamento in ragione del grado di successo con cui hanno condotto un’attività. Pertanto, i suoi cultori, osservate le azioni e le retroazioni impiegati dalle persone per svolgere determinati compiti, hanno organizzato su tale base strutture operative in grado di facilitare la self-correcting capability . Simili ricerche hanno un’ampissima letteratura, per cui Joyce si limita a esemplificare solo le principali realizzazioni, quali: il social learning , che A. Bandura elabora per pervenire al controllo del comportamento, attraverso l’apprendimento dei nuovi modelli, l’abbandono dei disfunzionali e l’acquisizione dell’autocontrollo; u
il mastery learning , pensato da B.S. Bloom per far raggiungere la padronanza nelle abilità e nei contenuti scolastici; la skinneriana programmed learning , che persegue i medesimi scopi; u la simulation , utile per impadronirsi di skills e concetti complessi nelle varie aree di studio; u il direct teaching , anch’esso interessato a trasmettere informazioni inerenti alle diverse discipline scolastiche; u l’anxiety reduction , applicata nel trattamento dei modelli disfunzionali di risposta. u u
3. Stili di apprendimento e apprendistato cognitivo Lo spartiacque nell’evoluzione umana, afferma Bruner nel 1990, fu superato quando la cultura divenne fattore principale nel dare forma alla mente di coloro che vivono nell’ambito della sua influenza. Da allora non si può parlare di mente naturale, poiché ormai essa vive in simbiosi con la cultura. Decade così l’idea che la causa dell’agire umano sia ascrivibile al suo substrato biologico, scaturendo, invece, dalla ricerca di significato. Il bios rappresenta il vincolo o la condizione per l’azione, ma la forza strutturante appartiene alla cultura, che detiene peraltro il potere di trascendere tale limite approntando specifici meccanismi-protesi. Gli atteggiamenti soggettivi discendono dalla scelta di valori e modelli comportamentali diffusi in una comunità culturale, negoziati a livello sociale. I peculiari strumenti creati dall’uomo per comprendere se stesso e il mondo sono le forme di ragionamento e i sistemi simbolici attraverso cui esprime desideri, racconta esperienze, consolida credenze oppure struttura il sapere acquisito. Anche H. Gardner [260] prospetta un’immagine secondo cui la mente esiste ugualmente nel cranio delle persone, negli oggetti sparsi per ogni dove all’interno della cultura di appartenenza e nei comportamenti degli altri individui con cui interagisce e da cui si apprende. Questo perché ogni naturale potenzialità cerebrale diviene realmente operativa quando è strutturata da un sistema simbolico e la creatività riesce a sfruttarne le caratteristiche. L’intelligenza, quindi, imbrigliata in una molteplicità di risorse mentali, concernenti vari aspetti della personalità, si esplica in competenze intellettive diverse. In questo scenario la scuola può divenire un contesto intenzionale di educazione alle intelligenze plurali, come le definisce l’autore [261] , capaci di pensiero autonomo, flessibile, creativo e in grado di risolvere problemi sempre nuovi posti dalla vita nella società. In tale contesto è possibile operare affinché si formino padronanze di competenza sempre più elevate, attraverso la definizione di curricoli per la vita. La progettazione modulare chiede di identificare i nuclei concettuali fondanti delle discipline che, pur cogliendone a livello epistemologico e scientifico il carattere di provvisorietà, poiché i saperi sono soggetti alle innovazioni indotte dall’indagine e ricerca continue, permettono di garantire agli alunni un’adeguata preparazione di base in ordine non tanto ai contenuti disciplinari, quanto ai processi formali della conoscenza stessa. Ecco, dunque che l’auspicio dell’integrazione tra diverse opportunità formative, perseguita anche dalle recenti riforme, si collega all’esigenza delineata dalle teorie pedagogico-didattiche e dalla ricerca educativa di valorizzare le intelligenze multiple attraverso differenti approcci metodologici. Ciò impone la revisione dei modelli tradizionali dell’insegnamento scolastico incentrati sui saperi formalizzati e sui linguaggi astratti, ma anche la necessità di un sistema educativo di tipo universalistico e inclusivo capace di declinare l’offerta formativa secondo le caratteristiche della domanda, dei bisogni formativi, delle propensioni individuali, degli stili cognitivi dei soggetti destinatari. Non a caso l’integrazione che utilizza la formazione professionale, l’apprendimento in un contesto laboratoriale e operativo, le combinazioni tra studio e lavoro, viene da tempo sperimentata soprattutto a favore di studenti insofferenti o in difficoltà rispetto all’apprendimento d’aula. L’organizzazione di ambienti nei quali l’apprendimento e la comprensione avvengono per scoperta risponde a una visione pedagogica costruttiva e di ricerca, che considera l’allievo come soggetto attivo, sociale e individualmente differente. In termini educativi viene assunta la prospettiva che l’intelligenza è incrementabile, così come la possibilità di formare disposizioni mentali che conducono a comportamenti adeguati in situazioni complesse. Si va, pertanto, delineando un nuovo modello di approccio insegnativo che non tende a limitarsi a verificare ciò che gli studenti sanno, ma che deve fornire a essi la possibilità di usare ciò che sanno per sviluppare le loro abilità di pensiero. Si mette in discussione la scuola «catena di montaggio» dove, passo dopo passo, i soggetti sono condotti a impossessarsi di quelle attitudini, abitudini, capacità, forme di ragionamento necessarie allo sviluppo economico e sociale di una nazione. Il docente dovrebbe insegnare – e gli studenti dovrebbero avere l’opportunità di imparare – in modo analitico, pratico, creativo. «Non esiste un modo giusto di insegnare o di imparare che funzioni per tutti gli studenti. Bilanciando i generi di istruzione e di valutazione si raggiungono tutti gli studenti e non solamente alcuni» [262] . Il nuovo paradigma dello sviluppo umano , presente diffusamente nei documenti europei, riconosce la dignità a ogni individuo. E poiché la nazione deve tutelare con leggi e istituzioni la dignità umana e sviluppare strategie che portino i cittadini a livelli accettabili di accesso alle opportunità, è presumibile pensare che ogni «pensiero» e «metodo» didattico sia ispirato da quanto proposto dalla visione del capabilities approach , ipotizzato dall’economista e filosofo indiano A. Sen e in seguito rielaborato dalla filosofa americana M. Nussbaum [263] , che considera ogni persona come un fine, chiedendosi non tanto quale sia il benessere totale o medio, bensì quali siano le opportunità disponibili per ciascuno affinché possa sviluppare liberamente le proprie potenzialità e talenti. Il sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce, e imparare non significa apprendere la vera natura delle cose, possedere cioè una fotografica e oggettiva rappresentazione del mondo esterno. I processi di apprendimento rappresentano una
soggettiva costruzione di significato, a partire da una complessa rielaborazione interna dell’insieme di sensazioni, che non hanno in sé ordine o struttura, sulle quali si orienta l’attenzione del soggetto che apprende. In tal senso, T. Brameld [264] ritiene che il curricolo debba corrispondere alla necessità di educare alla progettazione di culture trasformative della società in vista del bene individuale e sociale. Altri autori, come G. Pike e D. Selby [265] , aderiscono a un principio di delocalizzazione educativa per sancire la fine delle educazioni nazionali e definire un orientamento antropologico i cui problemi sono legati alle principali caratteristiche dell’esistenza umana. Considerando le dimensioni spaziale, temporale, problematica e paradigmatica della globalità, essi sviluppano i contenuti sugli assi della conoscenza (personale, sistemica, dello sviluppo, dell’ambiente, della pace e dei conflitti, dei diritti e delle responsabilità, delle visioni alternative), delle abilità (gestione delle informazioni, crescita personale, discernimento, immaginazione) e delle attitudini (immagine positiva di sé, apprezzamento degli altri, rispetto della giustizia e dei diritti, tolleranza dell’incertezza, capacità creativa, apertura mentale al mondo). La motivazione scolastica può essere considerata una dimensione chiave sulla quale lavorare all’interno di interventi mirati alla prevenzione/contrasto della dispersione e alla promozione del successo formativo. Motivare significa predisporre gli alunni affinché apprendano o producano uno sforzo per conseguire gli obiettivi precedentemente stabiliti. La motivazione è un fattore decisivo del processo di apprendimento, per cui non può esserci insegnamento che sottragga l’alunno dall’impegno fisico e mentale nelle attività scolastiche. Gli studenti valutano i compiti di studio e di apprendimento in modo particolare: quanto più positiva è la valutazione di tali prestazioni, tanto è più probabile che essi decidano di dedicare tempo, sforzi e risorse all’attività, e maggiori diventano le possibilità di trovare soluzioni e alternative per far fronte alle difficoltà e ai problemi che richiede il compito. Quando gi studenti si confrontano con compiti di studio che hanno una certa difficoltà o sono nuovi, in una forma più o meno intenzionale, essi compiono una valutazione motivazionale del compito prima di impegnarsi o meno nelle attività. La ragionevole ponderazione dei pro e dei contro li porterà, per esempio, a evitare compiti che in un momento determinato sono più complessi rispetto alle loro capacità e, nello stesso tempo, a cercare il massimo profitto dalle opportunità che sono alla loro portata. Ma la formazione degli individui, oggi più che mai, si ritiene che non debba avvenire in un luogo chiuso fisicamente e culturalmente, e le riflessioni degli anni Settanta che portarono alla definizione del sistema formativo integrato sono forse tra gli assunti più attuali di quella straordinaria stagione di sviluppo del pensiero pedagogico. Sulla scorta di una prospettiva che vede quindi prioritaria la «partecipazione», l’esserci, il fare esperienza diretta, derivano modelli didattici che rivalutano forme d’insegnamento antiche come l’imitazione o l’apprendistato, in quanto maggiormente capaci di includere nel processo apprenditivo tutti i fattori in gioco: sia quelli espliciti – il come si fa – , che quelli meno evidenti e difficilmente comunicabili, come l’insieme delle conoscenze interrelate con quel contesto – perché lo si fa, quando, con quali convinzioni ecc. Questa prospettiva ha messo in luce come la costruzione della conoscenza sia un processo di apprendistato cognitivo [266] , cioè una pratica contestualizzata, graduale, inserita in un ambito significativo di attività, o ambiente di apprendimento, capace di stimolare e potenziare i differenti stili attributivi [267] degli allievi. Da qui l’apprendere dai contesti è stato riproposto come un nuovo strumento per la didattica, come procedura di acquisizione di competenze esperte sul modello della «bottega artigiana» o del «laboratorio scientifico», in cui l’esperto guida l’allievo a praticare nuove conoscenze. Secondo la tradizione, l’apprendistato avviene in quattro momenti fondamentali: il modellamento (modeling ): l’esperto esegue il compito, l’allevo assiste; l’allenamento (coaching ): l’esperto sta a fianco dell’allievo nell’esecuzione del compito; u l’assistenza (scaffolding ): l’esperto sta alle spalle dell’allievo; u la riduzione graduale (fading ): l’esperto si allontana gradualmente indebolendo via via la sua azione. u u
A tale pratica, che sembrerebbe soprattutto imitativa come, appunto, apprendimento dagli altri, si aggiungono, a livello formativo cognitivo e metacognitivo, l’apprendere per mezzo degli altri e con gli altri : da cui la denominazione di apprendistato cognitivo (cognitive apprenticeship ). Con questa integrazione si mettono in atto strategie di controllo sul processo di esecuzione del compito (monitoraggio) che rendono esplicito ciò che nel comportamento dell’esperto è implicito. Il lavoro dell’esperto e dell’allievo, nella risoluzione del problema, si alterna e implica che i loro processi di pensiero vengano esternalizzati, in modo da condurre, in seguito, a una riflessione sulle diverse prestazioni dei due attori (metacognizione). Le conoscenze che il metodo permette di fornire sono situate nei loro contesti di applicazione, permettendo una comprensione più profonda del significato dei fatti e dei concetti appresi. A questo approccio, vengono aggiungono altri tre momenti, ossia: l’articolazione : si basa sul far verbalizzare agli studenti l’esperienza appena compiuta, per prenderne coscienza. L’apprendista viene invitato a dire ad alta voce quello che fa mentre lo sta facendo; esprimere i propri pensieri su ciò che esegue. L’atto di esibire e descrivere le proprie azioni, per renderle trasparenti agli altri (esposizione), è fare significato. Questo obbliga l’apprendista a riflettere su ciò che sta per fare e la sua pratica. Da imitativa, immediata e irriflessiva, diventa oggetto di monitoraggio interiore. Vengono poi suggerite strategie per indurre gli studenti ad articolare le conoscenze, i ragionamenti, i processi di problem solving attivati nell’esecuzione del compito anche in un contesto di attività collaborativa; si pongono loro domande per indurli all’articolazione e all’affinamento di proto-teorie sul compito da svolgere; li si invita a fare monitoraggio o critiche all’interno dell’attività del gruppo; u la riflessione : consiste nel confrontare i problemi riscontrati con i compagni e con il docente. Lo studente confronta la propria performance con u
quella dei componenti del gruppo e, in particolare, con quella dell’esperto anche quando questi non è presente. L’azione di apprendistato del docente-esperto subisce così una revisione cognitiva rispetto a quella tradizionale, poiché deve portare a un processo di modellamento cognitivo reciproco. Lo studente acquisisce un modello concettuale dal compito che gli fornisce un principio organizzatore per interpretare suggerimenti e correzioni del maestro, una guida interna per confrontare continuamente la propria pratica con quella dell’esperto. Da qui il concetto di modellamento reciproco, ossia di «imparare a imparare»; u l’esplorazione : l’apprendista, competente nel dominio della pratica, viene spinto a risolvere problemi in modo autonomo, utilizzando percorsi diversi: ponendo domande o questioni pertinenti rivolte a problematiche aperte, individuando problemi interessanti da risolvere (problem finding ); mediante la choice simulation , che consiste nel costruire situazioni problematiche in cui gli alunni devono scegliere fra due o più possibilità.
Il possesso di queste abilità trasforma l’apprendista competente in esperto e, in tal modo, l’apprendistato cognitivo diventa uno strumento che permette l’appropriazione partecipata di punti di vista, saperi e abilità. La costruzione di un modello concettuale che avviene nella fase del modellamento attraverso il passaggio dal concreto all’astratto, fornisce all’apprendista: un principio organizzatore unitario della pratica attraverso i tentativi di esecuzione del compito; una struttura interpretativa per comprendere i suggerimenti, le valutazioni e le correzioni dell’esperto; u una guida interna autonoma nella riflessione, per confrontare continuamente la propria pratica con quella dell’esperto. u u
Recentemente diversi autori [268] hanno condotto studi su come gli allievi regolano il proprio apprendimento costruendo gli strumenti cognitivi e motivazionali per ottenere esiti efficaci e, quindi, cambiare in senso migliorativo, i propri traguardi di competenze. Ciò permette agli studenti di diventare capaci di apprendimento autoregolato , ossia di attivare e mantenere cognizioni, condotte e affetti, da orientare sistematicamente al conseguimento delle proprie mete. In tal modo, lo studente riesce a stabilire obiettivi realistici e a utilizzare un ampio numero di risorse del processo. La combinazione di aspettative positive, motivazione e differenti strategie per la soluzione di un problema sono virtù degli studenti autoregolati. All’inizio di un’attività di studio, l’apprendimento autoregolato dovrebbe prevedere da parte dello studente delle condizioni e/o assunzioni di atteggiamenti quali: tenere in conto che la realizzazione del compito e gli esiti dipendono da se stessi; pensare di avere capacità sufficienti per affrontare efficacemente il nuovo apprendimento con le proprie abilità e conoscenze; u credere che la fruizione del nuovo apprendimento comporti incentivi utili e positivi; u possedere interesse per ciò che ci si prepara ad apprendere (consapevolezza del valore, dell’importanza, dell’utilità) e individuare bene lo scopo, o risultato, che sostenga il proprio percorso/processo di studio (per esempio, il miglioramento delle proprie conoscenze e competenze). u u
In ciascuna persona si manifestano con permanenza nel tempo modalità di organizzazione, di regolazione e di valutazione del pensiero con connotazioni particolari che costituiscono gli stili cognitivi. Occorre fornire agli allievi figure di riferimento stabili e ambienti di apprendimento idonei, al fine di ricavare l’eccellenza del pensiero di ciascuno, offrendo loro la possibilità di forgiare nuove idee. Talora agli sforzi laboriosi manifestati dall’alunno durante l’itinerario formativo si associa una limitata o insufficiente consapevolezza delle strategie utilizzate, le quali rendono inattivo il suo impegno. Si tratta del metodo di studio , ossia di quell’insieme di azioni che consentono un’organizzazione efficace dell’attività di apprendimento, tra le quali il saper prendere appunti, leggere e comprendere il testo, esporre in una relazione orale e scritta, saper organizzare il proprio tempo libero. Comprendere la realtà, apprendere, è quindi un’operazione di interpretazione, un fare significato , che non è solo un’attività personale, ma una costruzione che si compie in base a quanto acquisito nelle passate esperienze e attraverso la condivisione e la negoziazione di significati nella comunità in cui si opera. La scuola allora può porsi l’obiettivo di ridurre, se non annullare, la separazione tra sapere e fare, diventando contemporaneamente comunità di pratica e di apprendimento .
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7. Ambienti di apprendimento e spazi flessibili a cura di Paola Lisimberti
1. Premessa Appartiene all’architetto olandese Herman Hertzberger l’idea che siano i fruitori di un ambiente ad appropriarsi degli spazi e a determinarne l’uso, trasformandosi da semplici utenti ad abitanti [269] . La differenza tra utente e abitante è sostanziale: suggerisce dinamismo, vita, flessibilità. Non si potrebbe, infatti, immaginare una scuola senza i suoi abitanti e senza gli spazi in cui vivono ogni giorno. Resta nella nostra memoria il colore verde dei banchi e la monotonia delle pareti rotta soltanto dalla successione, non sempre colorata, degli attaccapanni a muro. E poi la cattedra, che catalizzava tutti i nostri sguardi. Pensando alle scuole dei nostri ricordi, statiche e ordinate, riesce difficile immaginare quella vera e propria esplosione di libertà prodotta dagli arredi modulari e flessibili che in tempi recenti hanno conquistato sempre più spazio negli edifici scolastici. L’idea cardine di questo processo di innovazione è che non si tratti più di edilizia scolastica ma di architettura . Differenza sostanziale anche questa perché le parole che usiamo ci aiutano a interpretare uno scenario che è profondamente mutato. In quale società abitiamo? Siamo protagonisti di un cambiamento profondo, che Bauman definisce la modernità liquida , e che investe il nostro sistema: La società è sempre più vista e trattata come una rete anziché come una struttura (tanto meno un solido tutt’uno): essa è percepita e trattata come una matrice di connessioni e disconnessioni casuali e di un numero sostanzialmente infinito di possibili combinazioni [270] .
Dalla logica uno-a-molti alla logica molti-a-molti: una trasformazione così profonda investe anche la scuola, il luogo più resistente, per sua stessa natura, al rinnovamento, status ben difeso dalle nostalgie di chi la vuole immutabile. Metodologie didattiche e ambienti di apprendimento raccontano una storia comune, tanto che ripensare gli ambienti significa in primo luogo ripensare la didattica: L’apprendimento non deve essere tenuto separato dal luogo in cui questo avviene. L’idea che l’ambiente sia il terzo insegnante contestualizza l’apprendimento e conferma che non impariamo memorizzando i fatti, impariamo interagendo con gli altri e con l’ambiente circostante [271] .
Determinante in questo processo è stato lo sviluppo tecnologico, portatore di modi nuovi di apprendere e accedere liberamente alle informazioni nell’ottica della cooperazione, dello scambio, della condivisione, della riproducibilità. Il primato della struttura ex cathedra viene messo in discussione dal modello della rete. La crisi di questo modello è emersa improvvisamente nel periodo dell’emergenza da Covid-19 con le scuole chiuse, quindi la sospensione delle attività didattiche e l’avvio della modalità di didattica a distanza (Fig. 1). Fare scuola ha assunto proprio la forma della rete: le lezioni si sono spostate nel mondo virtuale, non senza criticità, e si sono svolte articolandosi in sincrone e asincrone. Le studentesse e gli studenti si sono misurati con un modello di apprendimento sconosciuto che ho definito «apprendimento in condizioni estreme» [272] . La crisi che stiamo vivendo, tuttavia, proprio mettendo in luce la debolezza del nostro sistema e i ritardi nel portare a compimento le riforme infrastrutturali di questi ultimi anni, potrebbe generare effetti positivi e accelerare certi percorsi di innovazione. Secondo l’architetto Carlo Ratti «la pandemia è un’occasione troppo importante per ripensare ambienti, luoghi e modalità di interazione» [273] . Figura 1 – l’ambiente di apprendimento virtuale così come si è strutturato durante la sospensione delle attività didattiche e l’attivazione della modalità a distanza
È stata finalmente chiara, proprio in questo contesto di persistente incertezza, l’inutilità di certi dibattiti sull’utilizzo delle tecnologie digitali nell’apprendimento. Tutti, tecnofobici e non, hanno dovuto confrontarsi con nuove modalità di insegnamento/apprendimento e riflettere sulla necessità di smontare il paradigma del modello trasmissivo per sostituirlo con un altro adeguato ai tempi e agli spazi della nostra società, fragile e basata su una rete di connessioni e disconnessioni. Metodologie didattiche che prevedono l’utilizzo degli strumenti tecnologici hanno la necessità di abitare spazi nuovi, non statici ma dinamici, flessibili e riconfigurabili. Competenze come «navigare, ricercare e filtrare dati, informazioni e contenuti digitali» [274] possono maturare solo in contesti di apprendimento strutturati per facilitare l’uso degli strumenti adeguati al raggiungimento di determinati obiettivi. Il libro aveva bisogno di un banco, il quaderno era accanto al libro quasi come duplicato del libro stesso, la sedia e il banco sostanzialmente rappresentavano la prigione di un discente il cui compito era riprodurre allo stesso modo, non costruire o rielaborare. E infatti era ex cathedra che il sapere indiscusso raggiungeva (e raggiunge ancora) lo studente che, a sua volta, doveva riprodurlo in tempi e modalità definite. L’espressione comune «sentenziare ex cathedra » definisce una affermazione categorica alla quale non si può controbattere e costituisce ancora il modello più diffuso di insegnamento. È la fortunata e resistente immagine di una scuola fissa, che non consente relazioni tra il discente e la vita reale, tra aula e mondo. La scuola non riesce a fornire quello che Morin definisce «il viatico benefico per l’avventura della vita di ciascuno» [275] perché non riesce a evolversi nella stessa direzione della società della conoscenza, non riesce a gestire quella metamorfosi necessaria del sistema della lezione : il movimento di questa trasformazione dalla scuola della trasmissione del sapere alla scuola della conoscenza investe il concetto stesso di lezione, che non è più l’unico elemento determinante dell’apprendimento [276] , e cambia profondamente sia il ruolo dell’insegnante, non depositario del sapere ma facilitatore, sia il ruolo dello studente, non più passivo di fronte alla cattedra, ma protagonista della costruzione della conoscenza. È in questa ottica che ambienti e spazi diventano il motore di un cambiamento che, lungi dall’essere relegato nella sfera dell’architettura, investe anche la nostra architettura mentale del rapporto tra insegnamento e apprendimento e del ruolo dei suoi attori.
2. Ambienti di apprendimento Se è vero che «la scuola della società della conoscenza impone di confrontarsi con competenze diverse da quelle della società industriale [277] », è anche vero che la progettazione degli ambienti non può più ispirarsi alla organizzazione scientifica del lavoro come nella fabbrica Ford ai primi del Novecento: in quel contesto, ciascun operatore era un semplice esecutore delle istruzioni fornite da un responsabile di linea. Eppure, se provassimo a chiudere gli occhi e immaginare un laboratorio multimediale nelle nostre scuole, non faremmo fatica a riconoscere nella cattedra il luogo privilegiato del responsabile di linea con accanto il server di rete dal quale controllare; sulla LIM vengono proiettate le istruzioni da seguire; dai banchi con i pc-client gli operai le eseguono. Nel XXI secolo è ancora questo il modello della produzione industriale? Naturalmente no. Nella Quarta rivoluzione industriale il modello è quello dell’industria 4.0, che ruota intorno all’intelligenza artificiale, all’Internet of Things , alla connessione tra persone, oggetti e macchine, alla adattabilità del sistema produttivo orientato verso la creazione di beni e servizi sempre più personalizzati per il cliente. Se questo è il nostro tempo, i sistemi di istruzione sono chiamati a rinnovarsi e devono adeguarsi dialogando con un mondo reale profondamente mutato. Viviamo nella società dell’informazione [278] caratterizzata da un continuo scambio di «flussi di informazioni digitali e di procedure che li attraversano» [279] . È il bello (e il brutto secondo i detrattori) della rete: i saperi sono navigabili cioè possono essere cercati in maniera orizzontale e interattiva da tutti noi connessi al web con i nostri diversi supporti. Questo modello ha trasformato il possesso delle informazioni in accesso alle informazioni e ha generato un cambiamento, che stenta tuttavia ad affermarsi: l’insegnante deve concentrarsi sul processo di apprendimento, lo studente è focalizzato sul saper fare, sul manipolare e «lo spazio di lavoro non è dunque una costante data, ma un sistema di variabili a cui la progettazione assegna significato» [280] . Non conta possedere le informazioni, quanto piuttosto essere abili a cercarle, recuperarle, distinguerle, categorizzarle, renderle attive, strutturarle. Rinnovare gli ambienti di apprendimento ha rappresentato e rappresenta per la scuola italiana un volano per l’innovazione
metodologico-didattica e una possibilità concreta di realizzare il passaggio da una struttura statica a una struttura dinamica. È l’occasione per emanciparsi dal modello della fabbrica. Il dinamismo si impone perché la classe è cambiata e porta nell’aula istanze nuove: collabora, condivide, scambia, è connessa, vive una dimensione sociale dell’apprendere modellata dall’accesso alla conoscenza. Ma l’aula è inadeguata. Nelle chat di messaggistica istantanea i gruppi costituiscono un ambiente dove molti comunicano con molti, portando anche fuori dal virtuale la grammatica di quella comunicazione. L’aula deve evolversi insieme con la lezione perché la conoscenza non è più solo testo ma anche immagine, immagine in movimento, suono, e l’apprendimento è collaborativo e dinamico, richiede un approccio rinnovato: per cooperare banchi e sedie devono essere mobili; per facilitare non ha alcun senso posizionare la cattedra centralmente; per condividere i risultati di un percorso ci si sposta nell’area della LIM e si espone a tutti il lavoro di gruppo. Imparare nella società della conoscenza significa farlo in ambienti adeguati a favorire la dimensione laboratoriale centrata sulla sinergia di sapere e saper fare [281] . 2.1 La direzione degli investimenti
In principio fu la connettività: portare la connessione in tutte le scuole e garantire la navigazione in rete è stato considerato un obiettivo prioritario e diversi sono stati gli interventi promossi in questa direzione. All’inizio, nelle aule cablate il docente poteva chiedere di utilizzare la postazione mobile, che era costituita da un pc, un videoproiettore e una stampante. In questa prima fase di innovazione, le architetture sono rimaste le stesse e la struttura di rete si è adeguata. Contestualmente alla legge 107, il Piano nazionale scuola digitale [282] , riconoscendo il ruolo strategico degli ambienti e promuovendo una «visione sostenibile, collaborativa e aperta di scuola» [283] , ha implementato con le azioni #1 Fibra per banda ultra-larga alla porta di ogni scuola #2 Cablaggio interno di tutte le scuole (Lan/W-Lan) #3 Canone di connettività: il diritto a Internet parte dalla scuola i progetti connessi al diritto di accesso alla società dell’informazione. Contestualmente, il PNSD, con l’obiettivo di allineare l’edilizia scolastica all’evoluzione della didattica, di superare il modello trasmissivo e favorire l’approccio laboratoriale, ha strutturato nell’azione #4 Ambienti per la didattica digitale integrata diverse tipologie di ambienti: le aule digitalmente aumentate; gli spazi alternativi; u i laboratori mobili. u u
Questi nuovi ambienti scolastici sono stati finanziati dal PON attraverso l’Asse II –Infrastrutture per l’istruzione (FESR) che nella programmazione 2014-2020 ha sostenuto e sostiene ancora con numerosi finanziamenti il raggiungimento di questi obiettivi [284] . In particolare, con l’avviso 12810 Ambienti digitali è stata promossa la realizzazione di ambienti multimediali dinamici e flessibili, con i quali si potesse realizzare l’approccio laboratoriale e avvicinare la scuola alle nuove generazioni, al territorio, al mercato del lavoro. Non dimentichiamo che una delle direttrici strategiche di intervento del Piano nazionale industria 4.0 (2017-2020) intende diffondere questo modello produttivo attraverso la scuola digitale e l’alternanza scuola-lavoro (ora Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, legge n. 145 del 30 dicembre 2018). In ambienti collaborativi e costruttivi, lo studente può misurarsi in contesti concreti con la realtà, cogliere le sollecitazioni e gli spunti del docente, collaborare con i pari, fare ricerca. Le aule aumentate e gli spazi alternativi sono ambienti polifunzionali per sperimentare metodologie e strumenti innovativi, dove si incentiva lo sviluppo delle competenze e gli studenti possono svolgere attività creative e autonome: per esempio, divisi in gruppi conducono una ricerca imparando a riconoscere gli strumenti di indagine e le diverse tipologie di fonti; utilizzano risorse educative aperte per apprendere e sviluppano competenze di analisi, contestualizzazione e riuso delle fonti; si avvicinano al mondo della scienza con la realtà aumentata; progettano e stampano manufatti con la stampante 3D; costruiscono e programmano robot simulando problemi reali con i prototipi frutto della loro creatività e del lavoro di squadra. Per combattere il declino dell’interesse dei giovani nei confronti soprattutto delle discipline scientifiche e tecnologiche e promuovere la maturazione di quelle skills for life irrinunciabili nel sistema educativo del XXI secolo è necessario fare leva sull’approccio degli studenti alla tecnologia: le nuove generazioni usano abitualmente dispositivi tecnologici personali connessi alla rete che portano in aula, compromettendone l’assetto tradizionale. La sola presenza della tecnologia è in grado di trasformare lo spazio. È per questo che il PNSD con l’azione #6 Politiche attive per il BYOD (Bring Your Own Device) ha promosso politiche che favoriscano l’utilizzo di dispositivi personali a scopo didattico per governare (senza necessariamente vietare) la trasformazione dell’aula in laboratorio a partire da uno strumento, lo smartphone , molto complesso e che può essere considerato come un laboratorio a disposizione dello studente e del suo stile di apprendimento. Le scuole hanno investito molto e in maniera significativa nella direzione dell’innovazione degli spazi: un esempio possono essere considerate le scuole che hanno aderito al manifesto [285] di Avanguardie educative , in particolare hanno reso operativo il punto 3. Creare nuovi spazi per l’apprendimento, finalizzando gli interventi nella specializzazione di aule disciplinari, nell’allestimento di aule polifunzionali, nella riqualificazione degli spazi di transito e accoglienza, nel potenziamento degli spazi aperti al territorio [286] , agendo contestualmente anche sul tempo scuola (punto 4. Riorganizzare il tempo del fare scuola ). Per tutti si citano come esempi le aree di interazione e relax dell’IIS Savoia Benincasa di Ancona, le aule disciplinari dell’ITTS Volta di Perugia e le aule 3.0 dell’IIS Majorana di Brindisi. 2.2 Dalle aule fisiche alle aule virtuali
La recente situazione di emergenza da Covid-19 ha spostato l’attività didattica ex abrupto dal mondo reale al mondo virtuale. Azzerata la diffidenza e superata (apparentemente) l’ostilità nei confronti del digitale, gli insegnanti e gli studenti si sono ritrovati in ambienti di apprendimento già noti, ma che hanno assunto una nuova valenza, diventando non aule accanto alle aule fisiche, ma le uniche aule dove poter continuare a insegnare e apprendere. Le aule virtuali, dunque, hanno garantito l’attivazione della modalità di didattica a distanza dimostrando sul campo, proprio nel periodo di emergenza sanitaria e nelle fasi più difficili del distanziamento sociale, di essere «ambienti sociali nei quali, proprio come nelle classi reali, studenti e insegnanti possono interagire attraverso discussioni a tema, chat o videochat» [287] . Lezioni sincrone e asincrone, scambio e condivisione di materiali, somministrazione di questionari per la valutazione, interazione continua tra insegnanti e studenti: si è sviluppata una nuova didattica, con caratteristiche proprie e tutte ancora da analizzare e monitorare [288] , le cui parole chiave possono essere considerate, in prima istanza, accesso, inclusione e interazione. Le aule virtuali, già attive come aule che aumentavano le aule fisiche con le potenzialità insite negli strumenti della tecnologia, hanno abilitato nella fase della sospensione delle attività didattiche alcune di quelle competenze per il cittadino europeo dell’era digitale contenute nel DigComp2.1 [289] quali comunicazione e collaborazione (Area 2, 2.1 Interagire con le tecnologie digitali; 2.2 Condividere con le tecnologie digitali; 2.4 Collaborare con le tecnologie digitali) e creazione di contenuti (Area 3, 3.1 Sviluppare contenuti digitali; 3.2 Integrare e rielaborare contenuti digitali). Abbiamo potuto, quindi, testare, come la ridefinizione dello spazio sia uno strumento potente di innovazione metodologico-didattica.
3. Dall’aula al laboratorio, dal sapere al saper fare Per mettere l’apprendimento al centro è necessario ripensare l’organizzazione didattica in termini di spazio e di tempo attraverso la progettazione del curricolo alla luce di una visione nuova del ruolo e del significato del «laboratorio». «I laboratori devono essere ripensati come luoghi di innovazione e di creatività, invece che meri contenitori di tecnologia, rendendo ordinamentali quelle pratiche laboratoriali innovative che ancora oggi, troppo spesso, sono relegate all’ambito extracurricolare» [290] . Nella vita reale si prendono decisioni, si fanno errori, si lavora con gli altri. In quale ambiente gli studenti e le studentesse del XXI secolo potrebbero maturare le competenze di team working ? Dove imparare a gestire gli errori e a operare delle scelte? Un contesto favorevole è l’aula di robotica educativa, un vero e proprio laboratorium [291] che favorisce il protagonismo costruttivo del discente attraverso la promozione dell’apprendimento attivo, dell’apprendimento tra pari, dell’apprendimento collaborativo, dell’apprendimento per progetti e per errori. La mia esperienza (dall’a.s. 2014/2015 a oggi) come responsabile di un’aula di robotica educativa LEIS [292] mi ha consentito di monitorare i risultati di una sperimentazione didattica sia curricolare che extra-curricolare in un ambiente di apprendimento innovativo. È un laboratorio con un layout duttile e modificabile, un luogo abitato senza gerarchie dove si impara a dialogare con le macchine attraverso la costruzione e la programmazione del robot. Perché si ottengano risultati significativi è necessario superare il modello tradizionale, che destina al solo contesto extracurricolare le attività di laboratorio, e accogliere la didattica laboratoriale negli spazi curricolari: il finanziamento dei laboratori, previsto dall’Azione #7 del PNSD (Piano laboratori , laboratori professionalizzanti in chiave digitale), è andato proprio in questa direzione, favorendo e sostenendo investimenti per il secondo biennio dei licei e per gli istituti tecnici ed economici finalizzati a costruire un ponte tra la scuola e il mondo della produzione attraverso l’introduzione delle basi concettuali della robotica e di tutto l’alfabeto che le ruota intorno, dalla robotica umanoide alla domotica ai droni. La ricostruzione di un fenomeno, la progettazione creativa e autonoma, la manipolazione, l’osservazione diretta e il problem solving favoriscono gli apprendimenti delle discipline di ambito scientifico e, soprattutto, aumentano la motivazione ad apprendere. Con l’Avviso PON 37944 Laboratori didattici innovativi (2018) c’è stato un decisivo incremento di finanziamenti per la realizzazione di laboratori finalizzati allo sviluppo delle competenze di base e dei laboratori professionalizzanti in chiave digitale. Comune denominatore di questi ambienti è la connessione di rete, che porta lo studente nel mondo: intorno all’Internet si costruisce una progettazione didattica dettagliata, che richiede tempi più lunghi e si avvale di spazi nuovi come laboratori polivalenti e laboratori specialistici. Nel laboratorio l’apprendimento si caratterizza come attraente per la sua dimensione collaborativa e sociale ed è basato sull’agire piuttosto che sul conoscere: gli studenti svolgono un ruolo da protagonisti e sono motivati perché impegnati in un contesto reale, nel quale non devono solo seguire istruzioni e ripercorrere le stesse strade già esplorate da altri e nella stessa sequenza. Il laboratorio come ambiente di apprendimento attivo ci restituisce una visione di scuola aperta al mondo e al territorio, che scopre spazi alternativi e in disuso per valorizzarli: la riqualificazione degli spazi interni ed esterni per rendere gli edifici scolastici più attrattivi viene richiamata, infatti, nell’Avviso PON 35226 (Edilizia Scolastica 2017 ), i cui finanziamenti non sono stati finalizzati solo alla messa in sicurezza degli edifici, ma anche all’uso e al riuso di spazi scolastici tradizionalmente non abitati perché mancava quella visione che li potesse mettere in relazione con gli abitanti della scuola. 3.1 Le aule disciplinari
Le aule-laboratorio disciplinari sono una delle Idee di innovazione del Movimento avanguardie educative [293] e rappresentano, insieme alle altre Idee, una tessera di un mosaico che mira a innovare la scuola riscrivendo l’organizzazione della didattica, degli spazi e dei tempi. Qui viene ribaltata la configurazione tradizionale dell’aula: le aule disciplinari [294] sono assegnate ai docenti e non agli studenti, sono
ambienti a tema, ospitano arredi flessibili e dotazioni tecnologiche in funzione della disciplina di riferimento. Nelle scuole che hanno fatto questa scelta [295] sono gli studenti a spostarsi: il setting d’aula viene organizzato dal docente che condivide con altri docenti metodologie didattiche (quali debate , storytelling , CLIL, TEAL) e strumenti. Si tratta di una impostazione centrata sulla didattica per competenze e sulla collaborazione e condivisione dei percorsi di apprendimento. Rappresenta un esempio importante di come innovare gli ambienti significhi innovare la didattica: il modello collaborativo appartiene tanto agli studenti quanto ai docenti, che condividono lo stesso spazio e si preoccupano di allestire e riconfigurare il setting d’aula. 3.2 Dalla scuola al territorio
Non si apprende solo in aula. Ci sono ambienti di apprendimento situati fuori dalla scuola dove lo studente può mettere in situazione le conoscenze acquisite e alla prova le proprie attitudini. È stato questo il senso dell’innovazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro [296] , una modalità didattica introdotta con la legge 107. Ridenominati come Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento [297] , questi progetti hanno rappresentato un’occasione di trasformazione reale della scuola e degli ambienti perché per sviluppare competenze trasversali (che passano attraverso esperienze significative) gli studenti lasciano l’aula scolastica per aule speciali come i laboratori degli enti di ricerca e delle università, le sale dei musei, le redazioni dei giornali, le sale studio delle biblioteche, gli spazi di coworking . Dopo tutto, l’aula tradizionale non basterebbe come spazio per simulare un’esperienza di cultura di impresa. Tanto meno un business plan potrebbe essere affrontato come un contenuto teorico da trasmettere in modalità frontale, modalità che non è tuttavia esclusa a priori, ma non può essere considerata l’unico approccio. Realizzare un business plan richiede scelte metodologiche innovative come cooperative learning , discussione, ricerca-azione, simulazione. Apprendere in contesti reali incontrando i protagonisti del mondo del lavoro e delle professioni è decisamente più proficuo. 3.3 Il modello INDIRE 1+4
Il modello INDIRE degli 1+4 spazi educativi per il nuovo millennio è la proposta formulata dai ricercatori per dare una risposta alla necessità di formulare un modello di spazio articolato in funzione della evoluzione continua dei contesti educativi. Spazi modulari, flessibili e polifunzionali sono accoglienti rispetto a studenti che hanno modi diversi di apprendere se paragonati ai coetanei del secolo scorso: vivono la scuola nella sua dimensione sociale, imparano scambiando e collaborando, sono motivati se coinvolti nel fare . In questa scuola fatta di spazi accoglienti perché colorati, informali, moderni, il benessere scolastico non è più utopia, ma realtà. Il modello è strutturato in u u
uno spazio di gruppo (lo spazio 1) interpretabile come l’evoluzione della tradizionale aula; 4 spazi complementari tra loro come l’agorà, lo spazio informale, l’area individuale e l’area per l’esplorazione.
Dalla formulazione del modello è nato il Manifesto per gli spazi educativi , che propone una idea di scuola non come somma di aule, ma «si estende, oltre la dimensione didattica, al contesto sociale e alla capacità di un ambiente di influenzare la qualità delle relazioni sociali» [298] . Nel periodo dell’emergenza entrata in vigore da marzo, durante la sospensione delle attività didattiche e l’attivazione delle modalità di didattica a distanza, ho provato a interpretare [299] questo modello mettendolo in relazione con la realtà e ho potuto constatare che il modello 1+4, anche se riferito ad ambienti di apprendimento di una scuola che viveva nella rete, continuava a mantenere la propria forza innovativa. Lo spazio 1 come spazio aperto poteva rappresentare lo spazio in cui tutti noi, insegnanti e studenti, eravamo finiti dopo la chiusura delle scuole. Lo spazio individuale e lo spazio informale potevano essere considerati uno spazio unico, rappresentato dalle pareti domestiche, nella fattispecie le camerette, scenario tipico delle videoconferenze. In questo spazio ho immaginato lo studente mentre coltivava la lettura, l’ascolto di musica, la visione di una serie televisiva e, perché no, la noia. Lo spazio dell’esplorazione poteva essere inteso come spazio della maturazione di competenze digitali: si poteva cogliere l’occasione per insegnare agli studenti a navigare, a selezionare le fonti nel web, a rispettare le regole della netiquette , a distinguere le fake news . Anche l’agorà, luogo della comunità scolastica, continuava, nel mondo virtuale, a esistere attraverso gli eventi e le dirette sui social . 3.4 Oltre lo spazio: il laboratorio errante
E se a scuola non ci fosse un laboratorio attrezzato per le esigenze didattiche del docente? «Il laboratorio non è un’aula fisica» dice il professore Domenico Aprile [300] a Roma nell’ottobre 2019: quasi una profezia dal momento che da marzo 2020 le lezioni sarebbero continuate online . Ma in cosa consiste un laboratorio che possiamo definire errante? Nell’esperienza didattica del progetto curricolare Com@King LAB [301] il laboratorio errante si configura come una dotazione personale del docente che è trasportabile da un’aula all’altra, da una scuola all’altra (cfr. Fig. 2.1). Considerata la disponibilità a basso costo di piattaforme open hardware e software , il docente porta in classe i propri kit di microcontrollori, sensoristica e strumenti accessori (come saldatore a stagno, pistola a caldo) che vengono aumentati dall’aula virtuale (per esempio dal programma di modellazione 3D online Tinkercad [302] ). Si potrebbe non disporre di uno spazio fisico destinato ad attività laboratoriali, ma è possibile utilizzare tante risorse, compresi i device personali degli studenti, per sviluppare un laboratorio open a 360 gradi. L’aula diventa in questo modo un hub della conoscenza , cioè un concentratore e generatore di competenze dove il discente è in grado di orientarsi in un sistema immersivo e contaminato dal
digitale: nella sua stessa aula, ma riconfigurata dalla presenza della tecnologia, lo studente partecipa a una attività di progettazione creativa e realizzazione prototipale. Il profilo dello studente liceale (il progetto è stato sviluppato nelle classi dell’opzione scienze applicate del liceo scientifico) si costruisce attorno al concetto di paradigma , intendendolo come modello di costruzione di soluzioni, attraverso una flessibilità e capacità di affrontare problemi differenti e scegliendo, di volta in volta, lo strumento più adeguato al contesto. In questo senso, la proposta di «lavorare per progetti» si inserisce nell’ambito della programmazione di informatica intesa come l’ambiente in cui si sviluppano le capacità di analizzare e risolvere problemi (anche di una certa complessità) di varia natura, e dove di volta in volta vengono proposti gli strumenti linguistici più idonei alla natura del problema. Il laboratorio errante porta in aula la cultura del making e dell’Internet of Things , consente di costruire oggetti e applicativi in grado di reperire e/o rilevare dati dalla realtà circostante per poi analizzarli, organizzarli, utilizzarli e diffonderli, rigenerando conoscenza anche mediante la pubblicazione in rete (con relative licenze d’uso open access ). Tutto questo fa pensare ai laboratori artigiani, nei quali il maestro era accanto all’allievo insegnando i rudimenti dell’uso degli strumenti e affiancandolo, anche fisicamente, per seguirne la crescita di abilità. Figura 2.1 – Il laboratorio errante
Sono riconoscibili in questa particolare esperienza nuovi orientamenti e nuove frontiere della ricerca nazionale (INDIRE) ed europea sui possibili sviluppi degli ambienti scolastici come makerspace , ambienti scolastici nei quali la costruzione della conoscenza passa attraverso la costruzione degli oggetti. Questo incontro e questa contaminazione tra la cultura del making e quella della scuola confluiscono in un progetto di ricerca di INDIRE, che è stato presentato durante la seconda conferenza internazionale Fablearn Italy [303] , tenutasi ad Ancona nel novembre 2019. Nel Manifesto INDIRE per i Makerspace scolastici [304] la competenza digitale viene declinata come il saper usare le tecnologie digitali in modo creativo per creare nuova conoscenza, innovare processi e prodotti, promuovere le discipline STEAM. 3.5 Innovare spazi e didattica con gli EAS
Diffuso in Italia grazie alle attività di ricerca didattica e di formazione dei docenti di Pier Cesare Rivoltella, l’EAS è definibile come un’attività di insegnamento e apprendimento (TLA, Teaching Learning Activities ) che attraverso un contenuto circoscritto, uno sviluppo temporale ridotto e un agire contestualizzato si propone come forma di insegnamento efficace e opportunità di apprendimento significativo [305] . Lavorare su porzioni circoscritte di contenuto, privilegiare l’apprendimento significativo rispetto a quello superficiale, basato, per esempio, sulla sola memorizzazione senza comprensione, contestualizzare la conoscenza: queste le idee su cui si fonda l’EAS, che insiste, dal punto di vista metodologico, su didattica laboratoriale, sul rifiuto della didattica della trasmissione, sul rovesciamento della lezione tradizionale, sulla metacognizione nella fase conclusiva con la ristrutturazione dell’esperienza di apprendimento [306] . L’EAS si articola in tre fasi: fase preparatoria, fase operatoria e fase ristrutturativa . Nella prima fase lo studente viene messo in situazione e si confronta con un problema; nella seconda si organizzano lavori individuali o di gruppo durante i quali lo studente impara facendo ; nella terza fase si valutano i lavori degli studenti e si fissano i concetti. Si tratta di una attività didattica e di apprendimento che viene progettata per competenze e non ruota intorno ai contenuti: in questo senso si adatta a contesti diversi e agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Il setting d’aula nella progettazione dell’EAS si estende all’esterno dell’aula e al di fuori del tempo-scuola. Come spiega Garavaglia [307] è l’azione che entra ed esce dall’aula e quindi nel progettare l’EAS il docente deve seguire con attenzione gli spazi e la scelta degli strumenti per favorire «le operazioni di montaggio e smontaggio degli oggetti culturali attuato dai discenti in concorso con il lavoro del docente». A scopo esemplificativo ho riletto un EAS [308] in chiave di ambienti e spazi, evidenziando come questa attività sia particolarmente adatta per capire come l’innovazione metodologico-didattica passi attraverso la progettazione puntuale di spazi e tempi
(cfr. Fig. 2.2). Figura 2.2 – EAS: un graffito racconta (tre immagini)
Lo scenario di questa attività è vario: aula, spazio urbano intorno alla scuola, spazio ricostruito con le immagini di Pompei cercate nella rete. Questo viaggio di conoscenza autentica parte dal contesto urbano intorno alla scuola, dove lo studente va alla ricerca dei graffiti del nostro tempo, per arrivare, attraverso il lavoro individuale o in gruppo, a stabilire collegamenti e relazioni tra elementi della cultura materiale latina ed elementi della cultura materiale contemporanea, montando e smontando il proprio oggetto di ricerca. Primo ambiente – reale Lo studente nel contesto urbano intorno alla scuola va alla ricerca di graffiti: significa appropriarsi di uno spazio per conoscerlo, raccogliere informazioni all’interno del proprio contesto e portarle in classe. u Secondo ambiente – virtuale Lo studente inserisce nelle cartelle in ambiente cloud il materiale fotografico. u Terzo ambiente – reale Dopo la fase della ricerca, in aula LIM il docente conduce le attività. u Quarto ambiente – virtuale Lo studente svolge la consegna utilizzando materiali condivisi in cloud . u Quinto ambiente – misto In un laboratorio con utilizzo della LIM viene organizzato il lavoro di gruppo. L’apprendimento si avvale di contesti collaborativi reali e virtuali e i risultati vengono condivisi con i pari. u Sesto ambiente – reale Il docente fissa i concetti in aula. u
4. Conclusioni In chiusura di questo viaggio sugli ambienti di apprendimento e gli spazi flessibili, credo sia ormai chiaro che ripensare gli ambienti scolastici significa in primo luogo ripensare la didattica. Non si tratta semplicemente di rivedere l’uso dei colori, sia pur importante, nell’edilizia scolastica; non ci si deve limitare a guardare ambienti e laboratori da un solo punto di vista, ma globalmente. La questione investe completamente, se non è ancora chiaro, il nostro modo di essere insegnanti, la nostra idea di scuola perché, non scordiamocelo, l’arredamento e l’utilizzo dello spazio tradizionale non è mal configurato, ma è configurato per l’apprendimento dell’obbedienza e del rispetto e per l’assenza del pensiero critico, la creatività e l’indipendenza [309] .
Non bastano, è fin troppo chiaro, gli arredi mobili, non basta la connessione ultraveloce, non basta una LIM. Configurare e riconfigurare gli ambienti di apprendimento, siano essi fisici o virtuali, appartiene all’architettura delle menti piuttosto che all’architettura degli spazi.
[269] www.domusweb.it/it/architettura/2012/09/21/la-scuola-come-metafora-del-mondo.html [270]
.
Bauman Z., Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Introduzione, Coraggiosamente fin dentro al focolaio delle incertezze , Laterza, Bari 2017,
p. VII. [271] Blyth
A., «Prefazione», in Borri S. (a cura di), The Classroom has Broken. Changing School Architecture in Europe an Across the World , INDIRE 2018,
p. 11. [272]
Nel webinar che ho tenuto per INDIRE il 25 marzo 2020 dal titolo Fare didattica slow, reperibile al seguente link: www.indire.it/la-rete-di-avanguardieeducative-a-supporto-dellemergenza-sanitaria/archivio-webinar/ . [273] www.open.online/2020/05/22/coronavirus-intervista-carlo-ratti-universita-scuola/. [274]
Biancato L. (a cura di), Sezione 3, Le competenze, area di competenza 1.1. , in DigComp 2.1 Per la scuola , Traduzione integrale e suggerimenti per la progettazione di un curricolo delle competenze digitali, Editore StreetLib, formato ebook. [275] Morin
E., Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione , Raffaello Cortina, Milano 2014, pp. 36-37: «La scuola, attualmente soprattutto per gli adolescenti, non fornisce il viatico benefico per l’avventura della vita di ciascuno. Non fornisce le difese per affrontare le incertezze dell’esistenza, non fornisce le difese contro l’errore, l’illusione, l’accecamento. […] Non fornisce la preoccupazione, l’interrogazione, la riflessione sulla buona vita e sul ben vivere. Insegna solo in modo molto lacunoso a vivere, fallendo in ciò che dovrebbe essere la sua missione essenziale». [276]
Biondi G., «Introduzione», in Borri S. (a cura di), op. cit. , p. 29: «La lezione è un elemento importante nel processo di apprendimento ma non può più essere l’unico. Non può più essere l’asse intorno al quale si costruisce il contratto di lavoro degli insegnanti e il loro ruolo, l’orario scolastico nelle scuole secondarie, l’architettura e perfino gli arredi della scuola». [277]
Mosa E., «Principali direttrici di ricerca internazionali sul rapporto tra didattica e spazi educativi», in Borri S. (a cura di), Spazi educativi e architetture scolastiche: linee e indirizzi internazionali , INDIRE 2016, p. 13. [278]
Ferri P., Moriggi S., A scuola con le tecnologie. Manuale di didattica digitalmente aumentata , Mondadori, Edizione digitale, p. 28.
[279]
Ibid ., p.28
[280]
Tosi L., Spazi educativi flessibili e ambienti differenziati , in Biondi G, Borri S., Tosi L. (a cura di), Dall’aula all’ambiente di apprendimento , Altralinea, Firenze 2016, p. 56. [281]
Ferri P., Moriggi S., op. cit. , p. 655: «La struttura di base degli spazi di una scuola aumentata dalle tecnologie prevede, quindi, nuove tipologie di ambienti e di spazi – inclusi, ovviamente, gli ambienti virtuali per l’apprendimento (VLE)». [282]
Il PNSD è un documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale. Il Piano è scaricabile a questo link in diverse versioni www.istruzione.it/scuola_digitale/index.shtml . [283] Ibid.
, p. 28.
[284]
È stato un quinquennio denso di investimenti www.istruzione.it/pon/asse02_infrastrutture.html .
come
[285] www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/il-manifesto [286] Mosa [287] Ferri
si
evince
dal
cronoprogramma
degli
Avvisi
pubblicati
al
seguente
link
.
E., «Lo spazio e il tempo nella scuola delle competenze» , in Biondi g., Borri S., Tosi L. (a cura di), op. cit., p. 37.
P., La scuola 2.0. Verso una didattica aumentata dalle tecnologie , Spaggiari, Parma 2013, p. 77.
[288]
Si veda per approfondire la riflessione nata negli istituti aderenti alla rete di Avanguardie educative e confluita nel documento La scuola fuori dalle mura pubblicato al link seguente: www.indire.it/2020/04/03/la-scuola-fuori-dalle-mura-una-riflessione-sulla-didattica-a-distanza/ . [289]
DigComp 2.1 Per la scuola , cit.
[290]
Ibid ., p. 49.
[291]
www.edumakers.eu/index.php/it/10-l-aula-di-robotica-come-laboratorium-di-orientamento-alle-professioni .
[292]
Il LEIS (Lego Education Innovation Studio ) è un laboratorio basato sulla filosofia Lego e dotato di set di robotica tematici. Per approfondire si legga un mio articolo al link seguente: www.innovationforeducation.it/attivita-didattiche/aula-leis-a-scuola/ . [293] www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/le-idee [294]
.
www.metodologiedidattiche.it/2017/12/09/aule-disciplinari/ .
[295]
Si veda la documentazione inerente questa innovazione dell’Istituto Tecnico Tecnologico Statale “Alessandro Volta” di Perugia al link seguente: www.avolta.pg.it/pvw/app/PGIT0005/pvw_sito.php?sede_codice=PGIT0005&page=2313570 . [296] www.istruzione.it/alternanza/index.html [297]
.
Legge 30 dicembre 2018, n. 145, art.1, c. 785.
[298] www.indire.it/progetto/ll-modello-1-4-spazi-educativi/
.
[299]
Ho tenuto il 25 marzo un webinar per INDIRE dal titolo Fare didattica slow. Il materiale e la registrazione sono disponibili al seguente link : www.indire.it/la-rete-di-avanguardie-educative-a-supporto-dellemergenza-sanitaria/archivio-webinar/ . [300] Si
fa qui riferimento all’intervento del professore Domenico Aprile al convegno organizzato da ANP a Roma #lascuoladellesfide, Autonomia tra desiderio e realtà. Sfide e opportunità per la scuola , 15-16 ottobre 2019, panel Innovazione didattica e inclusione ( www.anp.it/autonomia-tra-desiderio-e-realtaconvegno-anp-2019/ ), durante il quale è stato presentato il progetto curricolare Com@King LAB (Coding and Making Laboratory) di declinazione dell’insegnamento di informatica con il making nelle scienze applicate del liceo scientifico. [301]
Qui descritta nel dettaglio: www.innovationforeducation.it/approfondimento/co-mking-lab-didattica-della-fabbricazione-digitale-al-liceo-scientifico/ . Il materiale del progetto è reperibile sul sito www.comakinglab.education. [302] www.tinkercad.com/ [303] www.fablearn.it/
.
.
[304] www.indire.it/2019/12/12/la-proposta-indire-per-fablab-e-makerspace-scolastici/
.
[305] Rivoltella
P.C., Che cos’è un EAS. L’idea, il metodo, la didattica , La Scuola, Milano 2016, p. 40. Si vedano anche dello stesso autore Fare didattica con gli EAS , La Scuola, Milano 2013 e Didattica inclusiva con gli EAS , La Scuola, Milano 2015. [306] Ibid
., pp. 6-7.
[307] Andrea
Garavaglia, «Scuola senza classi», in Rivoltella P.C., Fare didattica con gli EAS , cit., p.41
[308] Si
tratta di un EAS da me progettato come corsista del corso di alta formazione Fare didattica con gli Episodi di Apprendimento Situato erogato in modalità e-learning da CREMIT, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano. [309] Acaso
M., «L’architettura e il design di interni come elementi chiave nel cambiamento di modello educativo» , in Borri S. (a cura di), The Classroom has Broken, cit., p. 252.
8. Conoscenze nel campo dei media per la didattica e degli strumenti interattivi per la gestione della classe a cura di Claudio Naddeo
1. Il profilo del docente nella società della conoscenza Le dinamiche evolutive della società della conoscenza hanno messo in discussione saperi, competenze, ruoli e funzioni dei soggetti tradizionalmente preposti alla formazione fino a conferire spazio sempre maggiore a luoghi formativi per così dire paralleli e incentrati sull’utilizzo di linguaggi e strumenti mediali. Il contesto ad alta complessità che si è determinato negli ultimi anni ha di conseguenza attivato un dibattito sul ruolo della scuola in tale scenario e sull’identità e ruolo professionale degli insegnanti; i sistemi per l’apprendimento incentrati su un modello di scuola come istituzione fondata sulla produzione/riproduzione del sapere e intesa come autosufficiente monopolio del sapere «necessario» sono obbligati a una riprogettazione, alla luce delle trasformazioni nell’accesso all’informazione e al sapere indotti dalle TIC. Parimenti viene ridisegnata anche la figura/funzione del docente che, da titolare di un sapere da trasmettere, diventa mediatore e accompagnatore dei processi di apprendimento, analista dei bisogni formativi, progettista dei percorsi, orientatore e valutatore. A tutto ciò si unisce lo spostamento sull’individuo che apprende del focus centrale dell’apprendimento con la complicazione dell’insorgenza di tante nuove incombenze che investono sempre di più la scuola, quali la necessità di progettare percorsi personalizzati e miranti all’inclusione e al successo formativo di tutti e di ciascuno. La persistenza, da una parte, di modalità formative legate a schemi didattici trasmissivi ormai superati e la presenza, dall’altra, di fruitori del servizio appartenenti alla generazione digitale impongono, oggi più che mai, la necessità di trovare un punto di incontro che rifondi le modalità della didattica proprio grazie ai media digitali e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in genere. Nel corso degli ultimi anni non sono mancate esperienze significative orientate in tal senso; tuttavia esse hanno interessato un numero minoritario e illuminato di docenti più sensibili all’innovazione e spesso sono state connotate da una generale asistematicità. Non è un caso che il CCNL 2016/18, nell’art. 27, c. 1, nel tracciare il portfolio di competenze richieste al docente, subito dopo quelle disciplinari, indichi, seppure in maniera riduttiva e alquanto generica, quelle informatiche: 1. Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica.
Significativo è lo scarto rispetto all’art. 27 del CCNL precedente del 2006/09: 1. Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica.
Ciò lascia intendere come, nell’arco di pochi anni, sia diventato irrinunciabile il possesso, da parte di chi svolge attività di insegnamento, di un bagaglio di competenze che includa quelle informatiche o, per essere più precisi, digitali. Resta da chiarire cosa si intenda per competenze informatiche relative alla professione docente: restringendo il campo alla prassi didattica e tralasciando le altre pratiche digitali espletate nello svolgimento della professione (registro elettronico o utilizzo di software gestionali relativi al rapporto di lavoro), al docente è richiesto non già la giustapposizione dei media digitali a quelli tradizionali (lavagna, libro ecc.) quanto un radicale ripensamento dei metodi della didattica tradizionale attraverso il digitale. Ciò richiede sia la conoscenza dei media, sia una riflessione e una comprensione profonda delle nuove modalità di apprendimento messe a disposizione dalle TIC, soprattutto in termini di personalizzazione degli apprendimenti, di inclusione e di sviluppo di modalità di lavoro collaborativo. Le conseguenze per l’agire professionale del docente sono molteplici, a partire dalla trasformazione didatticoorganizzativa fino alla costruzione di ambienti di apprendimento che integrino la didattica ordinaria in presenza con l’uso delle tecnologie informatiche in classe, le risorse disponibili nell’ambiente in rete, il lavoro personale degli alunni a casa. Saper cogliere le opportunità del digitale significa comprenderne le potenzialità per l’attivazione nei partecipanti (siano essi docenti o studenti) di strategie efficaci di co-dipendenza, co-costruzione e flessibilità, insieme al senso di responsabilità e di autovalutazione. Il docente, attraverso la scelta e l’uso consapevole degli strumenti digitali più adeguati, ripensa il suo agire mediante strategie radicalmente differenti anche in termini di progettazione didattica, supporto e valutazione dell’apprendimento. Inoltre, mediante approcci didattici centrati sullo studente, sia nella dimensione singola che collaborativa, determina una ricaduta motivazionale nonché favorisce la digital literacy in direzione della cittadinanza digitale.
In sintesi le TIC possono risultare determinanti per il cambiamento di paradigma di insegnamento: i benefici per la gestione della classe e la progettazione dell’apprendimento tuttavia dipendono dal possesso da parte del docente di alcuni requisiti imprescindibili: 1. conoscenza e abilità di utilizzo delle tecnologie; 2. conoscenza delle tecnologie per la didattica; 3. capacità di selezione degli strumenti digitali a seconda delle diverse finalità; 4. capacità di utilizzo delle tecnologie per creare nuova conoscenza.
La conoscenza e l’abilità di utilizzo delle tecnologie e dei media in generale rappresenta la base insieme al saper individuare e selezionare gli strumenti più funzionali ai percorsi progettati: il docente deve sapere come, dove e quando (e anche quando non) utilizzare le tecnologie per le attività in aula e per la presentazione dei contenuti disciplinari, per le attività di gestione e per acquisire ulteriori conoscenze specifiche della disciplina e pedagogiche a sostegno del proprio sviluppo professionale. Tutti questi aspetti dipendono per lo più dall’esigenza di formazione e di crescita e sviluppo professionale di ciascuno. Il punto invece più complesso è quello della competenza di uso delle tecnologie per creare conoscenza: esso implica, infatti, una progettazione didattica che non solo non si fermi alle conoscenze disciplinari, ma che includa, con il supporto delle tecnologie digitali, le competenze del XXI secolo necessarie per la creazione di nuova conoscenza, anche in direzione dell’apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita, mediante la capacità di collaborare, comunicare, creare, innovare e pensare criticamente. Il compito per il docente è oltremodo gravoso in quanto si tratta di supportare gli studenti nel processo di creazione di prodotti di conoscenza per diventare capaci di pianificare e gestire i propri obiettivi e le attività di apprendimento: l’insegnante da un lato modella il processo di apprendimento per gli studenti e dall’altro agisce egli stesso come modello attraverso la propria continua crescita professionale; nello stesso tempo acquisisce un profilo nuovo e attuale, contribuendo alla formazione degli studenti in modo che essi possano partecipare dei vantaggi che derivano dall’uso delle tecnologie e di opportunità in precedenza inimmaginabili. Si comprende quindi che non è sufficiente il possesso di semplici competenze digitali quanto l’acquisizione di una nuova mentalità connotata dalla voglia di aprirsi con consapevolezza all’innovazione e all’attivazione di forme e metodologie di apprendimento attivamente coinvolto (Engaged learning ). Disegnare nuovi scenari didattici vuol dire attivare ambienti di apprendimento supportati dai media che siano caratterizzati da: 1. valorizzazione dell’apprendimento collaborativo, della responsabilizzazione dei discenti e del loro coinvolgimento attivo nella definizione degli obiettivi; 2. strutturazione di itinerari didattici multidisciplinari, motivanti e legati alla realtà; 3. modalità di verifica costante durante l’attività educativa; 4. alto livello di interazione in un contesto di apprendimento collaborativo, multiprospettico e che prediliga approcci fondati sul problem solving ; 5. gruppi di lavoro eterogenei e flessibili ad alto tasso di inclusione.
I media digitali offrono un supporto spostando finalmente l’attenzione dal contenuto dell’apprendimento al processo stesso dell’apprendere, portando gli studenti all’acquisizione, definizione e rielaborazione delle conoscenze all’interno di uno scenario sicuramente più motivante e consapevole. Se poi si considera la possibilità dell’allargamento al confronto con altri, il superamento dello spazio fisico dell’aula e l’apertura a comunità assai più vaste della dimensione locale, attraverso le comunità virtuali o virtual classroom in cui i gruppi potrebbero essere inseriti, si recuperano anche la socialità e la molteplicità di relazioni con ricadute impensabili e impossibili nella struttura tradizionale.
2. Opportunità digitali nella scuola italiana L’introduzione delle TIC nella scuola, con l’obiettivo di migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione scolastica, è una delle priorità condivise da tutti gli Stati membri dell’Unione europea e come tale essa è al centro di numerosi programmi e piani di intervento che si sono susseguiti negli ultimi decenni. La Strategia di Lisbona del 2000, sulla scorta delle indicazioni dei Libri Bianchi del periodo 1993-1995, ha segnato un momento fondamentale per il ruolo assegnato alle TIC negli interventi innovativi di formazione e per la definizione dei Programmi quadro fino al 2010. Le TIC sono introdotte quali «catalizzatori dell’innovazione e dell’evoluzione sociale ed educativa» e quali «strumenti di arricchimento dell’ambiente e dei metodi dell’apprendere» in una prospettiva di formazione permanente che nel nuovo programma per il lifelong learning viene definita un processo sociale in cui le nuove tecnologie e, in particolare, gli strumenti di comunicazione come il web 2.0 «offrono il potenziale per consentire il (ri)collegamento di gruppi quali migranti, reti di istituti scolastici, comunità di cittadini/e ai servizi pubblici, all’apprendimento e alla partecipazione civica». Il conseguimento della digital literacy è al centro dell’Agenda digitale europea, l’iniziativa della Commissione europea avviata nel 2010 al fine di predisporre una strategia per l’Europa 2020 che individui azioni di innovazione, sviluppo economico e crescita della competitività, mediante le potenzialità delle tecnologie digitali. Nel 2012 il piano è stato seguito nel nostro Paese dal «Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali» avviato dall’Agenzia per l’Italia Digitale e che rappresenta uno dei principali tasselli dell’Agenda digitale italiana. Tra i sei assi strategici dell’Agenda è compreso quello denominato «Alfabetizzazione informatica – Competenze digitali» che ha tra le principali linee di azione quella di superare il digital divide e soprattutto di individuare soluzioni e progetti per la costruzione di una cultura diffusa sul digitale, l’acquisizione della consapevolezza delle potenzialità e dei rischi del digitale, la formazione di utenti
autonomi nell’uso delle TIC e dei media nel lavoro, nello studio e nella vita quotidiana, la riqualificazione dei lavoratori, la formazione di competenze trasversali e la formazione di competenze avanzate e specialistiche. In Italia il discorso si è sviluppato lungo due direttive: la prima, volta alla fornitura di dotazioni tecnologiche; la seconda, legata alla necessaria formazione degli insegnanti e del personale. I primi piani risalgono agli anni Ottanta: del 1985 è il Piano nazionale per l’informatica (PNI) destinato ai soli docenti di matematica e fisica delle scuole secondarie di secondo grado; degli anni Novanta è il Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche (PSTD), con il quale si cominciarono a fornire alle scuole dotazioni tecnologiche. Il Piano nazionale di formazione degli insegnanti sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (FORTIC) del 2002 per docenti di ogni ordine e grado segna l’inizio di una nuova tipologia impostata in modalità blended, tramite l’utilizzo di piattaforme di elearning . Il Piano scuola digitale (PSD), avviato nel 2007 con l’obiettivo di innovare ambienti e strategie di apprendimento in tutti gli ordini e gradi e in tutte le discipline, annovera tra le diverse azioni previste: 1. Editoria digitale scolastica , finalizzata allo sviluppo di nuove edizioni digitali scolastiche che possano essere usate efficacemente in connessione con le più recenti tecnologie digitali. 2. Piano LIM , finalizzato all’introduzione delle lavagne interattive multimediali. 3. Cl@ssi 2.0 e Scuol@ 2.0 , finalizzate alla trasformazione di singole classi e scuole in ambienti di apprendimento innovativi, caratterizzati da una forte integrazione delle TIC e dalla sperimentazione di metodi didattici avanzati.
L’impegno italiano per il potenziamento delle TIC e del digitale culmina nel 2015 nel Piano nazionale scuola digitale (PNSD) che riunisce in un unico quadro generale risorse nazionali ed europee. Il Piano non è un semplice dispiegamento di tecnologia ma vuole essere una risposta alla chiamata per la costruzione di una visione di educazione nell’era digitale e di un’idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l’apprendimento che metta gli studenti nelle condizioni di sviluppare le competenze per la vita. Le tecnologie acquistano un ruolo centrale e una funzione di congiungimento di tutta l’attività scolastica, quella relativa alla formazione e all’apprendimento e quella relativa all’amministrazione. Gli investimenti si spostano dalla dimensione prevalentemente tecnologica, orientata alla fornitura alle scuole di strumentazioni digitali, a quella più culturale, intesa come formazione del personale e degli studenti. Gli attori della scuola devono acquisire gli strumenti necessari per fronteggiare il cambiamento e per essere essi stessi agenti di cambiamento; nel caso specifico dei docenti, l’obiettivo prioritario diventa l’innovazione didattica sostenuta dalle tecnologie digitali per la realizzazione dei nuovi paradigmi educativi e la progettazione operativa di attività che mirino all’information literacy e alla digital literacy . Con il PNSD si estende anche la gamma degli interventi formativi e si introducono ambiti quali il rapporto tra creatività digitale e artigianato, tra imprenditorialità digitale, manifattura e lavoro, pensiero logico – computazionale e coding e altri a familiarizzazione con gli aspetti operativi delle tecnologie informatiche. In questo paradigma gli studenti devono essere utenti consapevoli di ambienti e strumenti digitali, ma anche produttori, creatori, progettisti. Si comprende quindi come i docenti, dalla loro parte e in particolare per quanto riguarda le competenze digitali, debbano essere messi nelle giuste condizioni per agire come facilitatori di percorsi didattici innovativi. Tra le 35 azioni previste dal documento ministeriale non a caso sono comprese quelle specifiche per la formazione quali l’azione #25 Formazione in servizio per l’innovazione didattica e organizzativa , l’azione #26 Rafforzare la formazione iniziale sull’innovazione didattica , l’azione #27 Assistenza tecnica per le scuole del primo ciclo e l’azione #28 Un animatore digitale in ogni scuola . Gli obiettivi costituiscono appunto il rafforzamento della preparazione del personale in materia di competenze digitali, raggiungendo tutti gli attori della comunità scolastica insieme alla promozione del legame tra innovazione didattica e tecnologie digitali. In tale processo è proprio la nuova figura dell’animatore digitale della scuola ad avere un ruolo strategico nella diffusione dell’innovazione a scuola, a partire dai contenuti del PNSD. Il docente animatore digitale diventa fondamentale per l’accompagnamento del Piano nazionale scuola digitale, fungendo da stimolo alla formazione interna alla scuola sui temi del PNSD: attraverso il coinvolgimento della comunità scolastica in attività strutturate sui temi del PNSD, egli propone soluzioni metodologiche e tecnologiche sostenibili da diffondere all’interno degli ambienti della scuola, coerenti con l’analisi dei fabbisogni della scuola stessa e in sinergia con altre figure che si occupano di attività di assistenza tecnica.
3. I media nella gestione dei processi di apprendimento Progettare percorsi didattici efficaci richiede al docente di saper selezionare contenuti significativi, di saper individuare strumenti, strategie e metodologie adeguati per rendere raggiungibili da parte di tutti gli allievi gli obiettivi e le finalità educativo-didattiche e di fornire modalità di valutazione chiare e trasparenti. Ma progettare percorsi didattici con il supporto dei media digitali richiede da parte del docente anche una conoscenza ampia dei diversi strumenti disponibili a seconda dei diversi obiettivi, evitando l’improvvisazione e l’approssimazione. Pertanto, sin dalla fase di progettazione è indispensabile un vaglio critico degli strumenti digitali, orientando la scelta verso quelli funzionali agli obiettivi specifici e alla realizzazione di itinerari formativi che favoriscano la personalizzazione, l’inclusione e l’apprendimento collaborativo. La disponibilità anche in open source di software didattici è ormai tanto elevata da rendere ardua la selezione: conviene, tenuto conto di parametri quali per esempio l’interfaccia, l’accessibilità, la semplicità d’uso, l’adattabilità e l’interoperatività, orientarsi verso software
facilmente gestibili e soprattutto utilizzabili anche in modalità BYOD (Bring Your Own Device ). Un valido aiuto in tal senso è offerto dall’e-book gratuito Evaluating Apps for the Classroom creato da Apple in cui vengono forniti suggerimenti utili per la valutazione di app educative. Considerato che molti applicativi si prestano a usi diversi, pur senza pretesa di esaustività e senza ridursi a rigidi schematismi, sarebbe conveniente suddividere gli strumenti digitali disponibili in gruppi funzionali alle diverse procedure didattiche: quelle dell’istruttività se legate ad azioni del docente e quelle delle attività se centrate su azioni del discente. Nel primo gruppo rientrano gli applicativi classici che possono essere usati a scopi didattici quali programmi di videoscrittura o word processor, programmi di calcolo come fogli elettronici o spreadsheet per creare tabelle di dati in genere numerici, programmi per la creazione e gestione di basi di dati o database , programmi per la gestione della grafica, dell’audio e della musica, dei video o giochi. Si tratta insomma di applicativi indispensabili per svolgere non soltanto le attività didattiche in aula o a distanza, ma anche tutta la fase organizzativa per la presentazione di oggetti di apprendimento. A questi si aggiungono i software specifici per le discipline (Geogebra, Cabri, Matlab, Ludus, Desmos, Google Earth ecc.) la cui offerta è decisamente sconfinata per ciascun ordine di scuola e che consentono una progettazione orientata al raggiungimento di specifici obiettivi di apprendimento nelle diverse discipline di studio. Tra questi si segnalano quelli specifici per studenti con bisogni educativi speciali che offrono un notevole contributo in termini di personalizzazione e di inclusione. Ci soffermiamo su alcuni programmi per la creazione di presentazioni e somministrazione di contenuti multimediali funzionali alla didattica. Tra i più noti troviamo PowerPoint (incluso nel pacchetto Office di Microsoff), Prezi, Blendspace, Nearpod, Pear Deck, Powtoon, eXelearning. PowerPoint È uno strumento molto completo che offre, attraverso l’implementazione di diapositive più o meno complesse, strumenti orientati alla gestione di presentazioni organizzate in maniera lineare. La scelta di PowerPoint può essere determinata da alcuni fattori quali la semplicità d’uso, l’accesso a un numero infinito di risorse, l’editing, la creazione di transizioni e animazioni, l’utilizzo di collegamenti ipertestuali, di grafici e tabelle e l’interessante sincronizzazione con slideShare per consentire a chiunque la visualizzazione online attraverso il portale www.slideshare.net . Un limite è tuttavia costituito dal formato script assolutamente lineare che impone una sequenzialità obbligata nella presentazione nonché dalla gestione non sempre agevole di file di grandi dimensioni, nel caso in cui vengano aggiunte immagini, file audio e video. Prezi Consente di realizzare presentazioni più dinamiche, spezzando il vincolo della sequenzialità nel passaggio da un punto all’altro della presentazione. Si supera il concetto delle diapositive per passare alla creazione di una sorta di desk di dimensioni potenzialmente infinite sul quale rappresentare in molti modi e con molti strumenti le proprie idee; il presentatore, inoltre, ha la possibilità di scegliere il suo percorso di presentazione, potendo saltare, con notevole flessibilità, da una idea all’altra evidenziandone i contenuti. Anche se i template sono più limitati rispetto a PowerPoint, più agevole risulta invece l’integrazione di immagini, testi, video, animazioni e suoni. Blendspace È un applicativo online che permette di creare velocemente lezioni mediante la raccolta in un solo spazio virtuale di tanti tiles («mattonelle») di diversa tipologia, frutto del lavoro di ricerca e di selezione di risorse multimediali sul web svolto dal docente. La disponibilità di un motore interno di ricerca direttamente dalla barra degli strumenti facilita il reperimento e l’inserimento delle risorse in rete, senza bisogno di aprire il browser ed eseguire l’upload dal proprio computer; le stesse possono essere facilmente integrate in blog o siti web oppure condivise in un’ottica collaborativa secondo i principi del collaborative learning e del social learning . Il programma consente inoltre la creazione di classi alle quali gli studenti si possono iscrivere tramite un codice che viene automaticamente fornito quando l’insegnante crea gruppi nei quali, oltre alla possibilità di somministrazione di verifiche e al monitoraggio dei progressi compiuti da ciascuno dei partecipanti, il docente può interagire con il singolo utente, personalizzando il percorso formativo. Nearpod È un’applicazione che consente al docente di creare presentazioni multimediali anche interattive con quiz, video, sondaggi, strumenti per disegnare e altro. L’utilizzo didattico può essere decisamente efficace se si considera, al di là delle funzioni di presentazione dei contenuti, la possibilità di coinvolgimento e di interazione degli studenti con i contenuti ogni volta che il docente abilita i loro dispositivi. Pear Deck In maniera analoga, Pear Deck consente di creare presentazioni interattive arricchite con esercizi e discussioni che stimolano la partecipazione attiva degli studenti. Il docente può visualizzare il lavoro di ogni singolo alunno alla lavagna e commentarlo o correggerlo. Powtoon Grazie alla varietà e alla combinabilità degli elementi disponibili, consente in poco tempo di realizzare diapositive con effetto cartoon molto avvincenti e contenenti testi, immagini, grafici, animazioni, musica e voce per presentazioni più accattivanti e creative. Molto interessante è la timeline che offre la possibilità di facile scomposizione, sintesi e ricostruzione dell’argomento trattato.
eXelearning È un programma con licenza open source che permette di creare materiali per la didattica e contenuti per la LIM. Per quanto sia utilizzato un formato specifico di salvataggio, tuttavia il lavoro può essere esportato in formati adatti per la creazione di learning object (SCORM e IMS), per la pubblicazione su siti web o addirittura in epub3, laddove si pensi di realizzare un libro digitale. L’applicativo consente anche la predisposizione di prove di verifica con diverse modalità (quiz a scelta multipla, vero/falso, cloze test ). Se poi si preferisce registrare la presentazione in modo che sia riutilizzabile da parte degli studenti come lezione completa con il commento del docente e non come semplice presentazione, sono disponibili numerosi software per la registrazione dello schermo. I più noti sono: Screencast-O- Matic, ApowerREC, Open Broadcaster Software, Camtasia, ShareX, Wondershare Filmora, Apowersoft, Google+ Hangout. Le funzioni offerte da ciascun applicativo sono più o meno simili; tuttavia alcuni risultano particolarmente funzionali per la didattica e per l’apprendimento come per esempio Wondershare Filmora che, con la panoramica e lo zoom, consente durante il discorso di evidenziare le parti importanti dell’esercitazione o Google+ Hangout che ha anche il vantaggio di consentire agli studenti e agli insegnanti di interagire in un ambiente live , utile per le discussioni di classe. Gli strumenti per la presentazione possono essere integrati dall’utilizzo di lavagne digitali o whiteboard con spazio di scrittura illimitato, condivisione e sincronizzazione adeguata dei file cloud su tutti i dispositivi e possibilità di allegare file . Anche in questo caso la scelta è molto ampia e va dagli applicativi più semplici che riproducono la lavagna tradizionale a quelli più avanzati che offrono un corredo molto ampio di funzioni. OpenBoard, IPEVO Annotator, InVision Freehand, Limnu, Aww App, Stoodle, Stormboard, RealtimeBoard, Sketchboard, Conceptboard sono solo alcuni dei programmi disponibili, tutti con potenzialità specifiche e nello stesso tempo decisamente efficaci per la didattica. Di supporto nella presentazione sono anche i software per la creazione di mappe concettuali e mappe mentali, quali CmapTools, Mindomo, Popplet, MindMeister, Persuasion Map. Anche in questo caso la scelta è molto ampia e variegata: tutti gli applicativi forniscono un valido ausilio sia per presentazioni efficaci sia per l’apprendimento da parte degli studenti. Le implicazioni didattiche sono davvero molteplici in quanto alcuni programmi consentono non una semplice schematizzazione dei punti nodali di un argomento quanto la possibilità di utilizzare l’app come strumento di pianificazione e progettazione di un percorso. Allora si comprende quanto tale strategia possa rivelarsi efficace laddove si voglia far ricorso a metodologie quali il brainstorming o si stia lavorando per potenziare le competenze comunicative o garantire un sostegno a chi ha necessità. CmapTools Fornisce una serie di strumenti grafici per creare mappe concettuali in cui vengono messi a fuoco molto efficacemente i nodi concettuali e le relazioni associative che li collegano. I nodi possono essere evidenziati mediante il ricorso a colori diversi e con caratteri particolari che vanno a costituire mappe che possono essere sia condivise con altri utenti connessi in rete sia esportate in altri formati quali html, pdf o jpg. Mindomo Consente di creare facilmente mappe mentali su un’interfaccia molto intuitiva ed efficace; risulta molto interessante la possibilità di poter includere qualsiasi tipo di contenuto multimediale, compresi anche link , note e video di YouTube. Popplet Oltre ai nodi della mappa con contenuti multimediali, consente un’apertura maggiore verso la collaborazione e la condivisione anche online con altre persone per poter migliorare il proprio lavoro. MindMeister È uno strumento ancor più completo, che rivela risvolti didattici davvero interessanti in quanto consente di pianificare e progettare un compito di qualunque genere in modalità controllata e condivisa, inserendo note e informazioni in tempo reale. L’integrazione di una live chat fa sì che gli utenti possano essere certi che non si verifichino confusioni e che tutti siano aggiornati sullo stato di avanzamento dei loro progetti. L’esportazione in altri formati e la possibilità di collegamento a Google Drive rende molto potente questo applicativo che da mappa mentale si trasforma con un solo clic in una presentazione. Persuasion Map È molto interessante sia per supportare una presentazione con uno schema che metta a fuoco i concetti principali sia per gli studenti per l’acquisizione di competenze comunicative. Il programma consente di discutere un argomento, a partire da una tesi centrale o da un obiettivo, e di riportare in mappa in maniera schematica e chiara motivi a sostegno dell’argomentazione; davvero utile come supporto per lo sviluppo di competenze trasversali, per l’apprendimento cooperativo e nel caso di utilizzo di metodologie come il debate . Anche la verifica degli apprendimenti trova molti strumenti a disposizione del docente che offrono un supporto in tutte le fasi del lavoro, dalla composizione, alla realizzazione di schede di verifica, alla distribuzione e alla raccolta dei dati. Va precisato che molti degli strumenti di presentazione dispongono già di tools per la verifica, come per esempio Nearpod; tuttavia, se si preferisce il ricorso a uno strumento rapido e specifico per una verifica magari durante la presentazione stessa per un accertamento immediato e continuo con il ricorso al BYOD e l’utilizzo di devices personali, sono da segnalare programmi quali Testmoz, TCExam, Kahoot!, Socrative,
QuizFaber, Hot Potatoes. Si tratta quasi sempre di programmi molto intuitivi tanto da poter essere utilizzati anche da chi non padroneggia particolarmente la lingua straniera, considerato che molti non presentano la versione in italiano. Alcuni hanno bisogno di essere scaricati e installati; altri invece sono disponibili gratuitamente e utilizzabili direttamente in rete. Insomma si tratta di stabilire semplicemente l’oggetto e la modalità di verifica per poi regolarsi sulla scelta del tool più adatto. Infatti se si ricercano programmi che permettano la costruzione di una diversa tipologia di prove, si potrà ricorrere a Learnclick per costruire verifiche e test che prevedano l’inserimento di parole mancanti (cloze test ) oppure a ImageQuiz se si prevedono quiz con immagini o a PurposeGame se si vogliono effettuare verifiche avvalendosi di modalità più ludiche e attrattive. Visto che la disponibilità in rete è pressoché sterminata, ci limitiamo a indicare le caratteristiche di alcuni applicativi, selezionati a campione per alcune peculiarità. Testmoz Si segnala per la rapidità di creazione di verifiche di varia tipologia da somministrare agli studenti, fornendo loro un semplice link con una password di accesso creata dall’administrator . Molto intuitivo nell’impostazione generale anche nella versione free, consente una restituzione dei risultati visionabile in una sola schermata, con un report distinto per ciascun item e per ciascun allievo. TCExam È in lingua inglese, anche se è possibile, una volta entrati, usare la versione in lingua italiana; in ogni caso anche questa risorsa si distingue per i tempi rapidi e l’accuratezza di correzione dei test, che consentono un monitoraggio pressoché continuo dei risultati conseguiti dallo studente Kahoot! Si distingue per l’approccio ludico all’apprendimento (game-based learning ) e per il momento dell’esecuzione del test, che si svolge in modo divertente e collaborativo. Infatti la piattaforma è funzionale alla creazione e somministrazione di test che possono essere affrontati dall’intera classe anche attraverso il gioco in un ambiente di apprendimento moderno che, in maniera accattivante, implementa l’utilizzo per scopi didattici anche degli smartphone, in linea con l’azione #6 del PNSD e con i principi della gamification . Si possono inserire sottofondi musicali per attirare l’attenzione dei ragazzi o anche filmati in maniera immediata ma con sicuro effetto attrattivo per gli studenti; quanto alla correzione automatica e alla restituzione dei risultati, essa avviene in comodo formato excel. Socrative Permette di somministrare agli studenti quiz, verifiche e sondaggi in tempo reale in modo divertente e interattivo attraverso la versione per browser o tramite app per IOS e Android. La registrazione e la creazione di un account è richiesta solo per il teacher ; gli studenti invece accedono alla prova senza registrazione, semplicemente inserendo il codice fornito. I quesiti possono essere riportati sul dispositivo utilizzato dallo studente in ordine casuale come anche le risposte previste. È inoltre possibile prevedere risposte aperte e i risultati possono essere facilmente condivisi con altri docenti. Una funzione particolare di Socrative è lo «Space race», che consente di organizzare una competizione a base di quiz da svolgersi in gruppi o individualmente: mentre gli studenti utilizzano il loro dispositivo come risponditore, sulla LIM un razzo registra il vantaggio della squadra o del partecipante che totalizza il maggior numero di risposte esatte. QuizFaber È un programma freeware per generare prove scegliendo tra sei diverse tipologie di domande: a scelta multipla, a risposta multipla, a risposte «vero o falso», a risposta aperta, con parole omesse, con associazione di parole. La compatibilità con i formati più diffusi per Internet (jpeg, gif, mid, mp3, avi, mpeg) nonché con i plug in per Macromedia Flash, Apple QuickTime, Liveupdate RealAudio, RealMedia consente l’inserimento nel quiz di oggetti multimediali quali immagini, suoni e filmati. Da evidenziare il supporto del salvataggio dei risultati del quiz attraverso un web server oltre alla possibilità consueta di restituzione tramite invio per posta elettronica. Hot Potatoes Amplia ulteriormente la possibilità di creare prove di verifica mediante questionari web di diversa tipologia, dai cruciverba fino a esercizi da riempire. Comprende moduli per un sistema molto interattivo: JMatch per trovare accoppiamenti; JMix con cui sviluppare esercizi in cui mettere in ordine delle frasi; JCross , per lo sviluppo di cruciverba; JQuiz per questionari tipo test; JCloze , per esercizi con completamento di frasi. Risultano molto utili per l’organizzazione del lavoro didattico anche altri strumenti per l’archiviazione in rete o cloud dei materiali prodotti in modo da averli sempre e ovunque disponibili, senza la necessità di un dispositivo esterno di memorizzazione (pendrive o hard disk portatile). È il caso di Google Drive, Microsoft OneDrive, Dropbox che, oltre a essere sistemi di storage , favoriscono la collaborazione, la redazione, la condivisione, la consultazione e la pubblicazione di materiali didattici di qualsivoglia formato. Se poi si preferisce lavorare in un unico ambiente digitale che metta a disposizione tutti gli strumenti necessari per ciascuna fase di lavoro del docente, a partire dalla progettazione didattica e fino alla verifica degli apprendimenti e alla restituzione dei risultati, si può optare per le piattaforme didattiche che consentono la creazione di ambienti di apprendimento virtuali. Esse costituiscono una integrazione della didattica in presenza offrendo la possibilità di creare spazi virtuali progettati e coordinati dal docente che amplificano
enormemente gli scenari didattici. Anche in questo caso le proposte sono in netto incremento: ci limitiamo a segnalare le più utilizzate come per esempio Office 365 Education, G Suite for Education di Google, Edmodo, Fidenia, WeSchool. La piattaforma e-learning Office 365 Education richiede una registrazione gratuita con l’account dell’istituto scolastico e comprende i programmi Excel, Word, PowerPoint, Outlook, OneNote, Publisher e Microsoft Team. Gli iscritti possono usufruire di una casella di posta elettronica (50 gb di spazio a disposizione, 1 terabyte di spazio su OneDrive) e di altri servizi per la didattica a distanza, tra cui Microsoft Teams che permette di creare un’aula virtuale con gruppi chiusi dove si possono effettuare videochiamate di gruppo e tenere lezioni online. Tra gli altri servizi rientrano Microsoft Forms, per creare quiz con risposta multipla da dare come compito agli studenti, Microsoft Stream per creare e condividere video, Microsoft Flow per creare diagrammi e flussi di lavoro, Microsoft Sway per progetti e presentazioni, Microsoft Yammer per creare un social network chiuso dove scambiare file. Le video lezioni, a cui possono partecipare fino a 250 studenti, possono essere registrate nel cloud e sono supportate anche dall’utilizzo di una lavagna e di un registro delle attività. Ne fanno uno strumento completo l’integrazione perfetta con Skype e la possibilità di numerose app per videoconferenze e altro come Cisco Webex. G Suite for Education di Google è una suite di app Google gratuite realizzate appositamente per le scuole, da utilizzare sia singolarmente che insieme e in modo interattivo. Effettuata la registrazione da parte dell’istituto scolastico, è possibile servirsi gratuitamente delle seguenti applicazioni: Hangouts Meet per comunicare via chat e videoconferenza, sia in bilaterale che in gruppo con la possibilità di sottotitoli automatici; Classroom per la creazione di classi virtuali in cui si possono creare corsi online, condividere contenuti multimediali, assegnare compiti e test, valutare i compiti svolti dagli studenti in remoto, dare e ricevere commenti; Gmail per il servizio di posta elettronica; Documenti, Fogli, Presentazioni Google per la creazione, la modifica in tempo reale di documenti, fogli di calcolo o presentazioni; Moduli per la creazione di test e questionari vari; Calendar per annotare appuntamenti, promemoria ed elenchi di attività da svolgere. Altre piattaforme sono improntate più sul modello degli e-learning social: è il caso di Edmodo in cui gli utenti, sia docenti che studenti iscritti tramite un codice di accesso, possono postare, commentare, pubblicare video, note e allegati o anche sondaggi su qualunque tema e gestire un calendario di classe per annotare le scadenze didattiche più importanti (compiti in classe, interrogazioni, assemblee di classe e istituto, incontri tra genitori e professori). Una funzione specifica è rappresentata da «Nota» che permette di pubblicare un annuncio, condividere file e dialogare con gli iscritti alla classe virtuale. Con le funzioni «Compiti e Assegnazioni» sono disponibili strumenti per le verifiche e il monitoraggio dei risultati che possono successivamente essere visualizzati in un registro dei voti esportabile come file csv. Analoga impostazione sul modello del social network didattico è anche quello di Fidenia che fornisce un ambiente d’apprendimento virtuale in cui si può accedere a numerose funzionalità didattiche con un’unica registrazione. L’impostazione generale e le varie funzioni ne fanno uno strumento innovativo utile a tutti gli attori della scuola: il docente crea la classe virtuale a cui si iscrivono gli alunni e da cui è possibile dialogare con altri docenti e con i genitori che vengono coinvolti attivamente nel percorso scolastico dei figli. Nell’ambiente virtuale si possono continuare eventuali discussioni iniziate in classe in presenza, assegnare compiti e questionari, condividere documenti e materiali, creare eventi e organizzare iniziative scolastiche. Molto interessante risulta la forte interazione soprattutto nella direzione scuola-famiglia e tra i genitori stessi con valido supporto per i processi di comunicazione: infatti l’area Gruppi consente di creare, diversamente da Corsi, gruppi vari compresi quelli dei genitori. Inoltre la scuola può creare la propria pagina da cui inviare comunicazioni e documenti, dialogare con le altre scuole, creare eventi all’interno del calendario, promuovere iniziative e soprattutto, previa attivazione di Fidenia + Erikson, avere l’accesso a programmi quali GiADA per l’individuazione precoce dei DSA, SOFIA per la compilazione guidata di PEI e PDP, e Libro Digitale Evoluto per l’apprendimento collaborativo e la realizzazione con ePubEditor di e-book da condividere con le classi, gli altri docenti o con l’intera community. L’app gratuita Fidenia Notify consente di rimanere sempre aggiornati anche tramite smartphone e tablet, grazie alle notifiche per tutto ciò che avviene sul portale Fidenia. Anche la piattaforma WeSchool è un’applicazione web based per creare un social network a scuola. Le funzioni sono analoghe alle precedenti: il docente crea l’ambiente online a cui gli studenti possono accedere con un codice e cominciare a interagire con gli altri membri del gruppo nella sezione Wall. L’area Board è riservata allo studio vero e proprio in quanto in essa sono condivisi materiali didattici e documenti di vario genere. La verifica e il monitoraggio degli apprendimenti avviene grazie alla sezione Test nella quale si possono lanciare Instant Test di nove diverse tipologie, le cui risposte e i risultati sono immediatamente consultabili. Da segnalare in questa piattaforma la disponibilità di poter aggregare facilmente contenuti didattici multimediali da qualsiasi fonte (Google Drive, YouTube, Dropbox, Instagram) attingendo a un considerevole archivio di video, testi ed esercizi in varie discipline. Completiamo la rassegna citando altre proposte che presentano in linea di massima analoghe caratteristiche delle precedenti quanto a funzionalità e spendibilità nella didattica: Classmill, Schoology, Otus, Socloo, Padlet, Moodle e il progetto «Aule virtuali» compreso nel registro elettronico ClasseViva di Spaggiari.
Restano infine da citare gli applicativi progettati specificamente per gli studenti con Bisogni educativi speciali (BES): le tecnologie possono essere un fattore determinante a sostegno dei processi di inclusione e aiutare a superare o ridurre molti problemi; tuttavia, anche in questo caso, esse vanno non solo scelte ma soprattutto proposte con attenzione e con adeguata consapevolezza pedagogico-
didattica. Le TIC consentono il superamento dei vincoli spazio-temporali e dei limiti dovuti alle difficoltà di comunicazione verbale, favorendo la personalizzazione dei percorsi di apprendimento; alcuni dei programmi che abbiamo presentato posseggono già queste caratteristiche (per esempio i software per mappe concettuali) e soprattutto hanno il requisito fondamentale dell’accessibilità. Considerata però l’ampiezza della sfera dei bisogni educativi, ci limitiamo a segnalare qui solo alcuni software specifici per i Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) quali Tachistoscopio per le difficoltà nella lettura e scrittura, e Leggo ABC per il riconoscimento di sillabe e di parole e l’individuazione di strategie efficaci di riconoscimento delle parole da leggere; Leggo 123 per la discalculia; La casa delle parole per bambini dagli 8 agli 11 anni con disturbi specifici di scrittura; Balabolka e Dspeech che sono sintetizzatori vocali. L’elenco, assolutamente non esaustivo, serve a evidenziare che il ventaglio di scelta è davvero ampio e che i vari applicativi riescono a proporre attività importanti sia sul piano della vicarianza, per sostituire abilità non presenti o compensare deficit, sia sul piano della facilitazione di funzioni, intesa come l’attività tesa a potenziare certe capacità presenti in misura ridotta. Resta il fatto che non esiste il software unico che risponda integralmente ai bisogni di ciascun alunno con BES; pertanto l’efficacia di ogni strumento è condizionata dalla scelta, se accurata e operata conoscendo realmente l’alunno, del suo inserimento in un percorso formativo appropriato; ogni tool deve essere coerente ai bisogni, alle potenzialità, alle capacità del fruitore e non deve trascurare aspetti emozionali, intesi come la possibilità di creare situazioni coinvolgenti e rassicuranti che aiutino l’allievo ad avere fiducia nelle sue capacità e a esprimere il meglio di sé.
9. Normativa generale per l’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali a cura di Andrea Marchetti
1. Premessa «Inclusione» è un termine a cui afferiscono vari significati e che, nella nostra accezione, andremo ad analizzare nell’ambito della globalità delle sfere educativa, sociale e politica all’interno delle nostre scuole, nello specifico nelle secondarie di primo e secondo grado. Includere letteralmente vuol dire rimuovere tutte le barriere che ostacolano il processo di apprendimento di tutti gli alunni. Il passo successivo ai fini di un chiarimento nella terminologia utilizzata riguarda il concetto di integrazione, termine usato per lo più in passato per indicare l’inserimento in un certo contesto delle persone senza che ci si preoccupasse della loro reale partecipazione alle attività proposte, spesso completamente divergenti da quella fatte dal resto del gruppo. L’educazione inclusiva delle persone con disabilità all’interno dei contesti scolastici tende a rendere più ampie le finalità della scuola con particolare riguardo alle esigenze di ciascun alunno. Questo tipo di educazione porta a un continuo miglioramento della scuola principalmente attraverso l’utilizzo delle risorse umane, al fine di poter sostenere la partecipazione all’istruzione di tutti gli allievi all’interno del contesto educativo. L’attenzione posta dalla normativa di riferimento sulla educazione inclusiva deve essere intesa come un processo volto a garantire il diritto all’educazione per tutti a prescindere dalle diversità di ciascuno che possono derivare da condizioni di disabilità e/o svantaggio psico-fisico, socio-economico e culturale. Essa supera i confini della scuola e si proietta in ogni contesto, extrascolastico, informale, non formale, racchiudendo in sé tutti gli ambienti educativi. Si delinea quindi l’orientamento attuale nella concezione della disabilità, legato a un «modello sociale» che interpreta la condizione del soggetto disabile come il prodotto fra il livello di funzionamento della persona e il contesto sociale di vita, così come definito dall’ICF (International Classification of Functioning). È proprio tale modello ICF che, proponendo una classificazione bio-psico-sociale, di tipo funzionale piuttosto che meramente clinico, come vedremo nel corso del nostro studio, penetrerà quei Piani formativi che decodificano la realtà normativa in concreta vita scolastica.
2. Il D.lgs. 66/2017 e gli interventi previsti per gli alunni con disabilità La parola «handicap» ha da sempre evocato paure, fantasmi, mostri, parto della nostra fantasia. «Handicap» è un termine improprio e costituisce l’incarnazione visibile della diversità, che attiva dinamiche di ripulsa, di paura e di angoscia. Il corpo di una persona con disabilità «evoca immediatamente lo spettro della malattia, del dolore, i suoi deficit comunicativi, mentali, sensoriali, evocano la diminuzione di possibilità che la vita gli ha riservato, ovvero un destino di insuccesso, di delusione, di separazione» [310] . Negli individui, di fronte all’espressione dell’handicap, della sua differenza corporea, si attivano difese inconsce che si esternano o in comportamenti iperprotettivi o in crudeli esclusioni. L’handicap rappresenta la paura più temuta dell’uomo, espressione della differenza che intacca l’ideale della bellezza, del successo, del totale controllo di sé. Per definire l’handicap occorrono tre elementi: 1. deficit di strumenti: motori, intellettivi o relazionali. Questo aspetto alle volte più che essere un deficit vero e proprio è un non utilizzo degli strumenti, per esempio, un ragazzo in situazione di handicap, per una patologia motoria come una tetraparesi spastica, può avere però intatti gli altri strumenti nell’area affettiva, relazionale o cognitiva; 2. ruolo sociale. Non è solo la mancanza di strumenti (il ragazzo che non parla, non scrive o non sente) ma è quello che si aspetta la persona con disabilità da noi, cioè la propria immagine riflessa negli altri; il grande problema che interessa una persona gravemente deficitaria di strumenti è l’impatto con la realtà sociale; 3. identità della persona con disabilità. Una coppia che è in attesa di un bambino ha una serie di aspettative verso il figlio che nascerà; benché durante la gravidanza ci siano molte fantasie positive, ogni genitore vive allo stesso tempo la paura che possa nascere qualcosa di mostruoso o di brutto. Nel momento in cui nasce un bambino con deficit avviene il crollo delle aspettative. Il rapporto genitore-bambino è stravolto. Comincia un iter che vede il bambino oggetto di cure: visite, terapie, cure riabilitative. Questo iter terapeutico deve in qualche modo emendare questo male, costringe il genitore a far diventare il proprio figlio oggetto di cure. Questo modo di concepire il bambino come oggetto di cure impedisce al bambino stesso di avere una propria identità.
Un bambino con disabilità si trova oggetto di cura, ma poche volte soggetto. In questo modo l’attenzione della famiglia è sempre posta sulla cura o sulla riabilitazione; quindi, l’acquisizione di identità gli viene preclusa insieme a qualsiasi altro rito sociale come per esempio il matrimonio, il lavoro, e la persona disabile diventa un tutt’uno con il proprio deficit. Appare chiaro, quindi, che l’handicap non va confuso con il deficit che è, per sua stessa natura, oggettivo e irreversibile; l’handicap può essere ridotto se non addirittura eliminato, perché dipende prevalentemente da una serie di barriere di carattere architettonico, sociale, psicologico ed educativo che possono ostacolare in forma permanente o transitoria chiunque. L’inserimento nella scuola e nel mondo del lavoro non sono sufficienti ad assicurare la piena inclusione sociale delle persone con disabilità. Ma l’handicap può essere fonte di riflessione per scoprire la forza e
il valore della diversità a esprimere il diritto a emanciparsi, a crescere e ad affrancarsi. Nonostante le quotidiane sfide che la persona con disabilità grave è costretta ad affrontare resta tuttavia intatto il suo desiderio di sentirsi autonomo e di poter essere protagonista della propria vita, libero di stringere collaborazioni e di coordinare le proprie risorse con quelle degli altri. 2.1 I correttivi introdotti dal D.lgs. 96/2019
Il D.lgs. 66/2019 e successivamente il correttivo D.lgs. 96/2019 hanno apportato interessanti cambiamenti nel sistema scolastico italiano relativamente ai percorsi di inclusione degli alunni con disabilità. I principali aspetti di novità possono essere così sintetizzati: 1. introduzione del principio di «accomodamento ragionevole» come criterio guida per l’utilizzo delle risorse per il sostegno previsto nei singoli PEI. I numerosi interventi normativi che si sono succeduti in questi ultimi anni nel mondo della scuola hanno avuto come fine quello di favorire la piena inclusione dell’alunno con disabilità. Il D.lgs. 96/2019 è stato realizzato con lo scopo di semplificare le procedure di riconoscimento della disabilità ai fini dell’inclusione scolastica. Il testo di legge recepisce il termine «reasonable accomodation» che è stato introdotto nei primi anni Novanta negli Stati Uniti. La convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con legge n. 18 del 3 marzo del 2009, definisce l’«accomodamento ragionevole» come un insieme delle modifiche e degli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali [311] .
Il concetto di «accomodamento» comprende vari aspetti dell’accessibilità complessiva dell’ambiente di vita e di lavoro come per esempio l’adattamento del posto di lavoro e la riorganizzazione dei processi di lavoro, nonché l’eventuale supporto di assistenza personale. Nel realizzare tale diritto, gli Stati parti che hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità dovranno assicurare che: le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale sulla base della disabilità e che i bambini con disabilità non siano esclusi dall’istruzione primaria obbligatoria gratuita o dall’istruzione secondaria in base alla disabilità. Allo scopo di realizzare questo diritto senza discriminazioni e su una base di eguaglianza di opportunità, gli Stati Parti faranno in modo che il sistema educativo preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli e offra, nel corso dell’intera vita, possibilità di istruzione finalizzate; le persone con disabilità possano accedere a un’istruzione primaria inclusiva, di qualità e gratuita e a un’istruzione secondaria su base di eguaglianza con gli altri e all’interno delle comunità in cui esse vivono; un accomodamento ragionevole venga fornito per andare incontro alle esigenze individuali [312] . 2. L’adozione dei criteri ICF finalizzati anche all’accertamento della condizione di disabilità. L’ICF è una classificazione internazionale che descrive lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti (sociale, famigliare, lavorativo). Essa fornisce un linguaggio comune per la descrizione del funzionamento di un soggetto e descrive le situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale evidenziando l’unicità di ogni persona piuttosto che mettere in risalto lo stato di salute o di disabilità. Attraverso l’ICF sarà redatto il Profilo di funzionamento (PF) che è il documento propedeutico e necessario alla predisposizione del Piano educativo individualizzato (PEI) e del Progetto individuale. 3. Adozione del Profilo di funzionamento (PF). Il Profilo di funzionamento è il documento che raccoglie l’attuale diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale ed è necessario sia per l’assegnazione del docente di sostegno sia per l’elaborazione del Progetto individuale elaborato dall’ente locale in collaborazione con la ASL, la famiglia dell’alunno con disabilità e la scuola. Il Profilo di funzionamento è propedeutico e necessario alla predisposizione del Progetto individuale [313] e del PEI, definisce anche le competenze professionali e la tipologia delle misure di sostegno e delle risorse strutturali necessarie per l’inclusione scolastica. È redatto con la collaborazione dei genitori dell’alunno con disabilità, nonché con la partecipazione di un rappresentante dell’amministrazione scolastica, individuato preferibilmente tra i docenti della scuola frequentata. 4. Modifica della composizione dei componenti delle commissioni mediche per l’accertamento della disabilità ai fini della inclusione scolastica. Il decreto legislativo opera una revisione della composizione speciale delle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali per il caso di accertamento di disabilità di persone in età evolutiva. La prima commissione medica per l’accertamento della disabilità è composta da un medico legale, che assume le funzioni di presidente, da due medici di cui uno specialista in pediatria o in neuropsichiatria infantile e l’altro specialista nella patologia che connota la condizione di salute del soggetto. Tale commissione è integrata da un assistente specialistico o da un operatore sociale, o da uno psicologo in servizio presso strutture pubbliche.
La seconda commissione denominata Unità di valutazione multidisciplinare (UVM) è composta da uno specialista in neuropsichiatria infantile o un medico specialista, esperto nella patologia che connota lo stato di salute del minore, e almeno due delle seguenti figure ossia un esercente di professione sanitaria nell’area della riabilitazione, uno psicologo dell’età evolutiva, un assistente sociale o un pedagogista o un altro delegato, in possesso di specifica qualificazione professionale, in rappresentanza dell’ente locale di competenza con la collaborazione della famiglia e con la partecipazione di un docente della scuola frequentata o cui è iscritto l’alunno. Questa commissione redige il Profilo di funzionamento (PF). Quest’ultimo è predisposto con la collaborazione dei genitori o di chi esercita la responsabilità genitoriale della bambina o del bambino, dell’alunna o dell’alunno con la partecipazione del dirigente scolastico ovvero di un docente specializzato sul sostegno didattico dell’istituzione scolastica ove è iscritto l’alunno con disabilità. 1. Adozione del nuovo modello di PEI elaborato dal Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLOI). Tale documento deve contenere una quantificazione delle ore e delle risorse necessarie per il sostegno, una definizione di tutti gli strumenti necessari, delle strategie e degli interventi educativi e didattici, nonché i tempi di stesura. Il dirigente scolastico, sulla base del PEI di ciascun alunno, raccolte le osservazioni e i pareri del Gruppo di lavoro sull’inclusività, sentito il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT), tenendo conto delle risorse didattiche, strumentali, strutturali presenti nella scuola, nonché della presenza di altre misure di sostegno, al fine di realizzare un ambiente di apprendimento favorevole allo sviluppo dell’autonomia degli alunni con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, invia all’ufficio
scolastico regionale la richiesta complessiva dei posti di sostegno. Al contempo, il GLOI dovrà indicare nel PEI se l’alunno con disabilità necessita di assistenza per l’igiene personale. Si ricorda che tale incarico spetta al collaboratore scolastico, in quanto previsto dal proprio mansionario. L’assegnazione dei collaboratori scolastici nella scuola statale sarà finalizzata anche allo svolgimento dei compiti di assistenza previsti dal profilo professionale. Si ricorda che la definizione dell’organico del personale ATA (Ausiliare, Tecnico, Amministrativo), viene fatta tenendo conto della presenza di alunni con disabilità certificata presso ciascuna istituzione scolastica statale, fermo restando il limite della dotazione organica disponibile per ogni USR. 2. Definizione nel D.lgs. 66/2017 della composizione del Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLOI) dei singoli alunni con accertata condizione di disabilità ai fini dell’inclusione scolastica. Ogni Gruppo di lavoro operativo è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori dell’alunno con disabilità, o di chi esercita la responsabilità genitoriale, delle figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità nonché con il necessario supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare. Il GLOI sarà supportato dall’UVM per la parte clinica e dal Gruppo di inclusione territoriale (GIT), che agisce in coordinamento con l’Ufficio scolastico regionale e supporta le istituzioni scolastiche nella definizione dei PEI secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF, nell’uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili, previsti nel Piano per l’inclusione della singola istituzione scolastica, nel potenziamento della corresponsabilità educativa e delle attività di didattica inclusiva. 3. Affidamento della stesura del Progetto individuale (PI) all’ente locale d’intesa con la competente Azienda sanitaria locale. Secondo le disposizioni contenute nel D.lgs. 66 del 2017, viene redatto dal competente ente locale ai sensi della legge 328/2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) sulla base del Profilo di funzionamento elaborato dalla commissione multidisciplinare in collaborazione con la scuola e la famiglia o di chi esercita la responsabilità genitoriale dell’alunno con disabilità. Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, su richiesta dell’interessato, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende sanitarie locali, predispongono un progetto individuale. Il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al Profilo di funzionamento: u
le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale;
il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche; i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale; u le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, marginazione ed esclusione sociale. u u
2.2 Il Piano d’inclusione delle istituzioni scolastiche
L’art. 8 del D.lgs. 66 del 2017 prevede che ciascuna istituzione scolastica, nell’ambito della definizione del Piano triennale dell’offerta formativa, predisponga il Piano per l’inclusione nel quale sono definiti: le modalità per l’utilizzo coordinato delle risorse; le azioni per il superamento delle barriere e l’individuazione dei facilitatori del contesto di riferimento; u gli interventi di miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica. u u
Il Piano per l’inclusione è attuato nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili. È il principale documento programmatico-attuativo della scuola in materia di inclusione, prevede la proposta di assegnazione delle risorse per il sostegno didattico da parte dei Gruppi per l’inclusione territoriale (GIT) e per l’elaborazione del PEI. Confluisce nel Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF), quale elemento caratterizzante l’identità culturale e l’autonomia progettuale delle scuole. Contiene le azioni che la scuola intende intraprendere nell’ambito del contesto in cui opera e a tal fine è la scuola stessa a dover definire quelle che intende adottare sempre in relazione ai vincoli di contesto presenti. 2.3 Il Piano educativo individualizzato (PEI)
Il nuovo modello di PEI, secondo quanto previsto dall’art. 7 del citato decreto legislativo, a oggi non ancora pubblicato da parte del Ministero dell’Istruzione, deve esplicitare le modalità di sostegno didattico, compresa la proposta del numero di ore di sostegno alla classe, le modalità di verifica, i criteri di valutazione, gli interventi di inclusione svolti dal personale docente nell’ambito della classe e in progetti specifici, la valutazione in relazione alla programmazione individualizzata, nonché gli interventi di assistenza igienica e di base, svolti dal personale ausiliario nell’ambito del plesso scolastico e la proposta delle risorse professionali da destinare all’assistenza, all’autonomia e alla comunicazione, secondo le modalità attuative e gli standard qualitativi previsti dall’accordo di cui al comma 5‐bis dell’articolo 3.
Come si può notare, il PEI si comporrà di due macro aree, una riguardante l’aspetto organizzativo dei processi di inclusione, l’altra l’aspetto didattico curricolare e di valutazione dei percorsi di apprendimento dello studente con disabilità. Il PEI diventa quindi il documento principale per un’efficace inclusione dell’alunno con disabilità. A tal proposito, occorre specificare che tale documento tiene conto oltre dell’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, di cui all’art. 12, c. 5, legge 104/1992, del Profilo di funzionamento, avendo particolare riguardo all’indicazione dei facilitatori e delle barriere, secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF dell’OMS. L’art. 6., c. 1 del D.P.R. 24 febbraio
1994 prevedeva per le verifiche del piano personalizzato dell’alunno con disabilità una «frequenza, preferibilmente, correlata all’ordinaria ripartizione dell’anno scolastico o, se possibile, con frequenza trimestrale (entro ottobre-novembre, entro febbraio-marzo, entro maggio-giugno)». Secondo l’attuale normativa, due sono i momenti per la stesura dei PEI, il primo in via provvisoria entro giugno e il secondo in via definitiva, di norma, non oltre il mese di ottobre. Il PEI è redatto a partire dalla scuola dell’infanzia ed è aggiornato in presenza di nuove e sopravvenute condizioni di funzionamento della persona. Nel passaggio tra i gradi di istruzione e in caso di trasferimento da una istituzione scolastica a un’altra è assicurata l’interlocuzione tra i docenti della scuola di provenienza e quelli della scuola di destinazione. Il PEI sarà ridefinito sulla base delle eventuali diverse condizioni contestuali della scuola di destinazione. 2.4 L’organizzazione dei gruppi di lavoro sull’inclusione d’istituto e territoriali 2.4.1 Il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLOI)
Il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLOI) sostituisce il vecchio GLHO e avrà il compito di redigere il documento di programmazione didattico curricolare nonché la quantificazione delle risorse umane e strumentali necessarie all’inclusione dell’alunno con disabilità. Particolare cura dovrà essere riservata all’individuazione delle figure professionali che oltre all’insegnante di sostegno si prenderanno cura dell’alunno con disabilità. Fornirà inoltre le indicazioni metodologiche e didattiche necessarie al processo di inclusione. Fondamentale a questo riguardo è indicare il ruolo e le mansioni che le singole figure professionali svolgono a sostegno del percorso curricolare dell’alunno in situazione di handicap. A titolo esemplificativo possiamo indicare tra le principali figure professionali previste dalla nuova normativa le seguenti: personale destinato all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale; assistenti educatori; AEC; assistenti alla persona. Al fine di uniformare gli interventi di assistenza il Ministero dell’Istruzione ha previsto che entro sei mesi dalla pubblicazione del decreto legislativo, di intesa in sede di Conferenza Unificata, saranno individuati i criteri per una progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale, ferme restando le diverse competenze dei collaboratori scolastici di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c).
Si tratta di un importante passo avanti per uniformare a livello nazionale la qualità dei servizi da erogare alla persona con disabilità. Le scuole, attraverso i propri collaboratori scolastici, mantengono i compiti di pulizia e igiene dello studente con disabilità (accompagnare in bagno, pulire o cambiare il pannolino), la sorveglianza e la vigilanza degli alunni all’interno della scuola. Altri compiti previsti dal CCNL e dal mansionario dei collaboratori scolastici sono: l’assistenza negli spostamenti all’interno della scuola (in entrata e in uscita da scuola) e durante l’orario scolastico (accompagnare in palestra, alla mensa ecc.) [314] . Il collaboratore scolastico che svolge assistenza igienica è opportuno che sia dello stesso genere dell’alunno con disabilità, soprattutto se si tratta di alunni pre-adolescenti o adolescenti. Spetta al dirigente scolastico, sentito il GLOI, individuare il collaboratore scolastico a cui affidare l’assistenza degli alunni con disabilità che ne hanno bisogno. È previsto per il personale ATA impegnato per l’assistenza igienica l’obbligo di partecipare a specifici corsi di formazione in servizio. 2.4.2 Il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI)
Il GLI è il gruppo che stabilisce le linee d’indirizzo della scuola per favorire l’inclusione di tutti i suoi alunni con Bisogni educativi speciali (BES). In base alla circolare n. 8 del 6 marzo 2013 sono riconosciuti come alunni con BES coloro che presentano: 1. una disabilità certificata secondo i parametri previsti dalla legge n. 104 del 1992 (per esempio la sindrome di Down, la cecità ecc.); 2. un Disturbo specifico d’apprendimento (DSA) certificato secondo quanto previsto dalla legge n. 170 del 2010 (dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia); 3. uno svantaggio sociale, economico, linguistico o culturale. La condizione di BES può essere individuata dal consiglio di classe, anche solo per un periodo di tempo limitato (alunni con disagio sociale o familiare, alunni stranieri con difficoltà linguistiche…).
Il GLI è composto dal dirigente scolastico e da rappresentanti degli insegnanti, dai collaboratori scolastici e da esperti della ASL ed eventualmente da personale ATA, nonché da specialisti della Azienda sanitaria locale e del territorio di riferimento dell’istituzione scolastica. Il gruppo è nominato e presieduto dal dirigente scolastico e ha il compito di supportare il collegio dei docenti nella definizione e realizzazione del Piano per l’inclusione nonché i docenti contitolari e i consigli di classe nell’attuazione dei PEI, si avvale anche della presenza di rappresentanti di genitori, studenti, associazioni e altre istituzioni del territorio quali la ASL. In sede di definizione dell’utilizzazione delle risorse complessive destinate all’istituzione scolastica di competenza degli enti locali ai fini dell’assistenza, alle riunioni del GLI partecipa un rappresentante dell’ente territoriale competente, secondo quanto previsto dall’accordo di cui all’art. 3, c. 5‐bis. Al fine di realizzare il Piano di inclusione e il PEI, il GLI collabora con il GIT di cui al c. 4 e con le istituzioni pubbliche e private presenti sul territorio. 2.4.3 Il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT)
In base al D.lgs. 66/2017, il GIT agisce in coordinamento con l’Ufficio scolastico regionale, supporta le istituzioni scolastiche nella definizione dei PEI secondo la prospettiva bio‐psico‐sociale alla base della classificazione ICF, nell’uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili, previsti nel Piano per l’inclusione della singola istituzione scolastica, nel potenziamento della corresponsabilità educativa e delle attività di didattica inclusiva. Per lo svolgimento di ulteriori compiti di consultazione e programmazione delle attività nonché per il coordinamento degli interventi di competenza dei diversi livelli istituzionali sul territorio, il GIT è integrato:
a. dalle associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità nell’inclusione scolastica; b. dagli enti locali e dalle aziende sanitarie locali.
GIT che provvede come organo tecnico a verificare e a formulare a sua volta una proposta di organico all’ USR. È compito di quest’ultimo organismo assegnare le risorse alle scuole in base alle proprie disponibilità. 2.4.4 Il Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR)
I gruppi di lavoro di cui all’art. 15 della legge n. 104 del 1992, come modificato dall’art. 9 del D.lgs. 96/2019, sono istituti con le seguenti decorrenze: a. il GLIR e il GLI dal 1° settembre 2017; b. il GIT dal 1° settembre 2019 (a oggi non è stato ancora emanato il decreto attuativo per la composizione e l’istituzione del GIT previsto dal D.lgs. 96/2019).
Il GLIR ha come compiti quello di fornire consulenza nonché formulare proposte all’USR per la definizione, l’attuazione e la verifica degli accordi di programma territoriali relativi all’inclusione scolastica. Il GLIR fornisce inoltre il supporto ai GIT e alla reti di scuole per la formazione in servizio del personale scolastico. Ciascun GLIR è presieduto dal direttore scolastico regionale o da un suo delegato ed è composto in numero paritetico da rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative a livello regionale nel campo dell’inclusone scolastica. I Gruppi di lavoro per l’inclusione hanno il compito di rendere operative le disposizioni contenute nel D.lgs. 66/2017 e di intervenire per rimuovere eventuali condizioni di ostacolo al pieno godimento dei diritti delle persone con disabilità. In particolare, l’accertamento della condizione di disabilità ai fini dell’inclusione scolastica vede coinvolti tutti i soggetti istituzionali e le commissioni mediche che hanno il compito di fornire un preciso quadro clinico dell’alunno con disabilità. Il D.lgs. 96/2019 ha modificato in parte le procedure che le famiglie degli alunni con disabilità dovranno seguire per avere assegnate le risorse professionali di cui necessitano ai fini dell’inclusione. 2.5 Il riconoscimento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica
Il genitore o l’esercente della responsabilità genitoriale che volesse richiedere per il proprio figlio il riconoscimento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, deve corredare l’istanza di accertamento del certificato medico diagnostico‐funzionale contenente la diagnosi clinica e gli elementi attinenti alla valutazione del funzionamento a cura della Azienda sanitaria locale e presentarla all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), che vi darà riscontro non oltre trenta giorni dalla data di presentazione. Una volta accolta la domanda, lo studente con disabilità viene sottoposto a una prima visita medico collegiale da una commissione composta da un medico legale, che assume le funzioni di presidente, e da due medici, di cui uno specialista in pediatria o in neuropsichiatria infantile e l’altro specialista nella patologia che connota la condizione di salute del soggetto. Tale commissione è integrata da un assistente specialistico o da un operatore sociale, o da uno psicologo in servizio presso strutture pubbliche. Contestualmente all’accertamento della condizione di disabilità, ove richiesto dai genitori o da chi esercita la responsabilità genitoriale, è possibile procedere all’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica. Tale accertamento è propedeutico alla redazione del Profilo di funzionamento, predisposto secondo i criteri del modello bio‐psico‐sociale della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ai fini della formulazione del Piano educativo individualizzato (PEI) facente parte del progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328.
Il decreto 24 febbraio 1994 prevedeva, all’art. 5, c. 2, che il PEI è redatto, ai sensi del c. 5 del predetto art. 12, congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla USL e/o USSL e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola e, ove presente, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell’alunno.
La novità più importante introdotta dal D.lgs. 96/2019 si ritrova all’art. 9, c. 10 e riguarda la composizione del Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione. Infatti, non è più riportata esplicitamente la presenza del neuropsichiatra della ASL: Ogni Gruppo di lavoro operativo è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori dell’alunno con disabilità, o di chi esercita la responsabilità genitoriale, delle figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità nonché con il necessario supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare.
Per far fronte alla mancata partecipazione del medico della ASL, il decreto 96/2019 prevede il supporto della UVM le cui modalità di interazione non sono al momento specificate. L’introduzione dell’ICF comporta una completa rivisitazione delle modalità di valutazione delle funzioni dell’alunno con disabilità e
conseguenzialmente della progettazione dei suoi percorsi curricolari nonché dello sviluppo dell’autonomia personale. Vediamo nel dettaglio la struttura dei qualificatori e dei descrittori previsti dall’ICF. 2.6 Il sistema di classificazione internazionale del funzionamento – ICF
Il documento dell’OMS che ha trattato in modo approfondito l’ICF ha per titolo International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). Questo titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte al problema e ha l’intento di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona. Non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato considerato di «salute». Il nuovo documento sostituisce ai termini «impairment», «disability» e «handicap» che indicano qualcosa che manca per raggiungere il pieno «funzionamento», altri termini nella nuova prospettiva, che sono: Funzioni mentali Funzioni sensoriali e dolore u Funzioni della voce e dell’eloquio u Funzioni del sistema cardiovascolare, ematologico, immunologico e respiratorio u Funzioni del sistema digestivo, metabolico e endocrino u Funzioni genitourinarie e riproduttive u Funzioni neuromuscoloscheletriche e collegate al movimento u Funzioni cute e strutture associate u Strutture del sistema nervoso u Occhio, orecchio e strutture collegate u Strutture collegate alla voce e all’eloquio u Strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e respiratorio u Strutture collegate al sistema digestivo, metabolico e endocrino u Strutture collegate al sistema genitourinario e riproduttivo u Strutture collegate al movimento u Cute e strutture collegate u Apprendimento e applicazione della conoscenza u Compiti e richieste di carattere generale u Comunicazione u Mobilità u Cura della propria persona u Vita domestica u Interazioni e relazioni interpersonali u Principali aree della vita u Vita di comunità, sociale e civica u Prodotti e tecnologia u Ambiente naturale e cambiamenti apportati dall’uomo all’ambiente u Supporto e relazioni u Atteggiamenti u Servizi, sistemi e politiche u u
Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse le funzioni psicologiche. Le strutture corporee sono parti anatomiche del corpo come organi, arti e loro componenti. Attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo. Partecipazione è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. I fattori ambientali sono caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti, che possono avere impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto. La classificazione del documento dell’OMS estende le classificazioni di cui sopra in ulteriori sottoclassificazioni. A ogni livello di classificazione è associata una sigla. Così, per esempio, la classificazione b11420 viene inserita nella seguente gerarchia di livelli: b – Strutture corporee b1 – Funzioni mentali b11 – Funzioni mentali globali b114 – Funzioni dell’orientamento b1142 – Orientamento alla persona b11420 – Orientamento a se stessi A essa è associata la definizione funzione mentale che produce la consapevolezza della propria identità. Il documento ICF copre tutti gli aspetti della salute umana, raggruppandoli nel dominio della salute (health domain , che comprende il vedere, udire, camminare, imparare e ricordare) e in quello «collegato» alla salute (health-related domains che includono mobilità, istruzione, partecipazione alla vita sociale e simili). L’ICF non riguarda solo le persone con disabilità, riguarda tutti, ha dunque uso e valore universali. Rispetto a ciascuna delle centinaia di voci classificate, a ciascun individuo può essere associato uno o più qualificatori che quantificano il suo «funzionamento». Per le funzioni e strutture del corpo il qualificatore può assumere i valori indicati nella Tabella 1
Tabella 1 – Qualificatori delle funzioni e strutture corporee 0-4%
0
Nessuna menomazione (impairment )
5-24%
1
Lieve menomazione (impairment )
25-49%
2
Moderata menomazione (impairment )
50-95%
3
Grave menomazione (impairment )
96-100%
4
Totale menomazione (impairment )
8
Non specificato
9
Non applicabile
Analoghi qualificatori esistono per le attività, per le quali si parla di restrizioni, e per la partecipazione, per la quale si possono avere limitazioni. La classificazione «positiva», che parte dal funzionamento per dire se e quanto ciascuno se ne discosti, ha il vantaggio rispetto alla classificazione ICIDH di non aver l’obbligo di dover specificare le cause di una menomazione o disabilità, ma solo di indicarne gli effetti. È da notare poi il fatto che il termine «handicap» è stato abbandonato, estendendo il termine disabilità a ricomprendere sia la restrizione di attività che la limitazione di partecipazione. 2.7 L’Invalsi e i processi di qualità dell’inclusione scolastica
L’inclusione scolastica è elemento portante dei processi di valutazione e di autovalutazione delle scuole, nell’ambito del Sistema nazionale di valutazione. Il decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 80/13 al c. 2 introduce i criteri relativi al processo di valutazione e autovalutazione delle istituzioni scolastiche, statali e paritarie, in tema di inclusione scolastica. Il D.lgs. 66/2017 all’art. 4 prevede l’intervento dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) per la predisposizione dei protocolli di valutazione e dei quadri di riferimento dei rapporti di autovalutazione, sentito l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica al fine di definire gli indicatori per la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica. L’obiettivo della norma è quello di identificare dei criteri che consentano alle scuole di valutare la propria azione inclusiva, di misurarla e di apportare le opportune strategie per migliorarla o consolidarla. I criteri si poggiano essenzialmente sulla valorizzazione della personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei processi di educazione, istruzione e formazione, definiti e attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti. Questo documento è fondamentale per la definizione della complessità della scuola. Esso è uno strumento importante per individuare la necessità dell’organico di sostegno e delle risorse per l’assistenza alla comunicazione e alla persona con disabilità. Il Piano per l’inclusione scolastica viene illustrato dal dirigente scolastico al collegio dei docenti e adottato dal GLI per fornire le proposte operative e d’intervento nell’ambito dei piani di miglioramento che saranno adottati dall’istituzione scolastica. 2.8 La valutazione degli studenti con disabilità nelle scuole secondarie di primo grado
Per gli alunni con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si procede alla valutazione sulla base del piano educativo individualizzato. È nell’ambito del GLOI che si procederà alla valutazione dello studente con disabilità sentite tutte le componenti che ne fanno parte. Nella scuola del primo ciclo il PEI va formulato sulla base delle effettive capacità dell’alunno. Conseguentemente la valutazione non si svolge sulla base delle indicazioni nazionali, ma esclusivamente sulla base del Progetto educativo individualizzato. I nuovi esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione sono regolamentati dal D.M. n. 741/2017 e dalla Nota ministeriale esplicativa prot. n. 1865/2017. In base al D.lgs. 62/2017, al D.M. n. 741/2017 e alla Nota ministeriale esplicativa prot. n. 1865/2017 gli studenti con disabilità hanno diritto al diploma conclusivo del primo ciclo, purché effettuino l’esame su tutte le materie, anche se con prove differenziate, perché basate sugli obbiettivi del proprio PEI e volte a verificare «il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali». Un’importante novità è stata introdotta dall’art. 20, c. 5 del D.lgs. n. 62/2017 in cui si evidenzia che se l’alunno con disabilità ammesso agli esami di Stato non si presenta a sostenere le prove, neppure alla sessione suppletiva, o non sostiene una o più prove, gli verrà rilasciato un attestato di credito formativo recante gli elementi informativi relativi all’indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, alle discipline comprese nel piano di studi, con l’indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna delle valutazioni, anche parziali, ottenute in sede di esame e non potrà ripetere l’anno. Le prove INVALSI vengono svolte nella classe terza della secondaria di primo grado. Vertono sulla verifica di italiano, matematica e inglese. Gli alunni con disabilità della secondaria di primo grado possono non sostenere tutte le prove INVALSI ed essere ammessi comunque all’esame Nello svolgimento delle prove INVALSI per gli alunni con disabilità i consigli di classe possono prevedere adeguate misure compensative o dispensative, specifici adattamenti o l’esonero dalle prove. Gli studenti con disabilità hanno inoltre diritto ad avere: più tempo rispetto ai propri compagni di classe per svolgere le prove di verifica; tempi più lunghi nell’effettuazione delle prove scritte e grafiche e orali; u prove equipollenti . Ai fini di quanto previsto dall’art. 16, cc. 3 e 4, della legge 3 febbraio 1992, n. 104, confluito nell’art. 318 del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 è possibile elaborare prove equipollenti per gli studenti con disabilità di norma a coloro che versano nelle condizioni previste dall’art. 3, c. 1 della legge 104/1992; u
gli stessi strumenti o supporti che hanno avuto durante l’anno scolastico per sostenere l’esame conclusivo del primo ciclo: computer, assistenza dell’insegnante per il sostegno o dell’assistente per la comunicazione ecc. u
2.9 La valutazione degli studenti con disabilità nelle scuole secondarie di secondo grado
Anche in questo caso si procede alla valutazione sulla base del piano educativo individualizzato. È nell’ambito del GLOI che si procederà alla valutazione dello studente con disabilità sentite tutte le componenti che ne fanno parte. Nelle scuole secondarie di secondo grado il PEI può tuttavia prevedere una programmazione: 1. Uguale a quella della classe o semplificata (globalmente corrispondente ossia per «obiettivi minimi»). 2. Differenziata da quella della classe.
Il PEI può sempre essere aggiornato e quindi il GLOI può decidere di passare da un tipo di programmazione all’altra, anche nel corso dello stesso anno scolastico. 2.10 Programmazione della classe semplificata o per «obiettivi minimi»
Gli studenti con disabilità delle scuole secondarie di secondo grado che seguono la programmazione curricolare semplificata della classe (riferita a un livello di contenuti corrispondente alla sufficienza), vengono valutati nello stesso modo e sugli stessi argomenti dei compagni. Pertanto, la valutazione dei livelli degli apprendimenti si deve riferire alle singole discipline e agli specifici traguardi raggiunti dallo studente. Tale percorso consente di conseguire il diploma dopo aver superato l’esame di Stato al termine del percorso quinquennale delle scuole secondarie di secondo grado. Gli studenti con disabilità hanno diritto ad avere: più tempo rispetto ai propri compagni di classe per svolgere le prove di verifica; tempi più lunghi nell’effettuazione delle prove scritte e grafiche e del colloquio, previsti dal c. 3 dell’art. 16 della citata legge n. 104 del 1992, non possono di norma comportare un maggiore numero di giorni rispetto a quello stabilito dal calendario degli esami. L’O.M. 90 del 2001 sugli scrutini ed esami e le successive ordinanze ministeriali sugli esami di Stato prevedono che solo «in casi eccezionali, la commissione, tenuto conto della gravità dell’handicap, della relazione del consiglio di classe, delle modalità di svolgimento delle prove durante l’anno scolastico, può deliberare lo svolgimento di prove scritte equipollenti in un numero maggiore di giorni»; u prove equipollenti . Ai fini di quanto previsto dall’art. 16, cc. 3 e 4, della legge 3 febbraio 1992, n. 104, confluito nell’art. 318 del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 è possibile elaborare prove equipollenti per gli studenti con disabilità di norma a coloro che versano nelle condizioni previste dall’art. 3, c. 1 della legge 104/1992. Questa particolare modalità operativa può essere adottata anche per gli esami di Stato conclusivi del percorso di studi. La commissione d’esame, sulla base della documentazione fornita dal consiglio di classe, relativa alle attività svolte, alle valutazioni effettuate e all’assistenza prevista per l’autonomia e la comunicazione, predispone prove equipollenti a quelle previste per gli altri candidati e che possono consistere nell’utilizzo di mezzi tecnici o modi diversi, ovvero nello sviluppo di contenuti culturali e professionali differenti. In ogni caso le prove equipollenti devono consentire di verificare che il candidato abbia raggiunto una preparazione culturale e professionale idonea per il rilascio del diploma attestante il superamento dell’esame. Per la predisposizione delle prove d’esame, la commissione d’esame può avvalersi di personale esperto; per il loro svolgimento la stessa si avvale, se necessario, dei medesimi docenti di sostegno che hanno seguito l’alunno durante l’anno scolastico; u gli stessi strumenti o supporti che hanno avuto durante l’anno scolastico: computer, assistenza dell’insegnante per il sostegno o dell’assistente per la comunicazione ecc. u
Un aspetto di particolare importanza riveste la valutazione degli studenti con minorazioni fisiche e sensoriali nei confronti dei quali non si procede, di norma, ad alcuna valutazione differenziata; è consentito, tuttavia, l’uso di particolari strumenti didattici appositamente individuati dai docenti, al fine di accertare il livello di apprendimento non evidenziabile attraverso un colloquio o prove scritte tradizionali. 2.11 Programmazione differenziata
Al fine di assicurare il diritto allo studio ad alunni in situazione di handicap psichico e, eccezionalmente, fisico e sensoriale, il piano educativo individualizzato può essere diversificato in funzione di obiettivi didattici e formativi non riconducibili alle Indicazioni nazionali. Il consiglio di classe valuta i risultati dell’apprendimento, con l’attribuzione di voti relativi unicamente allo svolgimento del citato piano educativo individualizzato e non ai programmi ministeriali. In base all’O.M. 90/2001 tali voti hanno, pertanto, valore legale solo ai fini della prosecuzione degli studi per il perseguimento degli obiettivi del piano educativo individualizzato. I predetti alunni possono, di conseguenza, essere ammessi alla frequenza dell’anno successivo o dichiarati ripetenti anche per tre volte in forza del disposto di cui all’art. 316 del D.lgs. 16 aprile 1994, n. 297.
Gli studenti con disabilità che seguono quindi una programmazione differenziata, diversa da quella della classe perché adeguata alle competenze e alle effettive capacità dell’alunno, vengono valutati sulla base di apposite prove differenziate predisposte per verificare la programmazione individuale prevista nel PEI. Per gli alunni con disabilità grave che seguono una programmazione differenziata la valutazione, per il suo carattere formativo e educativo e per l’azione di stimolo che esercita nei confronti dell’allievo, deve comunque aver luogo. Gli studenti con disabilità con percorso curricolare differenziato possono sostenere gli esami di Stato conclusivi del percorso di studi. Il consiglio di classe nella relazione di presentazione dello studente agli esami di Stato indicherà i tempi, le modalità di svolgimento e i
contenuti delle prove di verifica differenziate, in modo che le commissioni d’esame possano farli propri e applicarli per analogia durante gli esami conclusivi del percorso scolastico. L’esito degli esami di Stato conclusivi svolti con prove differenziate dà diritto a un attestato dei crediti formativi maturati e non al diploma. Il modello di tali attestati è stato trasmesso dalla C.M. n. 125/01. È opportuno segnalare che questi modelli ministeriali non sono più in linea con quanto previsto dalle nomenclature ICF e dai profili di funzionamento che dovranno entrare in vigore a seguito di quanto disposto dal D.lgs. 66/2017. Occorre sottolineare che qualora un consiglio di classe intenda adottare la valutazione differenziata deve darne immediata notizia alla famiglia fissandole un termine per manifestare un formale assenso, in mancanza del quale la modalità valutativa proposta si intende accettata. In caso di diniego espresso, l’alunno non può essere considerato in situazione di handicap ai soli fini della valutazione, che viene effettuata in base alla legge 107/2015 e al successivo D.lgs. 62/2017, che ha parzialmente modificato e abrogato la precedente normativa, in particolare il D.P.R. 122/2009 nonché ai criteri espressi dal collegio dei docenti. La normativa prevede che qualora vengano accertati livelli di apprendimento corrispondenti agli obiettivi previsti dalle Indicazioni nazionali e dai PTOF delle singole istituzioni scolastiche, il consiglio di classe può deliberare il passaggio al percorso curricolare con obiettivi globalmente corrispondenti senza necessità di prove di idoneità relative alle discipline dell’anno o degli anni precedenti, tenuto conto che il consiglio medesimo possiede già tutti gli elementi di valutazione. Per gli alunni che seguono un Piano educativo individualizzato differenziato, ai voti riportati nello scrutinio finale e ai punteggi assegnati in esito agli esami si aggiunge, nelle certificazioni rilasciate, l’indicazione che la votazione è riferita al PEI e non alle Indicazioni nazionali. Un’importante novità è stata introdotta dall’art. 20, c. 5 del D.lgs. n. 62/17 in cui si evidenzia che se l’alunno con disabilità ammesso agli esami di Stato non si presenta a sostenere le prove, neppure alla sessione suppletiva, o non sostiene una o più prove, gli verrà rilasciato un attestato di credito formativo recante gli elementi informativi relativi all’indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, alle discipline comprese nel piano di studi, con l’indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna delle valutazioni, anche parziali, ottenute in sede di esame e non potrà ripetere l’anno. 2.12 Le OO.MM. 9, 10 e 11 del 16 maggio 2020
Il Ministero dell’Istruzione è ultimamente intervenuto con due importanti ordinanze sugli esami di Stato conclusivi del primo e del secondo ciclo e sulla valutazione degli studenti con disabilità a seguito dell’introduzione della Didattica a distanza (DAD) resasi necessaria per l’emergenza sanitaria. Innanzi tutto occorre precisare che se le programmazioni dei docenti hanno subito degli adattamenti, riduzioni dei contenuti o modifiche sulle modalità di realizzazione delle verifiche, inevitabilmente anche per gli studenti con disabilità, in particolare per coloro che seguono un programma curricolare semplificato, il GLOI è tenuto a modificare il piano degli apprendimenti individualizzati di cui all’art. 6 dell’O.M. e, ove necessario, il predetto Piano educativo individualizzato dovrà essere integrato. Particolare attenzione deve essere riservata per gli studenti con disabilità delle classi quinte delle scuole secondarie di secondo grado che affronteranno gli esami di Stato, poiché per alcuni di loro sarà necessario predisporre prove equipollenti e attraverso i singoli PEI si dovranno prevedere le relative modalità di elaborazione e di svolgimento. Per la valutazione degli studenti con disabilità occorre fare riferimento all’art. 5 dell’O.M. n. 11 del 16 maggio 2020 «Particolari disposizioni per la valutazione degli alunni con bisogni educativi speciali», in cui si evidenziano le modalità di valutazione dei ragazzi affetti da deficit psicofisici certificati in base alla legge 104/1992 poiché si tratta di uno studente con disabilità con percorso differenziato. L’art. 5 della suddetta ordinanza riporta quanto già previsto dalla normativa precedente, in quanto, «per gli alunni con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si procede alla valutazione sulla base del piano educativo individualizzato». L’art. 14, c. 1, lettera c) della legge 104 del 1992 prevede che nell’interesse dell’alunno, con deliberazione del collegio dei docenti, sentiti gli specialisti di cui all’art. 4, secondo c., lettera l), del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, su proposta del consiglio di classe o di interclasse, può essere consentita una terza ripetenza in singole classi.
In sede di GLOI sentiti tutti i soggetti previsti dal D.lgs. 66/2017 e dal recente D.lgs. 96/2019, può essere adottata anche la decisione di un’eventuale ripetenza dell’alunno con disabilità con motivazioni adeguate che poggiano su una fondata analisi clinico-evolutiva dello studente. È stata poi recentemente approvata la legge n. 41/2020, di conversione del D.L. n. 22, secondo cui i dirigenti scolastici sulla «base di specifiche e motivate richieste da parte delle famiglie degli alunni con disabilità», tenuto conto della particolarità di questo anno scolastico, dopo aver sentito i consigli di classe e acquisito il parere del Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione della loro scuola, potranno consentire «la reiscrizione dell’alunno al medesimo anno di corso frequentato nell’anno scolastico 2019/2020». Questo consentirà di recuperare il mancato conseguimento degli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia, stabiliti nel Piano educativo individualizzato. L’entrata in vigore della legge è purtroppo avvenuta alla vigilia degli scrutini finali e dopo aver già espletato i PEI conclusivi dell’anno scolastico in corso.
3. I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) I Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) sono disturbi del neurosviluppo (DSM5, 2014) che riguardano la capacità di leggere, scrivere e calcolare in modo corretto e fluente ossia: dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia (CC-2007). La Consensus Conference dell’Istituto superiore di sanità (CC-ISS, 2011) definisce i DSA disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici. Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche: Dislessia, disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo); Disortografia, disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica); Disgrafia, disturbo nella grafia (intesa come abilità grafomotoria); Discalculia, disturbo nelle abilità di numero e di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri).
La Consensus Conference del 2007 (CC-2007) [315] evidenzia che: «La principale caratteristica di definizione di questa ‘categoria nosografica’, è quella della ‘specificità’, intesa come un disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale». Un interessante approfondimento sulle cause delle anomalie a livello cognitivo che sono associate a sintomi comportamentali del disturbo e che comprende un’interazione di fattori genetici, epigenetici e ambientali che colpiscono le capacità cerebrali di percepire o processare informazioni verbali o non verbali in modo efficiente e preciso ci è fornito dal DSM-5 che «introduce per la prima volta l’influenza dei fattori ambientali nella genesi del disturbo, tirando in causa l’epigenetica, ossia riconosce un ruolo fondamentale alle modifiche fenotipiche delle espressioni dei geni, che si possono verificare senza alterazioni delle sequenze nel DNA» [316] . Gli interventi normativi per gli alunni con DSA si sono concretati con la legge 170/2010 e con i successivi interventi legislativi in particolare volti a una maggiore definizione dei criteri di valutazione. I principi concernenti l’attenzione agli alunni con bisogni educativi speciali sono stati declinati in precise modalità operative diffuse mediante la Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013, la Nota MIUR 27 giugno 2013 prot. n. 1551 e la Nota MIUR prot. n. 2563 del 22 novembre 2013, che delineano le strategie di intervento a favore degli alunni con bisogni educativi speciali, nonché offrono indicazioni in merito alla redazione del Piano didattico personalizzato per gli alunni con bisogni educativi speciali [317] .
Tali disposizioni mirano ad assicurare agli alunni con BES gli adeguati strumenti di supporto indispensabili per la loro partecipazione alla vita scolastica su un piano di uguaglianza con gli altri compagni e compagne di classe. I chiarimenti del MIUR sottolineano l’importanza del Piano didattico personalizzato visto come uno strumento condiviso per consentire a tutti gli alunni con BES di cooperare con il gruppo classe e ai docenti di progettare un percorso personalizzato basato sul ritmo e sullo stile di apprendimento di ciascuno. È quindi opportuno avviare una osservazione sistematica fin dall’ingresso nella scuola dell’infanzia e proseguire per tutto il percorso scolastico. Le «Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico», dal relativo Decreto attuativo e dalle «Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento», affidano alla scuola compiti importanti relativamente alla tutela delle persone che presentano queste caratteristiche di natura neurobiologica, e attribuiscono un ruolo primario alla competenza osservativa dei docenti. Occorre favorire l’instaurarsi di adeguate strategie ed evitare che aumenti il divario tra le prestazioni dell’alunno in difficoltà e quelle del gruppo classe. Il rischio concreto è quello di una perdita di motivazione e di autostima personale degli alunni con DSA con il rischio concreto che si instaurino in loro sensi di inadeguatezza e inferiorità. 3.1 La valutazione degli studenti con DSA
Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica. La scuola ha il dovere di garantire, nei confronti di alunni e studenti con DSA, interventi didattici personalizzati, anche attraverso la redazione di un Piano didattico personalizzato (PDP). Per la valutazione degli studenti con Disturbi specifici di apprendimento occorre far riferimento alla legge 170/2010 e al D.lgs. 62/2017. Occorre prestare particolare attenzione all’art. 11, c. 13 del D.lgs. 62/2017 che introduce un’importante quanto discutibile novità sull’esonero dallo studio della lingua straniera: In casi di particolare gravità del disturbo di apprendimento, anche in comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato diagnostico, l’alunna o l’alunno, su richiesta della famiglia e conseguente approvazione del consiglio di classe, è esonerato dall’insegnamento delle lingue straniere e segue un percorso didattico personalizzato. In sede di esame di Stato sostiene prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, con valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma. L’esito dell’esame viene determinato sulla base dei criteri previsti dall’articolo 8.
Inoltre, si evidenzia che il tempo aggiuntivo rientra nelle misure dispensative. Nelle Linee guida del luglio 2011 (allegate al D.M. n. 5669), si afferma che consentire all’alunno o allo studente con DSA di usufruire di maggior tempo per lo svolgimento di una prova, o di poter svolgere la stessa su un contenuto comunque disciplinarmente significativo ma ridotto, trova la sua ragion d’essere nel fatto che il disturbo li impegna per più tempo dei propri
compagni nella fase di decodifica degli items della prova. A questo riguardo, gli studi disponibili in materia consigliano di stimare, tenendo conto degli indici di prestazione dell’allievo, in che misura la specifica difficoltà lo penalizzi di fronte ai compagni e di calibrare di conseguenza un tempo aggiuntivo o la riduzione del materiale di lavoro. In assenza di indici più precisi, una quota del 30% in più appare un ragionevole tempo aggiuntivo.
Occorre prestare particolare attenzione per gli esami di Stato dei candidati con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e fare la seguente distinzione: nel caso in cui lo studente con DSA ha seguito un percorso didattico ordinario (art. 6, c. 5 del D.M. del 12 luglio 2011, n. 5669), con la sola dispensa dalle prove scritte ordinarie di lingua/e straniera/e, in sede di esami di Stato, conclusivi del secondo ciclo di istruzione, modalità e contenuti delle prove orali – sostitutive delle prove scritte – sono stabiliti dalle commissioni, sulla base della documentazione fornita dai consigli di classe. I candidati con DSA che superano l’esame di Stato conseguono il titolo valido per l’iscrizione alla Scuola secondaria di secondo grado ovvero all’università. Inoltre, si ricorda che il tempo aggiuntivo rientra nelle misure dispensative; u chi è esonerato dall’insegnamento delle lingue straniere e segue un percorso didattico differenziato, in sede di esame di Stato sostiene prove differenziate, non equipollenti a quelle ordinarie, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio dell’attestato di credito formativo. u
4. L’inclusione degli alunni adottati 4.1 Adozione/ affidamento internazionale
L’inclusione studenti adottati rappresenta un argomento che, nella sua specificità, richiede qualche precisazione sulle differenze tra lo status dell’alunno dato in adozione rispetto allo status del bambino affidato. In realtà occorre fare una distinzione, a volte non sempre chiara, tra i due istituti. Entrambi nello spirito della «Convenzione Internazionale dei diritti del fanciullo» (New York 1989), pongono l’accento sulla necessità di ribadire il diritto del bambino ad avere una famiglia e non viceversa come ben indicato dalla legge 184 del 1983 e successive modifiche. In entrambi gli istituti giuridici (adozione, affidamento) abbiamo una situazione di allontanamento dei genitori dai propri figli (tranne che nel caso di bambini i cui genitori abbiano rinunciato all’esercizio della potestà familiare fin dalla nascita e li abbiano lasciati nelle strutture ospedaliere). Nel caso di affidamento familiare però ci troviamo di fronte alla necessità di assicurare ai minori, che – per gravi motivi – non possono temporaneamente continuare a vivere con i propri genitori o parenti, la crescita in un ambiente accogliente e che sia in grado di garantire il diritto a «vivere, ed essere educato nell’ambito di una famiglia». Tale diritto «è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento» (art.1, c. 5, legge 4 maggio 1983, n. 184). Come notiamo in questo dettato legislativo è chiaro il riferimento, quasi letteralmente citato, a quanto enunciato nel c. 2 dell’art. 3 della Costituzione ed è proprio su questo piano di garanzia che la scuola, come prima agenzia formativa, si ritrova a dover muovere i propri passi nell’accompagnare i bambini del primo ciclo nel loro percorso formativo. 4.2 Adozione
Sull’argomento le «Linee di Indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati», pubblicate dal MIUR nel 2014, sicuramente rappresentano la prima fonte normativa di secondo grado che può aiutare i docenti nella stesura di un percorso didattico. Le difficoltà che i ragazzi adottati hanno manifestato nel corso della loro formazione e crescita, sono riconducibili alle seguenti aree critiche sensibili al range di età compresa in quelle riguardanti il primo ciclo. Apprendimento: vi sono studi che accertano la maggiore percentuale di bambini con difficoltà di apprendimento nel gruppo degli adottati. Occorre sottolineare che il vissuto molto spesso difficile e traumatico di tali bambini ha effetti impattanti sull’aspetto psico-emotivo tali da ricadere inevitabilmente anche nella sfera cognitiva e quindi nella capacità di apprendimento. u Psico-emotività: in molti casi le esperienze precedenti all’adozione hanno una ricaduta negativa sulla capacità di gestione delle emozioni, e della loro categorizzazione. La mancanza di figure di riferimento in alcuni momenti della vita del fanciullo possono portare a rappresentazione di sé come soggetto indesiderabile e quindi non amato. u Scolarizzazione dei paesi di origine (nel caso di adozione internazionale): se il bambino proviene da una adozione di tipo internazionale e nello specifico da paesi in cui il livello culturale è assai basso e/o con punte di analfabetismo elevate, potrebbe non aver mai ricevuto alcuna forma di scolarizzazione o averla ricevuta con modalità diverse rispetto a quelle applicate attualmente in Italia. u Bisogni speciali o particolari pregressi (special needs adoption ). In questa ultima area critica rientrano i bambini con età superiore ai 7 anni, ragazzi provenienti da esperienze traumatiche o difficili, con significative problematicità di salute o di disabilità fisica o cognitiva. u Lingua Italiana come L2: i ragazzi stranieri adottati imparano molto facilmente le cosiddette «basic interpersonal communicative skills» ovvero il linguaggio necessario per una conversazione di base. Sono le «cognitive/academic linguistic abilities», costituite da conoscenze grammaticali e sintattiche complesse e da un vocabolario ampio a essere quelle che, con più difficoltà, vengono acquisite dai ragazzi adottati stranieri. La criticità maggiore di tali alunni non è tanto la lettura ma la fase della comprensione del testo. u Identità etnica: tale area vulnerabile si manifesta soprattutto nei ragazzi appartenenti a etnie diverse da quelle dei genitori adottivi. La difficoltà sarà quella di integrare la propria provenienza con quella della famiglia adottiva. Da studi effettuati si è notato che i ragazzi adottati da famiglie italiane, tendono a perdere più facilmente il loro legame con il paese di provenienza e con le tradizioni a esso collegate, rispetto a quanto non accada nei ragazzi inseriti nella scuola italiana ma provenienti da famiglie straniere. u
4.3 Momenti topici per l’inserimento scolastico: buone pratiche
A partire dal momento dell’iscrizione fino ad arrivare al termine del percorso di studi, occorre che tutti i soggetti coinvolti nel percorso formativo del ragazzo siano parti attive nella stesura del progetto individuale per ciascun studente. Ogni occasione di riunioni e momenti di condivisione servirà a rendere possibile un colloquio continuo lungo tutta la fase di prima formazione di alunni adottati o dati in affidamento a famiglie o a strutture. Questi momenti di confronto/condivisione devono confluire in documenti da produrre ai fini di una vera programmazione, valutazione, controllo e riprogrammazione dei piani personali di ogni fanciullo. Volendo descrivere un timing delle azioni da porre in essere potremmo così suddividere le fasi: Iscrizione . Tale azione sarà posta in essere dalla famiglia adottante o affidante nel momento in cui l’adozione si formalizza. Da quel momento infatti nasce anche giuridicamente l’obbligo, per gli esercenti potestà genitoriale, alla formazione istruzione e educazione secondo i disposti dell’art. 30 della Cost. e 147 del c.c. A tale obbligo corrisponde il dovere da parte della scuola di accogliere il bambino e inserirlo nella classe corrispondente alla sua età. I soggetti della formazione interessati per compiti e ruoli sono gli Uffici scolastici regionali per la destinazione delle risorse richieste, i dirigenti scolastici per la gestione di tali risorse, Il collegio dei docenti per l’aspetto didattico e i docenti che interagiscono con il bambino. Tutti questi interlocutori istituzionali dovranno, nelle loro competenze, «attivare prassi mirate a valorizzare la specificità, a sostenere l’inclusione, e a favorire il benessere scolastico dei bambini e dei ragazzi adottati». Nei casi oggetto del nostro studio appare quanto mai importante la formazione di tutto il personale scolastico ai fini di una inclusione reale ed efficace. In questa prima fase le «Linee di Indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati» mettono a disposizione un allegato quale «Scheda di raccolta informazioni a integrazione dei moduli di iscrizione». Essa è una scheda nella quale la famiglia fornisce alla scuola alcune informazioni di base sul figlio in riferimento all’adozione e al gruppo familiare. Questa scheda sarà compilata al momento dell’iscrizione. Primo incontro . Esso rappresenta il primo contatto tra scuola e genitori adottivi o affidatari. Occorre improntare questo primo colloquio nel modo corretto per dare un imprinting virtuoso a tutte le azioni che la scuola porrà in essere nell’interesse dell’inclusione del bambino. Molta attenzione occorre dare al rapporto di fiducia che si deve instaurare tra famiglia e docenti (quali referenti e rappresentanti di prima linea delle istituzioni coinvolte). Non dobbiamo dimenticare che i fanciulli adottati che devono essere inseriti nella scuola, si troveranno in molti casi ad affrontare una realtà di abitudini alimentari, rituali e comportamentali assai diverse da quelle di provenienza. La capacità della scuola sarà quella di rendere il più naturale possibile l’accompagnamento verso la nuova dimensione di vita che l’alunno si troverà ad affrontare. Occorre sottolineare che in questi casi sarebbe importante che la diversità venga vissuta come una risorsa e non come un ostacolo all’inserimento in quanto foriera di situazioni di confronto anche per il resto della classe che sarà inevitabilmente chiamata a riflettere sulla esistenza di realtà anche molto diverse dalla propria ma altrettanto preziose per un accrescimento culturale. Per rendere possibile la raccolta di questi dati è previsto, nelle «Linee di Indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati», l’allegato 2 che contiene una «Scheda per una maggiore conoscenza dell’alunno adottato», da compilarsi al primo colloquio con gli insegnanti, dove la famiglia può riferire comportamenti specifici del figlio sia comportamentali sia legati alla scolarizzazione e socializzazione. Sembra di notevole importanza chiarire che, come da nota del Dipartimento per l’Istruzione prot. n. 547 del 21 febbraio 2014 in casi di fanciulli adottati che vertano in situazioni di «straordinarietà e specificità degli interventi in questione» circa la «eventuale deroga all’assolvimento dell’obbligo di istruzione per gli alunni adottati», i dirigenti scolastici sono chiamati a esaminare «i singoli casi con sensibilità e accuratezza, confrontandosi – laddove necessario – anche con specifiche professionalità di settore e con il supporto dei Servizi Territoriali, predisponendo percorsi individualizzati e personalizzati». Al riguardo sembra opportuno precisare che i suddetti interventi sono adottati, dopo un’attenta verifica della sussistenza delle condizioni e sempre in completo accordo con le famiglie interessate, anche presso le istituzioni scolastiche paritarie, per le quali l’avvio dell’iter procedurale e la successiva decisione risultano di competenza del coordinatore delle attività educative e didattiche, sentito il team dei docenti.
5. L’inclusione degli alunni stranieri Includere, come abbiamo già detto più volte, letteralmente vuol dire rimuovere le barriere che ostacolano il processo di apprendimento di tutti gli alunni. Ovviamente in una società globalizzata, liquida come la nostra e a forte vocazione di interscambi culturali, l’inclusione non può non prevedere la fattispecie degli alunni stranieri da inserire nel nostro sistema di formazione. Il diritto allo studio infatti deve essere concepito come strettamente legato allo status di cittadino (popolo) ma lo supera ampiamente innestandosi in quello di popolazione. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (divenuta vincolante come parte del diritto internazionale consuetudinario in tutti gli stati democratici) all’art. 2 detta Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
Il MIUR, attraverso le «Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri» pubblicate nel febbraio 2014, si fa promotore della diffusione di una prassi educativa che supera la multiculturalità per approdare all’interculturalità. Tale evoluzione sarà possibile solo attraverso il confronto, il dialogo e la messa a sistema di regole di vita che riconoscano e integrino l’identità di ciascuno nel rispetto della propria individualità. Per chiarezza di comunicazione occorre delineare chi sono gli alunni considerati stranieri nel nostro sistema educativo. Le «Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri» individuano due diverse tipologie di alunni stranieri: coloro che nascono in Italia ma mantengono la cittadinanza straniera e coloro che nati fuori dal nostro territorio giungono in Italia. A questa prima grande classificazione ne succede una più specifica che distingue le seguenti tipologie: alunni con cittadinanza non italiana, alunni con ambiente familiare non italofono, alunni minori non accompagnati, alunni figli di coppie miste, alunni arrivati per adozione internazionale, alunni sinti rom e caminanti. Importante appare chiarire che, al di là della condizione personale in relazione a tale classificazione, le procedure di accoglienza previste possono definirsi trasversali per ogni tipologia di alunno straniero che si trova a dover essere inserito nei percorsi formativi della nostra scuola. 5.1 Le fasi dell’inclusione degli alunni stranieri 5.1.1 Accoglienza
A questa prima fase sono riconducibili tutte le procedure documentali necessarie per l’inserimento dello studente a scuola. Importante evidenziare che esiste un Protocollo di accoglienza di cui ciascuna istituzione scolastica dovrebbe dotarsi che delinea prassi condivise di carattere: amministrativo-burocratico-informativo che riguardano l’iscrizione e l’inserimento a scuola degli studenti stranieri; comunicativo-relazionale riguardante i compiti e i ruoli degli operatori scolastici nelle fasi di prima accoglienza e assegnazione della classe; u educativo-didattico che traccia le fasi relative all’inserimento in classe, alla definizione di un Piano educativo personalizzato (PEP), alla pianificazione e realizzazione di azioni specifiche, alla valutazione degli interventi; u sociale che individua i rapporti e le collaborazioni con il territorio. u u
5.1.2 Iscrizione
La tempistica da rispettare in tale fase è diversa a seconda del momento in cui si accede al nostro territorio. Se infatti il ragazzo viene in Italia nel corso dello svolgimento dell’anno scolastico, secondo il disposto dell’art. 45 del D.P.R. 349 del 1999 potrà accedere all’iscrizione contestualmente al suo ingresso nel nostro paese. L’eventuale irregolarità della famiglia non pregiudica l’iscrizione del bambino nelle scuole italiane in quanto il diritto alla formazione e all’educazione sono prioritarie rispetto a qualsiasi altra situazione giuridica. Il ragazzo verrà iscritto alla classe corrispondente all’età. Se la scuola venisse a conoscenza di casi di minori non accompagnati dovrà immediatamente darne notizia alle autorità competenti per iniziare la procedure di accoglienza o affido o rimpatrio assistito. Per quanto riguarda la documentazione necessaria per procedere alla iscrizione nei casi oggetto della nostra trattazione, si rimanda a quanto previsto dalle stesse «Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri» al paragrafo dedicato alle iscrizioni. Per tutti gli altri stranieri già presenti sul territorio in periodi precedenti a quello dedicato istituzionalmente alle iscrizioni scolastiche valgono i tempi previsti per tutti gli studenti. Non essendoci infatti una situazione di eccezionalità, le famiglie dovranno rispettare le norme previste per tutti gli altri alunni e organizzate solo secondo procedure on line. 5.1.3 Coinvolgimento e partecipazione delle famiglie
Il primo incontro con le famiglie degli alunni stranieri rappresenta un momento molto delicato in cui si devono porre le basi per creare rapporto virtuoso e di fiducia tra istituzione scuola e genitori. Dopo la prima fase conoscitiva e di scambio di informazioni che riguardano l’alunno, la scuola attraverso le varie figure preposte, dovrà mettersi in ascolto della famiglia per comprenderne le specifiche esigenze. Anche nella predisposizione di Piani didattici personalizzati i genitori dell’alunno straniero, andranno coinvolti affinché tutto ciò che la scuola prevede possa perfettamente integrarsi con azioni congiunte che il bambino vive all’interno del suo nucleo familiare. Le «Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri» indicano inoltre come auspicabile la compilazione di un documento che possa programmare gli incontri con le famiglie e in cui, tradotto nella lingua madre ove necessario (con l’aiuto di mediatori linguistici), si spieghi alla famiglia quali sono le caratteristiche del sistema scolastico italiano e quali scelte formative si operano per l’alunno. 5.1.4 Valutazione degli alunni stranieri
Sulla valutazione le Linee guida dedicano un paragrafo a parte in cui si rimanda al D.P.R. 122 del 2009 e al D.P.R. 394 del 1999. Nel complesso si può dire che tutti gli alunni stranieri sono riconducibili, soprattutto nel primo periodo di inserimento scolastico, nella tipologia dei NAI (Neo arrivati in Italia) per periodi più o meno lunghi, a seconda dell’età, della provenienza, delle lingue di origine, della scolarità pregressa, dei tratti personali e di elementi contestuali. I NAI vengono più ampiamente inseriti nella categoria di alunni con BES e quindi come tali a essi verrà applicata una didattica personalizzata con programmazioni ad hoc (PDP).
6. La valutazione degli studenti BES Il riconoscimento della condizione di studente con Bisogni educativi speciali spetta al consiglio di classe e può avvenire attraverso una diagnosi clinica e le informazioni fornite dalla famiglia dell’alunno. La scuola può acquisire la documentazione clinica, riservandosi di valutare l’effettiva efficacia sulle strategie educative e didattiche da adottare. La valutazione degli studenti con BES, esclusi coloro che versano in condizioni di disabilità e con DSA, prevede l’adozione, per tali alunni, solo di strumenti compensative anche in sede d’esame di Stato. È possibile quindi concedere strumenti compensativi, in analogia a quanto previsto per gli studenti con DSA, solo nel caso in cui siano già stati impiegati per le verifiche in corso d’anno o comunque siano ritenuti funzionali allo svolgimento dell’esame senza che venga pregiudicata la validità delle prove scritte.
[310] Ribaldi
M., Trasformare l’handicap , Edizioni del Cerro, Pisa 1996.
[311] Convenzione [312] Ibid [313]
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
.
Il Progetto individuale è predisposto dall’ente territoriale su richiesta dell’interessato.
[314]
CCNL comparto scuola artt. 47, 48 e Tab. A; D.lgs. n. 66/17, art. 3 comma 2 lett. b) e c); schede AIPD n. 506, Come ottenere l’assistenza igienica dei collaboratori scolastici (ex bidelli), e n. 526, I collaboratori scolastici sono tenuti a prestare assistenza igienica agli alunni con disabilità (sentenza della Corte di Cassazione 22786/16). [315]
www.miur.gov.it/disturbi-specifici-dell-apprendimento-dsa- .
[316] I
DSA e gli altri BES. Indicazioni per la pratica professionale , Consiglio nazionale ordine degli psicologi.
[317] Alunni
con bisogni educativi speciali. Chiarimenti , prot. Miur 562 del 3 aprile 2019.
10. Bullismo e cyberbullismo. Il quadro di riferimento normativo a cura di Ilaria Baroni
1. Il bullismo e il cyberbullismo: definizione Fra le più gravi e nuove emergenze educative, i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo sono, negli ultimi anni, oggetto di attenzione da parte del legislatore europeo e nazionale e il Ministero dell’Istruzione ha intrapreso molteplici azioni volte ad affrontare i fenomeni. Cercando in primis di definire le due problematiche, non abbiamo, de iure condito , una definizione giuridica del bullismo mentre il cyberbullismo è stato con precisione descritto dalla legge 29 maggio 2017, n. 71. Del bullismo il Ministero inizia a occuparsi nel 2009, con le Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo . In tale documento il problema è descritto come un fenomeno estremamente complesso, non riconducibile alla sola condotta dei singoli (bambini, ragazzi preadolescenti e adolescenti; maschi e femmine) ma che riguarda il gruppo dei pari nel suo insieme. Tra i coetanei, infatti, il fenomeno spesso si diffonde grazie a dinamiche di gruppo, soprattutto in presenza di atteggiamenti di tacita accettazione delle prepotenze o di rinuncia a contrastare attivamente le sopraffazioni ai danni dei più deboli. È importante definire il bullismo poiché troppo spesso viene confuso o omologato con altre tipologie di comportamento, dai quali va distinto, e che configurano dei veri e propri reati (per esempio discriminazione, microcriminalità, vandalismo, furti ecc.). Il termine italiano «bullismo» è la traduzione letterale di bullyng , parola inglese comunemente usata nella letteratura internazionale per caratterizzare il fenomeno delle prepotenze tra pari in contesto di gruppo. Il bullismo si configura come un fenomeno dinamico, multidimensionale e relazionale che riguarda non solo l’interazione del prevaricatore con la vittima, che assume atteggiamenti di rassegnazione, ma tutti gli appartenenti allo stesso gruppo con ruoli diversi. Il comportamento del bullo è un tipo di azione continuativa e persistente che mira deliberatamente a far del male o danneggiare qualcuno. La modalità diretta si manifesta in prepotenze fisiche e/o verbali. La forma diretta di prevaricazione riguarda una serie di dicerie sul conto della vittima, l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di calunnie e di pettegolezzi e altre modalità definite di cyberbullyng inteso quest’ultimo come particolare tipo di aggressività intenzionale agita attraverso forme elettroniche. Questa nuova forma di prevaricazione, che non consente a chi la subisce di sfuggire o nascondersi e coinvolge un numero sempre più alto di vittime, è in costante aumento e non ha ancora un contesto definito. Ciò che appare rilevante è che oggi non è più sufficiente educare a decodificare l’immagine perché i nuovi mezzi hanno dato la possibilità a chiunque non solo di registrare immagini ma anche di divulgarle [318] . A tale definizione si affianca quella del Consiglio d’Europa del 2009, nelle Linee guida per protezione dei minori dalle violenze . Qui si parla di comportamento aggressivo ripetuto nel tempo contro un individuo, con l’intenzione di ferirlo fisicamente o moralmente. È caratterizzato da certe forme di abuso con le quali una persona tenta di esercitare un potere su un’altra persona. Può manifestarsi con l’uso di soprannomi offensivi, insulti verbali o scritti, escludendo la vittima da certe attività, da certe forme di vita sociale, con aggressioni fisiche o angherie [319] . In sintesi, dai documenti ufficiali e dagli studi più accreditati sul tema, si possono evincere le seguenti caratteristiche fondamentali del bullismo a scuola: atto violento, includendo nel contesto sia la violenza fisica, sia la violenza morale; reiterazione, nel senso di condotta ripetuta nel tempo; u intento lesivo, ovvero volontà di ferire, intimidire, danneggiare o mettere in ridicolo la vittima; u tentativo di isolare la vittima, accentrando la debolezza e fragilità di soggetto più piccolo di età o di sviluppo fisico [320] . u u
Il bullismo viene poi dalla dottrina distinto in «bullismo diretto», ovvero il compiere direttamente atti violenti o offensivi (dare schiaffi, insultare, sottrarre cose personali ecc.) e «bullismo indiretto», realizzato attraverso il tentativo di isolare la vittima dal gruppo, accentuandone la fragilità e la solitudine (per esempio diffondere false notizie o favorendo fraintendimenti con gli altri membri del gruppo amicale o della classe).
2. Bullismo. Illecito disciplinare, penale, civile È di tutta evidenza che i comportamenti sopra descritti possono costituire fatti illeciti, se non addirittura reati e comunque fonte di responsabilità civile e risarcitoria. I profili disciplinare e penale rilevano soprattutto quando i bulli siano adolescenti imputabili, ovvero ultraquattordicenni, ma anche per gli studenti sotto la soglia di imputabilità, iscritti alle classi iniziali del superiore, il sistema prevede forme di tutela attraverso la segnalazione delle condotte al Tribunale dei minori e ai Servizi sociali del comune. È altresì evidente poi che la questione assume connotazione più grave quando i rei siano studenti maggiorenni, per i quali si configurano profili di responsabilità civile e penale disciplinati dalle norme ordinarie, configurandosi anche un aggravamento della responsabilità disciplinare, data la maggiore età e il maggior grado di antigiuridicità dei comportamenti che può derivarne. Per gli adolescenti di età compresa fra 14 e 18 anni il nostro
ordinamento prevede, con riferimento alla responsabilità penale, una presunzione di capacità di intendere e di volere. L’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere ex. art. 85 C.p., si differenza dalla colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito che l’agente sta compiendo; entrambe esprimono categorie giuridiche concettualmente diverse e operanti su piani diversi, benché ovviamente la prima, come substrato naturalistico della responsabilità penale, vada accertata con criterio di priorità rispetto alla seconda. Lo studente imputabile è quindi responsabile delle proprie azioni, per quanto la minore età lo riconduca a un sistema di giudice specializzato, ovvero alla giurisdizione del Tribunale dei minori. Occorre evidenziare sul punto che negli ultimi anni sono stati siglati protocolli di intesa, in particolare fra le amministrazioni scolastiche decentrate e gli uffici giudiziari del territorio, per facilitare i contatti con le scuole attraverso procedure semplici e tempestive. Il profilo civilistico, ovvero l’eventuale richiesta risarcitoria della famiglia della vittima impatta necessariamente, stante l’età del presunto bullo, sulla possibile culpa in vigilando del docente, ai sensi degli art. 2047 Codice civile, per i minori incapaci di intendere e di volere, o del 2048 C.c., c. 2 per gli altri minori. Tali fattispecie consentono l’esclusione della responsabilità della istituzione scolastica ma solo con la difficile prova liberatoria a carico del docente e della scuola. Tale prova si fonda sulle azioni concretamente poste in essere in classe dal docente e nell’istituto, per educare a comportamenti corretti gli alunni e per prevenire il bullismo, anche nel rispetto delle Linee guida fornite dal Ministero nel 2015, con le Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e cyberbullismo e con le nuove Linee di orientamento del MIUR del 2017 di cui diremo nel prosieguo. Se il docente e la scuola riescono a escludere la responsabilità, si può configurare la culpa in educando prevista dall’art. 2048, c. 1, ovvero la carenza educativa della famiglia, che è spesso davvero la causa prima del comportamento del bambino, spesso riconducibile a situazioni familiare inadeguate e di disagio. Ma occorre purtroppo rilevare che da parte di chi avanza pretese risarcitorie è di solito percorsa la via più semplice di citare in giudizio il MIUR. Sul punto risultano illuminanti le considerazioni degli avvocati di Stato Capaldo e Paolucci: La storia del contenzioso giudiziario in questa materia denota una pericolosa tendenza dei genitori a scaricare sulla scuola qualsiasi danno possa essere accaduto a scuola, intorno alla scuola, per la scuola. Si riproduce sul terreno giudiziario […] un senso di deresponsabilizzazione […] le cui tracce sociologiche […] connotano oggi i rapporti scuola famiglia. La stessa dottrina giuridica osserva e così descrive il fenomeno: «oltre alla maggiore facilità di convenire giudizialmente il Ministero, è anche da registrare un comportamento di latente irresponsabilizzazione collettiva da parte dei genitori che continuano ad agire sempre e comunque contro l’Istituzione Scolastica senza mai chiedersi se essi stessi siano la fonte dei problemi causati dai figli. Le casistiche che anche fugacemente abbiamo scorso, ci hanno mostrato come, a prescindere dall’esito delle iniziative, spesso non favorevole, i genitori tendono comunque a colpevolizzare il lavoro degli insegnanti, intentando azioni giudiziarie, anche penali, per le più svariate motivazioni. Si sta sempre più diffondendo il convincimento che ciò sia giusto, perché i genitori in realtà stanno lentamente rinunciando al loro ruolo di educatori, scivolando verso la richiesta per fatti concludenti di una specie di assistenzialismo pubblico al potere educativo, in base al quale si pensa che i figli lasciati a scuola non appartengano più in alcun modo alla loro sfera di controllo, come se essi non fossero vettori di valori e disvalori appresi in ambito familiare. Come autorevoli esperti hanno rilevato, si è incrinato il rapporto di collaborazione tra famiglia e scuola, basato sul riconoscimento che la società deve usare la scuola come strumento per educare le giovani generazioni. Questa frattura comporta alcune negative conseguenze, tra le quali la difesa esasperata dei propri figli da qualsiasi critica o richiamo educativo che provenga dagli insegnanti; un altrettanto esasperato individualismo che porta a vedere nell’Istituzione Scolastica un luogo dove si devono ottenere diritti senza alcun dovere da rispettare. È necessario riequilibrare questa tendenza, cercando di fare riemergere il contenuto dei ruoli sociali che stanno gradualmente depotenziandosi» [321] .
3. Le linee di indirizzo del MIUR per la prevenzione e la lotta al bullismo del 2007 Le istituzioni europee e nazionali, oltre a interventi importanti realizzati attraverso fonti primarie, hanno anche adottato altre misure, di prevenzione e di contrasto, nei confronti del bullismo e del cyberbullismo. Fino dal 2007 infatti, quando ancora le condotte rimanevano nella realtà fattuale e di conseguenza oggetto di attenzione era il bullismo, il MIUR iniziò a fornire Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo . Questo documento, dopo aver illustrato il problema, detta alcune linee di azione per le scuole. In primo luogo si sofferma sui regolamenti disciplinari che, ispirati dallo Statuto degli studenti e delle studentesse di cui al D.P.R. 24 giugno 1998 n. 248, devono improntare il meccanismo sanzionatorio alla principale finalità rieducativa dell’alunno, superando una impostazione prevalentemente repressiva. Lo strumento disciplinare si colloca, dunque, in uno spazio intermedio fra l’essenziale momento di formazione/prevenzione e quello del ricorso all’autorità giudiziaria, per fatti di tale gravità da non poter essere risolti con strumenti di natura educativa. In ambito scolastico, infatti, la misura disciplinare, oltre ad avere un valore sanzionatorio, ha prima di tutto una funzione educativa. Per assolvere a tale funzione e soprattutto a fenomeni di bullismo, spesso connotati dal timore della vittima nel denunciare i soprusi subiti e dalle difficoltà di acquisire informazioni precise e attendibili in ordine all’effettivo svolgimento dei fatti. Le procedure devono essere contrassegnate […] da variegata gamma di misure sanzionatorie nel rispetto del principio di proporzionalità [322] .
Al meccanismo disciplinare si affiancano azioni a livello nazionale di supporto alla qualità di insegnamento e di promozione della salute, di prevenzione del disagio giovanile e di educazione alla legalità. Si prevedono inoltre campagna di informazione e formazione
specifiche per i diversi ordini e gradi. In particolare per la scuola dell’infanzia e per la primaria le finalità perseguite sono la valorizzazione della comunicazione interpersonale, […] la costruzione di contesti di ascolto non giudicanti , […] l’affissione di poster da affiggere all’interno delle scuole che contengano immagini-messaggio particolarmente adatte e facilmente decodificabili dai più piccoli o realizzati da loro stessi [323] .
4. Le linee di orientamento per azioni di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo del 2015 Le Linee guida dell’aprile 2015 sono il primo documento che affronta in modo organico le due problematiche attraverso una strategia complessiva di sistema. Dopo un’attenta disamina dei fenomeni e della evoluzione del bullismo in comportamenti persecutori attraverso la rete, vengono individuate alcune indicazioni per il corretto comportamento in rete, da approfondire per i docenti e da diffondere agli studenti. Al fine di individuare strategie di prevenzione e contrasto al cyberbullismo e promuovere opportune azioni educative e pedagogiche, è necessario conoscere e diffondere le regole basilari della comunicazione e del comportamento web come: netiquette e norme di uso corretto dei servizi di rete (per esempio: navigare evitando siti web rischiosi; non compromettere il funzionamento della rete e degli apparecchi che la costituiscono con programmi – virus ecc. – costruiti appositamente); u regole di scrittura per le e-mail (per esempio utilizzare un indirizzo e-mail personalizzato e facilmente identificabile; descrivere in modo preciso l’oggetto del messaggio; presentare se stessi e l’obiettivo del messaggio nelle prime righe del testo; non pubblicare, in assenza dell’esplicito permesso dell’autore, il contenuto di messaggi di posta elettronica); u educazione all’utilizzo dei nuovi strumenti per tutelare la privacy volti a garantire alle persone maggiore trasparenza e controllo sulle informazioni che condividono sui social network e decalogo della privacy digitale; u individuazione dei comportamenti scorretti online e uso consapevole dei social network anche attraverso la lettura delle privacy policy [324] . u
Il testo prosegue dando conto del Safer Internet Center per l’Italia. Questo progetto, inserito nel programma comunitario «Safer Internet», istituito dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo con decisione n. 1531/2008/CE, già citata in precedenza, prevede, oltre alla definizione di azioni strategiche volte a promuovere un uso consapevole e responsabile di Internet fra i giovani, il finanziamento di poli di riferimento nazionale, i SIC (Safer Internet Center). Tale SIC, istituito con l’azione «Generazioni connesse – Safer Internet Center» e coordinato dal Ministero, ha previsto l’adesione delle principali realtà italiane che si occupano della sicurezza in rete: il Ministro degli Interni attraverso la Polizia Postale, l’Autorità garante per l’infanzia, associazioni del volontariato attive nel settore della protezione dei minori quali Save The Children, Telefono Azzurro, EDI Onlus, Movimento difesa del cittadino, alcune università italiane particolarmente impegnate sul tema, con una forte sinergia tra pubblico e privato. Il SIC si muove in tre specifici ambiti: 1. realizzazione di programmi di educazione e sensibilizzazione sull’utilizzo sicuro della rete, rivolto ai bambini e agli adolescenti, ai genitori e agli insegnanti; 2. creazione di help lines per supportare gli utenti su problematiche connesse con l’uso della rete e di hot lines per segnalare la presenza in rete di materiale pedopornografico; 3. la creazione di un sito web dal SIC, con utili materiali didattici pensati per le scuole, attraverso l’indirizzo www.generazioniconnesse.it .
Il MIUR poi, per rafforzare la sensibilizzazione diffusa si impegna a promuovere nelle scuole la Giornata europea della sicurezza in rete (SID), quale occasione per diffondere nelle istituzioni scolastiche la cultura dell’uso corretto di internet. Viene infine definito un coordinamento tra le istituzioni scolastiche attraverso i Centri territoriali di supporto (CTS), istituiti dagli Uffici scolastici regionali e collocati, a livello provinciale, presso la scuola polo per l’inclusione. La scelta dei CTS quali organismi referenti anche per le azioni di prevenzione di bullismo e cyberbullismo si fonda sulla circostanza oggettiva che tali fenomeni siano altre manifestazioni di disagio sociale. I CTS individueranno al loro interno docenti referenti esperti di tali tematiche, per costituire supporto alle scuole. Questo quadro di sistema costituirà il necessario riferimento istituzionale per le istituzioni scolastiche autonome. Queste promuoveranno azioni educative riconducibili a «Cittadinanza e Costituzione», rivolte agli studenti, organizzeranno eventi di sensibilizzazione espressamente pensati per i genitori, all’interno di possibili attività scelte tra le seguenti: coinvolgimento di tutte le componenti della comunità scolastica nella prevenzione e nel contrasto del bullismo e del cyberbullismo, favorendo la collaborazione attiva dei genitori; u aggiornamento del Regolamento di istituto con una sezione dedicata all’utilizzo a scuola di computer, smartphone e altri dispositivi elettronici; u comunicazione agli studenti e alle loro famiglie sulle sanzioni previste dal Regolamento di istituto nei casi di bullismo, cyberbullismo e navigazione online a rischio; u somministrazione di questionari agli studenti e ai genitori finalizzati al monitoraggio, anche attraverso piattaforme online con pubblicazione dei risultati sul sito web della scuola, che possano fornire una fotografia della situazione e consentire una valutazione oggettiva dell’efficacia degli interventi attuati; u percorsi di formazione tenuti da esperti rivolti ai genitori sulle problematiche del bullismo e del cyberbullismo impostati anche sulla base dell’analisi dei bisogni; u ideazione e realizzazione di campagne pubblicitarie attraverso messaggi video e locandine informative; u
creazione sul sito web della scuola di una sezione dedicata ai temi del bullismo e/o cyberbullismo in cui inserire uno spazio riservato alle comunicazioni scuola-famiglia è una chat dedicata gestita dagli studenti eventualmente attraverso i loro rappresentanti; u apertura di uno sportello di ascolto online e/o face to face presso ciascuna scuola sede di CTS; u utilizzo di procedure codificate per segnalare alle famiglie, enti e/o organismi competenti i comportamenti a rischio; u valorizzazione del ruolo del personale scolastico e, in particolare, degli assistenti tecnici al fine di un utilizzo sicuro di Internet a scuola [325] . u
Infine le linee di orientamento si occupano specificamente della formazione dei docenti, indicando come possibile oggetto dei piani di formazione elaborati dalle singole scuole corsi specifici per aggiornare il personale su tali problematiche e prevedendo che i fenomeni di bullismo e cyberbullismo siano approfonditi nei percorsi formativi rivolti agli insegnanti neo immessi in ruolo.
5. La legge 71 del 2017. Definizione normativa del cyberbullismo Quando i comportamenti violenti, offensivi, reiterati si avvalgono dei nuovi media, il bullismo produce la sua evoluzione informatica, cioè il cyberbullismo. La gravità e offensività del fenomeno ha spinto addirittura il legislatore ad affrontare il problema con norme primarie, a partire dalla legge 107/2015 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti che all’art. 1, c. 7, lettera l), individua tra i principali obiettivi del sistema scolastico nazionale «la prevenzione ed il contrasto da ogni forma di discriminazione e del bullismo». La legge 71 del 29 maggio 2017, recante «Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo», affronta in maniera organica il problema. Attraverso uno stile normativo sintetico ed efficace, in sette articoli viene definita la fattispecie, si prevedono azioni a tutela della dignità del minore, fino all’istanza di oscuramento, rimozione o blocco di qualsiasi dato personale del minore diffuso sulla rete internet. La legge interpreta il profondo allarme sociale suscitato da ripetuti episodi di cyberbullismo, che hanno talvolta spinto la vittima al suicidio. Risponde però a una scelta di fondo che non prevede direttamente la punibilità penale delle specifiche condotte, forse sottovalutando, come autorevolmente sostenuto, che il diritto penale ha una funzione generale preventiva e non solo repressiva, un messaggio di orientamento culturale sulle condotte disdicevoli [326] . Tale impostazione pare sovvertita nell’ultimo progetto di legge di riforma, come approfondiremo in seguito. L’art. 1, al c. 2, delinea la condotta che viene definita come qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi a oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.
Dal testo della norma è possibile cogliere la differenza con il bullismo. Infatti il cyberbullismo sposta i comportamenti eccessivi dalla realtà fattuale a quella virtuale, può consentire al persecutore di celarsi dietro l’anonimato della rete e di perpetrare un attacco potenzialmente all’infinito, se non si prevedono rimozioni o oscuramenti [327] . Le azioni vengono tradizionalmente tipizzate con il linguaggio del web (occorre avvertire che le tipizzazioni, però, mutano con la velocità dell’evoluzione tecnologica e del mondo della rete, appunto): flaming (inviare messaggi elettronici che utilizzano un linguaggio scurrile e violento: poiché la fattispecie nasce all’interno dei war games elettronici, non sempre la condotta è accompagnata dalla volontà di offendere); cyberstalking (invio ripetuto di messaggi, con esplicite o implicite minacce); happy slapping (aggressioni che hanno inizio nella vita reale e poi continuano con foto e filmati online); denigration (pubblicazione all’interno di comunità virtuali quale mud, forum di discussione, messaggistica immediata, newsgroup, blog o siti internet di gossip e commenti crudeli, calunniosi, offensivi, denigratori al fine di danneggiare la reputazione della vittima); outing (diffondere confidenze, immagini, informazioni raccolte in privato in un blog pubblico all’insaputa dell’interessato); trickery (ottenere con l’inganno, il tranello, le confidenze di una persona e, dopo averne conquistato la fiducia, diffondere segreti e informazioni: rispetto all’outing vi è la premeditazione e l’inganno); impersonation (insinuazione all’interno dell’account di un’altra persona con l’obiettivo di inviare dal medesimo messaggi ingiuriosi, che screditino la vittima); sexting (neologismo derivante dalla crasi di sex e texting , che indica l’invio, lo scambio di immagini, foto o video, sessualmente esplicite o di testi inerenti al sesso attraverso mms, sms, email, chat, blog ecc.) [328] . Una interessante ricerca condotta dall’Università Bicocca individua i seguenti caratteri distintivi: 1. la comunicazione online avviene principalmente tra persone che si conoscono, per i ragazzi che passano molte ore a scuola, il cyberbullismo è legato ai compagni di classe e all’ambiente della scuola ; 2. i ragazzi si rendono conto dell’ampiezza del fenomeno, ma ne sottovalutano la gravità ; vedono tutto in modo abbastanza goliardico e in termini di affermazione della propria personalità o innalzamento dello status ; non è quindi la possibilità di rimanere anonimi a fare la differenza nella pervasività del fenomeno, quanto il distacco, la difficoltà a empatizzare provocata dal filtrare la comunicazione attraverso uno schermo; 3. grande assente è l’educazione alla netiquette : i comportamenti, che pure da un punto di vista legale sono passabili di sanzioni penali, vengono valutati come ammissibili, a seconda del contesto; se una persona in qualche modo «se lo merita», anche il comportamento valutato come immorale o ingiustificabile viene ammesso;
4. si innesca un circolo vizioso deleterio: spesso chi è vittima è anche bullo , anzi, l’essere vittima sembra facilitare il passaggio a bullo; 5. non c’è correlazione tra quanto una persona viene attaccata (la frequenza degli episodi di vittimizzazione) e la sofferenza personale: anche a causa dell’effetto di diffusione virale di un attacco via Internet, può bastare un singolo episodio a causare una profonda sofferenza ; 6. il cyberbullismo appare direttamente collegato e quasi come un effetto collaterale della propensione al narcisismo e della ricerca di empatia «facile», immediata, veicolata dalla rete. I ragazzi che sono più esposti a questo tipo di problemi sembrano connessi proprio a questi profili; 7. gli adulti, all’interno della famiglia o del contesto scolastico, non sono un punto di riferimento : non si va a chiedere aiuto ai professori o ai genitori, che sono visti come poco esperti per tutto quello che riguarda il mondo virtuale [329] .
All’art. 3 viene disciplinato il piano di azione integrato, nel rispetto delle direttive europee e nell’ambito del programma pluriennale di cui alla decisione 1351/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008. Tale piano è finalizzato al contrasto e alla prevenzione, istituendo al contempo un sistema di raccolta dati finalizzato al monitoraggio dell’evoluzione dei fenomeni, alla informazione e formazione rivolte ai cittadini, con il coinvolgimento prioritario dei servizi socio-educativi del territorio e delle scuole, ma attivando anche campagne di sensibilizzazioni attraverso i principali media. L’art. 4, nel dettare le linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto in ambito scolastico, disciplina il sistema delle linee di orientamento per la prevenzione del cyberbullismo nelle scuole, a cura del MIUR, anche in collaborazione con la Polizia Postale. Tale strumento, già varato nel 2015, con le prime linee di orientamento per il contrasto del bullismo e del cyberbullismo, diventa una modalità permanente di lotta alla devianza, con aggiornamento biennale. Con riferimento al periodo 2017-2019 si prevedeva la formazione del personale, l’istituzione di un referente per ogni scuola, la formazione di attività peer education , l’adozione di misure di sostegno e rieducazione per i minori coinvolti. La legge favorisce la collaborazione delle scuole con le forze dell’ordine e con associazioni e centri di aggregazione giovanili del territorio, nonché l’adozione di percorsi didattici finalizzati all’uso consapevole della rete e alla conoscenza dei diritti e doveri connessi all’utilizzo delle tecnologie informatiche. L’art. 5, relativo alle informazioni delle famiglie, prevede, per il dirigente scolastico, l’obbligo di informare tempestivamente i genitori degli studenti coinvolti, attivando al contempo le più opportune azioni educative, salvo il caso che il fatto non costituisca reato, nel qual caso, se il reato è perseguibile d’ufficio, scatta l’obbligo della denuncia. Da tale disposizione imperativa discende analogo obbligo, per il docente, di tempestiva comunicazione al preside quando viene a conoscenza di fatti rilevanti. L’azione educativa della scuola deve poi necessariamente tradursi nei regolamenti disciplinari che, per espressa previsione di legge, devono essere integrati con specifiche previsioni normative relative a condotte di bullismo e cyberbullismo. L’ art. 6 dispone il rifinanziamento del «Fondo per il contrasto alla pedopornografia su internet e per la protezione delle infrastrutture informatiche di interesse nazionale» con l’obiettivo di garantire i mezzi economici per le attività di formazione nelle scuole. Infine l’art. 7 introduce il nuovo istituto dell’ammonimento. Di fatto la legge estende al cyberbullismo, perpetrato da minorenni ultraquattordicenni nei confronti di altri minori, quando non sia stata intrapresa azione penale, la procedura dell’ammonimento con l’intervento del questore. Il pubblico ufficiale convoca il minore con almeno un genitore al fine di richiamarlo formalmente a cessare comportamenti lesivi, anche con prescrizione di comportamenti attivi, facendo altresì presenti i profili di responsabilità che ne potrebbero derivare. Gli effetti di tale misura preventiva cessano con il raggiungimento della maggiore età [330] .
6. Le linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo. Aggiornamento ottobre 2017 Nel mese di ottobre del 2017 il MIUR, anche in considerazione dell’entrata in vigore della legge 71, produce un nuovo documento, con il fine di aggiornare le linee guida del 2015 e di integrarle con i nuovi precetti normativi. Il testo quindi conferma sostanzialmente l’impianto del 2015, che resta ancora oggi vigente, con alcune aggiunte imposte dalla norma primaria. Le disposizioni contenute si pongono come disciplina transitoria, propedeutica alla realizzazione del piano organico di lotta al bullismo e cyberbullismo, di cui all’art. 3, legge 71, 2017, che dovrà essere elaborato da un tavolo interistituzionale coordinato dal MIUR e costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nelle more della emanazione di tale documento, si ribadiscono alcune indicazioni che devono ispirare la progettazione educativa e didattica delle istituzioni scolastiche, confluendo quindi nel PTOF. In particolare, come già previsto dagli obiettivi formativi prioritari della legge 107/2015, si dovrà favorire l’acquisizione delle competenze necessarie all’esercizio di una cittadinanza digitale consapevole [331] . Si ribadisce poi l’opportunità di aderire all’iniziativa del Ministero «Generazioni Connesse», sostenuta dalla Commissione europea è già prevista nelle linee guida del 2015. L’eventuale adesione comporta, per le scuole aderenti, la realizzazione di un progetto personalizzato denominato «Piano d’azione». Tale piano, elaborato a partire da un questionario di autovalutazione disponibile sul sito, consentirà di strutturare il piano triennale sul tema delle competenze digitali e della prevenzione e lotta dei comportamenti a rischio, con un supporto, attraverso il link [email protected] , fornito anche da personale qualificato del SIC (Safer Internet Center Italiano). Il percorso è prioritariamente rivolto agli alunni di IV e V primaria e secondaria di primo grado. Le Linee guida poi, dopo un riferimento al sistema di governance istituito dalla legge 71, in via di attuazione, richiama espressamente i doveri del dirigente scolastico e del referente, peraltro già introdotti dalle Linee guida del 2015 e ribaditi dalla legge sopra citata. Vengono sottolineate la necessità di prevedere nel Regolamento di disciplina fattispecie afferenti al cyberbullismo e si pone particolare attenzione al patto di corresponsabilità, quale mezzo di collaborazione con le famiglie per un’azione educativa e di prevenzione. Fondamentale il ruolo del
docente referente, previsto in ogni scuola, che coordinerà i vari interventi e che sarà oggetto di specifiche attività formative. Il documento si conclude con un riferimento alle novità, introdotte dalla legge 71, dell’ammonimento del questore, per i ragazzi di età superiore a 14 anni, ovviamente da attivare per le situazioni più gravi.
7. La riforma della legge 71, 2017 Il complesso meccanismo descritto fin qui sarà a breve oggetto di profonda revisione. È infatti all’esame del Senato (febbraio 2020, data di elaborazione di questo contributo) una proposta di legge, già approvata dalla camera nei lavori della XVIII legislatura, n. AC 1524. Tale provvedimento segna una netta evoluzione rispetto alla normativa precedente, modificando la legge 71, ma soprattutto introducendo, rispetto ai comportamenti più gravi, una tutela forte, attraverso la norma penale. Assistiamo infatti a un mutamento ideologico del legislatore, sicuramente motivato dalla approfondita disamina dei dati allarmanti, raccolti attraverso la rete di associazioni, scuole e forze dell’ordine che descrivono un quadro molto grave e in crescita sia per gli episodi di bullismo, sia per quelli di cyberbullismo. Nella relazione al progetto di legge si arriva alle seguenti conclusioni: I dati raccolti dimostrano, dunque, come il fenomeno del bullismo e della violenza in genere, soprattutto tra gli adolescenti, sia diffuso e in preoccupante crescita: pertanto è necessaria e urgente una particolare attenzione da parte delle famiglie, delle istituzioni, soprattutto quelle scolastiche, e di tutti gli altri attori sociali tramite la messa in opera di nuovi strumenti sul piano sia della prevenzione sia della repressione. Si sta abbassando sempre più l’età nella quale si commettono azioni che, seppur non gravi in sé, sono l’anticamera di comportamenti che, in futuro potrebbero sfociare nella delinquenza. Secondo quanto appare dagli ultimi recenti fatti di cronaca, il fenomeno assume anche nuove forme: interessa diversi ambienti sociali anche extrascolastici e sono numerosi, ormai, gli episodi dei quali rimangono vittime anche persone adulte, tra cui gli stessi docenti. Un’altra realtà preoccupante è rappresentata dalla diffusione di comunità virtuali create tra genitori, spesso con lo scopo di scaricare sulla scuola la responsabilità degli esiti negativi dei comportamenti dei propri figli. A fronte di questa situazione si rileva che, sotto il profilo penalistico, non esiste attualmente una disposizione normativa idonea a comprendere e, conseguentemente a sanzionare tutte le forme di bullismo penalmente rilevanti [332] .
Pertanto, modificando l’approccio di tutti gli interventi normativi precedenti, il legislatore introduce, attraverso la modifica dell’art. 612bis del Codice penale, una specifica norma incriminatrice. Più precisamente, all’art. 1 del testo citato, si qualificano come delitti alcune condotte tipiche del bullismo, ovvero condotte di aggressione, attuate mediante percosse, ingiurie, diffamazione, umiliazione ed emarginazione. Il nuovo testo, rispetto al precedente che perseguiva principalmente il fine di preservare la libertà morale delle vittime di atti persecutori, consente di reprimere le tipiche condotte vessatorie del bullismo, tutelando i beni giuridici della incolumità fisica, psichica, dell’onore e della reputazione della parte lesa, oltre che della sua libertà morale. Con la penalizzazione delle condotte tipiche del bullismo (che diventa quindi una fattispecie «tipizzata»), anche le condotte caratteristiche del cyberbullismo ottengono di conseguenza copertura penalistica mediante il vigente c. 2 dell’art. 612bis Codice penale, che prevede una circostanza aggravante se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici [333] . Viene modificata di conseguenza anche la legge 71, con riferimento agli adempimenti previsti per il dirigente scolastico che venga a conoscenza, in qualsiasi modo, di atti di bullismo o cyberbullismo commessi da propri studenti. Il preside dovrà infatti, proprio per la rilevanza penale di queste condotte ora descritte dal legislatore, oltre alla informazione ai genitori e alla predisposizione di azioni educative, trasmettere segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni. Diventa quindi ancora più cogente il correlato obbligo per i docenti di portare a conoscenza del dirigente eventuali fatti di cui abbiano avuto contezza durante l’attività didattica. Infine viene abrogato l’art. 7 della legge citata, ovvero la previsione dell’ammonimento del Questore. Tale scelta appare del tutto coerente con il nuovo impianto normativo. Infatti la via mediana, seguita dal legislatore del 2017, di trovare un rimedio monitorio di tipo amministrativo, come conseguenza della volontà di escludere la via penale, è risultata inadeguata. Nella relazione al nuovo testo di legge già citato si dà conto della sostanziale inadeguatezza di questa soluzione, peraltro utilizzata in rarissimi casi. La proposta di legge invece sceglie di identificare nel Tribunale dei minorenni l’ambiente ideale per valutare il percorso educativo adatto per il singolo minorenne [334] . Il testo di legge sopra esaminato, approvato dalla Camera, è attualmente all’esame del Senato e pertanto non ancora vigente. È comunque ipotizzabile che la seconda camera non stravolgerà l’impianto del documento. Quindi assisteremo presto a una gestione complessiva dei fenomeni che, pur mantenendo l’impostazione originaria di tipo educativo e preventivo, anche attraverso un’estesa collaborazione tra istituzioni pubbliche e private, sfocerà, nelle situazioni più gravi, in un approccio repressivo, per quanto affidato a un giudice specializzato. In conclusione, e per completezza di analisi, occorre citare la recente legge 92 del 20 agosto 2019 che introduce, nell’istruzione di primo e secondo grado, l’insegnamento dell’educazione civica. Tale disciplina, intesa come materia trasversale da inserire nel curriculum, oggetto di valutazione periodica e finale, prevede anche l’educazione alla cittadinanza digitale. Fra le competenze oggetto di approfondimento [335] si segnalano la conoscenza di comportamenti virtuosi nell’uso di tecnologie digitali, la gestione corretta della propria identità digitale, l’educazione alla consapevolezza dei rischi al
proprio e altrui benessere fisiopsichico derivanti dai comportamenti riconducibili a bullismo e cyberbullismo. Si conferma la volontà del legislatore di armonizzare gli approcci educativi e repressivi, nella ricerca di un quadro di sistema che tenda a una maggiore coerenza.
8. Ipotesi di organizzazione scolastica coerente con il quadro normativo vigente Il dirigente scolastico : individua, attraverso il collegio dei docenti, un referente del bullismo e cyberbullismo; coinvolge, nella prevenzione e nel contrasto al fenomeno del bullismo, tutte le componenti della comunità scolastica, particolarmente quelle che operano nell’area dell’informatica, partendo dall’utilizzo sicuro di Internet a scuola; u favorisce la discussione all’interno della scuola, attraverso i vari organi collegiali, creando i presupposti di regole condivise di comportamento per il contrasto e la prevenzione dei fenomeni del bullismo e cyberbullismo; u promuove la revisione del regolamento di istituto in coerenza con la legge 71, 2017. u u
Il referente del bullismo e cyberbullismo : promuove la conoscenza e la consapevolezza del bullismo e del cyberbullismo attraverso progetti d’istituto che coinvolgano genitori, studenti e tutto il personale; u coordina le attività di prevenzione e informazione sulle sanzioni previste e sulle responsabilità di natura civile e penale, anche con eventuale affiancamento di genitori e studenti; u si rivolge a partner esterni alla scuola, quali servizi sociali e sanitari, aziende del privato sociale, forze di polizia, per realizzare un progetto di prevenzione; u cura rapporti di rete fra scuole per eventuali convegni/seminari/corsi e per la giornata mondiale sulla Sicurezza in Internet la Safer Internet Day . u
Il collegio docenti : promuove scelte didattiche ed educative, anche in collaborazione con altre scuole in rete, per la prevenzione del fenomeno; prevede all’interno del PTOF corsi di aggiornamenti e formazione in materia di prevenzione dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo, rivolti al personale docente e ATA; u promuove sistematicamente azioni di sensibilizzazione dei fenomeni del bullismo e cyberbullismo nel territorio in rete con enti, associazioni, istituzioni locali e altre scuole, coinvolgendo alunni, docenti, genitori ed esperti; u prevede azioni culturali e educative rivolte agli studenti, per acquisire le competenze necessarie all’esercizio di una cittadinanza digitale consapevole. u u
Il consiglio di classe o il team docenti : pianifica attività didattiche e/o integrative finalizzate al coinvolgimento attivo e collaborativo degli studenti e all’approfondimento di tematiche che favoriscano la riflessione e la presa di coscienza della necessità dei valori di convivenza civile; u favorisce un clima collaborativo all’interno della classe e nelle relazioni con le famiglie propone progetti di educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva. u
Il docente : intraprende azioni congruenti con l’utenza del proprio ordine di scuola, tenuto conto che l’istruzione ha un ruolo fondamentale sia nell’acquisizione e rispetto delle norme relative alla convivenza civile, sia nella trasmissione dei valori legati a un uso responsabile di internet; u valorizza nell’attività didattica modalità di lavoro di tipo cooperativo e spazi di riflessioni adeguati al livello di età degli alunni. u
I genitori : partecipano attivamente alle azioni di formazione/informazione, istituite dalle scuole, sui comportamenti sintomatici del bullismo e del cyberbullismo; u sono attenti ai comportamenti dei propri figli; u vigilano sull’uso delle tecnologie da parte dei ragazzi, con particolare attenzione ai tempi, alle modalità, agli atteggiamenti conseguenti (i genitori dovrebbero allertarsi se uno studente, dopo l’uso di internet o del proprio telefonino, mostra stati depressivi, ansiosi o paura). u
[318] MIUR, [319]
Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo , 05 febbraio 2009.
Consiglio d’Europa, Linee Guida per le definizioni delle strategie nazionali di protezione dei bambini dalla violenza , 18 novembre 2009.
[320] Olwens
D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono , Giunti, Firenze 1993; Oliveiro Ferraris A., Piccoli bulli crescono. Come impedire che la violenza rovini la vita dei nostri figli , Rizzoli, Milano 2007. [321] Capaldo
L, Paolucci L., Il diritto per il dirigente scolastico , Spaggiari, Parma 2019.
[322] MIUR, [323] Ibid
Linee di indirizzo generali e azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo , febbraio 2007.
.
[324] MIUR, [325] Ibid
[326] Lesmo [327] Per
Linee di orientamento per la prevenzione ed il contrasto del bullismo e del cyberbullismo , aprile 2015.
. M.S., Bullismo e cyberbullismo dopo la L. 29 maggio 2017, n. 71 , Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2017.
approfondire le differenze concettuali tra i due fenomeni: www.miur.gov.it/bullismo-e-cyberbullismo .
[328] Capaldo
L., Paolucci L., op. cit .
[329] Diamantini
D., Murasintesi G., Sintesi sulla ricerca internazionale su cyberbullismo e uso della tecnologia fra i giovani , Centro QUA_SI, Università degli Studi Milano Bicocca 2010. [330] Per
una sintesi efficacie sulla legge 71: Giannelli A., Concorso dirigenti scolastici. Manuale per la preparazione , Guerini e Associati, Milano 2019.
[331] MIUR, [332] Camera [333] Ibid
Linee di orientamento per la prevenzione ed il contrasto al cyberbullismo. Aggiornamento , ottobre 2017. dei Deputati, XVIII legislatura, Proposta di legge n. 1524, Relazione introduttiva .
.
[334] Ibid
.
[335] Art.
5, legge 92, 2019
11. Legge n. 92/2019. Educazione civica e trasversalità Scuole secondarie a cura di Michele Di Pasquali
1. Excursus storico In Italia fu Aldo Moro, Ministro dell’Istruzione nel governo Zoli (1957-1958), a introdurre per primo l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole medie e superiori (D.P.R. 585 del 13 giugno 1958): con effetto a partire dall’a.s. 1958/1959 i programmi d’insegnamento della storia furono integrati da quelli di educazione civica. Due ore al mese obbligatorie, affidate al docente di storia, senza obbligo di valutazione. La novità però subì immediatamente un arresto: le due ore aggiuntive vennero immediatamente sacrificate per ragioni finanziarie. Nel 1979 con il Ministro Pedini, nei programmi di scuola media, fece ritorno l’educazione civica come specifica materia di insegnamento. La sua gestione venne affidata al consiglio di classe, solo per le classi terze. Nel 1985 venne inserita nei programmi della scuola primaria dal Ministro Falcucci, accanto a storia e geografia, con la denominazione «studi sociali». Con la direttiva numero 58 del 1996 venne rafforzato il decreto del 1958, prevedendo nuovamente l’insegnamento di un’ora settimanale, ma la norma non entrò in vigore a causa della caduta del governo Dini. L’insegnamento ivi previsto, affidato all’insegnante di storia (o di diritto ed economia, dove presente), doveva concorrere autonomamente alla valutazione complessiva dello studente. In sostanza, si ritenne che l’educazione civica dovesse disporre anche di un voto distinto, perché ciò che non ha voto nella scuola, per una diffusa mentalità, «non conta». Il nuovo Ministro Berlinguer (1996-2000) si concentrò sul «riordino dei cicli», sullo studio del Novecento, sullo Statuto delle studentesse e degli studenti (1998), sull’autonomia scolastica e sulla parità, lasciando cadere la direttiva 58 sull’educazione civica, nonostante le raccomandazioni fatte dalla «Commissione dei saggi», presieduta da Roberto Maragliano. Nel successivo governo di centro destra (2001-2006), Letizia Moratti inserì nella legge delega 53/2003 l’educazione ai principi fondamentali della convivenza civile, articolandoli poi in sei «educazioni» (ambiente, cittadinanza, sicurezza stradale, salute, alimentazione, affettività e sessualità) e prevedendo anche una valutazione specifica, con un’elaborata proposta didattica, cui lavorò intensamente Giuseppe Bertagna, ma senza orari dedicati. Nel 2008 la legge 169 intervenne su almeno due fronti: da un lato avviò un’azione di sensibilizzazione e di formazione del personale docente, finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo delle competenze e delle conoscenze relative a «Cittadinanza e Costituzione»; dall’altro avviò una sperimentazione nazionale biennale in ordine al nuovo insegnamento che avrebbe trattato le seguenti tematiche: educazione ambientale, educazione stradale (Codice della strada), educazione sanitaria (regole basilari di pronto soccorso), educazione alimentare e Costituzione italiana. Si arrivò a introdurre di nuovo l’educazione civica dopo un periodo di due anni scolastici di sperimentazione (2008/2009 e 2009/2010). L’insegnamento risulta ancora presente per tutti gli istituti di ogni ordine e grado nella misura di un’ora settimanale all’interno delle materie rientranti nell’area storico-geografica e storico-sociale (storia e geografia in primis). Iniziative analoghe sono avviate per la scuola dell’infanzia. Le attività svolte nell’ambito di «Cittadinanza e Costituzione» incidono sulla valutazione (art. 2, c. 4 D.lgs. 62/2017) e sono oggetto di apposita sessione di accertamento delle competenze acquisite, durante il colloquio degli esami di Stato.
2. Un «parto» travagliato La legge ordinaria 20 agosto 2019, n. 92, approvata a seguito di un lineare dibattito parlamentare per introdurre l’insegnamento trasversale dell’educazione civica nel primo e nel secondo ciclo d’istruzione, nonostante i solleciti del Ministro pro tempore Marco Bussetti, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 21 agosto 2019. Per effetto di quanto disposto all’art. 2 della predetta fonte normativa, l’insegnamento citato sarebbe entrato nel curricolo obbligatorio di tutte le istituzioni scolastiche «a decorrere dal 1° settembre successivo all’entrata in vigore» della legge stessa. L’ordinaria vacatio legis di 15 giorni individuava la data di entrata in vigore al 5 settembre, ovvero in data successiva al 1° settembre 2019, termine ultimo perché la legge producesse effetti a partire dal 1° settembre dell’anno scolastico 2019/2020. Preso atto dell’inghippo giuridico che avrebbe rimandato gli effetti obbligatori al successivo 1° settembre 2020, il titolare del dicastero esternava di essere intenzionato ad avviare l’iter per l’approvazione di un decreto-legge «correttivo». In data 27 agosto 2019, il Ministro inviava al Consiglio superiore della Pubblica istruzione (CSPI) il decreto correttivo che avrebbe consentito di avviare immediatamente l’insegnamento obbligatorio dell’educazione civica, attraverso una «sperimentazione nazionale obbligatoria» in tutte le scuole del primo e del secondo ciclo di istruzione del sistema nazionale di istruzione, comprese le iniziative di
sensibilizzazione alla cittadinanza responsabile nella scuola dell’infanzia. Il passaggio presso il CSPI si rendeva obbligatorio ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 233/99, atteso che il predetto organo collegiale, in qualità di organo consultivo del MIUR, esprime pareri obbligatori in caso di sperimentazioni nazionali che incidono sulla quota nazionale dei curricoli dei diversi tipi e indirizzi di studio. Il CSPI, oltre a esprimersi sulla sperimentazione di cui al decreto correttivo, avrebbe dovuto pronunciarsi anche sulle Linee guida per lo studio dell’educazione civica, atto necessario alle scuole per potere attuare le prescrizioni di legge. Il CSPI, con parere dell’11 settembre successivo, bocciava integralmente la proposta di avviare la sperimentazione obbligatoria di cui al decreto correttivo, argomentando diverse criticità: la sperimentazione obbligatoria, infatti, oltre a costituire una contradictio in terminis , avrebbe violato l’autonomia di sperimentazione prevista dal D.P.R. 275/99 in favore delle istituzioni scolastiche autonome. Anche ad argomentare a favore di una sperimentazione facoltativa il Consiglio rilevava, comunque, una serie di criticità, poiché la sperimentazione: a. non individuava la platea delle istituzioni scolastiche potenzialmente coinvolte, né le modalità di adesione delle scuole interessate; b. non prevedeva una durata predefinita; c. non individuava con chiarezza gli obiettivi, le finalità e i risultati attesi; d. non prevedeva alcuna procedura di valutazione dei risultati.
Il Consiglio, tra l’altro, rilevava un conflitto nella successione temporale tra norme generali dell’ordinamento scolastico: nell’anno scolastico 2019/2020 la sperimentazione di educazione civica avrebbe contrastato con il curricolo di «Cittadinanza e Costituzione», introdotto dalla legge 169/2008, atteso che quest’ultima fonte normativa avrebbe prodotto effetti obbligatori fino alla data di entrata in vigore della legge 92 (ovvero fino al 1° settembre 2020). Con nota ministeriale del 12 settembre 2019 il successivo Ministro dell’Istruzione Università e Ricera, Lorenzo Fioramonti, preso atto delle criticità rilevate dal CSPI, dichiarava: di recedere dall’intento di avviare la sperimentazione, confermando la data di entrata in vigore della novella legislativa a partire dal 1° settembre 2020; u che per l’a.s. 2019/2020 sarebbe rimasta in vigore la disciplina di «Cittadinanza e Costituzione», con il relativo obbligo di procedere alla valutazione di tale insegnamento e l’inserimento dei relativi argomenti nel colloquio dell’esame di Stato conclusivo del percorso di Scuola secondaria di secondo grado; u che sarebbe stato costituito un comitato tecnico-scientifico per la redazione di idonee Linee guida e per la progettazione di azioni di accompagnamento a favore delle scuole. u
3. Principi generali e obblighi derivanti dalla legge Entro giugno 2020 il MI definirà le linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, che, oltre a fornire indicazioni e istruzioni sulle azioni che le scuole dovranno compiere per assicurare la piena esecuzione della novella legislativa, dovranno individuare i traguardi per lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi specifici di apprendimento. Le predette linee guida, dunque, costituiranno una vera e propria integrazione alle Indicazioni nazionali per il curricolo delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, alle Indicazioni nazionali e nuovi scenari redatte dal Comitato scientifico nazionale nel 2018 e alle Indicazioni nazionali per i licei e alle linee guida per i tecnici e professionali [336] . Per la formulazione delle citate linee guida il Ministero si avvarrà della collaborazione di un comitato tecnico-scientifico che sarà articolato in tre sotto-comitati, competenti per ognuna delle tre macroaree individuate: a. Costituzione, istituzioni dello Stato italiano e dell’Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell’inno nazionale; b. Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; c. educazione alla cittadinanza digitale.
Dal 1° settembre 2020 tutte le istituzioni scolastiche del primo e del secondo ciclo d’istruzione dovranno aggiornare il curricolo d’istituto , che costituisce il nucleo centrale del PTOF, integrandolo con l’introduzione di una nuova disciplina, ovvero dell’insegnamento dell’educazione civica. Il monte ore annuale da dedicare all’insegnamento dell’educazione civica non potrà essere inferiore a 33 ore annuali , corrispondenti ad almeno un’ora per settimana, da svolgersi nell’ambito del monte orario obbligatorio. Per raggiungere il predetto monte ore annuale le istituzioni scolastiche potranno avvalersi della quota di autonomia utile per modificare il curricolo. L’autonomia consente, infatti, di modificare i curricoli, tenuto conto delle richieste degli studenti, delle famiglie e del territorio, entro il limite del 20% del monte ore annuale, o per rafforzare alcune discipline, oppure per introdurre nuovi insegnamenti che concorrono a realizzare gli obiettivi educativi individuati nel PTOF. Le scuole utilizzeranno le risorse umane e professionali a loro assegnate nell’organico dell’autonomia; ciò, quindi, permetterà di organizzare l’insegnamento dell’educazione civica facendolo rientrare anche tra le attività di potenziamento individuate dalla legge 107/2015, (art. 1, c. 7, lett. e, ovvero lo sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità, della sostenibilità ambientale, dei beni paesaggistici, del patrimonio e delle attività culturali), per le quali le istituzioni scolastiche hanno già avuto assegnato organico aggiuntivo. L’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica, infatti, non darà alle scuole il diritto all’assegnazione di ulteriore personale docente: la clausola di invarianza finanziaria inserita nella legge chiarisce che l’introduzione della novella di legge non comporterà
oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Nel rispetto dei compiti e delle funzioni dei vari organi monocratici e collegiali della scuola, in ossequio all’art. 1, c. 14 della legge 107/2015, che ha ridefinito la procedura di approvazione del PTOF, per addivenire alla definizione del nuovo curricolo di educazione civica ciascuna istituzione scolastica dovrà rispettare i seguenti passaggi: il dirigente scolastico, essendo titolare del potere di indirizzo per le attività della scuola e per le scelte di gestione e di amministrazione, dovrà emanare idoneo «atto di indirizzo» destinato agli organi collegiali, nel quale, nel rispetto dei suggerimenti di cui alle linee guida ministeriali, dovrà orientare le scelte generali degli organi collegiali indicando i vincoli organizzativi e gestionali, i limiti e le finalità che si intendono conseguire con la definizione del nuovo curricolo di educazione civica, inquadrando l’innovazione in funzione della vision della scuola; u il collegio dei docenti (meglio se diviso per dipartimenti) procederà alla formulazione del nuovo curricolo di educazione civica e ne proporrà (con delibera assembleare) la relativa adozione al consiglio di circolo o d’istituto; u il consiglio di circolo o d’istituto (con delibera assembleare) approverà il nuovo curricolo di educazione civica che andrà a integrare il curricolo d’istituto e che, perciò, sarà inserito nel PTOF d’istituto. u
Il collegio dei docenti avrà, dunque, una posizione preminente nella formulazione del nuovo curricolo di educazione civica, essendo, per espressa previsione di cui all’art. 7 del T.U. (D.lgs. 297/94), l’organo deputato alla cura della progettazione educativa della singola scuola autonoma. Sarà, dunque, il collegio dei docenti, nel rispetto degli orientamenti e dei vincoli organizzativi individuati dal dirigente scolastico nell’atto di indirizzo, a definire il percorso di educazione civica che sarà sviluppato nelle scuole secondarie, definendo i traguardi per lo sviluppo delle competenze che l’alunno dovrà raggiungere alla fine di ogni ordine di scuola e gli obiettivi di apprendimento che definiranno le conoscenze e le abilità ritenute indispensabili per il raggiungimento dei traguardi, che potranno essere indicati con le stesse scadenze temporali suggerite dalle Indicazioni nazionali per i licei e dalle Linee guida per i tecnici e i professionali: in uscita dal primo ciclo, alla fine del primo biennio, alla fine del secondo biennio e in uscita dal secondo grado.
4. Vincoli, opportunità e contenuti Dal curricolo di educazione civica definito dal collegio dei docenti, come sopra meglio specificato, i consigli di classe, in sede di definizione della progettazione disciplinare annuale (e, quindi, nella prima parte dell’anno scolastico) dovranno sviluppare le attività che saranno svolte nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica. Sul piano procedurale i predetti organi collegiali potranno andare a sviluppare le Unità di apprendimento (UdA), specificando le ore del curricolo da destinare e che non potranno essere inferiori a 33 ore su base annua. Una volta progettate le UdA, lo stesso consiglio di classe determinerà l’assegnazione delle stesse a uno o più docenti contitolari sulla classe. Anche nelle scuole del secondo ciclo dovrà essere ridefinito il curricolo di educazione civica tenuto conto che anche in tale grado di scuola sarà obbligatorio lo sviluppo delle tematiche già elencate dalla lettera a) alla lettera h), con la evidente constatazione che alcune aree di sviluppo come il diritto del lavoro, organi e procedure costituzionali, organi e procedure dell’Unione europea e altre, si prestano a essere meglio sviluppate, anche con riferimenti tecnici, in questo ciclo d’istruzione. Ciò si deduce dall’espressa previsione contenuta nella legge stessa, secondo la quale nelle scuole del secondo ciclo l’insegnamento dell’educazione civica sarà assegnato, prioritariamente , ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, ove disponibili nell’ambito dell’organico dell’autonomia. Una volta definito il curricolo di educazione civica, occorrerà individuare i docenti affidatari dell’insegnamento, che saranno contitolari della disciplina . Alla Scuola secondaria di primo grado, in assenza, dunque, di un docente abilitato all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, scartata l’ipotesi dell’assegnazione a una figura docente individuata tra le risorse di potenziamento (scelta che la singola scuola potrà effettuare nell’esercizio della propria autonomia didattica e organizzativa), l’insegnamento dell’educazione civica potrà essere assegnato a più docenti contitolari della classe: in tale ultimo caso a uno di essi saranno assegnati compiti di coordinamento . Nella Scuola secondaria di secondo grado, invece, la norma ha un effetto vincolante, essendo statuito esplicitamente che «l’insegnamento è affidato ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, ove disponibili nell’ambito dell’organico dell’autonomia». Nella stragrande maggioranza delle scuole di secondo grado, dunque, essendo presente in organico almeno un docente abilitato all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche (anche se utilizzato per il potenziamento), l’insegnamento della nuova disciplina e le funzioni di coordinamento saranno affidate a quest’ultimo. Rientra nell’alveo dell’autonomia organizzativa delle scuole la decisione se affidargliela in via esclusiva o in via coordinata: alcuni moduli (o alcune UdA) si prestano a essere trattate e coordinate dai docenti di altre discipline (si pensi per esempio all’educazione ambientale). Ciò comprova, infatti, il carattere interdisciplinare e trasversale della nuova disciplina di educazione civica. Per le funzioni di coordinamento il docente non riceverà alcun compenso o indennità, ma non è escluso che la contrattazione integrativa d’istituto possa prevedere risorse economiche accessorie in suo favore (che graverebbero sul fondo d’istituto), facendo così rientrare l’impegno aggiuntivo assegnato al docente coordinatore tra le «attività aggiuntive funzionali all’insegnamento» definite dall’art. 88 del CCNL 2006/2009. Dalla disciplina organizzativa che scaturisce dal testo di legge si evince, dunque, con macroscopica evidenza l’istituzione di una nuova figura di coordinamento, ovvero del coordinatore di educazione civica , che si affiancherà alla figura del coordinatore di classe . La figura del coordinatore di classe non è prevista da alcuna norma, a differenza del segretario del consiglio di interclasse o di classe che è
prevista dall’art. 5, c. 5 del T.U. del 1994. Il CCNL 2016/2018 (art. 26) ha confermato che i docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del PTOF tramite le attività individuali e collegiali già definite negli artt. 28 e 29 del CCNL 2006/2009. La realizzazione del coordinamento didattico spetta al consiglio di classe, inteso come organo collegiale con la presenza dei soli docenti, secondo quanto previsto dall’art. 5 c. 6 del D.Lgs. 297/1994. «Coordinare il consiglio di classe», quindi, è funzione propria del dirigente scolastico: una forma di delega delle competenze proprie del dirigente scolastico, che può essere da lui conferita a uno dei docenti del consiglio di classe. Tale delega è, di solito, valida per l’intero anno scolastico. La figura del coordinatore di classe è ormai largamente entrata nella prassi, in quanto corrispondente all’esigenza di una migliore funzionalità didattica e, per quanto non normata quindi atipica, è ritenuta ormai indispensabile. L’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche permetterà alle stesse di differenziare entrambe le figure di coordinamento, oppure di accorparle: le scuole saranno, dunque, libere di scegliere se attribuire la funzione di coordinamento di educazione civica e di coordinatore di classe a docenti diversi, ovvero di assegnarle allo stesso docente, con maggiore aggravio di attività funzionali all’insegnamento a suo carico. La clausola di invarianza finanziaria contenuta nella legge eviterà, altresì, che nell’assegnazione del Fondo d’istituto (FIS) a favore dell’istituzione scolastica si prevedano aumenti derivanti dall’aumento delle funzioni di coordinamento, ragion per cui sarà rimessa alla libera determinazione delle relazioni sindacali (D.S. da una parte ed RR.SS.UU. dall’altra), sulla base di un FIS che non subirà variazioni in aumento, prevedere in sede di contrattazione integrativa d’istituto un compenso accessorio o meno a favore dei coordinatori di educazione civica. Dal testo di legge discende, altresì, l’obbligo della valutazione della disciplina di educazione civica. Sarà il coordinatore di educazione civica in sede di valutazione periodica e finale a formulare la proposta di voto, espressa in decimi, acquisendo elementi conoscitivi da tutti i docenti a cui è affidato l’insegnamento. La valutazione della disciplina trasversale di educazione civica sarà obbligatoria in sede di scrutinio intermedio e finale e, per effetto dell’applicazione delle disposizioni di cui al D.lgs. 62/2017, concorrerà alla determinazione della media algebrica dei voti. In sede di valutazione periodica e finale occorre rilevare che le disposizioni contenute al c. 6 dell’art. 2 della legge 92 produrranno effetti sulle disposizioni normative di cui all’art. 15 del D.lgs. 62/2017, in materia di attribuzione del credito scolastico: la votazione conseguita nella disciplina di educazione civica, non solo sarà utile ai fine della media algebrica dei voti ma, consequenzialmente, concorrerà alla determinazione del credito scolastico. La valutazione, oltre a essere un momento significativo e importante nell’ambito dell’insegnamento, è un’attività significativa e pregnante anche sul piano amministrativo, atteso che nella valutazione degli alunni si esplicita quel potere certificativo che è idoneo a conferire ai docenti la qualifica di pubblici ufficiali, dalla quale conseguono responsabilità di natura amministrativa e penale, potendosi, eventualmente, configurare anche il reato di falsità in atti pubblici in caso di false attestazioni. Nella definizione del curricolo di educazione civica dovrà essere scandito il percorso educativo-didattico che si intenderà realizzare, considerando che la stessa legge impone lo sviluppo di una serie di tematiche che sono espressamente indicate all’art. 3, c. 1, dalla lettera a ) alla lettera h ). a) Costituzione, istituzioni dello Stato italiano, dell’Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell’inno nazionale. La conoscenza della Costituzione italiana è posta a fondamento dell’insegnamento dell’educazione civica in tutti i gradi e ordini di scuola, al fine di sviluppare competenze di cittadinanza ispirate ai valori della responsabilità, della legalità, della partecipazione e della solidarietà. L’approfondimento della carta costituzionale non dovrà limitarsi allo studio e alla conoscenza degli organi e delle istituzioni centrali dello Stato, ma potrà prevedere anche lo sviluppo e l’approfondimento degli statuti delle regioni, sia di quelle ad autonomia ordinaria che di quelle ad autonomia speciale. b) Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 25 settembre 2015. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Essa declina 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile in un grande programma d’azione per un totale di 169 traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi quindici anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Gli obiettivi dell’Agenda riguardano, a livello sistemico, gli Stati e le organizzazioni politiche nazionali e sovranazionali. La scuola italiana può fare molto per tutti gli obiettivi enunciati nell’Agenda, fornendo competenze culturali, metodologiche e sociali per la costruzione di una consapevole cittadinanza globale e per dotare i giovani cittadini di strumenti per agire nella società del futuro in modo da migliorarne gli assetti. L’obiettivo che più direttamente coinvolge la scuola è il n. 4 (fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva), ma è chiaro che solo il raggiungimento di tutti i 17 obiettivi può permettere di attuare la finalità principale dell’Agenda stessa: realizzare pienamente i diritti umani e raggiungere l’uguaglianza universale attraverso un bilanciamento delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, ovvero la dimensione economica, sociale e ambientale. In questo quadro, dunque, la scuola non può esimersi dal mettere in atto azioni tese al raggiungimento degli altri obiettivi, compresi
l’obiettivo 13 (promuovere azioni per combattere il cambiamento climatico), l’obiettivo 15 (proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre), l’obiettivo 16 (promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile) e altri. c) Educazione alla cittadinanza digitale. Educare alla cittadinanza digitale significa rendere i soggetti in formazione cittadini in grado di esercitare la propria cittadinanza, utilizzando in modo critico e consapevole la rete e i media, proteggendosi dalle insidie della stessa (plagio, truffe, adescamento, cyberbullismo) e rispettando norme specifiche (rispetto della privacy, rispetto e tutela del diritto d’autore) e di comportamento. Si definiscono «nativi digitali» i nuovi cittadini che sono nati nella tecnologia. Fin dai primi momenti della loro crescita cognitiva e sociale hanno utilizzato i mezzi tecnologici in modo «naturale». Per il nativo digitale imparare a usare il cucchiaio o il tablet ha rappresentato un medesimo step di crescita. Non ha mai percepito la tecnologia come «altro», come estraneo o diverso dai mezzi o dagli strumenti di comune utilizzo (penna, diario, quaderno). I «nativi digitali» sono soggetti che comunicano, interagiscono, apprendono secondo tempi e modalità nuove rispetto a un recente passato in cui le tecnologie non erano parte integrante, come invece lo sono adesso, del quotidiano della persona comune. Appartenere per motivi anagrafici alla categoria dei nativi digitali, però, non significa essere per questo competenti digitali . Le competenze digitali necessitano di essere consolidate attraverso esperienze di formazione perché possano essere agite in modo critico. L’importanza di educare alla cittadinanza digitale è stata recentemente ribadita anche dal Consiglio dell’Unione europea (raccomandazione del 22 maggio 2018) che, nel ridefinire le competenze per l’apprendimento permanente, ha ribadito la necessità di sviluppare la competenza digitale tra le otto competenze-chiave che ciascuno deve possedere per raggiungere la realizzazione e lo sviluppo personale, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva. Le indagini internazionali dell’OCSE, come il PISA (Programme for International Student Assessment) o il PIAAC (Programma per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti), hanno dimostrato che una quota costantemente elevata di adolescenti e adulti dispone di competenze di base insufficienti. Nel 2015 uno studente su cinque aveva gravi difficoltà nello sviluppo di competenze in lettura, matematica e scienze. In alcuni paesi fino a un terzo degli adulti possiedono competenze alfabetiche e aritmetico-matematiche solo ai livelli più bassi. Il 44 % della popolazione dell’Unione possiede competenze digitali scarse e il 19 % nulle. È chiaro, dunque, che lo sviluppo delle competenze digitali risulterà sterile se esso non sarà affiancato allo sviluppo delle competenze di cittadinanza digitale: essere istruiti e capaci sul piano tecnico sarà sterile se tali competenze non saranno indirizzate a un comportamento rispettoso della propria e dell’altrui persona. Una funzione educativo-didattica di rilievo viene riconosciuta dalla stessa legge all’educazione alla cittadinanza digitale, tanto che la norma obbliga le istituzioni scolastiche a prevedere lo sviluppo delle seguenti abilità e conoscenze digitali essenziali , che dovranno essere sviluppate con gradualità, tenuto conto dell’età degli alunni e degli studenti: a. analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti di dati, informazioni e contenuti digitali; b. interagire attraverso varie tecnologie digitali e individuare i mezzi e le forme di comunicazione digitali appropriati per un determinato contesto; c. informarsi e partecipare al dibattito pubblico attraverso l’utilizzo di servizi digitali pubblici e privati; ricercare opportunità di crescita personale e di cittadinanza partecipativa attraverso adeguate tecnologie digitali; d. conoscere le norme comportamentali da osservare nell’ambito dell’utilizzo delle tecnologie digitali e dell’interazione in ambienti digitali, adattare le strategie di comunicazione al pubblico specifico ed essere consapevoli della diversità culturale e generazionale negli ambienti digitali; e. creare e gestire l’identità digitale, essere in grado di proteggere la propria reputazione, gestire e tutelare i dati che si producono attraverso diversi strumenti digitali, ambienti e servizi, rispettare i dati e le identità altrui; utilizzare e condividere informazioni personali identificabili proteggendo se stessi e gli altri f. conoscere le politiche sulla tutela della riservatezza applicate dai servizi digitali relativamente all’uso dei dati personali; g. essere in grado di evitare, usando tecnologie digitali, rischi per la salute e minacce al proprio benessere fisico e psicologico; essere in grado di proteggere se stessi e gli altri da eventuali pericoli in ambienti digitali; essere consapevoli di come le tecnologie digitali possono influire sul benessere psicofisico e sull’inclusione sociale, con particolare attenzione ai comportamenti riconducibili al bullismo e al cyberbullismo.
In ordine ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo la stessa legge 92 fa espresso richiamo alla legge 71/2017 («Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo»); tale richiamo servirà alle scuole come strumento di orientamento dell’azione educativa tesa allo sviluppo delle competenze di cittadinanza digitale: gli studenti dovranno essere destinatari di azioni di informazione e di sensibilizzazione, con scopo deliberatamente preventivo. I minori, dunque, dovranno conoscere le misure e gli strumenti tesi alla tutela della loro dignità, come il diritto all’oscuramento e alla rimozione o al blocco di dati personali diffusi via web. Dovranno, altresì, essere portati a conoscenza delle responsabilità che conseguono agli atti di cyberbullismo sia sul piano disciplinare scolastico (i regolamenti disciplinari delle scuole e i patti educativi di corresponsabilità devono essere integrati con specifici riferimenti a condotte di cyberbullismo e relative sanzioni disciplinari commisurate alla gravità degli atti compiuti), sia sul piano penale (denuncia penale per ingiuria, diffamazione, minacce, stalking), sia sul piano amministrativo (procedura di ammonimento del minore, gestita dal questore). Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi a oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore, il cui scopo intenzionale e predominante è quello di isolare un minore o un gruppo di minori, ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa
in ridicolo, è cyberbullismo. La scuola, come istituzione deputata all’educazione dei minori in un rapporto di corresponsabilità con le famiglie, è obbligata a contrastare il fenomeno del cyberbullismo a mezzo di un’azione di sensibilizzazione e di recupero a favore dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime che in quella di responsabili di illeciti. La stessa legge 92, infatti, all’art. 7 prevede il rafforzamento della collaborazione tra la scuola e le famiglie, attraverso una necessaria azione di revisione del Patto educativo di corresponsabilità, i cui effetti vengono estesi per la prima volta anche alla scuola primaria. L’art. 4 della legge 92, oltre a declinare le abilità e le conoscenze in materia di educazione digitale, prevede anche la costituzione della Consulta dei diritti e dei doveri del bambino e dell’adolescente digitale. Tale consulta avrà il compito di diffondere la conoscenza dell’educazione digitale, di verificare lo stato di attuazione di tale educazione su tutto il territorio nazionale e di valutare le esigenze di aggiornamento. Essa sarà convocata almeno ogni due anni e sarà composta da rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie e degli esperti del settore, oltre che da un componente designato dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. I criteri di composizione e le modalità di funzionamento saranno determinate con successivo decreto del Ministro dell’Istruzione. d) Elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo al diritto del lavoro. Lo studio degli elementi fondamentali del diritto non deve essere inteso quale strumento tecnico per sviluppare la capacità di orientarsi nell’ordinamento giuridico vigente, ma, soprattutto nel primo ciclo, come strumento per lo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva. Lo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva consente alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa dimostrando capacità di comunicare in modo costruttivo in ambienti diversi, di mostrare tolleranza, di esprimere e di comprendere diversi punti di vista, di negoziare con la capacità di creare fiducia e di essere in consonanza con gli altri. Vuol dire senso di responsabilità, nonché comprensione e rispetto per i valori condivisi, necessari ad assicurare la coesione della comunità, come il rispetto dei principi democratici. La conoscenza degli istituti fondamentali del diritto del lavoro e della legislazione sociale, in particolar modo nelle scuole secondarie di secondo grado, deve essere finalizzata allo sviluppo di un’altra competenza-chiave europea, ovvero della competenza imprenditoriale, la quale presuppone la consapevolezza che esistono opportunità e contesti diversi nei quali è possibile trasformare le idee in azioni. e) Educazione ambientale, sviluppo ecosostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari. L’educazione allo sviluppo ecosostenibile si propone di far acquisire agli studenti la consapevolezza che occorre far fronte alla nuova emergenza che ci impone di superare pienamente il modello produttivo tradizionale per implementare un nuovo modello di economia che rispetti l’ambiente, orientato a una società che non produca rifiuti ma che sappia creare ricchezza e benessere con il riutilizzo e la rigenerazione delle risorse. Perché questo accada, è necessario un profondo cambio di mentalità che coinvolga le istituzioni, le imprese e le singole persone. E questa nuova consapevolezza nazionale non può che iniziare dalle scuole e dagli studenti, di tutte le età. Soprattutto dai più giovani, quelli che potremmo chiamare «nativi ambientali»: una generazione che nella quotidianità dei comportamenti trova già come prospettiva naturale il rispetto dell’ambiente in cui vive. In questo contesto risultano utili le Linee guida sull’educazione ambientale (2014) redatte di concerto tra il MIUR e il Ministero dell’Ambiente, che pretendono di costituire la traccia da cui partire per la costruzione di percorsi educativi. Le predette Linee guida, infatti, propongono otto percorsi didattici sui temi dell’educazione ambientale che sono declinati per ordini d’istruzione: 1. «Tutela delle acque e del mare» (infanzia, primaria) 2. «Tutela della biodiversità: flora e fauna» (infanzia, primaria) 3. «Alimentazione sostenibile» (infanzia, primaria, secondaria primo grado, secondaria secondo grado) 4. «Gestione dei rifiuti» (infanzia, primaria, secondaria primo grado) 5. «Tutela della biodiversità: servizi ecosistemici» (secondaria primo grado, secondaria secondo grado) 6. « Green economy: green jobs & green talent» (secondaria secondo grado) 7. «La città sostenibile: inquinamento, consumo di suolo e rifiuti» (secondaria secondo grado) 8. «Adattamento ai cambiamenti climatici: dissesto idrogeologico» (secondaria secondo grado).
La tutela delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari è, in sede europea, un complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell’ambito della politica agricola comune e rappresenta in particolare per l’Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro è il Paese che vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. I percorsi di educazione civica incentrati allo sviluppo di tale materia porteranno gli studenti a conoscere le principali normative europee e nazionali in materia di etichettature e origine dei prodotti alimentari, diritti del consumatore sulle informazioni in ordine ai prodotti che consuma, nonché a conoscere il sistema nazionale dei controlli a tutela dei prodotti agroalimentari e al contrasto alla contraffazione. f) Educazione alla legalità e al contrasto delle mafie. La definizione di educazione alla legalità e al contrasto delle mafie è stata fornita dal Ministero con la circolare del 25 ottobre 1993.
Educare alla legalità significa elaborare e diffondere una autentica cultura dei valori civili. Si tratta di una cultura che: ⦁ intende il diritto come espressione del patto sociale, indispensabile per costruire relazioni consapevoli tra i cittadini e tra questi ultimi e le istituzioni; ⦁ consente l’acquisizione di una nozione più profonda ed estesa dei diritti di cittadinanza, a partire dalla consapevolezza della reciprocità fra soggetti dotati della stessa dignità; ⦁ aiuta a comprendere come la organizzazione della vita personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giuridiche; ⦁ sviluppa la consapevolezza che, condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza, non possono considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette.
Da allora a oggi, infatti, il Ministero ha posto in essere una serie di convenzioni con enti e associazioni protagoniste nel campo della lotta alla mafia, affinché queste possano agire in partenariato con le istituzioni scolastiche per svolgere attività, manifestazioni, convegni incentrati sulla sensibilizzazione e sulla diffusione di una cultura di contrasto alle mafie. Il 27 ottobre 2018 al Ministero è stata, infatti, rinnovata la Carta d’intenti con il Ministero della Giustizia, il CSM, l’ANAC, la Direzione nazionale antimafia e l’Associazione nazionale magistrati. Trattasi di un documento programmatico che istituisce le campagne informative sugli strumenti a disposizione per la prevenzione e il contrasto alla criminalità organizzata: seminari e attività di educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva per i giovani, le scuole, le famiglie e le istituzioni. Un programma di iniziative per rendere più continuo e costante il contatto tra le aule dei tribunali e le aule scolastiche, attraverso la conoscenza diretta dei magistrati e del loro lavoro quotidiano. In più, la Carta d’intenti mira a fornire una rete di supporto ai minori e ai nuclei familiari destinatari di provvedimenti giudiziari dei tribunali per i minorenni, per garantire concrete alternative di vita. g) Educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni Anche questa tematica è strettamente collegata agli obiettivi dell’Agenda 2030. Per costruire una cittadinanza piena è fondamentale sensibilizzare gli studenti in ordine al valore del proprio patrimonio culturale, artistico e paesaggistico con l’obiettivo formativo di educarli alla sua tutela, trasmettendo loro il valore che ha per la comunità e valorizzandone pienamente la dimensione di bene comune e il potenziale che può generare per lo sviluppo democratico del Paese. Inoltre, è anche attraverso la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio che si definisce quel diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale, indicato nella Dichiarazione universale delle Nazioni unite dei diritti dell’uomo (1948). h) Formazione di base in materia di protezione civile Il Servizio nazionale di Protezione civile è istituito per l’assolvimento dei compiti di tutela dell’integrità della vita e dei beni dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità che determinano situazioni di rischio alla cui attuazione provvedono le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e i gruppi associati di volontariato civile. In quest’ottica la scuola, dunque, può garantire la formazione necessaria agli studenti che intendono partecipare alle associazioni di volontariato civile, attraverso un corso tecnico-pratico, erogato in partenariato con gli enti formatori del sistema nazionale; il corso ha l’obiettivo di portare gli studenti a conoscenza della funzione sociale del volontariato di protezione civile e il ruolo del volontariato, nonché di fornire una mappa iniziale dei comportamenti elementari di sicurezza e autotutela, promuovendo la cultura della sicurezza del volontario. I ragazzi, infatti, oltre a conoscere le normative in materia di sicurezza e prevenzione e superamento delle emergenze, dovranno acquisire anche una serie di abilità pratiche (gestire il primo soccorso, montaggio di tende in squadra, prove pratiche di utilizzo di apparati radio ecc.). Nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica saranno altresì promosse le cosiddette «educazioni trasversali»: l’educazione stradale, l’educazione alla salute e al benessere, l’educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva. Ai fini dell’attuazione delle novità introdotte dalla legge 92, le scuole avranno la possibilità di integrare l’insegnamento dell’educazione civica con esperienze extra scolastiche, a partire dalla costituzione di reti con altri soggetti istituzionali, appartenenti al mondo del volontariato o del Terzo settore. Sarà lo stesso Ministero, infatti, con successivo decreto, a definire le modalità di costituzione delle reti e, soprattutto, i requisiti che dovranno possedere i soggetti che potranno collaborare con le istituzioni scolastiche ai fini sopra indicati. Anche i comuni potranno collaborare con le scuole al fine di permettere ai discenti di conoscere e sperimentare il funzionamento delle amministrazioni locali e dei loro organi, la conoscenza storica del territorio e la fruizione di spazi verdi e di spazi culturali. Successivamente all’entrata in vigore della legge 92, il Ministero procederà all’istituzione dell’Albo delle buone pratiche di educazione civica e all’indizione di un concorso nazionale, che avranno il precipuo scopo di permettere la diffusione e lo scambio delle migliori esperienze che saranno vissute nelle varie istituzioni scolastiche.
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Il contributo è stato elaborato prima dell’emanazione del D.M. 35 del 22 giugno 2020, concernente l’insegnamento dell’educazione civica, riportante in allegato le Linee guida.
12. Teoria e modelli di didattica inclusiva e di didattica interculturale a cura di Pinella Giuffrida
1. Educazione, personalizzazione, responsabilità La scuola italiana, al pari di quella europea, è oggi impegnata nella realizzazione di un percorso di crescita, rivolto agli studenti, più che mai mirato a potenziare specifiche competenze di cittadinanza e disciplinari. La pedagogia e la didattica moderne sono orientate a offrire a tutti gli studenti, fino ai 18 anni o fino al termine dei loro studi nella Scuola secondaria di secondo grado, percorsi personalizzati, favorendo capacità creative e divergenti, aiutando il singolo a interagire criticamente nei più diversi ambienti con esigenze contingenti. Una ricca formazione di base costituisce, dunque, la migliore premessa all’assunzione di una specifica capacità di adattarsi rapidamente e proficuamente a tutte le situazioni in qualunque periodo della vita. La personalizzazione degli apprendimenti costituisce in Italia una conquista recente. Teorie della pedagogia e della didattica ne descrivono bene finalità e strategie ma la diffusione attiva di tecniche didattiche inclusive e interculturali nei curricoli quotidiani stenta ancora a decollare pienamente. Ciò per semplici motivi: la relazione etica tra uguaglianza e diversità spesso non è avvertita come una responsabilità e non diventa una normale pratica didattica. Ciò avviene perché da un lato i docenti vivono ancora con incertezza la progettazione di curricoli seriamente inclusivi, dall’altro le tecniche didattiche non vengono sempre impiegate in maniera corretta. 1.1 Relazione etica tra uguaglianza e diversità
Il problema delle diversità tra studenti è stato affrontato negli ultimi decenni in maniera empirica e senza una adeguata consapevolezza. Il forte rapporto esistente tra la cultura che un soggetto acquisisce nell’ambiente familiare e sociale di origine e l’opera che poi svolgono le varie agenzie educative fra le quali, in primo luogo, la scuola, non è ancora tenuto abbastanza in considerazione negli interventi didattici. La mobilità sociale – conseguente ai fenomeni dell’industrializzazione, dell’urbanesimo e dell’immigrazione – ha prodotto un accentuarsi dell’eterogeneità delle culture all’interno delle stesse città e quindi anche all’interno delle stesse classi. Dalle diversità di cultura, tradizioni, usi, derivano le diversità di comportamenti e di atteggiamenti. Questi comportamenti, strettamente interconnessi con le diversità appena accennate, sono visibili in diversi aspetti del modo di essere di ciascuno studente: linguistico, sociale, cognitivo, psicologico. Assumendo quindi, come caratteristica peculiare di ogni studente, la sua potenziale diversità dal coetaneo che gli siede accanto, gli insegnanti dovrebbero intervenire con opportune metodologie differenziate affinché le diversità non si trasformino in disuguaglianze. È compito del docente, dunque, studiare le condizioni di partenza di ogni allievo, i suoi stili di apprendimento e di comunicazione, facendo riferimento alle diverse variabili che possono interagire concorrendo alla definizione del sistema formativo di ciascuno. È inoltre fondamentale creare un clima di continuità educativa tra la scuola, l’extra scuola e la famiglia affinché lo studente viva in un ambiente coerente in tutti i suoi aspetti, un ambiente in cui famiglia e scuola, agendo parallelamente secondo una comune direttiva, non creino contraddizioni e incongruenze di sorta. Il gruppo docente, programmando interventi individualizzati o differenziati di recupero o di sostegno che diano l’opportunità di poter recuperare gli svantaggi, è bene che si prenda carico della cura degli studenti affinché le differenze non si trasformino in insuccessi e demotivazione. Il concetto di inclusione, finalizzato a una migliore qualità di vita di tutti gli studenti, si realizza nell’identità culturale, educativa, progettuale, nell’organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolastiche, nonché attraverso la definizione e la condivisione del progetto individuale fra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio […]. Esso deve costituire un impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica le quali, nell’ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad assicurare il successo formativo delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti [337] . 1.2 Responsabilità e corresponsabilità educativa
Il concetto di corresponsabilità educativa nasce da un’esigenza di funzionalità e di efficacia in una visione sistemica unitaria di tutte quelle realtà che educano lo studente. Si prende qui in considerazione una corresponsabilità che può essere considerata da più punti di vista a seconda, appunto, degli interlocutori che vengono chiamati in causa. La corresponsabilità riguarda gli operatori scolastici e particolarmente gli insegnanti come protagonisti della progettazione e della realizzazione di processi di insegnamento-apprendimento, anche altamente inclusivi. Da questo punto di vista la corresponsabilità educativa è un elemento caratteristico della funzione docente. Il modo di considerare la presenza dell’insegnante nella vita della classe e della scuola, di elaborare e progettare specifici interventi operativi richiede veri e propri cambiamenti di mentalità, di comportamento e di «cultura pedagogica». La corresponsabilità è, in un certo qual modo, affine all’inclusione, in quanto le diverse voci dei docenti devono trovare un «accordo», la pluralità e la diversità devono essere riconosciute e «adottate» all’interno del gruppo docente. L’inclusione a tutto tondo di ciò di cui sono portatori di studenti deve partire dall’interno del gruppo docente, da una coesione fatta di riconoscimenti, di mediazioni, di compromessi tra gli insegnanti. L’impegno professionale che si intravede con chiarezza sembra allora consistere nella conquista di una sicurezza nuova utilizzando, in positivo, il dialogo, il confronto, la vita di relazione, la comunicazione di gruppo in vista del raggiungimento e della realizzazione di quella corresponsabilità educativa che costituisce la trama essenziale della vita e dell’esperienza scolastica. Il gruppo docente ha quindi
la responsabilità di riunirsi, di studiare e discutere dei casi specifici che si trovano all’interno delle classi, ipotizzando e programmando, insieme, aree di intervento in totale e integrale corresponsabilità. 1.3 Strategie interne al gruppo docente per l’efficacia della didattica
Lavorare in serenità non significa non avere mai idee contrastanti o punti di vista diversi con i colleghi. Gli esperti della comunicazione interpersonale sottolineano il fatto che un gruppo cresce in relazione al numero degli scambi di punti di vista diversi oltre che al numero e alla qualità di esperienze che i membri compiono insieme. È in sede di programmazione annuale che ogni gruppo docente, specialmente quello di nuova formazione, dovrebbe stabilire nuove regole. Molta letteratura scientifica indica nella poca dimestichezza alla comunicazione durante il lavoro di équipe il maggior ostacolo per la riuscita di interventi in tutti i settori lavorativi. Gestire serenamente un curricolo, significa, anzitutto, aver chiaro che ciascun insegnante non lavora più in prima persona ma è parte di un sistema al quale deve interfacciarsi costantemente anche quando opera isolatamente. Il primo ostacolo alla comunicazione efficace è la «non comunicazione», che (e può sembrare un paradosso) è anch’essa una comunicazione [338] . È questo un atteggiamento che spesso genera equivoci spiacevoli e difficili da gestire; il non essere espliciti, il non dire, il non scoprirsi con i colleghi è il peggior nemico del docente stesso e del gruppo nel quale lavora. Il passo successivo riguarda la negoziazione dei punti di vista. Saper negoziare anche nella scuola (quando si programma, quando si valuta, quando si imposta una azione didattica) consente di raggiungere, col contributo di tutti, il miglior risultato possibile. Sapersi porre sullo stesso piano dell’interlocutore, sforzarsi di capire e farsi comprendere, sapere che è importante imparare anche a cambiare idea e assumere quelle dell’altro, cercare compromessi e linee di intesa significa costruire piattaforme comuni su cui impostare un lavoro unitario, piattaforme interne di negoziazione, di inclusione e di multiculturalità. Saper lavorare in gruppo è una condizione imprescindibile affinché la didattica per la singola classe sia efficace. Spesso sono gli atteggiamenti non concordati tra i docenti a generare confusione nei rapporti con gli studenti. Atteggiamenti non coerenti e non congruenti (perché dettati da una prospettiva soggettiva e non da un’azione concordata) risultano poco produttivi, a lungo andare, per la coesione del gruppo classe/gruppo docente. Analoghe considerazioni possono essere espresse in relazione agli atteggiamenti che i membri del gruppo docente possono assumere con le famiglie. L’assenza di regole o la deroga a quelle pattuite rende il gruppo docente molto debole e vulnerabile, poco autorevole e credibile.
2. Inclusione in Italia 2.1 Un profondo ripensamento etico
L’inclusione richiede un profondo ripensamento etico e pedagogico della didattica e della metodologia per l’insegnamento agli studenti che evidenziano bisogni educativi speciali. Gli studenti che necessitano di interventi educativi speciali non solo soltanto gli studenti diversamente abili o gli studenti con DSA ma sono tutti quegli studenti che, per motivi diversi, necessitano di misure didattiche personalizzate o individualizzate. Anche la didattica che affronta i temi dell’intercultura è una didattica che mira a far sviluppare negli studenti competenze etico-sociali plurali, pronte ad accogliere la diversa cultura certamente come altro da sé ma, soprattutto, come strumento di arricchimento del sé. Si allargano quindi le maglie per definire i «bisogni speciali» di tutti gli studenti: gli studenti stranieri entrano a far parte, appunto, di quella «speciale normalità» che accompagna, con significati anche etici, il concetto d’inclusione. In un mondo fatto di tante persone diverse, ciascuno con la sua specialità, occorre pensare a strumenti di inclusione per supportare i bisogni speciali di persone che mostrano una cosiddetta «speciale normalità» [339] . È all’interno della Scuola secondaria di secondo grado, man mano che cresce l’età degli studenti, che si nota maggiormente quanto sia complesso, oggi, includere persone con bisogni speciali. Quella dell’inclusione è stata ed è tuttora una sfida notevole: ci accorgiamo che il numero di studenti con bisogni speciali è cresciuto enormemente. Ciò non perché sia aumentato il numero assoluto di studenti che vivono una «speciale normalità» ma perché in realtà in passato non eravamo abbastanza attrezzati a individuare tutte le complessità dei singoli individui e a riconoscerle come tali. La scuola oggi è in grado di mobilitare tutte le risorse disponibili e convogliarle nella direzione della realizzazione di una totale fruibilità del servizio scolastico per tutti. La scuola inclusiva cerca di considerare la diversità in tutte le sue forme, certamente come una risorsa e una ricchezza piuttosto che come un limite o un appesantimento. Al fine di garantire il massimo grado di significatività dell’apprendimento – per tutti gli studenti, come per quelli con bisogni educativi speciali – è oggi indispensabile rendere coerente l’azione educativa tenendo conto delle sue variabili: quella della conoscenza, quella della ricerca scientifica, la variabile della metodologia e quella della relazione. La variabile della conoscenza è rappresentata dalla struttura conoscitiva e psichica dello studente – strutture base dell’apprendimento. La proprietà peculiare di un apprendimento di qualità è la sua significatività potenziale: ciò che il discente deve apprendere deve essere potenzialmente significativo. La variabile della ricerca scientifica ha come caratteristica peculiare il far perno sui concetti già posseduti per scoprirne altri. Lo studente possiede già, infatti, le idee o i concetti fondamentali che devono fare da base per la realizzazione della connessione tra la nuova conoscenza da acquisire e la struttura conoscitiva già esistente. I docenti dovrebbero realizzare che non hanno davanti studenti «medi», tutti uguali, ma allievi diversi uno dall’altro, dotati (o non) di specifiche conoscenze e competenze.
La variabile della metodologia riguarda le modalità di apprendimento/insegnamento. Essa se da un lato deve far perno sull’osservazione dei passaggi operazionali dell’apprendimento dell’alunno, dall’altra parte deve mirare ad apprendimenti significativi a un livello diverso rispetto a quello delle conoscenze: occorre far leva sullo sviluppo di competenze utilizzando una didattica speciale e strumenti valutativi relativi al «capovolgimento» del far scuola. La variabile «relazione» riguarda, invece, l’atmosfera dell’apprendimento e l’ambiente di apprendimento. È importante mettere in atto le migliori strategie per la creazione di un buon ambiente per l’apprendimento. L’atmosfera dovrebbe esser tale da favorire la natura personale dell’apprendimento, da riconoscere il diritto all’errore, da tollerare l’imperfezione, da facilitare la scoperta, da permettere il confronto di idee. Le aree di lavoro dovrebbero essere destrutturate per favorire ragionamenti e riflessioni tra gruppi di studenti. La programmazione delle attività inclusive dovrebbe essere sempre presente nelle azioni di insegnamento quotidiano di ciascun docente. Strumento fondante per la programmazione dell’inclusione all’interno delle scuole è il Piano annuale per l’inclusione (PAI). Il PAI nella sua prima parte, riportando i dati raccolti, dispone un’analisi dei punti di forza e di criticità dei risultati dell’inclusione all’interno dell’istituto. Nella seconda parte il documento illustra gli obiettivi di incremento dell’inclusività, insieme alle proposte operative di miglioramento che si intendano attuare nell’anno scolastico successivo. La valutazione della qualità dell’inclusione scolastica è parte integrante del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche previsto dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80. Attraverso il RAV (Rapporto di auto valutazione) le scuole, all’interno di una sezione specifica, autovalutano il loro grado di inclusività e attraverso il PDM (Piano di miglioramento) sono nelle condizioni di progettare attività che possano aiutare i docenti a risolvere delle non conformità migliorando il grado di efficacia dell’inclusione nella scuola e quindi delle attività programmate nel PAI. 2.2 Inclusione e studenti BES
La scuola italiana, come si è detto, si è fatta carico ormai da tempo sia dell’inclusione reale e fattiva degli studenti diversamente abili che dell’erogazione di un’offerta caratterizzata da pari opportunità educative per tutti gli studenti. Col termine «tutti» oggi comprendiamo gli studenti con disagi psicologici o che mostrano notevoli difficoltà di apprendimento e tempi di maturazione molto dilatati, o che vivono in situazioni di disagio culturale, non soltanto gli studenti con DSA certificato. La Scuola è oggi «per tutti» ma è anche un ambiente di apprendimento complesso dove confluiscono problematiche diverse dovute ai cambiamenti del nostro tempo. Tali cambiamenti (culturali, economici, sociali ecc.) hanno avuto e hanno tuttora, inevitabilmente, una ricaduta sull’organizzazione e la gestione dei singoli curricoli a livello dinamico-relazionale e metodologico-didattico. Nell’ultimo decennio, alla luce degli studi di psicologia dell’età evolutiva, la scuola italiana si è resa conto che è l’esperienza ambientale e sociale l’input decisivo per lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità dell’alunno. Solo se tutta la classe è veicolo di esperienza l’alunno potrà svolgere con successo le attività per lui programmate. L’aspetto metodologico viene ad acquisire significato ed efficacia se si fonda su una relazione educativa che risponda adeguatamente alle esigenze dell’allievo. Se ciò vale per tutti gli allievi, a maggior ragione vale per l’allievo diversamente abile e per gli alunni con DSA. Ogni alunno ha bisogno di trovare dinanzi a sé un insegnante che rappresenti una figura significativa che fornisca sia il supporto emotivo sia la competenza culturale necessaria, e che si ponga in modo da far evolvere la dipendenza dell’alunno, sia emotiva che culturale, verso forme di maggior autonomia personale e di progressiva acquisizione delle competenze, delle abilità di base e delle conoscenze fondamentali. Ora tale funzione docente è realmente difficile da svolgere efficacemente sia con gli studenti diversamente abili, sia con gli studenti con DSA. Il rapporto con studenti portatori, in generale, di bisogni educativi speciali (con l’acronimo BES intendiamo tutti i bisogni educativi speciali, anche quelli degli studenti eccezionali o degli studenti diversamente abili o con disagi sociali), se inteso in modo serio, innovativo e al passo con i tempi, può porre l’insegnante in una crisi professionale. Questa crisi può essere superata solo se il docente possiede una professionalità sufficientemente solida, capace di stabilire una relazione d’aiuto con lo studente, di accettare tutte le implicazioni emotive e di prendere decisioni adeguate alla situazione. Da questo punto di partenza dovrebbe muovere il lavoro dei docenti, di sostegno e curriculari, collegialmente all’interno di un piano che preveda l’articolazione concertata degli interventi anche in base alle competenze specifiche. Attraverso la collaborazione tra scuola, aziende sanitarie locali ed enti locali è possibile raggiungere i distintivi pedagogici di una scuola a nuovo indirizzo didattico. Conquistare l’identità di «scuola aperta», di scuola «sperimentale», di scuola dei «laboratori» costituisce una prospettiva innovativa che, tenendo conto di modalità organizzative più flessibili, di metodologie didattiche fondate su progetti personalizzati o per piccoli gruppi, realizza una vera inclusione di tutti. Nei confronti dell’inclusione sociale e scolastica dei soggetti diversamente abili persistono, ancora oggi, atteggiamenti contraddittori: essa viene per lo più considerata una conquista di civiltà e pertanto è assurdo il pensiero che si possano ridiscutere i presupposti teorici dell’inclusione. Nonostante le radicali riforme della scuola negli ultimi anni, l’inclusione all’interno di alcune scuole è come se restasse un obiettivo a cui si aspira, non un dato di fatto. Una delle numerose difficoltà che l’alunno diversamente abile come l’alunno DSA vivono nella scuola deriva dalla gestione di quella che viene definita «continuità educativa». Essa è una dimensione funzionale allo sviluppo dei soggetti in crescita. Spezzarla significa non aiutare gli studenti a crescere armonicamente. La continuità educativa si sviluppa nel rispetto della dimensione longitudinale dell’alunno, della sua situazione presente, delle sue problematiche alla luce del progetto di vita che anche l’alunno BES vive e cerca di attuare. È complesso, ancora oggi, mettere in piedi un progetto di vita condiviso con tutti gli enti preposti, che sia fattibile e realistico. Anche gli alunni eccellenti rientrano tra gli studenti che mostrano bisogni educativi speciali. Hanno bisogno di stimoli potenziati, adeguati alle loro competenze. Per loro i docenti non pongono ancora le giuste attenzioni. Spesso questi ragazzi sono isolati, a volte
sono nervosi e distanti, a volte irriverenti, altre volte rassegnati. La loro valorizzazione non viaggia sul medesimo binario sul quale viaggiano gli alunni diversamente abili e gli alunni DSA. Gli alunni eccellenti non possono accontentarsi delle attività comuni agli altri studenti. Hanno bisogno di attività specifiche gestite con strategie didattiche specifiche a loro dedicate. Hanno bisogno di stimoli diversi e di tecnologie didattiche diverse (per tecnologie in questo caso non si fa riferimento all’informatica) che meglio possano valorizzare i loro stili cognitivi e possano guidarli nel riconoscere le loro forti potenzialità e sfruttarle al meglio. Per vivere nella giusta dimensione la continuità educativa orizzontale occorre tenere presente che l’alunno diversamente abile – come l’alunno DSA o l’alunno eccellente – ha bisogno della scuola, ma le sue motivazioni vanno ben oltre la scuola e oltre ciò che la scuola può offrire. Occorre inoltre tener presente che la relazione circolare in cui lo studente BES viene a trovarsi mette in crisi un certo modo di fare scuola e richiede ai vari componenti del sistema relazionale di trascendere un certo tipo di vita scolastica alla luce di significati e di motivazioni che la presenza dello studente con bisogni educativi speciali accentua e rende vivi e costanti nella prassi educativa. Assicurare in termini di concretezza e con particolari attenzioni agli studenti diversamente abili, agli studenti con DSA e agli studenti eccellenti la continuità del processo educativo fluidificando il passaggio da un grado all’altro della scuola di base è un obiettivo che parte da lontano: era già indicato dalla circolare indirizzata congiuntamente ai tre ordini di scuola, con la quale l’allora Ministro dell’Istruzione ha aperto il 1988. Oggi, partendo da una scrupolosa lettura dei bisogni formativi, delle possibilità residue, delle latenti risorse compensative e vicarianti o delle eccellenti competenze cognitive e relazionali, si può arrivare ad assicurare un’ordinata progressione di apprendimenti, pur nel passaggio da una scuola all’altra, attraverso una successione di interventi commisurati al rimo evolutivo, lungo un itinerario meticolosamente programmato e continuamente aggiustato (continuità curriculare), talora differenziato negli obiettivi didattici, nelle esperienze e nei tempi di apprendimento. Gli studenti con BES con la loro presenza nella scuola, con il loro diritto all’aiuto specifico e mirato, ci ricordano costantemente che è il loro programma di crescita maturativa il regolatore, il termostato di un servizio scolastico efficiente per organizzazione e metodologia didattica. In tema di educazione rivolta a studenti con bisogni educativi speciali occorre oggi riferirsi ai concetti di educazione speciale e pedagogia speciale. Se il concetto di educazione consiste nell’aiuto intenzionale, clinico e scientificamente orientato, recato ai processi formativi di ciascun individuo in relazione ai suoi bisogni, all’educatore clinico si destina la capacità di aiutare il miglior sviluppo possibile dei soggetti educandi. Tale aiuto avviene secondo le procedure e le tecnologie ritenute più adeguate ma sostenute, generalmente, dall’osservanza di alcuni momenti che tradizionalmente si identificano con la conoscenza dei casi, con l’individuazione dei bisogni/problemi, con la progettazione dell’intervento, con il controllo del processo formativo. Le tecniche di recupero e l’organizzazione didattica e logistica appropriate per ogni singolo caso non bastano per garantire agli insegnanti la piena riuscita dell’opera di supporto. Si richiede oggi al gruppo docente una buona preparazione globale, una preparazione specifica disciplinare, buone capacità socio-relazionali e particolari competenze di psicologia e pedagogia speciale affinché sia consentita, mediante la conoscenza approfondita degli studenti e dei loro problemi, una educazione che conduca tutti gli alunni, per quanto possibile, verso l’equità degli esiti scolastici. Un particolare cenno occorre all’interpretazione del concetto di inclusione degli studenti diversamente abili in Europa. Molti Paesi dell’UE, come l’Italia, hanno accolto gli studenti nelle classi comuni. Molti altri paesi, tra cui per esempio la Finlandia (che produce – secondo l’OCSE-PISA – i migliori esiti formativi degli studenti), accolgono gli studenti BES in classi differenziali. In realtà gli studi in questo caso sono contrastanti. Alcune scuole di pensiero sostengono che uno studente BES (nel senso più allargato del termine) possa avere beneficio nel lavorare nelle classi comuni in quanto trova maggiori stimoli che lo aiutano a crescere, non ultimo la socializzazione col gruppo dei pari. Altre scuole di pensiero sostengono che l’insegnamento in classi differenziali possa essere più mirato e offrire agli studenti BES opportunità più specializzate di insegnamento e, quindi, un migliore apprendimento. 2.3 Inclusione e studenti stranieri
Una branca della moderna pedagogia, la pedagogia interculturale, si occupa degli aspetti educativi di minori e adulti stranieri in relazione a uno dei fenomeni più rilevanti delle nostre società avanzate: il forte spostamento e l’intensa migrazione di un numero crescente di persone diverse da un Paese all’altro del mondo. Il punto di partenza dal quale le politiche educative europee e mondiali partono è costituito da una sfida: la massima inclusione di studenti stranieri, sia sul piano scolastico che su quello sociale, affinché abbiano le migliori possibilità di realizzare le proprie potenzialità. Sono quattro le variabili connesse alla presenza di studenti stranieri nelle scuole che corrispondono ad altrettante sfide. La prima sfida è rappresentata dalle variabili del processo di migrazione in sé. Esso implica lasciare il paese d’origine, imparare una nuova lingua, sottostare a nuove regole scolastiche con tutte le ripercussioni che possono derivarne sul benessere generale dello studente. La seconda sfida è rappresentata dalle variabili del contesto socioeconomico e politico del Paese di arrivo e dalle sue politiche sull’inclusione e sull’uguaglianza. La terza sfida è costituita dalla possibilità reale degli studenti di partecipazione all’istruzione nel nuovo paese, tenendo conto delle situazioni sociali, emotive e di salute al loro arrivo. La quarta sfida, infine, è la qualità della formazione degli insegnanti che determina le modalità di trattare la diversità e la cooperazione scuola-famiglia. Le politiche europee hanno sempre sottolineato l’importanza di promuovere l’inclusione degli adolescenti e dei giovani adulti provenienti da contesti migratori nelle scuole e di facilitarne, attraverso l’istruzione, l’inclusione nella società. Molte sono le iniziative politiche che l’Unione ha sviluppato negli anni per affrontare le diverse sfide, le più recenti delle quali sono il «Piano di azione della Commissione europea sull’integrazione dei cittadini dei paesi terzi» del 2016 e la «Comunicazione sulla protezione dei bambini nelle migrazioni» del 2017. Il primo piano di azione pone l’istruzione e la formazione tra gli strumenti più potenti per l’inclusione; «Comunicazione sulla protezione dei bambini nelle migrazioni» indica azioni mirate alla protezione di tutti i bambini, ragazzi e i
giovani adulti migranti nelle varie fasi del processo, compresa la valutazione dei bisogni di ciascuno nel minor tempo possibile dal momento dell’arrivo, e un accesso immediato all’istruzione. Su questa base si inserisce la «Raccomandazione del Consiglio del 2018» sulla promozione di valori comuni, di una istruzione inclusiva e di una dimensione europea dell’insegnamento che sottolinei l’importanza di assicurare un accesso equo ed efficace all’istruzione per tutti gli studenti, compresi quelli provenienti da contesti migratori. Il rapporto di Eurydice dal titolo Integrating Students from Migrant Backgrounds into Schools in Europe: National Policies and Measures è un efficace strumento di supporto agli studi sulla cooperazione europea. Esso fornisce un’analisi comparativa delle politiche chiave e delle misure messe in atto dalle autorità educative di livello centrale nei paesi europei per la promozione dell’inclusione nelle scuole degli studenti provenienti da contesti migratori. Questo rapporto si sviluppa in due parti. Nella prima parte si affronta un’analisi comparativa sui 42 sistemi educativi dei paesi europei, nella seconda si analizzano due dimensioni specifiche: una è il modo in cui vengono accolte le diversità linguistica e culturale nelle scuole, l’altra indaga su come viene affrontata la questione del benessere degli alunni migranti in ambiente scolastico. Gli studenti stranieri, appena giunti nel nuovo Paese, in genere mostrano scarse competenze linguistiche e di conseguenza seguono lezioni preparatorie a parte per acquisire gli strumenti adeguati a seguire le normali lezioni. Dallo studio emerge che tale separazione può ostacolare la rapidità del processo di integrazione per cui 21 paesi, fra cui l’Italia, limitano la durata di questo percorso separato fino a un massimo di uno o due anni ovvero lo eliminano integrando lo studente immediatamente all’interno della classe di destinazione, integrandolo in corsi di supporto per un veloce apprendimento della L2. Ciò consente allo studente straniero l’inclusione immediata e un apprendimento più veloce della lingua grazie all’apporto del gruppo dei pari. Gli studi di glottodidattica hanno messo in luce come siano in media necessari dai 6 mesi ai 2 anni di esposizione alla lingua per apprendere l’italiano e fino a 5-7 anni di studio ed esposizione alla lingua per raggiungere le competenze linguistiche a livello sufficiente. È quindi evidente che, per una parte consistente del percorso scolastico obbligatorio, un alunno straniero si troverà svantaggiato rispetto ai coetanei italiani per motivi linguistici, con rischi di abbandono, demotivazione e con l’obbligo di frequentare percorsi di istruzione al di sotto delle effettive capacità, come sta accadendo attualmente. Un altro dato importante è rappresentato dalla preparazione dei docenti ad affrontare l’insegnamento destinato agli studenti stranieri inclusi nel gruppo classe: molto spesso i docenti si sentono impreparati e insicuri nell’affrontare le problematiche di ragazzi con background diversi dal punto di vista culturale e linguistico. I percorsi di formazione iniziale e/o attività di sviluppo professionale continuo che promuovono la capacità dei docenti di porre in essere questo tipo di approccio sono previsti in pochi Paesi europei. Del resto, il ricorso ad assistenti e mediatori culturali per facilitare l’integrazione a scuola non è sufficientemente sfruttato: solo 13 paesi, fra i quali l’Italia, ne promuovono l’utilizzo in ambito sia scolastico sia sociale. L’inclusione scolastica degli alunni con background migratorio richiede, quindi, forse più di qualunque altro ambito educativo, un approccio pedagogico speciale. In Italia riveste una particolare importanza il supporto tra pari, il cosiddetto peer to peer . L’aiuto, in particolare, degli studenti di seconda generazione che svolgono la funzione di tutor con gli studenti appena arrivati è una delle strategie fondanti l’inclusione degli stranieri nelle classi. Sono fortemente incoraggiate anche le attività extracurricolari per aiutare gli alunni con background migratorio nell’apprendimento e nella integrazione sociale, prevedendo anche il coinvolgimento dei loro familiari. Il D.P.R. 394/99 all’art. 45, c. 4 fa esplicitamente riferimento alla possibilità di individualizzazione dei percorsi degli studenti stranieri. In esso infatti si legge: Il Collegio dei Docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento, allo scopo possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni, per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola. Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzata altresì mediante l’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell’ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento dell’offerta formativa.
La strategia educativa inclusiva consiste, dunque, nel concentrarsi sull’identificazione dei bisogni educativi e formativi reali di tutti gli alunni. Non occorre quindi creare nuove «didattiche inclusive», bensì affinare gli strumenti didattici a disposizione per cogliere aspetti della realtà che fino a poco tempo prima non erano significativi per poter intervenire su di essi.
3. Gestione del curricolo «inclusivo» Le figure specializzate all’interno della scuola sono ormai tante: all’insegnante di sostegno si affiancano gli operatori socio-educativi (l’assistente alla comunicazione e l’assistente all’autonomia) che gestiscono lo stesso studente o più studenti nella stessa classe. Il risultato è un sovraffollamento nel gruppo docente e uno spreco di risorse. Un punto nodale fondante della politica inclusiva è quindi l’ottimizzazione dell’uso delle risorse professionali specializzate nell’ambito del singolo istituto. Una programmazione dell’organizzazione sia a livello di PTOF e PAI che a livello di orari e presenze in classe di ogni singolo docente consentirebbe agli studenti di fruire di una offerta formativa assai più efficace e adeguata. 3.1 Formazione degli insegnanti
Il veloce mutamento sociale e tecnologico dei paesi dell’Unione europea ha imposto alle scuole, già da qualche anno, l’adozione di
nuove strategie organizzative. Una prima esigenza è preparare le giovani generazioni ad affrontare situazioni culturali in continuo movimento aiutandole, per esempio, a potenziare le capacità di auto-apprendimento e la flessibilità di utilizzo dei saperi. Un’altra esigenza è riqualificare le capacità professionali di tutti coloro che sono già inseriti nel mondo del lavoro ma le cui competenze sono ormai non adeguate. Con l’art. 126 del Trattato di Maastricht l’UE ha iniziato a guardare in modo diverso il mondo dell’istruzione nel suo complesso attribuendo una giusta importanza al ruolo dell’insegnante e dell’istruzione. Si è giunti alla conclusione che proprio il sistema educativo e di formazione sia il settore chiave per innalzare il livello di produttività industriale di un Paese e la sua competitività. Abbandonata l’idea dell’insegnamento basato esclusivamente su doti naturali di intuizione, comunicazione e autorità, ci si è spostati, ormai da anni, sull’interpretazione dell’insegnamento fondato su competenze acquisibili e potenziabili e anche su una certa propensione naturale. In un contesto così trasformato gli insegnanti assumono un ruolo particolare: sono formatori da un lato, ma anche, dall’altro, assimilabili a tutte le altre categorie di lavoratori che necessitano sia di una adeguata formazione iniziale che di life long learning . La formazione continua è strumento indispensabile per rimanere al passo con le esigenze della realtà culturale, sociale e lavorativa che è tanto in movimento e che richiede, appunto, aggiornamento continuo. Una delle parole chiave della scuola e della docenza moderna è, senza dubbio, «flessibilità». Sarebbe stato un bene se in passato si fosse pensato di potenziare tale caratteristica in prima istanza nella formazione della professionalità dei docenti e solo dopo applicarla alla programmazione, all’organizzazione, alla didattica e alla metodologia. È evidente, infatti, che vi è un rapporto di dipendenza direttamente proporzionale tra la mentalità flessibile di un operatore scolastico (dirigente, docente, non docente) e la capacità di rendere flessibili gli strumenti di lavoro adattandoli e modificandoli in relazione alle esigenze contingenti. Nel nostro Paese, infatti, assistiamo a uno scollamento tra le conoscenze e consapevolezze professionali dei docenti e l’applicazione di queste conoscenze e consapevolezze alla realtà di tutti i giorni. Sui registri elettronici troviamo programmazioni basate su didattica per competenze, su lavori di gruppo sul problem solving , sulla conversazione clinica. Di fatto, poi, le aule nelle quali operiamo tutti i giorni, continuano a essere organizzate come ai tempi della riforma Gentile del 1923: 14 banchi e 28 sedie poste di fronte a una cattedra e una LIM che ha sostituito la lavagna di ardesia ma viene ancora utilizzata quasi come una lavagna, appunto, di ardesia. Rendere flessibile un curricolo può voler dire, quindi, partire da una mentalità e una professionalità flessibili per saper percorrere strade nuove anche nell’organizzazione degli ambienti di apprendimento e nelle strategie da utilizzare. 3.2 Strategie di una pedagogia inclusiva
La strategia fondante per una didattica inclusiva parte dalla comprensione dei docenti del bisogno di capovolgere, anzitutto, la didattica. Le trasmissioni standardizzate delle conoscenze, che comunicano contenuti identici pensati per studenti medi, tutti uguali, non sono più adeguate. Al contrario la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ciascuno. I docenti oggi sono chiamati a mettere in atto strategie educative e didattiche che tengano conto della singolarità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. I docenti devono porre lo studente al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti etici, cognitivi, affettivi, psicologici. Alcuni strumenti strategici diventano la struttura portante della didattica moderna per la personalizzazione dei percorsi educativi. I compagni di classe sono la risorsa più preziosa per attivare processi inclusivi. Fin dal primo giorno è necessario incentivare e lavorare su collaborazione, cooperazione e clima di classe. In particolare sono da valorizzare le strategie di lavoro e ragionamento collaborativo in coppia o in piccoli gruppi. L’apprendimento non è più un processo solitario, ma è profondamente influenzato dalle relazioni, dagli stimoli e dai contesti tra pari, dallo scambio di idee, dai discorsi, dall’attivazione di percorsi logici che solo un continuo scambio dialettico consente di realizzare. Un’altra strategia inclusiva è potenziare le capacità di adattamento. Per valorizzare le differenze individuali è necessario adattare i propri stili di comunicazione, le forme di lezione e gli spazi di apprendimento ai diversi bisogni degli studenti. Inoltre, adattare significa variare i metodi e i materiali di studio in relazione ai diversi livelli di abilità e ai diversi stili cognitivi presenti in classe. L’adattamento più funzionale è basato su attività in grado di attivare molteplici canali di elaborazione delle informazioni, dando aiuti aggiuntivi a difficoltà graduale. La conoscenza del funzionamento dei processi cognitivi e degli stili di apprendimento degli alunni favorisce una migliore azione didattica. Processi cognitivi e funzioni esecutive come attenzione, memorizzazione, pianificazione e problem solving consentono lo sviluppo di abilità psicologiche, comportamentali e operative necessarie all’elaborazione delle informazioni e alla costruzione dell’apprendimento. Una didattica realmente inclusiva è bene che valorizzi i diversi stili cognitivi presenti in classe e le diverse forme di intelligenza, facendo leva su tecniche didattiche particolarmente efficaci in relazione alla singola competenza che si intende potenziare. Lavorare sulla metacognizione e sul metodo di studio di ciascuno studente è un’altra strategia pedagogica di fondamentale importanza. Sviluppare consapevolezza in ogni alunno rispetto ai propri processi cognitivi oggi dovrebbe costituire un obiettivo trasversale per ogni attività didattica. È necessario che l’insegnante agisca su quattro livelli di azione metacognitiva al fine di sviluppare strategie di autoregolazione e mediazione cognitiva ed emotiva e strutturare un metodo di studio personalizzato ed efficace. Occorre, inoltre, fare in modo che gli studenti sviluppino una positiva immagine di sé (e quindi buoni livelli di autostima e autoefficacia). La motivazione ad apprendere è fortemente influenzata da questi fattori, così come dalle emozioni relative all’appartenenza al gruppo di pari e al gruppo classe. L’educazione al riconoscimento e alla gestione delle proprie emozioni e della propria sfera affettiva è indispensabile, infine, per sviluppare consapevolezza del proprio sé, sicurezza nelle proprie potenzialità e nel proprio stare al mondo. 3.3 Tecniche didattiche inclusive
Sempre più docenti, oggi, hanno compreso l’utilità di un curricolo di base della classe che, con regolarità o solo in caso di necessità contingente, viene modificato nella sua struttura parecchie volte durante l’anno. Leggendo la realtà-classe come un sistema aperto di relazioni interne ed esterne è facile osservare come un qualunque elemento di novità sia causa di perturbazioni e quindi di ricerca di nuovi equilibri del sistema. L’arrivo di un nuovo alunno, l’assenza lunga di un altro, la riformulazione di una unità didattica, un obiettivo transdisciplinare da sviluppare possono comportare l’emergenza, più o meno preventivata, del bisogno di riorganizzare il curricolo partendo dai tempi e dagli spazi. L’uso di strategie logico-visive costituite dall’uso di mediatori didattici sono un forte strumento della didattica inclusiva. Sono di grande aiuto tutte le forme di schematizzazione e organizzazione anticipata della conoscenza e, in particolare, i diagrammi, le linee del tempo, le illustrazioni significative e le flashcard delle regole, così come la valorizzazione delle risorse iconografiche, degli indici testuali e dell’analisi delle fonti visive, le mappe mentali e le mappe concettuali. Offrire pari opportunità educative significa, oggi, operare con i singoli studenti «cucendo» loro addosso un curricolo su misura. Modificando l’uso degli spazi e dei tempi, questo curricolo consente a ciascuno di fruire di un percorso più personalizzato. Un alunno straniero, per esempio, che ha difficoltà di comunicazione, può essere aiutato a sviluppare sistemi vicarianti di partecipazione grazie all’aumento del numero di ore di insegnamento relativamente ai linguaggi, oppure mediante la strutturazione flessibile del suo orario scolastico consentendogli di fruire di tali insegnamenti anche con studenti di un’altra classe. L’importanza strategica psicologica e educativa del lavorare con gruppi mobili che siano eterogenei nelle presenze e che non «etichettino» i membri è una delle strategie didattiche vincenti. La progettazione delle aggregazioni dei gruppi di alunni per il lavoro didattico, progettata con oculatezza, relativa alla composizione, destrutturazione e ricomposizione dei gruppi (omogenei ed eterogenei per livelli di competenze) durante tutto il corso consente di risolvere in pieno le necessità curricolari. Consentire agli studenti di partire, in gruppo, dalla discussione di problemi è una delle migliori strategie che permette di sviluppare le competenze di tutti gli studenti del gruppo stesso, includendo quelli con bisogni educativi speciali. Tra le tecniche didattiche oggi più attuate nella Scuola secondaria l’approccio per problemi è quello che si rifà a metodologie pedagogiche e didattiche che puntano sul rinforzo dell’autonomia di coloro che imparano, sullo scambio tra pari e sulla capacità dei discenti di trovare metodi propri per accedere alle conoscenze. Sono diverse le tipologie dell’approccio per problemi: la didattica basata su progetti (project learning ), quella basata sull’azione (action learning ), l’apprendimento cooperativo (cooperative learning ), l’apprendimento fondato sul lavoro (work based learning ), l’approccio metacognitivo, l’educazione tra pari (peer education ), il problem solving . La moderna pedagogia sceglie una didattica per situazioniproblema perché risulta particolarmente importante che gli studenti acquisiscano strumenti che permettano loro di apprendere velocemente, efficacemente e in modo autonomo. Una delle principali aspettative della società, per quanto riguarda la scuola, è la formazione di individui che possano lavorare in squadra e adattarsi all’evoluzione dei ruoli: questo tipo di approccio fa comprendere la necessità di assumere, insieme agli altri, l’impegno nella risoluzione di un compito. Ciò porta gli studenti non solo a prendersi carico della responsabilità del proprio apprendimento, ma anche a contribuire in modo significativo all’apprendimento dei loro pari. È nella cooperazione all’interno dei pari che si realizza la vera inclusione e una didattica di qualità per tutti.
[337]
Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità , a norma dell’art. 1, cc. 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107 (17G00074) (GU n. 112 del 16 maggio 2017, Suppl. ordinario n. 23). [338] Cfr.
Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.
[339] Ianes
D., La speciale normalità. Strategie di integrazione e inclusione per le disabilità e i bisogni educativi speciali , Erickson, Trento 2006.
13. Metodologie didattiche innovative a cura di Rita Coccia
1. Introduzione Le metodologie didattiche rappresentano una fase indispensabile nella costruzione del curricolo che di norma prevede l’iniziale definizione degli obiettivi da perseguire, la conseguente scelta delle metodologie didattiche e la relativa organizzazione, la parte conclusiva di verifica e valutazione al fine di procedere a eventuali percorsi di recupero e consolidamento. Per ogni azione didattica, programmata per sviluppare un processo di apprendimento, occorre individuare, quindi, i metodi più adeguati; questi possono cambiare a seconda dell’età degli studenti - per esempio l’insegnamento della lingua italiana agli adulti o ai bambini degli obiettivi che si vogliono perseguire e delle caratteristiche epistemologiche di ogni disciplina. Fino a quando la costruzione dei percorsi per l’apprendimento è stata incentrata sulla acquisizione delle conoscenze da parte degli alunni la metodologia predominiate è stata la lezione frontale. Infatti, intere generazioni di studenti sono state abituate a una gestione della didattica organizzata in aule con banchi disposti frontalmente al docente che trasferiva a loro le sue conoscenze disciplinari; questo processo era anche sostenuto dallo strumento del libro di testo e consolidato con uno studio personale a casa. Solo negli ultimi anni del Novecento si è cominciato a sviluppare anche nella scuola italiana l’innovazione metodologica attraverso azioni di sperimentazione in alcune scuole e progetti particolari ma il cambiamento più evidente si è rilevato nel momento in cui si è introdotto nel percorso curricolare il concetto di competenza intesa come: «comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia». (Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2006 all’interno del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli). La diffusione massiccia del digitale negli ultimi anni, la globalizzazione delle conoscenze attraverso Internet, l’integrazione della tecnologia in varie forme nei percorsi curricolari, evidenziano definitivamente che il percorso di innovazione metodologica didattica è nella fase del non ritorno, che la lezione frontale non può più essere la sola metodologia di riferimento e che occorre sviluppare una progettazione estremamente coerente tra l’acquisizione di competenze, che non sono più strettamente disciplinari ma sono anche trasversali, di cittadinanza e digitali e le relative metodologie didattiche. Questa esigenza di azioni innovative per sviluppare compiti complessi ha prodotto un lievitare di nuovi processi metodologici tanto da rendere difficile anche una loro ragionata organizzazione. Come prima sintetica classificazione si può parlare di metodologie che riguardano l’azione didattica strettamente disciplinare o interdisciplinare e azioni che interessano più che altro l’organizzazione della didattica che influenzano in modo indiretto la gestione delle attività in classe. In questo ultima area si possono ricordare «Aule laboratorio disciplinari», «Uso flessibile del tempo», «Scuola senza zaino», «Oltre le discipline» tutte azioni che producono variazioni radicali sulla gestione del tempo e dello spazio nelle scuole che le hanno adottate e che quindi inducono per riflesso anche un ripensamento delle metodologie prettamente disciplinari. Punto di riferimento per l’innovazione metodologica didattica per molte scuole è il movimento di Avanguardie Educative ( www.avanguardieducative.it ) promosso e sostenuto dall’INDIRE, una rete di scuole che, supportate dai ricercatori dell’ente di ricerca, dal 2014 stanno portando a sistema le esperienze più significative di trasformazione del modello organizzativo e didattico della scuola italiana. Nell’esperienze della rete di Avanguardie Educative si possono rintracciare sia l’innovazione metodologica più strettamente rivolta al contesto disciplinare e interdisciplinare sia le azioni di sistema che cambiano l’organizzazione generale. Nelle pagine seguenti tratteremo in particolare le metodologie più diffuse che interessano la parte curricolare disciplinare, cercando, nel descriverle, di correlarle alle competenze di base e alle competenze chiave per la cittadinanza (cfr. Tab. 1). Tabella 1 – Competenze di base e Competenze di cittadinanza Competenze di base
Competenze chiave per la cittadinanza
1. Asse dei linguaggi.
1. Imparare a imparare. 2. Progettare.
2. Asse matematico.
3. Comunicare. 4. Collaborare e partecipare.
3. Asse scientifico-tecnologico.
5. Agire in modo autonomo e responsabile. 6. Risolvere problemi.
4. Asse storico e sociale.
7. Individuare collegamenti e relazioni. 8. Acquisire e interpretare l’informazione.
Un’attenzione particolare, inoltre, occorre riservare alle competenze digitali che in quasi tutte le metodologie analizzate rappresentano una parte essenziale e trasversale per gli apprendimenti e, in particolare, anche durante la recente esperienza della Didattica a distanza (DAD). Si ricorda che le competenze digitali sono state elaborate dalla Commissione europea e formalizzate nel framework del DigComp versione 2.1, curato nel 2017 dal Joint Research Centre (JRC). Il framework si articola per la padronanza digitale in 5 aree, 21 sotto-competenze, 8 livelli di competenza. In questo contesto si evidenzia solo la struttura generale del DigComp lasciando al lettore una autonoma approfondita analisi dell’argomento (cfr. Tab. 2). Tabella 2 – Struttura del DigComp 2.1 (anno 2017) Aree
Sotto-competenze
1. Alfabetizzazione su informazioni e dati
Navigare, ricercare e filtrare le informazioni. Valutare le informazioni. Memorizzare e recuperare le informazioni.
Livelli di padronanza
2. Comunicazione e collaborazione
Interagire con le tecnologie. Condividere informazioni e contenuti. Impegnarsi nella cittadinanza online. Collaborare attraverso i canali digitali. Netiquette. Gestire l’identità digitale.
Base livello 1-2 Intermedio livello 3-4
Aree
Sotto-competenze
Livelli di padronanza
3. Creazione di contenuti digitali
Sviluppare contenuto. Integrare e rielaborare. Copyright e licenze. Programmazione.
Avanzato livello 5-6
4. Sicurezza
Proteggere i dispositivi. Proteggere i dati personali. Tutelare la salute. Proteggere l’ambiente.
5. Risolvere problemi
Risolvere problemi tecnici. Identificare i bisogni e le risposte tecnologiche. Innovare e creare utilizzando la tecnologia. Identificare i gap di competenza digitale.
Altamente specializzato livello 7-8
Di seguito, quindi, verranno illustrate sinteticamente alcune metodologie che sono utilizzate da molti docenti, sostenuti anche da ricercatori di varie università o di enti di ricerca, per raggiungere un «curricolo per competenze».
2. Flipped classroom La flipped classroom , terminologia che tradotta letteralmente dall’inglese significa «classe rovesciata», è una metodologia che prevede che la lezione in classe diventi l’attività che deve essere svolta a casa mentre il tempo in classe viene usato per esperienze, dibattiti, laboratori, lavori collaborativi. Attraverso questo metodo si rendono gli studenti più autonomi nello studio, il loro apprendimento è significativo, si sviluppa inoltre la loro creatività molto spesso soffocata durante le azioni didattiche «tradizionali». Azioni didattiche La metodologia della flipped classroom si gestisce in tre momenti fondamentali che, con tempi diversi e personalizzabili a seconda della disciplina o discipline coinvolte, devono essere rispettati. Fase iniziale. Il docente, il regista dell’azione didattica, individuato l’argomento, costruisce e/o seleziona le risorse digitali adeguate, organizza una prima azione di introduzione per tutta la classe per fornire indicazioni e indirizzare lo studio dell’alunno che si svolge a casa. Fase centrale dell’azione educativa. Gli studenti entrano nel vivo dell’azione: dopo l’applicazione a casa, svolgono le consegne dimostrando che sono capaci di utilizzare i materiali per risolvere problemi, possono creare prodotti, svolgere attività di tipo laboratoriale ed esperimenti didattici utilizzando anche strumenti digitali come mappe, video, storytelling ecc. sotto la guida del docente che diventa un facilitatore, un sostegno per l’apprendimento. Fase conclusiva. il docente verifica e eventualmente corregge i prodotti finali, puntualizza i nodi essenziali emersi, sintetizza il percorso.
3. Cooperative learning L’apprendimento cooperativo è una delle metodologie più studiate e adottate nelle scuole, in sintesi è un metodo che si basa sulla possibilità che un gruppo ben organizzato possa produrre insegnamento-apprendimento al suo interno. Non bisogna semplicisticamente associare il cooperative learning al classico lavoro di gruppo che per molti anni è stato oggetto anche di molte critiche in particolare dal punto di vista docimologico. Infatti con questa metodologia la interdipendenza nel gruppo è molto forte, i gruppi sono formati con un criterio di eterogeneità di competenze, la leadership è condivisa e distribuita, nei gruppi cooperativi oltre a una valutazione di gruppo è prevista una valutazione individuale. Azioni didattiche I gruppi devono essere formati al massimo da 4-5 studenti per poter raggiungere un apprendimento efficace. Fase iniziale. Il docente deve predisporre un piano degli argomenti rispetto a un tempo abbastanza lungo, stabilire in modo chiaro obiettivi e compiti richiesti, definire gruppi secondo le caratteristiche, le motivazioni e le competenze pregresse, organizzare il lavoro (struttura dell’aula, assegnazione dei ruoli, materiali), formalizzare le modalità del processo di controllo (monitoring) e revisione delle attività (processing) svolte nei gruppi. L’azione di monitoring deve essere svolta dal docente durante l’attività dei gruppi, mentre quella di processing al termine del lavoro. Fase centrale dell’azione educativa. Il docente osserva la gestione del lavoro assegnato nei gruppi; gli studenti affrontano le fasi di lavoro individualmente e in gruppo, concludono l’azione didattica con la presentazione di prodotti adeguati alle consegne. Fase conclusiva. Gli alunni a seconda dei loro ruoli presentano il lavoro alla classe e al docente che procede con la valutazione finale. www.apprendimentocooperativo.it
4. Role playing Il role playing (tradotto letteralmente «gioco di ruolo») è una metodologia che sfrutta la simulazione; un gruppo di studenti interpreta gli «attori» con relativi ruoli e un gruppo rappresenta gli «osservatori». Il gioco di ruolo viene utilizzato non solo per far emergere competenze comunicative e comportamentali ma la persona con la sua creatività individuale. Azioni didattiche Fase iniziale. Il docente organizza i due gruppi di attori e osservatori, spiega chiaramente la scena, i ruoli e l’importanza e il valore didattico di ciò che si dovrà fare, comunica i criteri di osservazione e valutazione dell’azione didattica.Spesso nelle scuole superiori si ricrea una situazione professionale. Fase centrale dell’azione educativa. Gli studenti a seconda del loro ruolo gestiscono la scena. In questa fase ognuno dovrà utilizzare tutte le conoscenze e le competenze necessarie per gestire le nuova situazione messa in atto. Fase conclusiva. In questa fase del percorso gli alunni osservatori potranno fare domande, valuteranno i loro compagni e gli stessi potranno esprimere una loro autovalutazione. È in questo momento che il docente comunicherà le sue osservazioni e la sua valutazione sul percorso realizzato da ogni studente.
5. Brainstorming Il brainstorming (tradotto letteralmente «tempesta nel cervello») consente di far emergere le idee dei membri di un gruppo, che vengono poi analizzate e criticate. La metodologia permette di far partecipare anche gli studenti meno motivati o restii a parlare in pubblico attraverso la comunicazione delle idee le più variegate, diversificate e insolite ma anche realizzabili e fattibili, rispetto al tema oggetto di analisi. Sviluppando la creatività degli studenti si potenzia, anche, l’interazione tra di loro favorendo l’attitudine a lavorare in gruppo. Spesso il brainstorming è la parte iniziale di un percorso più lungo a cui poi si agganciano altre metodologie. Azioni didattiche Fase iniziale. Il docente definisce il problema o la tematica, organizza il setting di classe, prepara la tecnologia per la registrazione delle idee. In alcuni casi è anche preferibile individuare un moderatore Fase centrale dell’azione educativa. Gli studenti espongono liberamente le loro idee con la relativa registrazione degli interventi. Spesso il gruppo produce una classificazione di idee di tipo creativo o di tipo tradizionale. Si procede poi con l’analisi di tutte le soluzioni. Fase conclusiva. Valutazione delle idee rispetto a criteri di attuabilità, convenienza e innovazione. www.nume.it/000025it_brainstorming.php
https://it.wikipedia.org/wiki/Brainstorming
6. Debate La metodologia didattica debate è utilizzata da tempo nelle scuole anglosassoni. Essa permette di stimolare competenze chiave per la cittadinanza, in particolare il comunicare in modo efficace, ed ha come obiettivo ultimo il «saper pensare in modo creativo». Letteralmente significa «dibattito», si realizza con regole ben stabilite tra due squadre che si affrontano sostenendo (PRO) o controbattendo (CONTRO) un determinato argomento assegnato dal docente. La discussione che si genera è formale e non libera, con regole ben definite anche nel setting d’aula. Il debate può essere integrato con altre metodologie: il docente può sfruttare, per esempio, il cooperative learning per gestire i gruppi antagonisti durante la fase di preparazione del dibattito. Il debate non solo è una metodologia che ogni docente può progettare nella propria classe con il fine di raggiungere determinate competenze, ma può anche trasformarsi in un gioco a squadre per particolari competizioni inwwternazionali. Nel mondo, infatti, soprattutto nei college e nelle università americane e inglesi, il debate è organizzato in «club di dibattito» che si incontrano e si confrontano in competizioni locali e internazionali. In Italia si organizzano le Olimpiadi nazionali di debate , volute e sostenute dal MIUR, le cui squadre vincitrici partecipano alla World Schools Debating Championship competizione internazionale di dibattito che riunisce annualmente squadre di dibattito provenienti da tutto il mondo ( www.debateitalia.it/pagine/il-progetto ). Azioni didattiche Il debate prevede delle fasi ben codificate. Fase 1 – Scelta dell’argomento. Di norma la classe sceglie l’argomento con l’insegnante. L’argomento deve essere formulato in modo che ci sia possibilità di schierarsi a favore o contro. Fase 2 – Ricerca del materiale. Gli studenti si documentano sull’argomento. Fase 3 – Assegnazione della tesi. Si divide la classe in due e si assegnano le tesi pro e contro indipendentemente dalle opinioni personali. Fase 4 – Scelta dei portavoce. Il gruppo sceglie 3-4 oratores in qualità di portavoce della tesi. Fase 5 – Svolgimento del dibattito. Presentazione del problema e della sua rilevanza, enunciazione della posizione assunta e anticipazione delle argomentazioni che la squadra svilupperà nel corso del dibattito, prime argomentazioni con la presentazione delle prove (dati statistici, opinioni autorevoli, argomentazioni) a sostegno della propria posizione, confutazione delle argomentazioni altrui con esposizione delle repliche rivolte alla posizione sostenuta dagli avversari, dialogo libero con richieste di spiegazioni per sottolineare punti non chiari da parte del gruppo alla squadra avversaria, epilogo con sottolineatura delle rispettive posizioni. Fase 6 – Giudizio della giuria. La giuria composta da tre persone attribuisce una valutazione alla fine di ciascuna fase, considerando gli aspetti formali e retorici, la ricchezza e la coerenza delle argomentazioni.
7. Public speaking L’arte oratoria del parlare in pubblico è una competenza trasversale tra le più importanti e richiesta nello scenario attuale con cui lo studente esercita anche il pensiero critico e il design thinking . L’associazione TED (acronimo di Technology Entertainment Design), nata in California trenta anni fa per diffondere idee che meritano di essere diffuse («ideas worth spreading» è il suo motto), attiva oggi in 170 paesi e famosa per le sue conferenze annuali dal format peculiare, sostiene il TED-Ed Club, programma internazionale, creato e gestito per diffondere proprio questi obiettivi. Tale metodologia può essere utilizzata sia in attività curricolari che extracurriculari e può adattarsi alle esigenze della scuola che la pratica; in particolare in alcune realtà è stata inserita come metodologia curricolare per le discipline di italiano, storia e inglese perché si integra perfettamente alla vision dell’istituto scolastico. Il TED-Ed Club sostiene le scuole attraverso la figura di un facilitatore (il ruolo nel programma viene chiamato leader ), responsabile della gestione del club, che fornisce materiali e supporti a distanza per seguire un percorso di formazione diviso in 13 tappe. Le scuole che si registrano sul sito del programma internazionale avranno a disposizione materiali e un quaderno operativo, Idea Journal, per seguire il percorso come guida, per sviluppare e presentare le idee attraverso dei talk in stile TED. Azioni didattiche Fase iniziale. I docenti cercano di far emergere le passioni e gli interessi di ogni studente e stimolano la loro condivisione nel gruppo. Questa azione produce un forte coinvolgimento e attiva la motivazione degli studenti che discutono e validano tra di loro il concetto dell’idea che merita di essere diffusa. In questa fase si sviluppa anche il feedback collettivo che permette la razionalizzazione
dell’emozione. Fase centrale dell’azione educativa. In questa fase, che è quella dello sviluppo, lo studente individua in modo definitivo la propria idea che esporrà al pubblico, si documenta e costruisce la struttura del discorso che può essere strutturato anche in una lingua straniera. Anche con questa metodologia il docente svolge la funzione di coach, di mentore, sostiene il proprio alunno nella gestione della comunicazione e nella strutturazione dell’intervento. Fase conclusiva. Nel public speaking la fase conclusiva è la più attesa e coinvolgente per gli studenti che possono condividere le loro idee con la classe oppure decidere di salire sul palco di un teatro per farlo non solo con i partecipanti al progetto ma anche con tutta la scuola e la comunità locale che guarderanno l’evento dal vivo o registrato sui canali social dedicati al progetto. Questa ultima scelta viene fatta autonomamente dallo studente che decide di mettersi in gioco non solo esponendo le sue idee ed emozioni ma anche affrontando da solo sopra un cerchio rosso (così è il rigoroso setting del TED) una platea di compagni e di adulti.
8. Didattica per scenari L’idea «Didattica per scenari» nasce dal progetto iTEC (Innovative Technologies for an Engaging Classroom) avviato nel 2010 e terminato nel 2014 in ambito europeo con 27 partner, 14 ministeri dell’istruzione e un finanziamento della Commissione europea. Tutti gli «scenari» sono applicabili e declinabili nei vari ordini di scuola a vari contesti disciplinari, sono incentrati su pratiche didattiche basate sull’organizzazione degli studenti in team di lavoro, con precisi ruoli e responsabilità e un ruolo decentrato del docente che accompagna i percorsi di apprendimento. I concetti cardine sui quali si basano l’approccio iTEC e la Didattica per scenari sono tre: learning scenarios , learning activities e learning stories . Nel learning scenarios gli «scenari» sono descrizioni di esperienze di apprendimento innovative, che traggono origine da alcuni trend, per esempio trasformazioni economiche o tecnologiche, movimenti di opinione, pratiche sociali e comportamenti emergenti, nuove linee politiche d’importanza strategica. Le learning activities sono attività didattiche strutturate che supportano l’attuazione di uno o più scenari. Gli studenti ricostruiscono lo scenario attraverso tali attività. 1. Design brief : si discute il processo di progettazione e si abbozza l’idea.
2. Indagine contestuale : si ricerca e raccoglie informazioni sul target a cui rivolgere il prodotto e, dopo aver raccolti i dati, si sceglie come modificare la progettazione iniziale. 3. Progettazione del prodotto : si realizza il prodotto. 4. Workshop di progettazione partecipata : si presenta il prototipo a un campione di 3-4 persone del target di riferimento e si raccolgono feedback; in seguito si decidono le modifiche che devono essere apportate. 5. Realizzazione finale del prodotto : si modifica il prodotto per consegnare il prototipo e ricevere l’approvazione per la destinazione d’uso prevista dal docente.
La learning story è un documento di progettazione didattica in forma narrativa, scritto dal docente stesso a partire da un dato scenario e nel rispetto delle indicazioni provenienti dalle learning activities relative.
9. Project Based Learning (PBL) Il Project Based Learning (PBL) è una metodologia incentrata su un apprendimento ottenuto attraverso esperienze complesse, con obiettivi ben specifici in relazione a problemi della vita reale. La New Technology High School, di Napa, in California, e la Homewood School, di Tenterden, in Inghilterra, hanno adottato integralmente questa metodologia e i loro siti web possono essere un valido esempio per comprendere a pieno le azioni di sistema introdotte. Anche in questo caso occorre sottolineare la differenza tra il PBL e il «fare un progetto» attività diffusa sin dagli anni Ottanta in diverse scuole italiane; nel PBL si genera un vero e proprio «progetto di ricerca» che diventa il veicolo per insegnare conoscenze e abilità importanti, che integra tutte le conoscenze curricolari includendo elevate competenze come il pensiero critico, il problem solving, compiti complessi e interessa periodi piuttosto lunghi di tempo. Azioni didattiche Fase iniziale. Il docente organizza le squadre per lavorare sul progetto di ricerca per un periodo che può arrivare anche a quattro mesi. Dopo la relativa assegnazione si procede con la progettazione della struttura, delle attività e del piano di lavoro, del prodotto finale e la sua presentazione a soggetti esterni alla classe come genitori, esperti, amministratori delegati di aziende interessate. Fase centrale dell’azione educativa. Gli studenti divisi in gruppi effettuano l’analisi del progetto, la ricerca della documentazione relativa, la realizzazione del percorso con processi decisionali e risoluzione di problemi, la realizzazione e presentazione del prodotto autentico.
Fase conclusiva. Questa metodologia prevede un forte processo di feedback per gli studenti che devono sviluppare la consapevolezza di quali siano i punti di forza e i punti di debolezza del loro progetto. Il feedback riguarda in modo predominante: i contenuti, la scelta e la gestione della tecnologia, le due forme della comunicazione orale e scritta, le caratteristiche del prodotto realizzato e viene realizzato da soggetti esterni.
10. Project work Il project work (tradotto letteralmente «lavoro di progetto») si può considerare in stretto collegamento con il concetto di learning by doing (imparare facendo): gli studenti devono realizzare un progetto concreto, professionale, realizzato in aula al termine di un ciclo di lezioni. Questa metodologia didattica, molto usata specialmente negli ultimi anni degli istituti tecnici nell’area professionalizzante, permette all’alunno di cominciare a confrontarsi con le problematiche organizzative, operative, relazionali presenti nei contesti lavorativi. Spesso viene utilizzato per potenziare e consolidare negli alunni competenze integrate di general management e favorire l’imprenditorialità, intesa come competenza manageriale e sociale. Il project work si può considerare il primo approccio metodologico a sostegno di metodologie più articolate e complesse come il PBL. Azioni didattiche Fase iniziale. Il docente organizza il lavoro predisponendo materiali e assegnando le consegne. Questa azione didattica può essere realizzata dal singolo alunno ma diverse esperienze hanno evidenziato che il project work è spesso realizzato in piccoli gruppi. Fase centrale dell’azione educativa. Gli allievi, in maniera autonoma e con il supporto dei docenti, sviluppano un progetto aziendale, applicando e collegando le tecniche, le conoscenze e le competenze acquisite in aula ed esprimendo anche la loro creatività. Fase conclusiva. Il project work viene presentato a tutta la classe e al docente con la relativa valutazione finale
11. Problem solving Il problem solving utilizzato da molti anni nelle scuole italiane è una azione didattica volta alla risoluzione di problematiche. Normalmente integra altre metodologie e viene usato per potenziare la creatività dello studente che viene spinto a trovare soluzioni valide e attendibili oltre alle competenze di cittadinanza e professionali. Azioni didattiche Fase iniziale. Il docente progetta e presenta all’intera classe o gruppi di studenti la problematica. Fase centrale dell’azione educativa. Gli alunni in modo autonomo o cooperativo evidenziano il problema, raccolgono e analizzano i dati relativi, generano soluzioni, eseguono il piano di attuazione e valutano l’azione generale. Fase conclusiva. La soluzione della problematica viene presenta a tutta la classe e al docente con la relativa valutazione finale da parte anche del gruppo.
12. Technology Enhanced Active Learning (TEAL) Nel 2003 al MIT di Boston è stata progettata la metodologia Technology Enhanced Active Learning (TEAL) che nasce in occasione della diffusione del programma Studio Physics, relativo all’insegnamento della fisica. Il TEAL unisce lezioni frontali, che spesso venivano recepite passivamente dagli studenti in particolare nelle discipline scientifiche, a simulazioni e attività laboratoriali attraverso i linguaggi digitali/multimediali e all’impiego di device di vario tipo. Per progettare e realizzare un’azione didattica con il TEAL occorre un setting particolare: l’aula TEAL, uno spazio con arredi modulari e riconfigurabili durante le simulazioni e le attività laboratoriali; un device per ogni studente e una lavagna interattiva per ogni gruppo di lavoro con la relativa connessione per permettere la ricerca in rete, la discussione e il confronto tra pari on line sulle tematiche e la loro rielaborazione attraverso una sintesi condivisa in rete. Azioni didattiche Fase iniziale o Fase di attivazione. Il docente fornisce agli studenti un tema, una questione, con la indispensabile caratteristica che sia in grado di far scaturire la loro curiosità, il loro interesse e che li spinga motivandoli a intraprendere l’attività. Fase centrale dell’azione educativa o Fase di produzione. L’attività svolta a scuola è la risposta alla sfida che gli insegnanti hanno lanciato ai propri studenti. Questi ultimi possono presentare e analizzare un caso, realizzare un progetto, svolgere un’indagine, risolvere un problema. L’alunno crea la sua attività e ne è responsabile lavorando sia in gruppo (peer learning ) sia individualmente
(personalizzazione). L’insegnante assume solo il ruolo del tutor, di mentore. Fase conclusiva o Fase di elaborazione. Il processo si chiude con una fase di rielaborazione e di confronto collettivo su quanto appreso al fine di evidenziare l’apprendimento con l’auto valutazione e valutazione tra pari. Non è una classica valutazione che viene realizzata dal docente perché questa è stata effettuata per tutta l’azione educativa attraverso l’osservazione del «fare» degli studenti da parte dei docenti stessi.
13. Tinkering La metodologia tinkering (termine inglese che vuol dire letteralmente «armeggiare, adoperarsi, darsi da fare») è citata nel Piano Nazionale Scuola Digitale del MIUR come uno strumento importante per lo sviluppo delle competenze del XXI secolo e inoltre viene spesso menzionata a livello internazionale come una tra le metodologie più efficaci per l’educazione alle STEM: Science, Technology, Engineering and Mathematics. Alla pari di molte altre metodologie didattiche innovative il tinkering si basa su un apprendimento che avviene attraverso il fare in cui le attività di gruppo vengono presentate sotto forma di gioco, di sfida. Questa azione didattica è considerata molto efficace in classi difficili dove la motivazione e la frequenza scolastica sono scarse. Inoltre, può essere praticata in qualsiasi contesto considerato che si basa essenzialmente sull’uso di materiali poveri e prevalentemente di recupero, sviluppando così anche il concetto di sostenibilità sociale. Azioni didattiche Le attività riguardano la realizzazione di oggetti da parte degli alunni con il supporto dei docenti come macchine che si muovono, volano, disegnano, galleggiano e artefatti originali, il tutto con materiale facilmente reperibile anche a casa e di recupero come, per esempio, piste per biglie, circuiti elettrici, piccoli robottini, circuiti, giocattoli meccanici, sculture. www.robotiko.it/tinkering-coseiniziare/
14. Robotica educativa La robotica educativa è un metodo che permette di sviluppare negli alunni un apprendimento efficace per le discipline scientifiche STEM mentre si divertono utilizzando dei robot. La robotica educativa non è, come a una prima analisi potrebbe sembrare, l’insegnamento della robotica, della programmazione applicata ai robot: in questo caso l’utilizzo del robot serve per far diventare attrattive, divertenti, stimolanti alcune lezioni qualche volta noiose e per potenziare la socializzazione tra alunni e tra alunni e docente. Viene utilizzata in modo efficace nella Scuola secondaria di primo grado e nel biennio del secondo grado per potenziare la logica e per lo sviluppo del pensiero computazionale, attraverso l’attitudine all’analisi e alla risoluzione dei problemi, facendo così percepire agli studenti la matematica in modo completamente diverso dall’attuale.
15. Conclusioni È doveroso ricordare che sono state sinteticamente illustrate solo alcune delle metodologie più utilizzate nelle scuole italiane per vincoli editoriali e per una conoscenza diretta delle stesse. Come si può notare, quasi tutte hanno come punti di riferimento lo sviluppo dell’apprendimento attraverso il fare; la condivisione del sapere e la cooperazione tra i soggetti. Il gruppo, organizzato e responsabile in azioni ben definite, diventa il denominatore comune per le esperienze in situazione di lavoro concrete e per sviluppare le soft skill richieste dal mondo del lavoro globale. Altro fattore quasi sempre presente è l’integrazione del digitale e della tecnologia nel processo di apprendimento. Gli studenti dotati di un proprio device e con accesso a Internet da casa o da scuola posso fare ricerche su qualsiasi argomento, comunicare con esperti e professori, creare presentazioni multimediali con PowerPoint, video, e podcast, scrivere report dimostrando così anche la loro padronanza digitale. Il processo inoltre in alcune situazioni è sostenuto anche da piattaforme tecnologiche che servono come ambiente ideale per un apprendimento di tipo collaborativo. Infine occorre ricordare che non esiste una metodologia ideale per ogni obiettivo o per ogni conoscenza e competenza che si vuole far acquisire agli studenti. Tutte le situazioni di apprendimento risentono di molteplici variabili che impediscono una rigida applicazione e solo la sensibilità e la professionalità del docente con la personalizzazione dei percorsi e le relative metodologie potrà portare a un apprendimento efficace.
14. Programmi di scambi e di mobilità di docenti e studenti: il programma Erasmus+ e la Community eTwinning a cura di Sandra Scicolone
Cambiare vita, aprire la mente
1. Premessa Changing lives, opening minds : cambiamento, apertura, vita e mente sono le parole chiave di un programma che sta modificando profondamente il modo di intendere la crescita culturale e il processo formativo degli studenti e degli educatori dei paesi dell’Unione europea. Oggi Erasmus+ (in cui plus è parola rigorosamente latina e, in quanto tale, da pronunciare preferibilmente senza variante anglofona) rappresenta, per fondati motivi, l’esperienza di politica comunitaria nel campo dell’educazione, dell’istruzione, della formazione e dello sport che meglio restituisce l’idea di condivisione dei valori identitari dell’Europa. Associato originariamente alla sola mobilità degli studenti universitari, Erasmus (senza il recente plus ) è stato sin dal 1987 una delle quattro azioni del Programma di apprendimento permanente dell’Unione europea. Per la specificità del suo ambito di intervento, ha contribuito a formare diverse generazioni di giovani che, da pionieri dello scambio culturale, hanno acquisito una marcata consapevolezza del sentire comune europeo. Tale atteggiamento è stato prodromico rispetto a quella mobilità professionala divenuta, in fase successiva, la cifra dello spazio europeo del lavoro. Il processo di identificazione tra l’esperienza formativa garantita dal vecchio programma Erasmus e il mondo studentesco universitario ha persino trovato consacrazione in un film, L’appartamento spagnolo , di Cédric Klapisch. Questa pellicola, risalente al 2002, ha contribuito, grazie anche ai buoni incassi registrati al box office, al costituirsi e al diffondersi nell’immaginario collettivo della rappresentazione di un innovativo – e sempre più diffuso – approccio all’apprendimento i cui elementi di base sono l’apertura a culture diverse e l’incontro tra modelli educativi di differenti matrici. A cascata si è imposta nel linguaggio comune una definizione che intende cogliere – e lo fa in modo particolarmente efficace – l’atteggiamento aperto, inclusivo e innovativo dei giovani europei impegnati in periodi di studio universitario all’estero tramite le esperienze di mobilità garantite dagli interventi dell’Unione: parliamo dello spirito della cosiddetta «generazione Erasmus». Tutto questo accadeva fino al 2013. Al termine di quell’anno sarebbe nato il nuovo programma Erasmus+.
2. Il nuovo programma Erasmus+ (programmazione 2014/2020) L’11 dicembre 2013 il Parlamento europeo e il Consiglio, tramite il Regolamento (UE) n. 1288/2013, istituiscono «Erasmus+» quale Programma di azione dell’Unione europea per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport, abrogando, di conseguenza, le decisioni alla base dei precedenti programmi di settore. In buona sostanza Erasmus+ sostituisce, combinandoli e integrandoli sotto un unico nome, i programmi di mobilità e i meccanismi di finanziamento che l’Unione europea aveva attuato fino al 2013. Nell’ambito della nuova denominazione vengono, infatti, accorpati: il Programma di apprendimento permanente, comprendente a sua volta i programmi settoriali Comenius (mobilità per studenti e educatori dell’istruzione scolastica e di altri soggetti a essa afferenti); u Erasmus (mobilità studentesca universitaria); u Leonardo da Vinci (istruzione e formazione professionale); u Grundtvig (mobilità di soggetti coinvolti nell’educazione degli adulti); u il programma Youth – Gioventù in azione (mobilità, apprendimento non tradizionale, dialogo interculturale e integrazione); u i programmi di cooperazione internazionale Erasmus Mundus (mobilità universitaria e postuniversitaria in paesi extraeuropei), Tempus (cooperazione nel settore dell’istruzione superiore in paesi partner dell’area ex Urss e dell’area Mediterranea), Alfa (collaborazione e scambio di esperienze fra istituzioni universitarie europee e dell’America Latina), Edulink (cooperazione nel settore dell’istruzione superiore con gli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico) e il programma di cooperazione bilaterale con i paesi industrializzati; u le Attività Jean Monnet (promozione in tutto il mondo dell’eccellenza degli studi europei a livello accademico). u
L’abrogazione delle decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio istitutive dei suddetti programmi (n. 1719/2006/CE – Gioventù in azione; n. 1720/2006/CE – Apprendimento permanente; n. 1298/ 2008/CE – Erasmus Mundus) nonché del regolamento (CE) n. 1905/2006 destinato ad Alfa III , discende dalla comunicazione della Commissione «Un bilancio per la strategia 2020» che già nel 2011 proponeva l’aggregazione in un solo programma di tutti gli interventi posti in essere dall’Unione europea su istruzione, formazione, gioventù e sport. L’unificazione trova la sua ragione nella necessità di organizzare sinergicamente e di realizzare, tramite approccio integrato, più azioni che risultano comunque riconducibili al medesimo paradigma, quello, cioè, dell’apprendimento permanente. Il
Programma così definito punta ad avere, in forza della sua struttura complessa, un impatto più efficace, sistemico e sostenibile sulle politiche e sulle prassi dei paesi dell’Unione nei settori richiamati. In ragione dell’egida del lifelong learning , Erasmus+, nelle sue varie articolazioni, curva la propria azione sulla Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile (aggettivi chiave dei documenti europei di riferimento già a partire dagli anni Novanta). La strategia fissa cinque ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2020, soprattutto nel settore dell’istruzione, il cui obiettivo è di ridurre i tassi di abbandono scolastico a un livello inferiore al 10%, e fare in modo che almeno il 40% delle persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni abbia portato a termine l’istruzione terziaria o equivalente . Contestualmente Erasmus+ si ancora a Education and Training 2020 (quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione) e agli obiettivi che esso persegue per creare un’Europa basata sulla conoscenza e fare dell’apprendimento permanente una realtà per tutti . Il programma amplia la sfera operativa dei precedenti programmi settoriali integrandola con la promozione dello sport. L’innovazione nasce dall’accoglimento delle indicazioni contenute nella comunicazione della Commissione dal titolo «Sviluppare la dimensione europea dello sport» (18 gennaio 2011). In essa, infatti, l’Unione si impegna a intraprendere un’azione comune a tutti i paesi membri per aumentare l’identità europea dello sport, con particolare riguardo per quello amatoriale, tenendo conto del suo ruolo sociale, della sua dimensione economica, dell’organizzazione che lo caratterizza e del contributo al patrimonio storico e culturale dell’Unione che esso è in grado di offrire. Assai significativamente l’articolo 3 del Regolamento è dedicato al cosiddetto valore aggiunto europeo che Erasmus+ è in grado di garantire tramite tre elementi: a. il carattere transnazionale, soprattutto per quanto riguarda la mobilità e la cooperazione tese a conseguire un impatto sistemico sostenibile; b. la complementarità e sinergia con altri programmi e politiche a livello nazionale, dell’Unione e internazionale; c. il contributo a un uso efficace degli strumenti dell’Unione per la trasparenza e il riconoscimento.
L’articolo 5, invece, fissa gli obiettivi specifici che il Programma intende raggiungere: a. migliorare il livello delle competenze e abilità chiave, con particolare riguardo alla loro rilevanza per il mercato del lavoro e al loro contributo a una società coesa, in particolare mediante maggiori opportunità di mobilità a fini dell’apprendimento e grazie a una cooperazione rafforzata tra mondo dell’istruzione e della formazione e mondo del lavoro; b. favorire i miglioramenti della qualità, l’innovazione, l’eccellenza e l’internazionalizzazione per quanto riguarda gli istituti di istruzione e di formazione, in particolare mediante una maggiore cooperazione transnazionale tra gli istituti di istruzione e formazione e altri soggetti interessati; c. promuovere la realizzazione di uno spazio europeo permanente e lo sviluppo di una maggiore consapevolezza in merito, al fine di supportare le riforme politiche a livello nazionale e la modernizzazione dei sistemi di istruzione e formazione, in particolare attraverso una cooperazione politica rafforzata, un migliore utilizzo degli strumenti dell’Unione per la trasparenza e il riconoscimento e la diffusione delle buone prassi; d. favorire la dimensione internazionale dell’istruzione e della formazione, in particolare attraverso la cooperazione tra gli istituti dell’Unione e dei paesi partner nel settore dell’IFP e dell’istruzione superiore, aumentando l’attrattiva degli istituti di istruzione superiore europei e sostenendo le azioni esterne dell’Unione, inclusi i suoi obiettivi di sviluppo, mediante la promozione della mobilità e della cooperazione tra istituti di istruzione superiore dell’Unione e di paesi partner, anche grazie al potenziamento mirato della capacità nei paesi partner; e. migliorare l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue e promuovere l’ampia diversità linguistica e la consapevolezza interculturale dell’Unione; f. promuovere l’eccellenza in attività di insegnamento e di ricerca nell’ambito dell’integrazione europea mediante le attività Jean Monnet a livello mondiale
Come pervenire a esiti così ambiziosi? Erasmus+ si affida a tre tipologie di azione, indicate negli articoli 7, 8 e 9 del Regolamento: 1. la mobilità individuale ai fini dell’apprendimento; 2. la cooperazione per l’innovazione e lo scambio di buone prassi; 3. il sostegno alle riforme delle politiche. Tali azioni sono dettagliatamente descritte nella Guida al Programma che viene pubblicata, con periodici aggiornamenti, a cura della Commissione europea. La più recente è la Versione 2 (2020) del 26 febbraio 2020. La responsabilità dell’attuazione e del regolare funzionamento di Erasmus+ spetta alla Commissione europea – Direzione generale dell’Istruzione, della gioventù, dello sport e della cultura (DG EAC) che, a livello centralizzato, si avvale dell’Agenzia esecutiva per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura (EACEA) per garantire la gestione dell’intero ciclo di vita dei progetti legati a ciascuna azione. A livello decentrato, invece, la Commissione si affida alle cosiddette Agenzie nazionali per far sì che ogni stato aderente al programma sia pienamente coinvolto nel perseguimento dei suoi obiettivi. Ogni paese individua e nomina la propria agenzia che assume il compito di guidare, accompagnare, supportare, curare e monitorare l’esecuzione delle azioni di Erasmus+ a livello nazionale, garantendone anche la diffusione e la valorizzazione dei risultati. In Italia l’agenzia cui sono affidate le azioni relative ai settori dell’istruzione scolastica, dell’istruzione superiore e dell’educazione degli adulti è l’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) avente sede a Firenze. Presso INDIRE si trovano anche le Unità nazionali eTwinning ed Epale e l’Unità italiana di Eurydice (enti dei quali si parlerà in seguito). L’autorità nazionale competente per il coordinamento del programma è il Ministero dell’Istruzione (Direzione generale per l’edilizia scolastica, fondi strutturali per l’istruzione e l’innovazione digitale). L’attuazione del programma nel suo primo settennato di vita va dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2020. A breve, quindi, sarà dato inizio a una nuova programmazione per il periodo cha va dal 2021 al 2027. A Erasmus+ attualmente aderiscono i ventotto stati membri dell’Unione europea (compreso ancora il Regno Unito fino all’ultimazione di questa tranche temporale), sei paesi extra UE (la Repubblica di Macedonia del Nord, l’Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia, la Turchia e la Serbia), un grande numero di paesi partner confinanti con l’Europa (area mediterranea, area russa) o appartenenti ad altri
continenti. In pratica, l’accessibilità al programma è garantita a milioni di persone.
3. Erasmus+ per l’istruzione scolastica Il raggio di azione del Programma è estremamente vasto poiché intende raggiungere i cittadini dell’Unione europea dall’età scolare a quella adulta, offrendo percorsi di crescita individuale nell’ottica dell’apprendimento per tutta la vita. In questo contesto, tuttavia, risulta opportuno focalizzare l’attenzione solo su quanto e secondo quali modalità operative Erasmus+ possa essere utile per il settore dell’istruzione scolastica. I dati ufficiali offerti dall’Agenzia nazionale ci soccorrono: le nostre scuole hanno intuito da tempo le potenzialità e i benefici del Programma dato che sono circa centomila i docenti e gli alunni che dal 2007 a oggi hanno vissuto esperienze di mobilità in Europa, facendo dell’Italia uno dei paesi con i più alti livelli di partecipazione a Erasmus+. È solo dal 2014, però, che tutte le istituzioni scolastiche italiane di ogni ordine e grado, compresa la scuola dell’infanzia, possono beneficiare delle opportunità offerte da Erasmus+ tramite presentazione di una candidatura consistente in un intervento rientrante nelle azioni specifiche del settore istruzione. Tale progetto viene sottoposto alla valutazione dell’Agenzia nazionale e, se collocato in posizione utile nelle graduatorie stilate per ciascuno dei bandi emanati annualmente, ottiene il finanziamento, sotto forma di sovvenzione, per l’esecuzione delle attività previste. La versione più recente della brochure Erasmus+ per le scuole , pubblicata sul sito ufficiale del Programma nel novembre del 2019, individua i vantaggi che l’adesione a esso può offrire a quanti operano nella scuola: opportunità di sviluppo professionale per insegnanti e personale scolastico; possibilità di conoscere un altro paese europeo per insegnanti, personale scolastico e studenti; u opportunità di ampliare gli orizzonti degli studenti, coltivare le loro aspirazioni e promuovere competenze utili per la loro vita; u possibilità di entrare in contatto con altre scuole in tutta Europa; u creazione di legami con imprese, decisori politici, organizzazioni giovanili e altri partner nel proprio paese e in tutta Europa. u u
Risulta evidente come ciascuno di questi possibili benefici rappresenti uno strumento formidabile per il miglioramento sia del processo di insegnamento/apprendimento che del «sistema scuola» nelle sue varie articolazioni. Infatti tutti coloro che operano in tale sistema sono potenzialmente coinvolti e in grado di dare il loro contributo: docenti, alunni (persino i più piccoli), personale amministrativo e dirigenti scolastici. Nell’ottica di una sempre più necessaria internazionalizzazione dell’istruzione, risulta pertanto vincente per un’istituzione scolastica la scelta di ampliare il proprio orizzonte di riferimento per raccogliere la sfida della globalizzazione e della cittadinanza mondiale. Il confronto con realtà diverse rappresenta sempre un elemento di forza, ancora di più per il settore dell’istruzione chiamato a rispondere con prontezza a cambiamenti culturali e sociali sempre più rapidi e imprevisti. Dinanzi alla difficile capacità di previsione degli scenari futuri, vivere esperienze di incontro, di conoscenza, di approfondimento, di collaborazione e di confronto può diventare il driver per ricalibrare azioni e atteggiamenti non solo del singolo individuo ma anche delle organizzazioni che agiscono tramite i singoli. Tali esperienze, infatti, per la loro densità relazionale e conoscitiva, influiscono positivamente sul potenziamento delle hard e delle soft skills a livello individuale e di sistema. Il rafforzamento delle soft skills, in particolare, contribuisce in modo mirato a migliorare la capacità di assecondare e cavalcare quel continuo cambiamento, spesso imprevisto e imprevedibile, che con tutta probabilità sarà la cifra del nostro vivere futuro. Poiché la scuola è chiamata a istruire e formare individui che dovranno misurarsi con questo scenario, le opportunità formative proposte da Erasmus+, se colte, possono dare realmente gli strumenti per non vivere passivamente il cambiamento. Sono tre le tipologie di attività alle quali le scuole possono accedere: 1. Azione Chiave 1 (KA1) 2. Azione Chiave 2 (KA2) 3. eTwinning. 3.1 L’azione Chiave 1 (KA1 – Key Action 1)
L’azione nasce a sostegno dei progetti di mobilità nel settore dell’istruzione e dell’educazione, della formazione e della gioventù nonché dei titoli di master congiunti Erasmus Mundus e dei prestiti Erasmus+ destinati agli studenti di master. Nel settore scolastico essa consente agli insegnanti, ai dirigenti scolastici e al personale amministrativo di accedere a percorsi di mobilità finalizzati alla partecipazione ad attività formative, a esperienze di docenza e a visite di studio o di osservazione da effettuarsi in un paese straniero per un limitato periodo di tempo. Si tratta di interventi connessi sia al profilo strettamente professionale dei lavoratori, sia alla dimensione propria della scuola di appartenenza degli operatori in mobilità. La scelta delle aree da privilegiare per le attività di formazione e di aggiornamento destinate ai singoli operatori, pertanto, vanno determinate sia sulla base della rilevazione delle esigenze del personale (nella prospettiva della crescita professionale continua), sia sull’analisi dei bisogni formativi e di sistema (quindi anche di natura organizzativa) individuati dall’istituzione scolastica che propone il progetto di mobilità. Fatte tali valutazioni, il progetto, che può prolungarsi per un anno o per un biennio, deve essere predisposto tenendo sempre presenti gli obiettivi generali e specifici del Programma. Le scuole possono investire con Erasmus+ sul potenziamento delle aree che ritengono di particolare impatto sulla qualità e sull’efficacia dell’offerta formativa e del servizio: si pensi al settore delle competenze linguistiche, a quello delle competenze digitali, ma anche all’uso delle tecnologie applicate alla didattica, all’innovazione metodologica, al tema degli special needs o ad aspetti di natura
organizzativa e gestionale. Qualunque sia la scelta delle aree di intervento effettuata dalla scuola, è importante, però, che il progetto di mobilità si basi su un approccio globale e integrato che contemperi le scelte strategiche impattanti su tutto il sistema scuola e la valorizzazione delle risorse umane e che metta in luce la stretta connessione tra questi due fattori in funzione della realizzazione degli obiettivi prefissati. È di tutta evidenza che un docente (ma anche un assistente amministrativo o un dirigente) che ha arricchito le proprie conoscenze e affinato le proprie abilità, che si è misurato con contesti educativi e lavorativi diversi dal proprio – ampliando, così, la sua prospettiva sui processi propri degli ambienti di apprendimento od organizzativi – e che ha potenziato le competenze linguistiche diventi una risorsa preziosa per il contesto in quanto in grado di contribuire positivamente al più efficace funzionamento e all’implementazione degli elementi di qualità di cui necessita una complessa organizzazione quale quella scolastica. Il progetto di mobilità può declinarsi secondo diverse modalità: formazione : il personale scolastico può partecipare a corsi all’estero strutturati per lo sviluppo di specifiche competenze presso centri di formazione accreditati; u eventi formativi : il personale scolastico può prendere parte a seminari, convegni, incontri su tematiche relative a istruzione/educazione e ad aspetti gestionali e organizzativi del settore scolastico; u job shadowing : il personale scolastico può trascorrere un certo periodo di tempo presso un’organizzazione straniera del settore dell’istruzione per studiarne e valutarne le procedure, le metodologie, i materiali e gli strumenti applicati alla didattica; u incarichi di insegnamento : il personale docente ed educativo può, per periodi limitati, insegnare all’estero presso una scuola partner. u
In vista dell’avvio della nuova programmazione 2021/2027, è stata introdotta una novità di rilievo per i prossimi progetti di mobilità dell’Azione Chiave 1. Le istituzioni scolastiche interessate alla progettazione riguardante la mobilità internazionale del loro personale dovranno richiedere il formale accreditamento Erasmus+, una sorta di carta identificativa, valida per i sette anni, che consentirà loro di diventare membri effettivi delle attività future dell’Azione. La richiesta non si esaurisce in una semplice registrazione ma è espressione di un’assunzione di responsabilità da parte della scuola partecipante al Programma che si impegna ad attenersi agli standard di qualità Erasmus+ per garantire la qualità delle mobilità previste. Inoltre la scuola dovrà produrre un Piano Erasmus di carattere generale che espliciti le sue scelte strategiche a lungo termine e che chiarisca come l’adesione al Programma rientri tra le priorità o gli obiettivi di sviluppo che ha definito. Va infine aggiunto che all’Azione Chiave 1 possono partecipare anche le autorità scolastiche e gli organismi di coordinamento tramite la costituzione di consorzi nazionali o territoriali ad hoc. Gli Uffici scolastici regionali, per esempio, possono crearne aggregando più scuole e assumendone i compiti di direzione, progettazione, presentazione della candidatura e di gestione delle risorse. 3.1.1 Fasi di attuazione di un piano di mobilità del personale
La scuola che risulta beneficiaria del finanziamento deve dare attuazione al progetto di mobilità descritto nel Piano di sviluppo europeo (European Development Plan ¬– EDP). Tale piano, inoltrato in fase di candidatura, avrà descritto i seguenti elementi: i bisogni formativi della scuola in termini di sviluppo della qualità e di internazionalizzazione; il contributo delle attività di mobilità programmate a soddisfare i bisogni della scuola; l’impatto atteso su studenti e sistema; l’integrazione dei percorsi formativi col PTOF. Per attuare un piano di tale complessità, occorre affrontare tre step: Primo step: la preparazione costituzione della cabina di regia (dirigente scolastico, project contact person, referenti per la valutazione e la disseminazione); informazione al personale scolastico su: numero di mobilità previste; destinazione; durata della formazione all’estero e periodo di fruibilità; criteri di acquisto di titoli di viaggio, di formazione e di accomodation definiti sulla base della Convenzione; u selezione del personale destinato alle mobilità secondo criteri semplici e chiari (per esempio conoscenze linguistiche e informatiche certificate, stabilità nella scuola, distribuzione delle mobilità su aree disciplinari); u definizione dei task dei destinatari prima, durante e dopo la formazione (compilazione del report individuale finale, contributo alla disseminazione dei contenuti e delle buone pratiche ecc.); u eventuale preparazione linguistica dei partecipanti prima delle mobilità; u stipula di accordi tra i partner (istituzioni scolastiche, enti di formazione, individuati anche attraverso eTwinning e il portale School Education Gateway) e i partecipanti. u u
Secondo step: attuazione delle attività di mobilità Terzo step: il follow-up attuazione del piano di monitoraggio e di valutazione; attuazione del piano di disseminazione; u utilizzo degli esiti del progetto; u convalida ed eventuale riconoscimento formale degli esiti di apprendimento dei partecipanti durante le mobilità; u valutazione su impatto e sostenibilità del progetto; u compilazione della reportistica intermedia e finale sul Mobility tool. u u
3.2 L’azione Chiave 2 (KA2 – Key Action 2)
L’articolo 14 del Regolamento istitutivo di Erasmus+ è dedicato a questa azione. Essa intende promuovere la cooperazione per l’innovazione e lo scambio di buone prassi al fine di contribuire a:
a. forme di partenariato strategico tese a sviluppare e realizzare iniziative congiunte, comprese iniziative per la gioventù e progetti di cittadinanza che promuovono la cittadinanza attiva, l’innovazione sociale, la partecipazione alla vita democratica e l’imprenditorialità attraverso l’apprendimento tra pari e gli scambi di esperienze; b. piattaforme di supporto informatico che consentono l’apprendimento tra pari, l’animazione socioeducativa basata sulla conoscenza, la mobilità virtuale e gli scambi di buone prassi. c. Tale azione sostiene altresì lo sviluppo, la creazione di capacità e gli scambi di conoscenze mediante partenariati tra le organizzazioni nei paesi del Programma e nei paesi partner, in particolare mediante l’apprendimento tra pari.
Le parole chiave di questa Azione sono dunque «partenariato» e «strategico». Se, come scritto in precedenza, l’Azione Chiave 1 si concentra su attività di formazione del singolo individuo come lifelong learning e come implementazione delle risorse del sistema scuola, in questo caso l’attenzione è riservata alla dimensione collettiva dell’apprendimento e allo scambio tra partner di buone prassi e di elementi di innovazione, avendo come riferimenti costanti la promozione della cittadinanza attiva e la piena realizzazione della dimensione europea dell’istruzione. La modalità strategica per attuare gli interventi previsti dall’Azione Chiave 2, dunque, è l’agire tra partner affinché ognuno di essi consegua, nel proprio contesto di appartenenza, gli obiettivi individuati a livello comune. I partenariati strategici che la scuola può promuovere sono di complessità variabile per struttura, risorse, durata e finalità. Scegliere una tipologia piuttosto che un’altra deve derivare, dunque, da una specifica valutazione a monte sulle reali esigenze formative dell’istituzione scolastica, sulle criticità emergenti, sugli ambiti sui quali si vuole intervenire e sugli obiettivi che si intende raggiungere. L’intervento non può, pertanto, prescindere da un’analisi strategica sull’azione della scuola a lungo termine e sulla fattibilità di quanto pianificato. Un’altra condizione determinante per la validità del progetto di partenariato è la sua connessione con le priorità europee nel settore dell’istruzione scolastica. A tal proposito gli inviti che Erasmus+ rivolge alle istituzioni scolastiche affinché presentino candidature per progetti di partenariato indicano le tematiche che, per ogni anno, la Commissione individua come prioritarie. Tra queste, le Agenzie nazionali possono dare maggiore peso a quelle che risultano particolarmente rilevanti nel proprio contesto territoriale (Priorità europee nel contesto nazionale ). Le scuole, pertanto, nel predisporre la loro proposta progettuale, devono necessariamente riferirsi ad almeno una di tali priorità europee specifiche dell’ambito dell’istruzione o ad almeno una delle priorità politiche orizzontali, trasversali a più settori. La presenza o meno di questo elemento incide significativamente sulla valutazione positiva dei progetti candidati. Le priorità orizzontali – valide cioè nell’ambito dell’istruzione, della formazione e della gioventù – sono: Sostegno alle pari opportunità nell’acquisizione e nello sviluppo di competenze di base e chiave, incluse le abilità basilari. Inclusione sociale. u Valori comuni, impegno civico e partecipazione. u Obiettivi ambientali e climatici. u Prassi innovative nell’era digitale. u Sostegno degli educatori, degli animatori giovanili, dei leader didattici e del personale di sostegno. u Trasparenza e riconoscimento delle competenze e delle qualifiche. u Investimenti sostenibili, qualità ed efficienza dei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù. u Valore sociale ed educativo del patrimonio culturale europeo e suo contributo alla creazione di posti di lavoro, alla crescita economica e alla coesione sociale. u u
Le priorità specifiche per il settore dell’istruzione scolastica individuate per l’anno 2020 sono: rafforzare lo sviluppo delle competenze chiave (con riferimento alla Raccomandazione del Consiglio sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 22 maggio 2018 – 2018/C 189/01). u consolidare il profilo delle professioni dell’insegnamento, tra cui, docenti, dirigenti scolastici e formatori degli insegnanti. u promuovere un approccio comprensivo all’insegnamento e all’apprendimento (in linea con la raccomandazione del Consiglio sull’insegnamento e l’apprendimento delle lingue del 22 maggio – 2019 ST/9014/2019/INIT -– in considerazione delle crescenti diversità linguistiche rilevate nelle scuole). u aumentare i livelli di interesse per le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (le discipline riunite nell’acronimo STEM). u affrontare il problema dell’abbandono scolastico e delle condizioni di svantaggio, consentendo il successo di tutti gli studenti, inclusi i bambini provenienti da un contesto migratorio. u sviluppare i servizi educativi e di assistenza per la prima infanzia a costo accessibile e di qualità elevata (in linea con la Raccomandazione del Consiglio ECEC relativa a sistemi di educazione e cura della prima infanzia di alta qualità adottata il 22 maggio 2019). u sviluppare la capacità per la promozione e la facilitazione del riconoscimento dei periodi di apprendimento all’estero (tra cui il follow-up della Raccomandazione del Consiglio sul riconoscimento reciproco automatico del 26 novembre 2018 - 2018/C 444/01). u sviluppare solidi sistemi di garanzia della qualità. u
3.2.1 Tipologie di partenariati strategici
La progettazione di un partenariato strategico può calarsi su due ambiti aventi obiettivi e priorità differenti: il primo è l’ambito dello sviluppo, della condivisione e dell’attuazione di prassi all’insegna dell’innovazione, il secondo ambito riguarda la realizzazione di interventi comuni a più partner europei per promuovere l’apprendimento tra pari e gli scambi di esperienze. I due ambiti si incardinano nelle tipologie di base dell’Azione Chiave 2, aventi ciascuna le sue peculiarità costitutive e il proprio budget (vale ricordare che l’entità della sovvenzione, sempre di natura forfettaria, per la copertura dei costi di organizzazione e di altre voci di spesa si differenzia in base alla complessità dell’intervento). Tali tipologie sono:
a. i partenariati strategici a sostegno dell’innovazione b. i partenariati strategici per lo scambio di buone pratiche.
I partenariati strategici a sostegno dell’innovazione si caratterizzano per la previsione o la presenza di un prodotto, di un’idea, di uno scenario che rappresentino il rinnovamento radicale di una prassi o, ancora, che introducano nuovi metodi didattico-educativi o che producano, comunque, l’efficace svecchiamento di una metodologia, di uno strumento, di un approccio metacognitivo. Questo tipo di partenariato strategico è esperibile anche dalle scuole. I partenariati strategici per lo scambio di buone pratiche, particolarmente adatti alla progettazione scolastica, rappresentano un’occasione importante per favorire la modernizzazione e il rafforzamento del sistema di istruzione con approccio bottom up . Le istituzioni scolastiche, infatti, creano reti sulla base di obiettivi comuni, favoriscono momenti di scambio, confronto, condivisione e diffusione su prassi, metodologie, strumenti, approcci, modelli relazionali ed educativi, nell’ottica sia dell’innalzamento degli standard del processo di insegnamento/apprendimento, sia della co-costruzione della dimensione europea dell’istruzione. Nell’ambito dei partenariati sulle buone prassi rientra la particolare categoria dei cosiddetti partenariati scolastici , destinati, evidentemente, solo al mondo della scuola. Si tratta di un formato di progetto più agile e semplificato rispetto a quello standard del partenariato strategico, adatto alle scuole che si cimentano per la prima volta nella progettazione KA2 come coordinatori (ovvero come istituti richiedenti alla propria Agenzia nazionale) o che partecipano all’intervento come partner in un progetto coordinato da una scuola straniera. Sebbene il budget e il raggio di azione siano più limitati, resta fortissima la valenza della condivisione e/o della cooperazione che i membri del progetto possono praticare organizzando anche scambi di studenti o docenti. A questi ultimi è data anche la facoltà di svolgere attività di insegnamento o formazione all’estero a lungo termine (da due a dodici mesi). Gli scambi di gruppi di alunni possono essere sia di breve durata (da tre giorni a due mesi) sia ampia (da due a dodici mesi). Va sottolineato come tali partenariati rappresentino concretamente un ottimo strumento per innescare il processo di internazionalizzazione nel settore scolastico. Occorre ricordare che l’Azione Chiave 2, pur non nascendo con questa finalità, prevede anche la mobilità fisica del personale e degli studenti purché sia funzionale al raggiungimento degli scopi del progetto. Tale funzionalità può esplicarsi nell’organizzazione di momenti formativi che necessitano della presenza fisica dei partecipanti quali performance e lavori di gruppo, workshop, visite di studio in luoghi e contesti la cui conoscenza sia connessa alla tematica oggetto dell’intervento, eventi per l’applicazione in situ di pratiche. Il flusso di scambio può rivelarsi ottimale se si alternano le modalità in presenza con quelle da remoto. La collaborazione a distanza risulta, a sua volta, ulteriormente potenziata se garantita utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma eTwinning. La più recente versione della brochure Erasmus+ per le scuole riporta le informazioni essenziali dei partenariati sin qui richiamati. Risulta utile riportarle sinteticamente (cfr. Tab. 1). Tabella 1 – Erasmus+. Informazioni essenziali dei partenariati Partenariati scolastici
Formato di candidatura: specifico. Partecipanti: istituzioni scolastiche (min 2, max 6). Durata: da uno a due anni (fino a tre solo per progetti di mobilità studentesca a lungo termine). Sovvenzione: max € 99.000 euro per annualità.
Partenariati strategici per lo scambio di buone pratiche
Partecipanti: organizzazioni attive nei settori istruzione, formazione e gioventù (istituti scolastici, aziende, enti o servizi locali ecc.) min 3, non c’è numero massimo. Durata: da uno a tre anni. Sovvenzione: max €450.000 euro.
Partenariati strategici a sostegno dell’innovazione
Partecipanti: organizzazioni attive nei settori istruzione, formazione e gioventù (istituti scolastici, aziende, enti o servizi locali ecc.) min 3, non c’è numero massimo. Durata: da uno a tre anni. Sovvenzione: max €450.000 euro (con finanziamento ad hoc nel caso in cui siano previsti opere dell’ingegno ed eventi moltiplicatori di diffusione e disseminazione).
3.2.2 Fasi di attuazione di un partenariato strategico
Anche per questo intervento la scuola beneficiaria della sovvenzione in fase di attuazione deve affrontare tre step. Primo step: la preparazione costituzione del team di progetto interno con ruoli definiti; contatti con i partner per condivisione dei task; u criteri e procedure trasparenti di reclutamento e selezione degli alunni partecipanti; u informazione ad alunni e docenti su metodologie, strumenti, prodotti previsti; u informazione ad alunni e docenti su sedi di svolgimento, opzioni di soggiorno e tempistica pianificati; u attuazione piano di comunicazione tra partner; u attuazione piano finanziario con rapporto qualità/costi. u u
Secondo step: l’attuazione u u
attuazione delle attività di scambio, cooperazione e mobilità; attuazione piano di implementazione (se previsto).
Terzo step: il follow-up u
attuazione del piano di monitoraggio e di valutazione (influenza sull’organizzazione, contributo innovativo apportato al sistema didattico-
educativo, valorizzazione delle professionalità interne, valore aggiunto apportato); u attuazione del piano di disseminazione; u utilizzo degli esiti del progetto; u valutazione su impatto e sostenibilità del progetto (su scuola, staff, alunni e partner, a livello locale, nazionale e internazionale); u compilazione della reportistica intermedia e finale sul Mobility tool per la parte di competenza (come istituto coordinatore o partner).
4. Strumenti di ricerca dei partner europei e di informazioni sui progetti Erasmus+ Le scuole che hanno intessuto nel tempo rapporti di collaborazione con organizzazioni europee del settore dell’istruzione e della formazione, aderendo alle iniziative di Erasmus+, possono consolidare ulteriormente tali relazioni o reti. Si ricorda che prima dell’attuale programmazione molti istituti hanno preso parte al Programma Comenius, favorendo già da allora un flusso positivo di idee e progettualità tra realtà scolastiche lontane e diverse. Queste scuole, in qualche modo, partono già con un buon know-how e con esperienze di collaborazione con cui affrontare eventuali nuovi interventi. Per le scuole che non hanno mai partecipato a partenariati o gemellaggi o iniziative di scambio transnazionali Erasmus+ mette a disposizione degli strumenti (dei motori specifici e ragionati di ricerca) per individuare e contattare i potenziali partner di progetto. La scelta dei partner, ovviamente, va effettuata da parte delle scuole sulla base di criteri miranti a selezionare organizzazioni con caratteristiche utili al raggiungimento degli obiettivi che esse hanno prefissato a favore degli studenti, del personale e del territorio. Di seguito si elencano tali strumenti. 4.1 Lo School Education Gateway (SEG)
È una piattaforma online europea gratuita destinata a quanti operano nel settore dell’istruzione scolastica. Propone aggiornamenti continui sul Programma, offre corsi e webinar di approfondimento per gli insegnanti di tutti gli ordini e gradi scolastici e consente di reperire una vasta tipologia di risorse (dai materiali didattici ai report sulle ricerche di settore effettuate a livello mondiale) da utilizzare nella pratica didattica quotidiana, per lo sviluppo professionale individuale e nella progettazione di interventi formativi. Sulla home della piattaforma è presente la sezione Opportunità Erasmus+ all’interno della quale si trovano tre aree contenenti strumenti e informazioni che le scuole possono utilizzare per pianificare una candidatura al Programma. La prima, denominata Catalogo dei corsi , propone corsi di formazione e aggiornamento, in presenza e a distanza, per il personale docente. La seconda area, Opportunità di mobilità , consente di visualizzare in quali paesi aderenti al Programma siano attive, presso un’istituzione scolastica o altra organizzazione europea del settore istruzione, opportunità di insegnamento o di collaborazione progettuale. La terza area, infine, significativamente denominata Ricerca partenariato strategico , permettendo di visualizzare nazione per nazione quante e quali opportunità di collaborazione siano attive, rappresenta uno specifico strumento di ricerca di partner per i progetti dell’Azione Chiave 2. 4.2 La Piattaforma Erasmus+ Projects results
Si tratta di una piattaforma europea del Programma che agevola il processo di visibilità, di accessibilità e di disseminazione dei progetti portati a termine in ogni nazione e dei risultati a essi connessi. Successivamente all’autorizzazione dei progetti e alla stipula dei relativi contratti, la piattaforma di gestione EplusLink ne invia direttamente la sintesi (già elaborata dai richiedenti in fase di candidatura) e le informazioni sulle organizzazioni che beneficiano della sovvenzione alla piattaforma Project Results. In seguito i beneficiari possono ulteriormente aggiornare tali dati secondo modalità comunicate dalla Commissione. Tramite questa piattaforma chiunque voglia cimentarsi nella presentazione di una candidatura ha modo di reperire informazioni di varia tipologia: le tematiche affrontate nei progetti, le composizioni dei partenariati, le aree di formazione più ricercate, i dati numerici e statistici sugli interventi autorizzati in ciascuna nazione, la azioni più richieste, i prodotti innovativi realizzati, le best practices maggiormente condivise, le nazioni più attive in Erasmus+. Il fattore di qualità consequenziale, ma non di secondaria importanza, garantito dalla piattaforma consiste nel suo manifestarsi come propulsore del cosiddetto effetto moltiplicatore . I progetti e le attività consultate, infatti, acquisiscono tale effetto sia portando i loro prodotti in altri progetti, sia svolgendo attività di follow up anche in altre organizzazioni del settore istruzione. L’effetto moltiplicatore conduce, a sua volta, alla piena valorizzazione dei risultati dell’azione progettuale. 4.3 La Community eTwinning
Nata nel 2005, rappresenta una delle azioni di punta dell’attuale programmazione Erasmus+. Configurata come una community online professionale di dimensione europea, raggruppa quasi ottocentomila operatori del settore scolastico (a esclusione del personale amministrativo), uniti dall’interesse a confrontarsi, collaborare, scambiare idee e condividere pratiche innovative, che comunicano in rete e si incontrano in ambienti virtuali. Sono trentasei i paesi aderenti (i ventisette Stati membri dell’UE, più Albania, BosniaErzegovina, Macedonia del Nord, Liechtenstein, Islanda, Norvegia, Regno Unito, Serbia e Turchia; e pure le nazioni confinanti con l’Unione: Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldavia, Ucraina, Tunisia, Giordania e Libano). L’Italia conta quasi ottantamila iscritti. L’Unità europea eTwinning ha sede a Bruxelles presso European Schoolnet (EUN), il consorzio coordinatore dell’azione; quella nazionale italiana, come scritto in precedenza, è istituita presso INDIRE, a Firenze. A livello territoriale operano presso gli Uffici scolastici regionali i referenti eTwinning, individuati per promuovere e diffondere le pratiche dell’azione, ai quali si raccordano i centottanta ambasciatori eTwinning (figura istituita nel 2009 il cui ruolo è ricoperto da docenti esperti) per garantire la capillarità degli interventi informativi, formativi e di promozione della community a livello regionale e locale. Nella comunità virtuale l’accesso a chat, forum, newsgroup o ambienti digitali dedicati consente agli iscritti (ma anche agli studenti che
i docenti intendono coinvolgere) di sviluppare in modo concreto competenze differenti, da quelle digitali a quelle relazionali sino a quelle strettamente disciplinari, affinando altresì quell’attitudine alla ricerca e alla sperimentazione imprescindibile per puntare al miglioramento della qualità dell’istruzione. eTwinning vanta nella sua scheda di presentazione di potere proporre sei buone ragioni per aderirvi: 1. Scambio, collaborazione e confronto : si esalta la piattaforma intesa come comunità di pratiche. 2. Innovazione didattica : l’uso di più competenze in contemporanea contribuisce a rinnovare le pratiche d’aula. 3. Contesto multiculturale : la scuola si apre all’incontro con altre culture. 4. Formazione e aggiornamento : processo costante, in linea con l’idea del lifelong learning. 5. Motivazione e riconoscimento : si possono ottenere riconoscimenti e certificazioni a livello europeo 6. Facilità, sicurezza e supporto : caratteristiche della piattaforma.
La community gioca un ruolo importante anche nell’ambito dei progetti di mobilità individuale e dei partenariati scolastici come strumento di accompagnamento/supporto/implementazione per predisporre, attuare e valorizzare i progetti delle singole scuole. In fase di progettazione i dirigenti e i docenti, per esempio, hanno la possibilità di mettersi in contatto con operatori «esperti» dei gemellaggi e della cooperazione internazionale. Attingendo alla loro esperienza possono pianificare i loro interventi secondo una road map di sicura efficacia. Nella fase di attuazione eTwinning può essere utile per favorire lo scambio e l’incontro tra i partner dei progetti in ambiente digitale, alternando attraverso un canale sicuro e di settore la mobilità fisica con l’incontro virtuale. Questo connubio viene definito «mobilità combinata». In fase di follow up e di valorizzazione degli esiti raggiunti attraverso l’azione progettuale o dei prodotti tramite essa realizzati, la community eTwinning si presta a essere l’ambiente ideale per favorire la conoscenza e la disseminazione. Anche in questo modo si ottiene l’effetto moltiplicatore. Alla luce di ciò, è evidente come, al fine di una valutazione pienamente positiva della proposta di candidatura, l’incontro tra Erasmus+ ed eTwinning, in modo precipuo nei partenariati strategici, possa rivelarsi un valore aggiunto.
5. Erasmus+ e il sistema di riconoscimento e convalida delle abilità e delle qualifiche L’art. 9, c. 1, lett. b) del Regolamento sottolinea l’impegno di Erasmus+ a sostenere le riforme delle politiche attuando quanto avviato a livello di Unione europea, in particolare applicando i seguenti strumenti di trasparenza e di riconoscimento delle abilità e delle qualifiche: Europass (costituito da cinque documenti: il curriculum vitae, il passaporto delle lingue, Europass mobilità, supplemento al certificato e supplemento al diploma); u Youthpass (certificato del programma Gioventù in azione); u il quadro europeo delle qualifiche (EQF); u il sistema europeo di trasferimento e accumulo dei crediti (ECTS); u il sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale (ECVET); u il quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (EQAVET); u il registro europeo di certificazione della qualità dell’istruzione superiore (EQAR); u l’associazione europea per la garanzia della qualità nell’istruzione superiore (ENQA). u
L’elaborazione e l’applicazione di questi strumenti è stato l’esito del lungo cammino dell’Unione verso la costruzione dello spazio europeo dell’istruzione, della formazione e del lavoro. Erasmus+ contribuisce, condividendo gli obiettivi di ET2020, alla diffusione delle politiche di settore. Inoltre, favorendo la mobilità, la realizzazione di percorsi di formazione in contesti formali e non formali e l’internazionalizzazione dell’istruzione, consente a coloro che partecipano alle sue azioni di acquisire competenze linguistiche, digitali e professionali misurabili e certificabili con i suddetti strumenti.
6. Enti coinvolti nell’attuazione del Programma Il Programma si avvale non solo del contributo di eTwinning e del SEG, ma anche di alcuni enti le cui competenze appaiono complementari e funzionali alla sua attuazione. Riportiamo di seguito i più rilevanti: Rete Eurydice: fornisce informazioni, realizza studi, produce analisi, elabora dati sulla struttura e sull’organizzazione del sistema scolastico in Europa. u Youth Wiki: fornisce informazioni sulla condizione giovanile in Europa e sulle politiche nazionali di settore. u EPALE: piattaforma digitale europea, finanziata dal Programma Erasmus+, rivolta a quanti operano, a vario titolo, nel settore dell’apprendimento degli adulti. u Erasmus+ Virtual Exchange: favorisce la mobilità virtuale, a fini formativi e tramite strumenti di apprendimento online, tra giovani di entrambi i lati del Mediterraneo. u Centri Nazionali Europass: svolgono attività di supporto per la mobilità a scopo lavorativo. u
7. Documenti di riferimento e link utili Obiettivi della Strategia Europa 2020 Obiettivi ET2020 Regolamento (Ue) N. 1288/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 Dicembre 2013 (IT 20.12.2013 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 347/57) Guida pratica per i dirigenti scolastici, 2018 Guida del Programma Erasmus+ edizione 2020, febbraio 2020 Erasmu+s per le scuole edizione 2020 – novembre 2019 Portale School Education Gateway Piattaforma Erasmus+ Projects results Community eTwinning
15. Il digitale come dimensione del XXI secolo a cura di Laura Biancato e Alessandra Rucci
1. Introduzione Parlare di «scuola digitale» nella società attuale può sembrare paradossale, eppure è assolutamente necessario. Lo è perché le istituzioni educative sono naturalmente resistenti alle trasformazioni e tendono a riprodurre se stesse e la propria grammatica, nonostante i cambiamenti sociali. L’argomento, che spesso è stato affrontato con dinamiche di polarizzazione, per esempio quella degli apocalittici e degli integrati, sarà qui trattato con sano realismo. Perché la tecnologia digitale non dovrebbe avere cittadinanza nei contesti educativi se è già parte della vita quotidiana e di ogni lavoro? Piuttosto che chiedersi se introdurla o meno, è sensato interrogarsi su quali usi possano essere saggi e utili alla formazione dei cittadini del XXI secolo. Con buona pace dei tecno-entusiasti e dei tecno-scettici, ogni profonda trasformazione tecnologica comporta perdite e guadagni, dunque, piuttosto che resistervi occorre riflettere su come minimizzare le perdite e massimizzare i guadagni. Integrare il digitale in modo intelligente nei contesti educativi è possibile e in questa congiuntura si riscontrano condizioni di contesto favorevoli: da un lato esiste un Piano Nazionale Scuola Digitale che ha tracciato linee guida per questo percorso, esistono esperienze di fruttuosa integrazione del digitale nella didattica, come quella delle scuole del movimento di Avanguardie Educative che ha generato un processo di disseminazione dell’innovazione importante e geograficamente distribuito, esiste una forte attenzione istituzionale alla formazione delle risorse umane in questo settore [340] . Nei limiti di spazio e di contesto di questo intervento, si cercherà di individuare alcune tappe del percorso possibile, senza che queste abbiano la pretesa di essere esaustive, ma piuttosto di fornire stimoli e spunti di riflessione e soprattutto di sgombrare il campo da equivoci e soluzioni semplicistiche.
2. Il digitale al servizio delle competenze Il principio che il sistema educativo non cambi in virtù dell’introduzione della tecnologia è stato ampiamente dimostrato dalle evidenze di ricerca, tanto da essere annoverato fra le mitologie urbane [341] in tema educativo [342] . Il punto di partenza del nostro discorso non saranno dunque le tecnologie, ma quale tipo di apprendimento sia sensato promuovere nella società contemporanea e come tradurlo nella pratica didattica quotidiana. Da molto tempo la scuola è richiamata a riferirsi a percorsi di apprendimento per competenze. I documenti normativi ufficiali le menzionano in ogni dove e nelle nostre scuole vige il dovere istituzionale di certificarle al termine di alcune tappe del percorso di studi, ma l’esperienza, nonostante l’esistenza di un’ampia letteratura anche didattica, delinea un panorama in cui la cultura delle competenze è carente se non addirittura assente [343] . Promuovere lo sviluppo di competenze presuppone l’esistenza di contesti didattici appositamente strutturati, che poco somigliano alla realtà delle nostre scuole. La maggior parte di esse, specie a partire dal segmento della secondaria, è rigidamente ancorata all’apprendimento di conoscenze e a una visione dell’insegnamento di tipo magistrale, che vede il docente come dispensatore della conoscenza a gruppi di studenti che la ricevono prevalentemente attraverso l’ascolto o la lettura della parola stampata. Il tempo scuola è inteso generalmente come tempo dell’ascolto o della riproduzione del sapere che si sostanzia nell’interrogazione o nella verifica scritta. L’apprendimento di competenze necessita invece di condizioni diverse, di un ruolo attivo dello studente, che non deve solo ricevere input, ma deve anche produrre, risolvere problemi, formulare ipotesi, confrontarsi con i pari e con gli adulti, ricercare informazioni e valutarle. Necessita di un tempo scuola che sia anche laboratoriale e che consenta, in maniera commisurata all’età, graduali assunzioni di responsabilità e di scelta. L’acquisizione di competenze ha bisogno di processi di negoziazione sociale, con largo spazio da dedicare al confronto e al lavoro in gruppo, dando modo ai discenti di riflettere sul proprio percorso e di acquisirne un controllo sempre più consapevole. Parlare di scuola digitale allora non è forse del tutto appropriato in quanto potrebbe indurre erroneamente a focalizzarsi sulla tecnologia, quando il core del problema è da individuare nelle pedagogie di riferimento e nelle strategie didattiche di cui abbiamo bisogno. La tecnologia entra di diritto in questo discorso, ma non come centro del problema. È vero che la scuola che abbiamo ereditato non ha dato cittadinanza al digitale, che è parte della vita di ciascuno di noi e lo sarà ancor più in futuro, ma questa resistenza all’ingresso di tecnologie altre rispetto alla carta stampata, è sintomo della rigidità del sistema scolastico e dalla sua difficoltà a spostarsi dal modello consolidato di trasmissione/riproduzione a quello di acquisizione di competenze. La tecnologia non serve alla scuola trasmissiva, è un optional di lusso che non cambia la sostanza dei processi, mentre in una scuola che miri all’apprendimento di competenze e alla costruzione sociale del sapere, gli strumenti digitali possono utilmente integrare la tecnologia della stampa. Il digitale amplia l’accesso all’informazione, favorisce la collaborazione e l’interazione, permette l’uso di una molteplicità di codici per comunicare e rendere visibile l’apprendimento, favorisce lo sviluppo di intelligenza, anche distribuita, per risolvere problemi complessi. A questo serve sostanzialmente la tecnologia nei processi di apprendimento e utilizzarla per questi scopi significa anche mettere gli studenti a contatto con gli strumenti che utilizzeranno nel loro
lavoro, comprenderli, utilizzarli in modo competente, intelligente, critico ed etico. Comprendere questa cornice di riferimento è il primo passo del cammino per l’acquisizione delle competenze di cittadinanza digitale. Partire dalla visione dell’apprendimento e non dalla tecnologia, questo il primo passo per creare una scuola digitale. In termini pratici significa muovere la riflessione e il confronto nell’ambito degli organi competenti su che cosa sia utile e necessario a promuovere competenze, su come vada ripensato l’approccio didattico, sul delicato rapporto fra saperi e competenze, sulla valutazione e sugli strumenti di verifica; significa sollecitare l’apertura e l’incontro dei diversi campi disciplinari, nella consapevolezza che molte competenze sono trasversali, si avvalgono dell’apporto di molti domini e necessitano di un abbattimento di quelli che, anche nel vissuto dei discenti, sono percepiti come confini rigidi e spesso invalicabili tra una materia e l’altra. In termini operativi significa sensibilizzare i consigli di classe a lavorare in modo sostanziale e non formale, recuperando tempi e spazi di confronto costante e continuo che possono essere facilitati dall’adozione di piattaforme digitali collaborative di sistema. Significa aprire le classi, accogliere strutturalmente modalità di lavoro collaborativo che superino anche la divisione in classi, accettare che gli studenti di una stessa classe lavorino su attività diverse in spazi diversi, scegliendo modalità congeniali di lavoro [344] .
3. Quali strumenti per la scuola digitale? Anche se potrà sembrare difficile da credere, la scuola digitale non necessita di risorse inarrivabili, né la sua qualità risiede nella marca o nella tipologia degli strumenti, bensì nella filosofia d’uso e nella capacità di ottimizzare ciò che si ha a disposizione. Il punto di partenza non sono le LIM ma piuttosto la connessione. L’elemento più importante infatti, tanto da doversi ritenere il primo e più importante investimento per una scuola, è un buon collegamento a Internet con una banda sufficiente a sostenere un elevato numero di accessi in contemporanea. Questo perché le tecnologie di rete sono quelle che meglio consentono la collaborazione e la comunicazione e anche perché, come vedremo, molte applicazioni utili al lavoro didattico sono disponibili in rete. Scuola digitale inoltre non significa che gli strumenti di lavoro debbano essere messi a disposizione dall’istituto. Un modello simile non è sostenibile, così come non sarebbe sostenibile pensare che i libri di testo siano di proprietà della scuola che li fornisce agli studenti. Oggi è sensato considerare i dispositivi come strumenti di lavoro personali, corredo didattico al pari dei libri e dei quaderni. Ciascuno studente dovrebbe lavorare con il proprio dispositivo, secondo la filosofia del BYOD, acronimo per Bring Your Own Device (Porta il tuo dispositivo), unico modello sostenibile non solo per le risorse che abbiamo a disposizione, ma anche per una corretta impostazione del lavoro. Si potrà obiettare che alcune scuole nel nostro paese hanno adottato soluzioni diverse, pacchetti proprietari o soluzioni integrate commercializzate da qualche azienda, mettendo gli strumenti della scuola a disposizione degli studenti, ma si tratta quasi sempre di realtà che hanno beneficiato di finanziamenti particolari e consistenti, dell’entità di alcune centinaia di migliaia di euro [345] . Anche in questi casi tuttavia gli strumenti sono a disposizione solo di alcune classi e difficilmente coprono l’intera popolazione scolastica. E in ogni caso non si tratta di un modello scalabile. I dispositivi sono soggetti a una rapida obsolescenza e destinati a diventare nel giro di pochi anni un costo improduttivo per la scuola. Il modello BYOD dunque è l’unico praticabile ed è anche quello che il PNSD indica come percorribile e incentivabile attraverso politiche attive che dovrebbero prevedere l’accesso a un device anche a categorie economicamente svantaggiate. Con gli studenti dotati ciascuno del proprio dispositivo ogni aula può trasformarsi in un laboratorio [346] . Avendo premesso che l’importante non sono gli strumenti ma l’uso che se ne fa, occorre spendere alcune parole sui software che servono alla scuola digitale e anche qui si potrà restare sorpresi perché la maggior parte di ciò che può essere utile è disponibile in quantità e varietà davvero inimmaginabili in forma libera sul web. Esistono gruppi social, blog, siti, con indicazioni di ogni genere e dove ogni docente potrebbe avere solo l’imbarazzo della scelta, purché dotato di curiosità e desiderio di sperimentare i numerosi strumenti a disposizione [347] . Una scelta strategica per la scuola digitale è quella di prevedere il collegamento di tutta la comunità scolastica attraverso piattaforme di condivisione e collaborazione, utili alla dematerializzazione delle comunicazioni interne, all’archiviazione delle risorse documentali e alla circolazione del sapere. Anche in questo caso esistono strumenti del tutto gratuiti per le istituzioni educative che sviluppano e implementano di continuo nuove e utili funzionalità. Tali soluzioni rappresentano un grande punto di forza per un uso intelligente del digitale, che si estende dal campo didattico a quello dell’ottimizzazione organizzativa. Quantunque a oggi sia stata messa in campo una consistente quantità di risorse a sostegno del processo, gli interventi istituzionali non possono essere risolutivi e serve invece la capacità di coinvolgere la comunità territoriale e gli utenti. Occorre avere un piano ben definito degli investimenti e delle priorità in base agli obiettivi da realizzare e la capacità di attrarre tutti i soggetti che possano avere interesse a dotare il territorio di una scuola migliore. Stipulare un patto con le famiglie per finalizzare forme di contributo volontario, promuovere iniziative di crowdfounding, organizzare eventi di autofinanziamento, coinvolgere le imprese.
4. Ambienti fisici per la didattica digitale Se la scuola digitale è la scuola delle competenze, dell’apprendimento attivo, della dimensione laboratoriale, è evidente che ciò che abbiamo ereditato, non solo in quanto a dotazione tecnologica, non è adeguato al cambio di paradigma. Le aule dei nostri edifici
scolastici sono per lo più spazi piccoli, pensati per ospitare cattedra, lavagna e banchi disposti a file, ambienti essenziali per un modello trasmissivo di apprendimento in cui la scuola non è luogo di lavoro e di ricerca. Oltre a questa considerazione occorre aprire una parentesi sulla qualità di questi spazi. Sappiamo bene che in molti casi gli edifici sono vecchi, non sempre rispettano le norme di sicurezza e non rispondono ad alcun canone estetico, meno che mai a principi di psicologia ambientale. Questo aspetto non è irrilevante. Il messaggio che si veicola ai discenti, ospitando le esperienze di apprendimento in spazi scarsamente curati, è piuttosto pericoloso, implica una svalutazione dell’esperienza stessa di apprendimento, una scarsa attenzione nei confronti dei bambini e adolescenti e del loro diritto ad apprendere in luoghi confortevoli e belli. I nostri spazi sono rigidi e asettici, mentre dovrebbero essere flessibili, adatti a una pluralità di usi e setting diversi, personalizzati e personalizzabili, ricchi di materiali e di risorse. Tutte le scuole hanno bisogno di essere rinnovate e questo non potrà avvenire solo in virtù di investimenti straordinari del ministero, ma occorre il concorso degli enti locali, della comunità e delle aziende. Lo spazio della scuola digitale è dunque flessibile e dinamico, a misura di discente. Per creare questi ambienti occorre pianificare una strategia di miglioramento partendo da piccoli obiettivi, pensando a un nuovo uso di quello che si ha a disposizione: usare il colore, possibilmente seguendo le indicazioni della psicologia ambientale sulle sue proprietà [348] ; prevedere una sostituzione graduale, anche promuovendo accordi con gli enti competenti, degli arredi obsoleti con arredi per le aule del futuro, leggeri, modulari, in grado di creare setting adeguati ai differenti momenti dell’attività didattica; spostare nelle aule parte del materiale di laboratorio o farvi convogliare materiali poveri per lavorare su esperimenti hands on ; diffondere nelle aule parte del patrimonio librario ospitato nella biblioteca centrale; arredare gli spazi aperti, come atrii e corridoi, come spazi per il lavoro individuale e di gruppo, creando anche angoli di aggregazione spontanea e informale e di relax. Se si vuole incidere in misura più forte sull’intero sistema, si può pensare a un’organizzazione didattica per aule laboratorio, in cui lo spazio dell’aula non è contenitore di un gruppo classe, ma di una disciplina o di un gruppo di discipline affini e in cui gli studenti ruotano in base all’orario. Questo modello, già consolidato in parecchie scuole italiane, consente alcuni vantaggi fra i quali la possibilità di allestire le aule come spazi organizzati per ospitare varie attività di apprendimento, dotati di specifiche risorse, anche virtuali, in cui i docenti che li condividono possono mettere in comune esperienze e risultati delle attività delle loro classi. La possibilità per gli studenti di cambiare ambiente più volte nel corso della mattinata va incontro al bisogno di stacco e di movimento che è sicuramente salutare dopo un tempo di concentrazione, inoltre lo spazio di apprendimento, se ben allestito e personalizzato, può predisporre e motivare gli studenti a un’attività specifica. Vi è anche il vantaggio di poter usufruire a pieno regime dei laboratori linguistici, scientifici, artistici, facendoli diventare aule come le altre e forzando in tal modo l’attività esperienziale per le materie in cui questa rappresenta una componente importante. È bene in ogni caso sapere che questo modello può essere realizzato con un numero di aule adeguato a disposizione, in quanto l’organizzazione dell’orario comporta che non tutte le aule possano essere occupate ogni ora, ma ce ne sono alcune che restano vuote, quelle dedicate alle discipline con meno ore curricolari.
5. Ambienti in cloud per la comunicazione e la didattica Per scuola in cloud si intende la possibilità per gli istituti di dotarsi di sistemi integrati per comunicare, creare classi virtuali, riunirsi online, condividere e cooperare per la costruzione di materiali didattici, e molto altro. L’attivazione di strumenti via web, per integrare e/o non interrompere il percorso formativo, è utile sempre, non solo in condizioni di emergenza. L’uso della rete e dei sistemi cloud è efficace per mantenere i contatti, per informare, per la continuità didattica, nei casi eccezionali in cui la scuola debba restare chiusa, ma allo stesso modo quando si voglia raggiungere studenti con particolari difficoltà (malattia, attività agonistica che comporti assenza dalla scuola, particolari esigenze di supporto e rinforzo degli apprendimenti…) e, comunque, come supporto della normale attività scolastica. La didattica in rete favorisce l’individualizzazione e la personalizzazione, con un’attenzione particolare all’inclusione. Oggi ogni istituto scolastico dovrebbe essere dotato di un sistema cloud, studiato e calibrato sulle proprie esigenze e in base alla specifica situazione (grandezza dell’istituto, età degli studenti, disponibilità della connessione della scuola e delle famiglie…) Per costruire il sistema si può partire dal sistematizzare, riassumere e rendere esplicite molte delle pratiche di comunicazione, condivisione e didattica online, che già sono presenti e usuali nelle scuole, a uso dei docenti, degli studenti e delle famiglie. Cloud per comunicare – Sempre, ma ancor più in momenti di emergenza e di chiusura della scuola, è importante che si rimanga connessi all’istituto, non perdendo il collegamento con e tra i docenti, la scuola, gli studenti e le famiglie. Essere potenzialmente in grado di raggiungere il 100% del personale e delle famiglie (se non anche gli studenti, in età opportuna) deve essere il primo obiettivo. Ogni istituto dovrebbe assegnare e utilizzare account email istituzionali, eliminando l’uso di account privati, in primo luogo per il personale, ma preferibilmente anche per gli studenti più grandi (decisione da assumere anche in base all’età degli studenti, tendenzialmente possibile già dall’ultimo anno della scuola primaria, con i dovuti accorgimenti quale la limitazione all’interno del dominio della scuola). Come possono «viaggiare» sicure, veloci e massive le comunicazioni nella scuola? La comunicazione deve essere quanto più possibile «istituzionale» e stabilita dalla scuola. È necessario un organigramma che definisca i ruoli di amministratore dei vari canali. Va evitato, solo per fare un esempio, che proliferino chat WhatsApp tra singoli docenti, studenti e famiglie, per l’invio di compiti, informazioni o altro. Oppure che il singolo docente istituisca un gruppo su Facebook.
Per evitare pratiche improprie, l’istituto deve garantire le condizioni all’interno delle quali comunicare in sicurezza e bene. Quindi, per esempio, si possono organizzare e utilizzare per la comunicazione (in ordine di rapporto efficacia/correttezza): mail individuali e massive tramite gli account istituzionali forniti a inizio anno a tutti; registro elettronico e segreteria digitale. Il registro elettronico consente ai docenti di comunicare con le famiglie e gli studenti, inserire materiali didattici nell’area dedicata agli studenti. Tramite la segreteria digitale vengono inviate dalla segreteria le comunicazioni alle famiglie; u sito istituzionale; u pagina Facebook ufficiale; u chat WhatsApp (con comunicazione unidirezionale) o canale Telegram riservato a studenti e utenti. u u
Cloud per apprendere – Il minimo che deve essere previsto da ogni scuola è la possibilità che i docenti provvedano alla condivisione di materiali didattici con gli studenti. Le modalità sono varie, in ordine di semplicità: possibilità di inviare materiali didattici per mail, utilizzando eventualmente gli account e i gruppi mail già predisposti per classe. Questa modalità è molto semplice e accessibile per i docenti, ma non è ottimale, perché non crea un archivio consultabile e i materiali rischiano di «perdersi»; u il registro elettronico è già di per sé una piattaforma. Ce l’ha la quasi totalità delle scuole. Quasi tutti i sistemi consentono di inserire materiali didattici, ma non sempre di interagire in modo sincrono, come invece avviene con piattaforme cloud come quelle descritte a seguire; u le vere e proprie piattaforme cloud assolvono alle funzioni di comunicazione, materiali didattici, e molto altro. u
6. La scelta delle piattaforme in cloud In una scuola è bene evitare il proliferare di troppe piattaforme, seppure ottime, per le classi, per non costringere docenti, famiglie e studenti ad accessi a strumenti diversi con credenziali diverse. Esistono piattaforme proprietarie che concedono uso gratuito alle scuole, con spazio di archiviazione illimitato e applicazioni, conformi alla normativa sulla privacy, attivabili solo da istituzioni educative. La scelta della piattaforma può essere valutata anche in base ai device individuali o di laboratorio utilizzati dagli studenti e dai docenti. Generalmente presentano le stesse funzionalità, con impostazioni simili e includono funzionalità dedicate alla gestione di classi virtuali, sia di tipo asincrono che sincrono. Con queste ultime è possibile realizzare lezioni in video conferenza (webinar ). Per accedere alle piattaforme cloud sono necessari: la connessione internet; un dispositivo elettronico fisso o mobile; u credenziali date dalla scuola (account e password). u u
In condizioni di emergenza può essere che qualche studente (o qualche famiglia) sia impossibilitato a collegarsi a Internet e/o sia sprovvisto di dispositivi digitali. In questo caso, nello spirito di comunità che caratterizza tutte le scuole, può essere utile sollecitare la condivisione degli strumenti a disposizione e l’aiuto reciproco. Le eventuali situazioni note di difficoltà di accesso alla rete, per qualsiasi motivo, potranno essere gestite dalla scuola, in accordo con le famiglie, anche con modalità alternative rispetto al digitale. Soprattutto nel primo ciclo di istruzione, risultano decisive le reti familiari, i rappresentanti di classe ecc. In tutti i casi, risulta fondamentale la conoscenza dettagliata delle situazioni da parte dei docenti. In periodi di emergenza le piattaforme in cloud hanno dimostrato la loro importanza per garantire il processo di insegnamentoapprendimento. Il modo più semplice per non interrompere la continuità del percorso formativo è mantenere la cadenza dell’impegno normalmente previsto, facendo attenzione a non oltrepassare il monte ore delle diverse discipline e il relativo carico di lavoro. Paradossalmente, il rischio è che non si riesca a calibrare il peso delle attività e si esageri. Si può predisporre l’organizzazione di aule virtuali, anche utilizzando la modalità dei webinar, oppure fornendo indicazioni agli studenti sul lavoro da fare. In questo caso, è bene tenere come riferimento l’orario scolastico, in modo da non creare sovrapposizioni. Alle famiglie (nel caso di studenti del primo ciclo) o agli studenti (nel caso del secondo ciclo) verrà richiesto di controllare il proprio account, il registro e la piattaforma. Nella pianificazione delle attività, è necessario considerare diversi fattori, tra cui il tempo da passare davanti agli schermi, che deve comunque essere «sostenibile», sia per gli studenti che per i docenti. 6.1 Il carico di lavoro per gli studenti
È importante ricordare che i «compiti» tradizionali sono funzionali alla didattica «normale», in presenza. Nel caso in cui si realizzino esperienze di didattica a distanza è necessario ragionare in termini di «attività di apprendimento» e ricordare che la didattica a distanza non può risolversi nella mera assegnazione di tradizionali compiti o di studio individuale. È necessario garantire un feedback sul lavoro svolto, tenendo presente che, a differenza della situazione normale, il compito in questo caso non è integrativo del lavoro svolto a scuola, ma viene ad assumere un ruolo sostitutivo. Nel primo ciclo di istruzione, inoltre, va tenuto conto dell’età degli alunni, per cui l’interlocutore non è direttamente lo studente (salvo forse negli ultimi anni della secondaria di primo grado) ma le famiglie.
6.2 E per i più piccoli?
Anche i bambini più piccoli, che frequentano la scuola dell’infanzia e i primi anni della scuola primaria, possono essere coinvolti in attività didattiche a distanza, ovviamente con la mediazione delle famiglie. Si potranno progettare, per esempio, mini-siti web dedicati, nei quali far trovare brevi video o altri contenuti. Molto indicati e semplici da realizzare: letture ad alta voce di brevi testi da parte dell’insegnante o piccole consegne di lavoro in stile tutorial o «Art-Attack».
7. Cittadini digitali La scuola digitale ha bisogno di un adeguamento del proprio curricolo per far sì che gli studenti imparino a operare in modo sicuro ed eticamente responsabile nella società della conoscenza. La familiarità tecnologica e la frequentazione abituale di molti e diversi dispositivi e ambienti non garantisce infatti che i giovani sappiano abitare la rete con la consapevolezza di essere in un mondo assai complesso in cui è necessario ricercare correttamente, ma anche valutare, filtrare, scegliere tra l’enorme massa di dati in circolazione, in cui esistono luoghi e culture da conoscere, protocolli di comportamento da osservare e rischi da evitare [349] . Alcuni sociologi hanno riscontrato che l’uso spontaneo che i giovani fanno della tecnologia è prevalentemente ricreativo e sociale, mentre non sono abituati a servirsene come ambiente e strumento di lavoro e non sono in grado di evitarne i rischi [350] . È naturale che le competenze di cittadinanza digitale non possano che essere acquisite nei contesti educativi, attraverso appositi percorsi didattici inquadrati in un curricolo trasversale, valutate e certificate con adeguati strumenti. A oggi non esistono in Italia indicazioni relative a questo curricolo, ci sono tuttavia framework di riferimento sviluppati in contesti europei ed extraeuropei [351] e si può far tesoro di alcuni lavori italiani seri e accurati che, pur non essendo esaustivi, sono utili come base di partenza per elaborare percorsi più ricchi e articolati [352] . La scuola digitale ha dunque bisogno di competenze trasversali specifiche , ciò implica disegnare percorsi didattici che permettano di acquisire queste competenze, pensare compiti adeguati e adeguate forme di verifica e certificazione. I nativi digitali, categoria che è corretto riferire unicamente all’appartenenza per nascita a una società dominata dal digitale, non sono saggi digitali, pertanto i sistemi educativi non possono sfuggire all’imperativo di formare tale saggezza.
8. Costruire un curricolo per le competenze digitali Le competenze digitali sono oggi dunque da considerare a tutti gli effetti competenze di base, il cui sviluppo investe l’intero arco della vita, e che per quanto riguarda l’ambito scolastico si inserisce trasversalmente e coinvolge tutte le discipline, non soltanto quelle apparentemente più affini. Sarebbe dunque fondamentale potersi riferire a una chiara definizione, a livello nazionale e condiviso, dei traguardi che ciascuno studente dovrebbe raggiungere al termine di ogni ciclo di istruzione; un orientamento per la progettazione curricolare degli istituti scolastici, che faccia da bussola anche per lo sviluppo delle competenze digitali dei docenti. Della necessità di framework condivisi ha parlato più volte AgID (Agenzia per l’Italia digitale, Presidenza del Consiglio dei Ministri) che nel marzo 2016 ha lanciato una «Coalizione per le competenze digitali» [353] , sollecitando e avviando un percorso per la definizione di uno specifico piano di intervento, che prevede l’adozione, appunto, di framework standardizzati. Lo sostiene lo stesso PNSD, che al punto 4.2 (Competenze e Contenuti) richiama la necessità di «Definire una matrice comune di competenze digitali che ogni studente deve sviluppare» [354] e specifica nelle azioni dalla #14 alla #17 come fare. A oggi il nostro paese ha a disposizione un sillabo di Educazione civica digitale che offre una cornice narrativa di riferimento ma non rappresenta un framework utile alla progettazione didattica.
9. Il framework europeo DigComp Sopperisce a questa mancanza un ottimo strumento, il framework europeo per le competenze digitali del cittadino denominato «DigComp», commissionato e messo a punto su mandato della Commissione europea nel 2013. Il quadro di riferimento DigComp [355] rappresenta un modello che definisce lo sviluppo della competenza digitale nell’arco della vita ed è strutturato in aree e sottoaree che dettagliano le singole sottocompetenze. Il framework descrive uno sviluppo completo della competenza digitale che corrisponde ai bisogni di cui sono portatori i cittadini nell’era digitale: bisogno di essere informato, bisogno di interagire, bisogno di esprimersi, bisogno di protezione dei dati personali, bisogno di gestire situazioni problematiche connesse agli strumenti tecnologici e ambienti digitali. Non è un curricolo per obiettivi, non è un modello di certificazione (anche se può orientarne il rilascio), rappresenta piuttosto un cruscotto di lavoro, che può essere applicato non solo in contesti scolastici e educativi. Pubblicato per la prima volta nel 2013, nel 2016 ne è uscita una nuova versione 2.0 [356] , che ha aggiornato il modello concettuale e proposto degli esempi di applicazione.
Il modello declina la competenza digitale secondo 5 aree e 21 descrittori di competenza (sottoaree o sottocompetenze; cfr. Tab. 1). Tabella 1 1 – INFORMAZIONE E ALFABETIZZAZIONE NELLA RICERCA DEI DATI (DATA LITERACY)
1.1 Navigare, ricercare e filtrare dati, informazioni e contenuti digitali 1.2 Valutare dati, informazioni e contenuti digitali 1.3 Gestire dati, informazioni e contenuti digitali
2 - COMUNICAZIONE E COLLABORAZIONE
2.1 Interagire con le tecnologie digitali 2.2 Condividere con le tecnologie digitali 2.3 Impegnarsi nella cittadinanza con le tecnologie digitali 2.4 Collaborare attraverso le tecnologie digitali 2.5 Netiquette 2.6 Gestire l’identità digitale
3 – CREAZIONE DI CONTENUTI
3.1 Sviluppare contenuti digitali 3.2 Integrare e rielaborare contenuti digitali 3.3 Copyright e licenze 3.4 Programmazione
4 - SICUREZZA
4.1 Proteggere i dispositivi 4.2 Proteggere i dati personali e la privacy 4.3 Tutelare la salute e il benessere 4.4 Tutelare l’ambiente
5 – SOLUZIONE DI PROBLEMI
5.1 Risolvere i problemi tecnici 5.2 Identificare i bisogni e le risposte tecnologiche 5.3 Utilizzare creativamente le tecnologie digitali 5.4 Identificare i gap di competenza digitale
Com’è evidente, il framework suggerisce una suddivisione, non gerarchica ma paritetica, della competenza digitale in cinque distinti ambiti, che Sandra Troia e Annusca Ferrari [357] descrivono così: 1. INFORMAZIONE: identificare, localizzare, recuperare, conservare, organizzare e analizzare le informazioni digitali, giudicare la loro importanza e lo scopo. 2. COMUNICAZIONE: comunicare in ambienti digitali, condividere risorse attraverso strumenti on-line, collegarsi con gli altri e collaborare attraverso strumenti digitali, interagire e partecipare alle comunità e alle reti. 3. CREAZIONE DI CONTENUTI: creare e modificare nuovi contenuti (da elaborazione testi a immagini e video); integrare e rielaborare le conoscenze e i contenuti; produrre espressioni creative, contenuti media e programmare; conoscere e applicare i diritti di proprietà intellettuale e le licenze. 4. SICUREZZA: protezione personale, protezione dei dati, protezione dell’identità digitale, misure di sicurezza, uso sicuro e sostenibile. 5. PROBLEM SOLVING: identificare i bisogni e le risorse digitali, prendere decisioni informate sui più appropriati strumenti digitali secondo lo scopo o necessità, risolvere problemi concettuali attraverso i mezzi digitali, utilizzare creativamente le tecnologie, risolvere problemi tecnici, aggiornare la propria competenza e quella altrui.
Nell’intento di tracciare un percorso graduale all’interno di ciascuna competenza, il modello sceglie poi di indicare 3 livelli di padronanza (base, intermedio e avanzato) e passa successivamente a descrivere esempi di conoscenze, abilità e atteggiamenti ed esempi di applicabilità, riferibili anche all’occupazione e al lavoro. La versione DigComp 2.1, pubblicata nel marzo 2017, ha aggiornato la precedente, supportando il framework con una veste esplicativa di tipo grafico che utilizza molto opportunamente la metafora dell’imparare a nuotare nell’oceano digitale. DigComp 2.1 ci aiuta a comprendere come considerare la competenza digitale nelle sue diverse articolazioni e per livelli, nelle dimensioni orizzontale e verticale. Orizzontale perché vengono mantenute, come nella versione precedente, in modo paritetico: le aree di competenza che, come abbiamo visto nel primo schema, sono 5, non hanno uno sviluppo verticale o consequenziale, e declinano la competenza digitale nei suoi diversi aspetti; le sottocompetenze o «descrittori di competenza» (ogni area di competenza comprende e si sviluppa per sottocompetenze, che vengono descritte nello specifico). Verticale perché vengono ulteriormente dettagliati i livelli di padronanza (una sorta di griglia di sviluppo e approfondimento tassonomico) che servono a individuare il grado di padronanza in ciascuna sottocompetenza. La modifica più significativa rispetto alla precedente versione sono proprio i livelli, che passano da 3 a 8. Nell’evoluzione di ciascuna sottocompetenza si parte dal livello base e, passando per il livello intermedio e avanzato, si completa il percorso con il livello di alta specializzazione. Ogni livello comprende due distinte fasi, sicché in totale la progressione della competenza si declina in 8 step. DigComp 2.1 descrive inoltre le conoscenze, le abilità e le attitudini e suggerisce innumerevoli esempi (utili anche per la didattica quotidiana) d’uso delle competenze digitali per diversi scopi. Sia per l’azzeccata metafora utilizzata (l’imparare a nuotare), sia per le dimensioni descritte sopra, questo modello potrebbe essere utilizzato come metafora per l’acquisizione di qualsiasi competenza. Analizziamola insieme. Se non sappiamo stare a galla dobbiamo prima entrare nell’acqua in modo cauto e possibilmente con qualcuno che ci guidi e ci insegni.
Dobbiamo seguire le indicazioni più importanti e soprattutto non «buttarci» pensando di potercela cavare da soli. Questo è il nostro primo livello, il livello base. Man mano che diventiamo più sicuri, possiamo provare a galleggiare da soli e a prendere maggiore autonomia. Possiamo così portare a termine dei compiti semplici, per esempio, e magari affrontare qualche imprevisto. Siamo, dunque, a un livello intermedio. Quando avremo raggiunto un livello tale di autonomia che ci permetta anche di supportare altri nell’imparare a nuotare, allora siamo arrivati a un livello decisamente avanzato. Quando infine riusciamo anche ad affondare compiti complessi (pensiamo alla nuotata in un mare agitato) o a creare soluzioni nuove, allora il nostro sarà diventato un livello di alta specializzazione. Questa è, molto semplicemente, la metafora dei livelli di competenza di DigComp 2.1. Possiamo trarne un importante spunto per la progettazione dei percorsi a scuola. Dobbiamo solo tenere presente la struttura e la complessità della competenza digitale, ma anche la gradualità con la quale possiamo far affrontare i diversi livelli di padronanza e di consapevolezza. Vediamo allora quali sono i punti chiave nello sviluppo della competenza. In ogni livello progressivo di sviluppo di una singola competenza si ha a che fare con: complessità del compito; grado di autonomia; u dominio cognitivo. u u
Nel modello DigComp e nella sua rappresentazione grafica questi tre elementi sono indicati molto chiaramente con simboli quadrato: complessità del compito; cerchio: autonomia; u triangolo: dominio cognitivo. u u
Per quanto riguarda il dominio cognitivo è immediato il riferimento alla tassonomia di Bloom, nel senso della revisione che ne hanno fatto Anderson e Kratwhol nel 2001 [358] per adattarla alle esigenze di sviluppo delle competenze degli studenti del XXI secolo. La tassonomia, come sappiamo, è una classificazione ordinata degli obiettivi cognitivi dell’apprendimento, fornisce un modello della struttura cognitiva della mente e della sua dinamica. Dunque non si tratta di una semplice classificazione arbitraria, ma di una gerarchia, che riflette l’ordine reale secondo cui si sviluppano i processi cognitivi, fornendo una rappresentazione oggettiva della realtà cui si riferisce. In definitiva una tassonomia propone il percorso ordinato che l’apprendimento dovrebbe seguire, descrivendo come esso si sviluppi a partire dal semplice verso prestazioni sempre più complesse, come nella rappresentazione di una scala a gradini. Anche il modello DigComp 2.1., in riferimento allo sviluppo della competenza digitale, indirizza a uno sviluppo ordinato e coerente della competenza, procedendo un gradino alla volta, e dal basso verso l’alto, perché: prima di poter comprendere a fondo un concetto bisogna conoscerlo; per poterlo applicare occorre averlo compreso; u prima di analizzarlo dobbiamo essere in grado di applicarlo; u per poter giudicare il valore di un concetto, dobbiamo averlo prima analizzato; u infine, per arrivare al livello cognitivo più alto, cioè alla capacità di creare nuovi concetti, dobbiamo aver consolidato tutti i passaggi precedenti. u u
Questa scala a gradini è uno dei contenuti nascosti di DigComp e ci può aiutare nel corretto sviluppo della competenza digitale. Oltre a questo DigComp 2.1, nella sua parte conclusiva, fornisce una serie molto ampia di esempi didattici riferiti a ciascuna area. DigComp fornisce il modello, la progressione e gli esempi. La conoscenza e la disseminazione di questo framework a livello nazionale, agevolmente replicabile a livello di istituzioni scolastiche, rappresentano obiettivi importanti per implementare una didattica per competenze, non solo digitali.
10. Facciamoci un SELFIE Lo strumento SELFIE (acronimo di Self-reflection on Effective Learning by Fostering the Use of Innovative Educational Technologies, ossia «Autoriflessione su un apprendimento efficace mediante la promozione dell’innovazione attraverso le tecnologie per la didattica») è stato elaborato dalla Commissione europea per sostenere le scuole nell’era digitale e si basa sul framework DigComp, in particolare prendendo in considerazione la declinazione DigCompOrg (che si occupa delle competenze riferite all’organizzazione nel suo complesso). Come funziona SELFIE? È uno strumento di autoindagine, concepito in modo accessibile e intuitivo, per aiutare le scuole a verificare il proprio stato di integrazione delle tecnologie digitali nella didattica, nell’apprendimento e nella valutazione degli studenti. SELFIE permette di evidenziare cosa va bene, quali miglioramenti sono necessari e quali dovrebbero essere le priorità. Al termine di una prima fase sperimentale che ha coinvolto anche scuole del nostro paese, la piattaforma è ora a libero accesso, disponibile anche in italiano [359] . In sostanza SELFIE raccoglie in modo anonimo le opinioni di studenti, insegnanti e dirigenti scolastici sull’uso della tecnologia,
attraverso brevi affermazioni e domande che corrispondono a una semplice scala di approvazione da 1 a 5. Le affermazioni riguardano ambiti quali la dirigenza, l’infrastruttura, la formazione degli insegnanti e la competenza digitale degli studenti. Analizzando e incrociando i dati, è possibile ottenere un quadro del livello di innovazione tecnologica e metodologica dell’istituto, ma anche la percezione che ogni soggetto interessato ha espresso sui singoli aspetti. Gli item indagati da Selfie sono: leadership (strategia e scelte della scuola rispetto all’innovazione digitale); infrastruttura digitale (connessione, strumenti e spazi); u sviluppo professionale continuo; u didattica e apprendimento (metodologie, ambienti di apprendimento virtuali, contenuti digitali…); u prassi di valutazione; u competenze digitali degli studenti. u u
Dal questionario emergono altri importanti aspetti relativi a uno o più soggetti, quali: tipologie e utilità dello sviluppo professionale continuo (insegnanti); sicurezza nell’uso delle tecnologie (insegnanti); u tempo dedicato alla didattica con le tecnologie (insegnanti); u fiducia o sfiducia nell’adozione della tecnologia (insegnanti e dirigenti scolastici); u uso della tecnologia a scuola e fuori da scuola (studenti); u fattori che ostacolano l’uso della tecnologia (insegnanti e dirigenti scolastici). u u
10.1 Perché una scuola dovrebbe usare SELFIE?
Perché è uno strumento di rilevazione gratuito, accessibile, semplice, strutturato su un framework europeo di riferimento per le competenze digitali del singolo, dell’educatore e dell’intera organizzazione. Perché crea le condizioni affinché la comunità scolastica si interroghi sugli effetti delle azioni di innovazione e introduzione di nuove tecnologie, ma anche possa esprimere una percezione sulle proprie prassi d’uso e nei percorsi di insegnamento-apprendimento. L’impressione, usando SELFIE, è quella di rispondere a domande che sono rilevanti per la propria esperienza, come studenti, insegnanti o dirigenti scolastici. Perché lo strumento può essere personalizzato, infatti, la scuola può selezionare e aggiungere domande e affermazioni per soddisfare le proprie esigenze. Perché, dopo aver completato SELFIE, ciascuna scuola riceve una relazione, statistica e grafica, immediatamente spendibile, contenente sia dati approfonditi sia informazioni concise sui suoi punti di forza e di debolezza.
[340]
Avanguardie Educative, INDIRE, www.istruzione.it/scuola_digitale/index.shtml . [341] De
www.avanguardieeducative.indire.it/
;
Piano
nazionale
scuola
digitale,
MIUR,
Bruyckere P., Kirschner P.A., Hulshof C.D., Urban Myths about Learning and education, Elsevier, London, 2015.
[342]
In M. Ranieri, Le insidie dell’ovvio , ETS, Pisa, 2011 è presente una disamina completa dei risultati di numerose revisioni sistematiche di letteratura che dimostrano come l’uso della tecnologia possa accrescere la probabilità dell’apprendimento, ma non esiste alcuna relazione necessaria tra la sua presenza e i risultati di apprendimento. [343]
Certificazione di Competenze al termine del primo ciclo, www.istruzione.it/comunicati/focus170215.html ; Certificazione di Competenze al termine dell’obbligo di Istruzione, www.hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dettaglio-news/-/dettaglioNews/viewDettaglio/12952/11210 [link non più attivo]. [344]
Per l’ampia letteratura sulle competenze si vedano: Castoldi M., Valutare e certificare le competenze , Carocci, Roma 2006; Varisco B.M., Portfolio: valutare gli apprendimenti e le competenze , Carocci, Roma 2004; Wiggins G., McTighe J., Fare progettazione: la “teoria” di un percorso didattico per la comprensione significativa , LAS, Roma 2004; Wiggins G., McTighe J., Fare progettazione: la “pratica” di un percorso didattico per la comprensione significativa , LAS, Roma, 2004. [345]
L’Azione Scuol@ 2.0 promossa dal MIUR nel 2011 ha stanziato ben 4.500.000 euro per la realizzazione di soli 14 Istituti 2.0 in tutto il Paese, mentre l’Azione Classi 2.0, avviata dal MIUR dal 2009, ha stanziato 8.580.000 euro per la realizzazione di 416 classi digitali, accompagnata da un investimento di 1.944.857 euro per la formazione dei docenti. Purtroppo a oggi non si conoscono i risultati di queste azioni. [346]
Alberta Education, Bring Your Own Device. A Guide for Schools , Alberta, 2012, www.cuebc.ca/cue/conference_documents/dell/AlbertaEducationBYODGuide.pdf ; per l’Italia è stato elaborato nel 2018 un decalogo per l’uso dei dispositivi mobili a scuola, a opera di una commissione di lavoro ministeriale con il compito di aggiornare le posizioni assunte nel 2007 dal ministro Giuseppe Fioroni che avevano vietato l’uso dei dispositivi digitali nelle aule: www.miur.gov.it/documents/20182/0/Decalogo+device/da47f30b-aa66-4ab4-ab35-4e01a3fdceed . [347] Si
vedano a titolo di esempio: www.insegnantiduepuntozero.wordpress.com/ , www.scoop.it/t/aulamagazine .
[348] R.
Gifford, Environmental Psychology: Principles and Practices , Colville, WA 2002.
[349]
Si veda la seria revisione critica del concetto di «digital natives» operata in Bennett S., Marton K., Kervin L., The “digital natives” debate: A critical review of the evidence , British Journal of Education Technology, 5, 2008, ripresa in Italia da Calvani A., Fini A., Ranieri M., La competenza digitale nella scuola , Erickson, Trento 2010 e da Rivoltella P., Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina, Milano 2012.
[350]
Boyd D., It’s complicated. The Social Lives of Networked Teens , www.danah.org/books/ItsComplicated.pdf ; Gardner H., Generazione App , Feltrinelli, Milano 2014. [351]
Calvani A., Fini A., Ranieri M., La competenza digitale nella scuola , Erickson,Trento 2010. Interessante anche il toolkit didattico di Maria Ranieri in http://cesie.org/media/VSAV-toolkit_ita.pdf . [352] www.competenzedigitali.agid.gov.it/sites/default/files/strategia_coalizione_competenze_digitali_2016.pdf [353]
DigComp, la presentazione in italiano content/uploads/2015/11/digcomp_Ferrari_Troia.pdf .
di
Annusca
[354] www.generazioniconnesse.it/site/_file/documenti/ECD/ECD-sillabo.pdf
Ferrari
e
Sandra
.
Troia,
in:
www.cittadinanzadigitale.eu/wp-
.
[355]
DigComp 2.0, in: www.ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/digcomp-20-digital-competence-framework-citizensupdate-phase-1-conceptual-reference-model . [356]
DigComp 2.1, in: www.ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/digcomp-21-digital-competence-framework-citizenseight-proficiency-levels-and-examples-use . [357] www.cittadinanzadigitale.eu/wp-content/uploads/2015/11/digcomp_Ferrari_Troia.pdf [358]
.
Anderson L.W., Krathwohl D.R., A taxonomy for learning, teaching, and assessing. A revision of Bloom’s taxonomy of educational objectives , Addison Wesley Longman, New York 2011. [359] www.ec.europa.eu/education/schools-go-digital_it
.
16. Documentare per valutare, mostrare, ricercare a cura di Elena Mosa e Silvia Panzavolta
1 . La storia della documentazione educativa in Italia
INDIRE, Istituto nazionale di documentazione, innovazione e eicerca educativa, è l’istituto che più di altri, in Italia, ha posto al centro della sua mission istituzionale il tema della documentazione educativa. Istituito nel 1925 come Mostra didattica nazionale, si caratterizzò fin da subito per l’orientamento allo scambio di prodotti e pratiche di quelle scuole «nuove» che nella concezione del pedagogista Lombardo Radice incarnavano esempi e suggestioni di didattica attiva, di ispirazione deweyana, che in quegli anni si affermava al di là dell’oceano. Da allora, nella sua lunga e ciclica storia di trasformazione e rifondazione, l’istituto ha sempre promosso iniziative di documentazione del patrimonio scolastico e di sostegno ai processi di riflessione e scambio tra professionisti del mondo della scuola. Le prime iniziative, però, a carattere sistematico e strutturale si hanno a partire dagli anni 2000, grazie al progressivo affermarsi di Internet e all’organizzazione dell’informazione in database complessi. Proprio in quegli anni, poi, precisamente nel 2001, INDIRE, allora denominato BDP (Biblioteca di documentazione pedagogica) diviene a tutti gli effetti un istituto di ricerca, con una maturità e un profilo tale da essere, finalmente, organismo in grado di dare supporto al sistema educativo nazionale su vari fronti. Nel periodo 20012011, infatti, l’istituto è anche impegnato in grandi iniziative online per la formazione degli insegnanti e nel supporto alle attività ministeriali di introduzione del digitale nella scuola. A livello di sistema educativo, inoltre, si assisteva in quegli anni a un processo di riorganizzazione dei «pesi» tra centro e periferie. Il disegno sull’autonomia scolastica, iniziato nel 1993, entrava infatti in vigore nel 1999, con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche . Un raccordo informativo, documentale e comunicativo era dunque percepito, nella mente del legislatore e nell’orientamento dei decisori politici e dei tecnici di quel periodo, come fondamentale, pena la disgregazione di un sistema che stava scommettendo sul modello della sussidiarietà e della complementarietà a vari livelli, non solo quello educativo [360] . La normativa sull’autonomia scolastica introduceva una prima grande novità: assegnava margini di autonomia (prima del 15% e poi del 20%) sulla determinazione del curricolo scolastico, sulle possibili piste sperimentali, sui raccordi con il territorio, dove le istituzioni scolastiche potevano esercitare, da sole o in collaborazione con altri soggetti, «l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali» (art. 6, D.P.R. n. 75 del 1999). La documentazione serviva, dunque, a comprendere come le scuole stessero disegnando la quota di autonomia nella progettazione del curricolo e a sostanziare quel processo di scambio di prospettive sulle ragioni dei cambiamenti introdotti, che avrebbero poi auspicabilmente generato un confronto sugli esiti, tipico di un processo di ricerca-azione. Si legge, infatti, nel D.P.R. n. 75: le istituzioni scolastiche sviluppano e potenziano lo scambio di documentazione e di informazioni attivando collegamenti reciproci, nonché con il Centro europeo dell’educazione, la Biblioteca di documentazione pedagogica e gli Istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi; tali collegamenti possono estendersi a Università e ad altri soggetti pubblici e privati che svolgono attività di ricerca.
Uno scambio che diventava funzionale a diverse altre attività previste dalla norma suddetta, come alla progettazione formativa, che poteva trarre dalla documentazione spunti e ripensamenti; alla ricerca valutativa, che trovava nella documentazione delle «evidenze» di efficacia e efficienza; alla formazione e all’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico, che si nutriva della documentazione come repertorio su cui fondare una riflessione professionale ed epistemica; all’innovazione metodologica e disciplinare, che grazie alla documentazione delle «best practice» poteva circolare e fornire suggestioni, spunti, strumenti; infine, alla ricerca didattica, che grazie alla documentazione si «reificava» fornendo resoconti coerenti, rigorosi, replicabili e verificabili. La prima grande iniziativa nazionale di documentazione nacque, dunque, a opera dell’allora Biblioteca di documentazione pedagogica (BDP), nel 1999 e si concentrava sulle progettazioni che le scuole redigevano rispetto al curricolo dell’autonomia. Un processo di analisi che si basava sulla raccolta delle progettazioni del 15% di curricolo autonomo, volontariamente depositate e condivise dalle scuole, sulla loro analisi e sulla loro indicizzazione, tramite un sistema di gestione documentale tipico delle scienze dell’informazione e della biblioteconomia. Uno studio che la BDP avrebbe restituito alla scuola e al Ministero dell’Istruzione (allora MPI) al fine di monitorare l’andamento del processo della neonata autonomia scolastica. Nel 2004, INDIRE, grazie al lavoro pregresso, progetterà un vero e proprio sistema di documentazione nazionale che chiamerà GOLD (Global OnLine Documentation), il cui obiettivo era quello di diffondere le migliori pratiche didattiche, descritte in maniera puntuale, precisa e rigorosa [361] , con una architettura informativa altrettanto raffinata, che aiutasse le scuole a condividere, consultare e possibilmente trasferire le migliori esperienze [362] . GOLD poteva contare su una formazione alla documentazione – sicuramente uno dei punti deboli del sistema – a livello capillare, promossa da soggetti sul territorio quali gli IRRE (Istituti regionali di ricerca educativa) [363] . Anche altri soggetti, a livello provinciale e locale,
come biblioteche, mediateche e centri di documentazione, si interfacciavano con il sistema GOLD, cercando di dare organicità a un impianto tutt’altro che semplice. Nel periodo compreso tra il 2004 e il 2012, gli obiettivi della documentazione educativa in Italia, curata principalmente dal singolo insegnante (differentemente da altre nazioni, dove era stata istituita la figura del docentedocumentalista [364] ) erano, dunque, principalmente, quelli di: 1. Sostenere la professionalità docente, orientandola verso una sorta di crescita on the job. Nel vademecum del progetto GOLD venivano elencati una serie di motivi [365] per cui era importante documentare, tra cui: «rendere evidente il percorso» (trasformando la conoscenza da implicita in esplicita, secondo le indicazioni del Knowledge Management di Nonaka [366] ) oppure «raccontare e diffondere» o ancora «lasciare tracce del lavoro svolto», sempre nello spirito di creare quella «community of practice» [367] che era visione ricorrente nella pedagogia italiana di quegli anni. 2. Rappresentare pratiche didattiche significative [368] (anche in maniera multimediale) affinché venissero trasferite o fungessero da suggestione al docente per trasformare la propria pratica didattica. 3. Consegnare al sistema educativo e al decisore politico elementi di analisi e monitoraggio delle esperienze di innovazione didattica e metodologica dei docenti e delle scuole nell’era dell’autonomia [369] .
Nel 2012, il sistema GOLD venne chiuso, anche in seguito a una profonda ristrutturazione dell’istituto promotore, INDIRE, che più di ogni altro soggetto nazionale aveva contribuito a dare rilevanza e profondità al tema della documentazione educativa. Dal 2012, anno in cui INDIRE viene a configurarsi come istituto di ricerca, la documentazione, così come disseminata fino a quel momento, viene a essere pensata principalmente come funzionale alla ricerca didattica (quella che in letteratura viene indicata come school-driven research ). Dal 2014, inoltre, INDIRE, ripensò non tanto il senso della documentazione, che tendenzialmente si poneva in continuità con gli obiettivi del decennio precedente, quanto il target della stessa. Fino ad allora la documentazione aveva parlato più al singolo professionista, concentrandosi sulle pratiche innovative che insistono sul primo livello del sistema educativo, che altrove abbiamo definito «micro» [370] , ossia quello della classe. Nel 2014, anche a seguito della fondazione del Movimento delle Avanguardie Educative [371] , con 22 scuole italiane [372] , INDIRE sposta l’attenzione sul livello dell’organizzazione scolastica nel suo complesso (livello «meso»), come soggetto in grado di mettere a frutto in modo durevole e organico le molte proposte di didattica innovativa che nella scuola si possono realizzare. Senza un piano coerente e organico, infatti, come INDIRE aveva potuto osservare nelle molte iniziative di formazione e sostegno alla professionalità docente, la spinta propulsiva al cambiamento, nella scuola, rimaneva limitata al singolo docente, dunque interrotta, frammentaria ed episodica. Possiamo quindi, per sintetizzare, vedere tre grossi periodi nella storia della documentazione in Italia: 1. Dal 1999 al 2004: periodo in cui l’architettura informativa e organizzativa della documentazione si va definendo. 2. Dal 2004 al 2012: periodo in cui la documentazione viene vista prevalentemente come display , con una funzione di divulgazione, condivisione e contaminazione tra docenti e tra scuole e può contare su un sistema infrastrutturale di rilievo (sia sul piano informativo che a livello di rete di soggetti in campo). 3. Dal 2014 in poi: periodo in cui la documentazione viene vista, da una parte come stimolo alla ricerca educativa delle istituzioni scolastiche per costruire un modello innovativo di scuola, oltre il «modello trasmissivo», appunto, come recita il Manifesto delle Avanguardie Educative [373] e, dall’altra, come una pratica rigorosa che ha, come fine ultimo, quello di rendere l’apprendimento più profondo [374] . Quest’ultima accezione la ritroviamo nelle Idee di Avanguardie Educative più recenti, ossia le Idee MLTV – Rendere visibile pensiero e apprendimento [375] e Dialogo euristico [376] .
2. La documentazione educativa: definizione, ambiti e ruoli Quella della documentazione è una pratica che ancora oggi stenta a trovare piena collocazione nel complesso mestiere dell’insegnamento. Spesso si tende a confonderla con il momento finale della «mostra» dei prodotti degli studenti, certamente uno degli ambiti di applicazione della documentazione, sebbene non il solo. La documentazione, così come la intenderemo in questo breve testo, non è soltanto un’istantanea di un momento educativo che «ferma l’attimo» e lo rende pubblico, bensì un dispositivo che può avere la capacità di restituire la dinamicità del processo educativo in un’ottica di ricerca. In tal senso, occorre fare riferimento ad alcune coordinate chiave per meglio definire e circorscrivere gli ambiti di intervento della documentazione educativa: al lavoro condotto da Project Zero (da ora in avanti PZ), un gruppo di ricerca indipendente istituito presso la Harvard Graduate School of Education [377] , insieme al lavoro di Reggio Children [378] , al testo delle «Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione» [379] e alla più attuale versione delle «Indicazioni nazionali e nuovi scenari» [380] . Ispirato dal lavoro di Reggio Chidren, PZ ha definito la documentazione come la «pratica di osservare, registrare, interpretare e condividere attraverso media differenti il processo e il prodotto dell’apprendimento con lo scopo di rendere l’apprendimento stesso più profondo» [381] . Da questa prima definizione si deduce chiaramente che la documentazione è un’attività dai numerosi contorni, livelli e obiettivi. I verbi che descrivono le azioni possibili grazie a essa, si spingono oltre il solo livello di display , di mostra di un prodotto (che vedremo essere
comunque un elemento fondamentale) per arrivare a formulare un’analisi approfondita del processo di apprendimento al fine di comprendere in quali condizioni, contesti e modalità gli studenti apprendano meglio. Chiaramente, una tale definizione sposta l’asse della documentazione da «oggetto» a metodo di lavoro che si discosta di poco da quelli utilizzati nell’ambito della ricerca qualitativa in campo educativo. In effetti, se adottiamo come valida questa definizione, il profilo del docente si configura come quello di un ricercatore, come vedremo in seguito. Un ulteriore passaggio da mettere a fuoco, oltre alle funzioni della documentazione, riguarda le forme che essa può assumere. PZ fa riferimento all’utilizzo di vari media, intendendo che la documentazione può essere registrata sotto forma di appunti, testo, video, immagini o audio. Cercheremo, però, di concentrarci più che sulla forma sull’obiettivo e sull’intenzionalità che guida la scelta di documentare e la ratio da attivare per la selezione della documentazione stessa, in qualsiasi formato essa sia. Il quadro di riferimento teorico di PZ fonda le proposte e gli studi sull’assunto di base secondo il quale l’essere umano apprende sia individualmente che in gruppo. Esiste molta letteratura scientifica di riferimento che approfondisce i principali paradigmi che sposano la dimensione sociale dell’apprendimento e il senso, le forme, le logiche del lavorare in gruppo. Per brevità assumiamo in questo testo la definizione di PZ che ben descrive cosa si intende per «gruppo di apprendimento», ovvero: un insieme di persone emotivamente, intellettualmente ed esteticamente impegnate nella soluzione di problemi, nella realizzazione di prodotti e nella costruzione di significati; un insieme in cui ognuno apprende sia in modo autonomo sia attraverso le modalità di apprendimento degli altri [382] .
Secondo questa definizione, gli adulti sono compresi nel gruppo di apprendimento e la documentazione diventa il trait d’union, la lente, ma anche il metodo, per dare forma agli apprendimenti dei grandi e dei piccoli. Infine, è opportuno fare ricorso a testo delle Indicazioni nazionali (2012) nel quale leggiamo: L’osservazione, nelle sue diverse modalità, rappresenta uno strumento fondamentale per conoscere e accompagnare il bambino in tutte le sue dimensioni di sviluppo, rispettandone l’originalità, l’unicità, le potenzialità attraverso un atteggiamento di ascolto, empatia e rassicurazione. La pratica della documentazione va intesa come processo che produce tracce, memoria e riflessione, negli adulti e nei bambini, rendendo visibili le modalità e i percorsi di formazione e permettendo di apprezzare i progressi dell’apprendimento individuale e di gruppo.
Le Indicazioni riassumono e sistematizzano le caratteristiche finora analizzate: documentazione come processo, memoria e ricerca in un gruppo di lavoro fatto di grandi e piccoli, tutti in apprendimento. Vediamo meglio quali possono essere le finalità della pratica documentale così definita, in relazione al punto di vista dei docenti, dei bambini e della comunità. Un primo livello attiene al profilo professionale dei docenti che agiscono come ricercatori nel perseguimento dell’obiettivo di formare cittadini consapevoli e responsabili. Nell’ambito di questo processo, come accennato precedentemente, la documentazione gioca un ruolo fondamentale nel fornire un metodo rigoroso di raccolta dati ed «evidenze» rilette alla luce di una vera e propria domanda di ricerca. L’analisi della documentazione non è, e non dovrebbe essere, un’azione che si svolge solo individualmente. Al contrario, è opportuno che le riflessioni vengano condivise con i colleghi per trarre spunti e benefici dal punto di vista di coloro che condividono la stessa classe come pure da chi ne è estraneo. Questo confronto si offre per i docenti come un importante momento di sviluppo professionale e ricerca didattica di cui beneficia sia il diretto interessato che coloro che operano da «amici critici». Nel paragrafo conclusivo, vedremo l’applicazione di un protocollo di lavoro, frutto della ricerca di PZ, che aiuta i docenti di ogni ordine e grado a confrontarsi in maniera proficua [383] e un’attività basata sull’uso della documentazione che invita gli studenti a riflettere sul proprio apprendimento. Infine, la documentazione assume la funzione di «rendicontazione sociale», ovvero di restituire alla più ampia visibilità pubblica della comunità educante e delle famiglie il processo e il prodotto di un lavoro di classe. Si tratta di immagini, cartelloni e bacheche con i pensieri affissi alle pareti dei corridoi o nell’atrio della scuola, che assumono molteplici funzioni (favorire il senso di appartenenza a quell’ambiente, contribuire alla sua piacevolezza ecc.) tra cui quella di «celebrare» l’articolato e complesso iter di un processo educativo.
3. La documentazione come abilitatore della valutazione formativa Abbiamo visto che la documentazione può essere raccolta e analizzata con l’obiettivo di comprendere quali siano le condizioni che favoriscono forme di apprendimento significativo per gli studenti e, quindi, per informare l’agire didattico [384] dei docenti. In linea con queste considerazioni, crediamo che la documentazione possa aiutare anche a svolgere un ulteriore compito fondamentale della professione docente, quale quello della valutazione-osservazione-presidio del processo di apprendimento, intesa come quella attività di ricerca più volte richiamata in questo testo. Queste considerazioni acquistano ancora più rilievo se viste alla luce delle pratiche che in questo periodo di Didattica a distanza (DAD) si vanno ristrutturando. Per quanto riguarda la valutazione, come specificato anche nella nota del 17 marzo 2020 del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del MI [385] , documento di orientamento nel periodo di emergenza sanitaria, «la valutazione ha sempre anche un ruolo di valorizzazione, di indicazione di procedere con approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche, in un’ottica di personalizzazione che responsabilizza gli allievi, a maggior ragione in una situazione come questa». Al di là di quanto previsto dalla normativa e dal profilo
professionale del docente, sottolinea la Nota, è altrettanto necessario che si proceda ad attività di valutazione costanti, secondo i principi di tempestività e trasparenza che, ai sensi della normativa vigente, ma più ancora del buon senso didattico, debbono informare qualsiasi attività di valutazione. Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica, qualsiasi sia la forma nella quale è esercitata.
Molti docenti hanno colto, quindi, un invito a ripensare la valutazione in termini formativi, in quanto una valutazione sommativa, tradizionale, per molti è stata vista come «impossibile» in questa condizione di DAD, come rileva anche il professore Rivoltella, ospite in uno dei webinar [386] organizzati dalla rete di Avanguardie Educative e Piccole scuole di INDIRE, in quanto non è totalmente possibile esprimere una valutazione sommativa valida, per esempio per il rischio di cheating e di autenticità della verifica stessa. La valutazione, quindi, nella DAD, ha assunto i contorni più di un’attività osservativa, di monitoraggio, del processo di apprendimento, di introduzione o potenziamento delle attività di documentazione (come in alcune proposte di Avanguardie Educative, quali, per esempio l’idea MLTV). In particolare, ha funzionato meglio per coloro che avevano già un cultura della valutazione come concomitante all’attività didattica (feedback continuo, uso positivo dell’errore), magari con forme di documentazione del percorso di apprendimento e con processi anche condivisi e triangolati (per esempio peer evaluation , autovalutazione). Da questa esperienza, sicuramente dolorosa, di «didattica a distanza forzata» [387] , come la definisce Roberto Trinchero, possiamo derivare alcuni utili insegnamenti rispetto a una focalizzazione maggiore sul rapporto tra documentazione del processo di apprendimento e valutazione formativa. Prescindendo, ora, dalla situazione contingente, il processo di documentazione aiuta a raccogliere tantissime «evidenze» su cosa e su come gli studenti stiano imparando, su cosa interessi loro, su come amino lavorare e apprendere, su cosa li annoi o su come vorrebbero organizzare il lavoro. Informazioni preziose, che servono sia per la valutazione sia per la progettazione di un migliore percorso di apprendimento. Rivalutare la valutazione, a parte il gioco di parole, significa anche riprendere in mano alcune domande chiave del processo di apprendimento: valutazione e progettazione didattica vanno di pari passo, sono due aspetti della stessa medaglia… Allora bisogna ripartire della domanda «Cosa vale la pena apprendere?». Quello che vale veramente la pena apprendere, secondo la prospettiva della documentazione, è imparare a pensare. Aiutare gli studenti a pensare è il presupposto di chi usa la documentazione nell’accezione che abbiamo visto al par. 2, ossia «la pratica di osservare, registrare, interpretare e condividere attraverso media differenti il processo e il prodotto dell’apprendimento con lo scopo di rendere l’apprendimento stesso più profondo». Sta proprio in questo aspetto, nel «rendere l’apprendimento stesso più profondo» che si colloca lo scopo ultimo della documentazione che forma, appunto, a un certo tipo di disposizione. L’apprendimento è una conseguenza del pensiero [388] e possiamo vederlo come un processo intenzionale, emotivo, sociale e rappresentazionale [389] . Quindi, se l’attenzione si sposta sullo sviluppo del pensiero, come possiamo aiutare gli studenti a pensare? E anche, cosa intendiamo con il termine pensiero? Possiamo fare riferimento alle tipologie di pensiero individuate da Perkins, quali per esempio fare connessioni tra concetti, contenuti, eventi, vedere le cose da prospettive diverse, ragionare con argomentazioni, cogliere il nocciolo delle questioni e fare sintesi, porsi delle domande per approfondire la complessità ecc. La documentazione aiuta a sostenere anche la dimensione affettiva della valutazione, in quanto lo studente sente di essere valorizzato, ascoltato, accolto per come è. L’uso della documentazione, restituita e discussa con lo studente (come vedremo nel prossimo paragrafo) fornisce alla classe un’occasione per parlare di come apprendere, per rivedere gli errori emersi, per cogliere elementi significativi del processo di acquisizione di competenze, nelle sue tre sfaccettature: contenuti, abilità e attitudini. Per esempio, in una attività di lettura di un testo, il docente potrebbe lavorare con uno strumento di scrittura condiviso e chiedere a ciascuno studente o a ciascun gruppo di studenti di effettuare un’analisi scritta del testo attraverso una serie di domande-stimolo poste dal docente. Il docente, grazie alla raccolta di tutte le risposte (documentazione) potrebbe analizzare: se gli studenti effettuano analisi superficiali (ovvie) o vanno oltre; se fanno ipotesi e si fanno domande, magari cercando di mettere in relazione il testo all’opera complessiva di quell’autore e al periodo storico, sociale e culturale nel quale si colloca; u se riescano ad assumere punti di vista diversi (calandosi, magari, nei vari personaggi); u se sono consapevoli della complessità; u se sanno argomentare, adducendo elementi concatenati e conseguenti in un ragionamento logico; u se sanno fornire esempi che provano quanto da loro affermato; u se fanno collegamenti con altri aspetti e contenuti; u se sono in grado di riutilizzare successivamente quanto appreso. u u
Valutare non significa dare voti ma attribuire valore a un processo, quello di apprendimento, che ha molti aspetti in gioco, compresa la dimensione relazionale. Grazie alla documentazione ci si concentra sul processo del pensiero e non solo su contenuti e abilità; si triangola lo sguardo sul cammino formativo di ciascuno evitando la dimensione sanzionatoria e giudicante della valutazione. Infatti, come sostiene Dewey [390] :
Forse il maggiore degli errori pedagogici è il credere che un individuo impari soltanto quel dato particolare che studia in quel momento. L’apprendimento collaterale, la formazione di attitudini durature e di repulsioni, può essere e spesso è molto più importante. Queste attitudini sono quel che conta veramente nel futuro. L’attitudine che più importa sia acquistata è il desiderio di apprendere. Se l’impulso in questa direzione viene indebolito anziché rafforzato, ci troviamo di fronte a un fatto molto più grave che a un semplice difetto di preparazione.
La valutazione deve servire a fornire feedback agli studenti sul processo di apprendimento, mettendo in luce i diversi aspetti per sostenere il miglioramento continuo dello studente e per restituirgli la ownership , cioè la responsabilità del processo formativo, dove lo studente è il primo attore in causa. E per questo scopo, la documentazione rappresenta un percorso preferenziale.
4. Scenari d’uso della documentazione in sala insegnanti e in classe Nei paragrafi precedenti abbiamo approfondito i numerosi ambiti di applicazione della documentazione che assume funzioni diverse in base all’obiettivo e agli attori chiamati in gioco. In particolare, abbiamo visto come l’analisi della documentazione possa servire a maturare una più profonda comprensione dell’apprendimento dei ragazzi. Questa azione può essere svolta dai singoli docenti come parte della propria routine professionale, può essere condivisa con i colleghi e può arrivare a coinvolgere gli studenti stessi che sono chiamati attivamente in causa a riflettere sul proprio processo di apprendimento. Un’ulteriore funzione della documentazione, forse la più comune e diffusa nella scuola è quella che consente di estendere la visibilità degli esiti del processo di apprendimento e insegnamento oltre la dimensione della classe, per mostrarli all’intera comunità educante, se non addirittura al territorio (cartelloni, artefatti, mostre didattiche, festival, seminari…). Questo paragrafo intende approfondire in chiave operativa l’utilizzo della documentazione per abilitare un confronto proficuo con un gruppo di colleghi la cui unità può variare dalla dimensione ideale del consiglio di classe fino al dipartimento disciplinare. Analizzeremo anche un possibile impiego della documentazione in un’attività didattica con il fine di coinvolgere gli studenti in un lavoro di riflessione e analisi delle proprie forme di apprendimento. Questa pratica, opportunamente guidata e governata da un protocollo, può costituire un efficace metodo di lavoro alla Scuola secondaria dove un’analisi delle modalità di apprendimento degli studenti può beneficiare di uno sguardo multiprospettico filtrato dalle specificità dei saperi disciplinari di cui ogni docente della classe è portatore. Come vedremo, una tale modalità di lavoro focalizzata sulla documentazione può interessare tutti i docenti della classe che sono invitati a condividere punti di vista originali e informati anche su documentazioni che chiamano in gioco discipline distanti dalla propria. INDIRE ha promosso l’adozione di questa pratica in numerose scuole italiane grazie a un protocollo di lavoro che si chiama «Progettare e facilitare gruppi di studio tra adulti» ideato dai ricercatori della Harvard Graduate School of Education. Perché un protocollo? Perché grazie alla sua struttura, apparentemente rigida, consente una gestione efficace ed efficiente dei turni, dei tempi di parola e quindi dei flussi comunicativi. Spesso le riunioni tendono a perdere focus, a volte gli interventi dei partecipanti sono troppo lunghi e dispersivi, oppure può accadere che a prendere parola siano sempre le stesse persone monopolizzando la discussione. Riunioni di questo tipo possono durare molto tempo e lasciare nei partecipanti un senso di confusione e spaesamento. I protocolli servono proprio a evitare che si verifichino queste condizioni e, al contrario, per favorire un contesto di lavoro aperto a tutti grazie anche a un uso democratico del turno di parola. Vediamo come funziona questo protocollo, immaginandone una applicazione a una situazione reale. Come già argomentato nel paragrafo 2, la documentazione dovrebbe essere catturata in maniera mirata, come una possibile «evidenza» che informi una domanda di ricerca. Il primo passo, quindi, è quello di porsi una domanda di ricerca «genuina», intendendo con questo una domanda realmente aperta, che non prevede già una risposta nella formulazione o negli intenti. Una domanda che riguardi le modalità di apprendimento degli studenti per cercare di comprendere in quali condizioni e circostanze essi (singolarmente e in gruppo) apprendono meglio. Per esempio: «Gruppi di lavoro omogenei possono favorire l’emersione degli studenti più timidi oppure, al contrario, ottengono l’effetto di una polarizzazione del rendimento della classe?». Ammettendo che questa sia la domanda, la documentazione verrà guidata da questo focus, il docente creerà delle situazioni osservabili e le registrerà. Come si documenta? Lo si può fare in molti modi e con diversi strumenti, per esempio, raccogliendo i prodotti degli studenti su post-it o su un padlet (o piattaforme simili), o ancora chiedendo agli studenti di un gruppo di riprendersi a turno (audio o video) oppure può essere il docente stesso a focalizzarsi su uno solo dei sottogruppi della classe e videoregistrare le interazioni dei suoi partecipanti. È importante ricordare che la quantità di documentazione prodotta deve essere commisurata al tempo necessario per rivederla e selezionarla. Un momento importante, infatti, è quello che vede il docente coinvolto in un attento riesame della documentazione in suo possesso. La lente attraverso la quale fare questa rivisitazione è quella del ricercatore che, informato dalla domanda che si è posto, cerca evidenze a supporto di una possibile risposta come pure di ulteriori interrogativi che, in maniera generativa, lo aiutano ad approfondire la ricerca. Ipotizziamo che il passaggio individuato coincida con una sequenza video che vede i ragazzi impegnati nella soluzione di un problema di fisica o nell’assunzione di diversi punti di vista attraverso i personaggi di un racconto di Calvino: a questo punto il docente dovrà selezionare una porzione di quella documentazione in maniera che sia consultabile in un tempo massimo di circa 5 minuti. È a questo punto che è consigliabile convocare la riunione con i colleghi con i quali si condivide la classe. Sarà sufficiente disporre di 45 minuti per lo svolgimento del protocollo, un intervallo temporale che, al contrario, potrebbe essere giudicato troppo esiguo per
assolvere agli obiettivi dell’incontro. Al tal proposito, è bene ricordare che un ulteriore vantaggio dei protocolli è collegato al fatto che una gestione rigida del tempo (cronometro alla mano) consente di ottimizzare il tempo e il flusso degli interventi. Occorrerà individuare un collega per svolgere la funzione di moderatore e per facilitare lo svolgimento della discussione avendo cura di seguire il protocollo e tenendo con precisione i tempi di lavoro. Il moderatore non è tuttavia escluso dalle interazioni. Il presentatore, invece, è il docente che ha individuato la porzione di documentazione da mettere all’attenzione dei colleghi. Il resto del gruppo partecipa attivamente alla riunione seguendo le istruzioni del moderatore. I partecipanti si siedono intorno a un tavolo in modo da potersi vedere in faccia. Il primo turno di parola è del docente che abbiamo indicato come «presentatore», ovvero colui/colei che ha individuato una domanda di ricerca alla luce della quale ha prima organizzato la documentazione della classe e successivamente selezionato il passaggio chiave di tale documentazione che vuole porre all’attenzione del gruppo. Il presentatore dispone di tre minuti di tempo per inquadrare il frammento di documentazione, in questo caso si tratta di un video ma, lo ricordiamo, potrebbe essere in alternativa un audio, una foto, l’immagine digitale di un post-it contenente un passaggio chiave, un contributo su padlet… Il presentatore illustra brevemente il contesto nel quale si è svolta l’esperienza oggetto della documentazione ed enuncia la domanda di ricerca che si era posto in partenza e che adesso rivolge al gruppo esteso per una triangolazione di punti di vista. Il moderatore invita i partecipanti a rivolgere domande o richieste di chiarimento al presentatore (2 minuti). Si tratterà di domande semplici che richiedono risposte altrettanto semplici e veloci, per esempio: «Era la prima volta che utilizzavi questa metodologia con la classe?». Al termine di questo primo turno, viene mostrato il frammento di documentazione selezionato che tutti i presenti visionano in silenzio (è consigliabile condividere tale materiale prima dell’incontro). A questo punto, il moderatore avvia una fase di lavoro nel corso della quale il presentatore resta in silenzio limitandosi ad accogliere mentalmente le domande senza fornire un riscontro. Le domande risuoneranno nella sua mente nei giorni successivi. Prima sollecitazione posta dal moderatore: che cosa hai visto o colto nella documentazione? Che cosa ti fa sostenere ciò che dici? (4 minuti). Seconda sollecitazione: quali domande suscita in te la documentazione? (4 minuti). Terza sollecitazione: quali sono le implicazioni relative alle pratiche di apprendimento/insegnamento per il docente che presenta la documentazione? (4 minuti). A conclusione delle tre sollecitazioni il presentatore condivide le proprie riflessioni in relazione ai commenti dei colleghi (senza rispondere alle domande precedentemente poste). A questo punto, il focus passa dal presentatore ai singoli partecipanti che condividono, a turno, una frase, una sollecitazione, un spunto di lavoro che avranno derivato per apportare un elemento di novità nelle proprie pratiche didattiche. Il protocollo si conclude con una sezione dedicata a riflettere sul metodo di lavoro agevolato dal protocollo. I quattro minuti dedicati rispettivamente a ciascuno dei tre round nel corso dei quali i partecipanti rispondendo alle domande offrono spunti preziosi al presentatore devono essere ben gestiti. Questo significa che, per consentire la massima partecipazione del gruppo, chi prende la parola dovrà usarla bene, per poco tempo, focalizzandosi su un solo aspetto, quello che per lui o lei sarà risultato più pregnante. È un esercizio difficile le prime volte, ma fondamentale per la buona riuscita di questo protocollo. L’ideale sarebbe ripetere periodicamente queste riunioni alternando i ruoli di presentatore, moderatore e di partecipante semplice. Da questo primo esempio di applicazione, si evince come la documentazione informata da una domanda di ricerca sia centrale in questa modalità di lavoro che vede la presenza di un gruppo di colleghi impegnati a fornire elementi preziosi al collega, ciascuno attraverso la propria esperienza e sensibilità. Altro uso importante della documentazione è il suo impiego nel processo metacognitivo. Per «didattica metacognitiva» [391] si intende una didattica che mira a: 1. aiutare lo studente a capire come funzionano i processi cognitivi in generale (memoria, attenzione, ecc.); 2. guidare lo studente a diventare consapevole rispetto al proprio funzionamento cognitivo (quindi la propria memoria, la propria attenzione, il proprio processo di codifica della informazioni ecc.); 3. approccio allo studio (metodo di studio, motivazione ecc.); 4. considerare i fattori cognitivo-motivazionali-emotivi che regolano il processo di apprendimento e di pensiero.
La documentazione può senz’altro servire a lavorare in classe sugli aspetti metacognitivi del processo di apprendimento. Presenteremo, pertanto, un esempio di uso della documentazione orientata a far riflettere gli studenti sul loro processo di apprendimento. Immaginiamo un docente di italiano in una prima classe di Scuola secondaria di secondo grado, alla quale propone un’attività di lettura su un testo. Il lavoro di lettura condivisa viene organizzato in piccoli gruppi di quattro studenti, che si dispongono in isole di lavoro con i banchi. Dato che la lettura condivisa consiste anche nell’individuazione di tutte le parole sconosciute agli studenti e presenti nel testo, o delle quali non si è del tutto sicuri, il docente chiede di organizzarsi in ruoli: servono uno speaker, che riporterà agli altri gruppi la lista delle parole ignote al gruppo e un documentatore che scriverà su dei post-it le parole che via via vengono evidenziate dagli studenti, e che, anche dopo un passaggio interno al gruppo, rimangano comunque sconosciute. Il docente decide di osservare il lavoro di uno dei gruppi (deve operare una scelta perché ovviamente non può soffermarsi a osservare tutti i 6 gruppi della sua classe) e di documentare la loro conversazione attraverso la presa di appunti e la registrazione di un video, che
gli servirà successivamente per rilevare eventuali elementi che possono sfuggirgli o per leggere il comportamento non verbale dei componenti del gruppo. Mentre osserva, il docente nota che gli alunni spesso rallentano nella lettura a causa di alcuni termini scientifici inglesi e parole italiane sconosciute. Dopo questo passaggio di lettura e sottolineatura, l’attività prevede che gli alunni comunichino agli altri gruppi le parole sconosciute, ricevendo, ove possibile, una spiegazione. Nel caso in cui nessuno conosca il significato della parola segnalata (a questo punto dovrebbe essere presente nelle liste delle parole ignote di tutti i gruppi) si dovrà procedere a cercarla sul dizionario online. Infine, i lemmi e i loro significati vengono trascritti su dei fogli. Gli alunni dei vari gruppi, quindi, ritagliano dei fogli su cui riportare le parole sconosciute. Poi leggono agli altri gruppi le parole sconosciute. Ascoltano le parole sconosciute degli altri e provano a darne un significato. Il docente continua a osservare il gruppo che ha scelto e nota che le parole che il gruppo da lui osservato sono in numero molto minore rispetto a quelle evidenziate da tutti gli altri gruppi. Ne prende nota, appuntando il numero delle parole segnalato da ciascun gruppo. Il docente si chiede quindi il perché di questa diversa distribuzione: «Il gruppo che sto osservando è a conoscenza del significato delle parole evidenziate dagli altri gruppi, dato che non le ha segnalate? Durante la lettura le ha volontariamente escluse?». Quando però gli altri gruppi propongono dei lemmi che il gruppo osservato non ha rilevato, nessuno del gruppo riesce a dare una definizione corretta del lemma. A volte non rispondono niente, a volte si avventurano nella costruzione di uno pseudo-significato, per esempio i ragazzi cercano di fornire spiegazioni ragionando per analogie sonore in modo da cercare di indovinare un significato che in realtà non sanno, come quando uno dei membri del gruppo osservato cerca di rispondere alla richiesta di spiegazione proveniente da un altro gruppo che ha segnalato la parola «intrinseco». Uno dei componenti spiega il termine «intrinseco» dicendo che è associato alla parola «intrecciare». Nel video, il docente noterà più tardi che, oltre a essere più lenti di altri gruppi nella lettura, i componenti del gruppo osservato sono anche più deboli nell’organizzazione del lavoro, che si distraggono di più e che hanno tendenza a divagare. L’attività continua con la ricerca delle parole ignote a tutta la classe. Appurato che l’elenco del gruppo osservato sarebbe dovuto essere molto più lungo (o almeno altrettanto lungo) del resto della classe, si procede a cercare le parole sul dizionario online e a scrivere i lemmi ignoti su un cartellone, che viene appeso in classe su una delle pareti (le mura servono anche a questo, a tenere traccia di un processo di apprendimento, a fungere da rinforzo cognitivo e linguistico, in questo caso). Infine, il docente chiede agli allievi di comporre alcune frasi con le nuove parole apprese. Si discute se le frasi appena generate siano corrette oppure no, se rispettino il significato del lemma appena conosciuto. Si riflette sul fatto che non sempre le parole vengono utilizzate coerentemente all’interno della frase. Dopo la lezione, il docente rivede il video e lo confronta con gli appunti presi in classe. Il suo obiettivo è di riportare la documentazione in classe la settimana successiva, in particolare piccoli spezzoni di video, per far riflettere gli studenti non tanto sul significato delle parole quanto sulle interazioni tra loro, le pause, l’ascolto attivo o passivo, su chi si è mostrato pronto a rispondere, su chi non ha risposto, su chi ha risposto in modo coerente, chi non ha saputo cosa dire. Organizza un piccolo file con alcune osservazioni e seleziona alcuni passaggi del video che intende proporre ai suoi studenti durante la lezione successiva. Così, la settimana seguente, si riflette sull’apprendimento del gruppo osservato, che però, spiega il docente, è importante per tutti perché li aiuta a mettere a fuoco gli aspetti deboli in un processo di accesso al testo e della sua decodifica. Il docente mostra i frammenti di video scelti e chiede ai ragazzi di riflettere attorno ad alcune domande: «Cosa potete notare nel video? Cosa vi ha colpito?»; «Quali sono le cose che impari meglio da solo? E quali quelle che impari meglio in gruppo?»; «Cosa potete dire di come questo gruppo stia cercando di imparare insieme?»; «Quali sono, secondo voi, i segnali che un gruppo sta lavorando e imparando bene insieme?»; «Quando si impara in gruppo, si impara tutti la stessa cosa?». La discussione che si genera aiuta tutti a riflettere su come procedere meglio sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro in gruppo e l’apprendimento del singolo che per quanto concerne l’importanza dell’attribuzione del corretto significato a una parola. Gli studenti si rendono conto che alcune parole che secondo loro avevano un significato ben preciso volevano dire altro e sembrano aver interiorizzato l’importanza di praticare il dubbio, facendosi domande come: «Sono sicuro che questa parola voglia dire proprio questo? Sono sicuro di aver capito il senso di questa frase?». Mostrano anche di essere dispiaciuti di aver sottovalutato il compito e sembrano apprezzare il fatto che il docente si sia preso cura di loro, osservandoli, facendoli riflettere, sostenendoli a cercare modalità più funzionali di apprendere. Ovviamente, questo tipo di attività documentativa e metacognitiva richiede un po’ di tempo per il docente, che deve selezionare il gruppo e il momento della documentazione, progettare l’attività, avere poi tempo di rivedere e sistemare un po’ il materiale raccolto. Tuttavia, portare gli studenti a un livello superiore di consapevolezza e spostare la loro sensibilità verso la curiosità e l’automonitoraggio farà risparmiare tempo dopo e porterà a risultati di apprendimento molto migliori. La stessa documentazione, poi, può essere anche discussa con i colleghi, con il protocollo che abbiamo visto in questo stesso paragrafo. Ottenere anche lo sguardo dei colleghi è un altro possibile impiego della documentazione. In questo piccolo frammento di documentazione, infatti, vengono affrontati diversi temi che potrebbero portare a un confronto professionale molto ricco, per esempio la questione della composizione dei gruppi di lavoro, dei ritmi di apprendimento, l’importanza di organizzare l’attività con tempi certi, concedendosi anche il tempo di rivedere retrospettivamente quanto fatto, come in questo caso, oppure l’importanza della codifica del testo, spesso superficiale, attività sottovalutata e affrontata in modo superficiale ma che invece è centrale in tutte le discipline (matematica inclusa).
5. Conclusioni Dopo un excursus storico sulla documentazione, abbiamo visto come recentemente il significato della stessa si sia maggiormente focalizzato sullo sforzo di interpretare la documentazione come veicolo per l’apprendimento del singolo, della classe e della comunità tutta. In una parola, della crescita personale e di gruppo relativamente a un’ampia gamma di dimensioni: cognitiva, metacognitiva, sociale, emotiva, etica e politica. Abbiamo poi affrontato il tema della documentazione come dispositivo per una valutazione di tipo formativo, anche nelle recenti pratiche di DAD, e ci siamo soffermati sul come concretamente utilizzare la documentazione raccolta dal docente in termini di sviluppo professionale e ricerca didattica, con i propri colleghi, da una parte, e, dall’altra, su come restituire la documentazione agli studenti in una logica di lavoro metacognitivo.
[360]
A livello nazionale, infatti, un processo di ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, è stata introdotto dalla legge Bassanini (legge 59/1997) e dai successivi strumenti normativi che hanno proceduto a un progressivo decentramento amministrativo. [361]
La descrizione della pratica avrebbe dovuto includere i punti elencati nello Schema di descrizione dell’esperienza: oltre a dati descrittivi come titolo, età degli alunni destinatari ecc. si chiedeva di indicare il tema centrale, i tre aspetti più interessanti, le condizioni di trasferibilità e di allegare uno strumento didattico (il learning object) realizzato nell’ambito dell’esperienza. [362]
Il database GOLD aveva un’architettura molto articolata, aveva un proprio sistema di metadatazione, basato sugli standard internazionali allora maggiormente utilizzati, come il LOM (Learning Object Metadata) e su un sistema di information retrieval , anch’esso scientificamente creato da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla BDP. Nel 2006 il database GOLD aveva raccolto circa 6000 pratiche, di cui 650 riconosciute, tramite un sistema di peer review, come buone, meritevoli di un premio di natura economica e della menzione come «best practice» nella sezione nazionale del database. [363]
Gli IRRE sono stati istituiti nel 1974 e hanno continuato a operare sul territorio fino al 2007, anno in cui sono confluiti, con la BDP, nell’Agenzia nazionale per l’autonomia scolastica (ANSAS), nome dell’attuale INDIRE dal 2007 al 2012. [364] È
il caso della Francia, dove il docente veniva affiancato da uno specialista nella raccolta, selezione, organizzazione e pubblicazione della documentazione della pratica. [365]
All’interno del sito del progetto GOLD, venivano forniti una serie di strumenti di orientamento, tra cui il vademecum. Gli obiettivi principali individuati erano i seguenti: «Lasciare tracce di lavoro; rendere evidente il percorso; raccontare e diffondere; verificare; osservare; progettare; ricostruire; dare continuità; individuare i cambiamenti; confrontarsi e riflettere; coinvolgere». [366]
Nonaka I., Hirotaka H., The Knowledge-Creating Company: how Japanese Companies Create the Dynamics of Innovation , Oxford University Press, Oxford 1995. [367]
Il termine comunità di pratica, o «Community of Practice» (CoP), compare agli inizi degli anni Novanta, a opera di Étienne Wenger, i cui lavori si focalizzano proprio sull’importanza della creazione di gruppi di discussione e di ricerca intorno alle pratiche didattiche. [368]
Il sistema GOLD prevedeva una candidatura della pratica a livello regionale e poi, attraverso una valutazione composta da terzi, una selezione e promozione nella sezione nazionale del database. [369] La
speranza di creare una comunità online di professionisti della scuola era all’epoca supportata dall’utopia dell’«intelligenza collettiva» del filosofo Pierre Lévy (1996). [370] Guida
M., Mosa E., Panzavolta S., «Festina lente. Cambiare con lentezza a ritmo veloce», in Giannelli A. (a cura di), Rivoluzionare la scuola con gentilezza , Guerini Editore, Milano 2019. [371]
Cfr. il sito del Movimento delle Avanguardie Educative www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/ .
[372] Al
momento della scrittura di questo contributo sono ormai oltre mille le scuole aderenti al Movimento.
[373] Cfr.
www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/il-manifesto .
[374]
Krechevsky M., Mardell B., Rivard M., Wilson D., Visible Learners. Promoting Reggio-inspired approaches in all schools , Jossey Bass, San Francisco 2013. [375] Cfr.
www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/integrazione-mltv .
[376] Cfr.
www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/dialogo-euristico .
[377]
Si rimanda, nello specifico, alla consultazione del quadro di riferimento «Making Learning Visible»: www.pz.harvard.edu/projects/making-learning-visible
. [378]
Cfr. www.reggiochildren.it/ .
[379] MIUR, [380]
2012: www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_Definitivo.pdf .
MIUR, 2018: www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari.pdf .
[381] Krechevsky [382] Ibid
M. et al., op. cit. , p. 74.
., p. 61.
[383]
Per approfondire, si veda la sezione del sito di Avanguardie Educative dedicata all’Idea MLTV: www.innovazione.indire.it/avanguardieeducative/integrazione-mltv . Inoltre, si può fare riferimento al volume Mughini E., Panzavolta S., (a cura di), MLTV Rendere visibili pensiero e apprendimento , Carocci, Roma (in corso di stampa). [384] Rivoltella
P.C., Rossi P.G., L’agire didattico. Manuale per l’insegnante. Ed. La Scuola, Brescia 2017.
[385] Dipartimento
per il sistema educativo di istruzione e di formazione, Emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza , 17 marzo 2020 consultabile all’indirizzo: www.miur.gov.it/documents/20182/0/Nota+prot.+388+del+17+marzo+2020.pdf/d6acc6a21505-9439-a9b4-735942369994?version=1.0&t=1584474278499 . [386] Iniziativa
consultabile all’indirizzo web: www.indire.it/la-rete-di-avanguardie-educative-a-supporto-dellemergenza-sanitaria/archivio-webinar/ .
[387]
Per approfondire, si veda il documento Didattica a Distanza Forzata: 22 domande, 22 risposte , a cura di Roberto Trinchero, www.asnor.it/documenti/schede/domande_e_risposte.pdf . [388] Perkins
D. N., Smart Schools: Better Thinking and Learning for Every Child , The Free Press, New York 1992.
[389] Krechevsky [390] Dewey [391] Ianes
M. et al., op. cit .
J., Esperienza e educazione , Raffaello Cortina, Milano 2014.
D., La speciale normalità. Strategie di integrazione e inclusione per le disabilità e i bisogni educativi speciali , Erickson, Trento 2006.