Chicago. Morfologia sociale e migrazioni 9788860813350


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Chicago. Morfologia sociale e migrazioni
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Maurice Halbwachs

Chicago Morfologia sociale e migrazioni

a cura di Maurizio Bergamaschi

ARMANDO EDITORE

HALBWACHS, Maurice Chicago. Morfologia sociale e migrazioni ; Roma : Armando, © 2008 112 p. ; 17 cm. (Classici di sociologia) ISBN: 978-88-6081-335-0 1. Maurice Halbwachs/Sociologia 2. Città, nascita: Chicago 3. Morfologia sociale e migrazioni CDD 301

Traduzione e cura di Maurizio Bergamaschi. Titolo originale: Chicago, l’expérience ethnique. Saggio tratto dalla rivista: «Annales d’histoire économique e sociale», n. 13, 1932. © 2008 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 02-04-041 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]

Indice

Introduzione (Maurizio Bergamaschi) Chicago. Morfologia sociale e migrazioni (Maurice Halbwachs) Nota bio-bibliografica

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Introduzione

Sono persuaso che l’impresa scientifica interrotta dalla morte di un intellettuale quale Maurice Halbwachs aspetti di essere continuata. Non si tratta di celebrare gli eroi morti, cosa che, come in tutti i riti del lutto, equivale a farli scomparire una seconda volta accettando il fatto della loro scomparsa. Si tratta di riprendere la lotta lì dove l’hanno lasciata, e questo senza dimenticare la violenza che li ha vinti e che è necessario cercare di comprendere [Bourdieu 1987: 168]

L’interesse per Maurice Halbwachs1, in Italia ma anche in Francia, è ancora oggi prevalentemente legato ai suoi studi sulla memoria individuale e collettiva2, mentre alle ricerche sullo spazio urbano è stata riservata, in generale, un’attenzione limitata. In questa introduzione ci proponiamo di dimostrare che tra i molti temi affrontati dal sociologo francese, che vanno dai consumi operai alla psicologia collet7

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Introduzione

tiva, dallo studio del suicidio a quello della demografia, delle classi sociali, dei rapporti tra statistica e sociologia, la vita urbana e più in generale le determinazioni spaziali del “corpo sociale” occupano una posizione centrale e rappresentano un oggetto di ricerca costantemente rivisitato3. È sempre dalla morfologia sociale che Halbwachs parte per spiegare i diversi “fatti sociali” studiati: «L’autore [Durkheim] delle Règles de la méthode sociologique, che raccomandava di studiare le realtà sociali “come cose”» attribuiva «un’importanza particolare a ciò che, nelle società, assume maggiormente i caratteri delle cose fisiche: estensione, numero, densità, movimento, aspetti quantitativi, tutto ciò che può essere misurato e quantificato. È da questa definizione che siamo partiti» [Halbwachs, 1970 (1938): 1]. Se la riflessione sulle “forme” materiali e le determinazioni spaziotemporali del corpo sociale resta una costante nella sua traiettoria intellettuale [Bergamaschi, 2008], per Halbwachs ogni nuova ricerca rappresenta un’occasione per ridiscutere e ridefinire le acquisizioni cui egli stesso era precedentemente pervenuto. Nella sua vasta produzione scientifica possiamo dunque notare continui slittamenti, che lo portano a spostare progressivamente il baricentro della ricerca verso una definizione sempre più puntuale dello spazio come categoria sociologica. Il saggio che qui presentiamo è emblematico di questo percorso di ricerca, che individua nella morfologia sociale il punto di partenza per lo studio della città [Grafmeyer, Joseph, 1979: 35]. Al contempo, è una delle prime letture dei testi prodotti dalla scuola ecologica di Chicago, ancora in gran parte 8

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sconosciuta nel vecchio continente, da parte di un sociologo europeo ancorato al magistero durkheimiano. Halbwachs vi analizza lo sviluppo urbano di Chicago, la città maggiormente studiata dalla sociologia americana, e a tal fine mobilita un apparato categoriale che egli stesso era andato definendo negli anni Dieci e Venti del XX secolo, in particolare negli studi su Parigi. Pur dimostrando una buona conoscenza delle pubblicazioni dei colleghi d’oltreoceano, Halbwachs ne critica radicalmente le acquisizioni teoriche e metodologiche, cui imputa frettolosamente scarso rigore scientifico. Nelle pagine che seguono, oltre alla rilettura di un testo di sociologia urbana spesso dimenticato, proponiamo una ricostruzione del mancato incontro sul piano scientifico tra due tradizioni di ricerca che per diversi decenni resteranno separate, e non solo dall’oceano Atlantico. Halbwachs a Chicago Il saggio Chicago, expérience ethnique viene pubblicato nel 1932, negli «Annales d’histoire économique et sociale», la rivista fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre, colleghi dell’Università di Strasburgo. Fin dalla sua prima uscita (1929) Halbwachs vi collabora attivamente, entrando a far parte del comitato di redazione. Il saggio viene scritto in seguito ad un soggiorno di Halbwachs a Chicago nell’ultimo trimestre del 1930, come visiting professor of sociology. Durante questo breve soggiorno, Halbwachs si propone da un lato «di studiare l’organizzazione […] del Dipartimento di sociologia [di questa Università]. [In quanto] avremo 9

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Introduzione

molto da apprendere»4, e dall’altro di confrontarsi con il dibattito sociologico nordamericano che in quegli anni aveva in Chicago il suo epicentro [Rauty, 1990]. Trascorre gran parte del tempo libero dagli impegni didattici in biblioteca o nella propria camera («Mi metto al corrente, mi aggiorno, arrivo a leggere un libro al giorno», lettera alla moglie dell’8 novembre). Non mancheranno gli incontri e gli scambi con le figure più importanti del Dipartimento, in particolare R. Park, E. Burgess e W.F. Ogburn, sociologi che non conosceva: non aveva letto nessuno dei loro testi prima del suo soggiorno americano [Topalov, 2006: 571], benché numerosi volumi, e sicuramente quelli più importanti, fossero già stati pubblicati. Alcune passeggiate in diversi quartieri, documentate nelle lettere alla moglie, gli permetteranno inoltre di acquisire una conoscenza diretta della città dei laghi e di raccogliere una serie di osservazioni “etnografiche” sulla sua vita sociale. Queste verranno utilizzate, almeno parzialmente, nella stesura del saggio del 1932, qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, e negli otto articoli pubblicati, tra ottobre e dicembre del 1930, in “Le Progrès”, importante quotidiano repubblicano di Lione5. In una di queste uscite dal campus universitario visita Hull House, il Social Settlement [Bortoli, 2006: 37-39] fondato nel 1899 da J. Addams (1860-1935)6 in Halsted Street, un edificio abbandonato collocato in uno dei quartieri più poveri di Chicago e che diventerà il centro di un’importante sperimentazione nel campo del lavoro sociale. Hull House, come si può leggere nello statuto, era un luogo di aggregazione in cui si intraprendevano iniziative filantropiche ed edu10

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cative, si studiavano le condizioni di vita dei distretti industriali di Chicago e delle sue popolazioni [Bianchi, 2004: 17]. Di questa esperienza Halbwachs sembra accettare il principio e gli obiettivi: «Questi Settlements, sono sociologia applicata. Ci sono 75 residenti che hanno tutti, più o meno, seguito dei corsi di sociologia. E ogni settimana vi passano in media 5.000 abitanti del quartiere, in gran parte immigrati. Sono uno strumento di assimilazione» (lettera del 16 novembre alla moglie). L’interesse per Hull House si ricollega all’adesione di Halbwachs, alla fine del XIX secolo, alla Société des Visiteurs [Dab, 1999: 219-235], un’associazione di beneficenza privata ispirata al principio della “carità scientifica” promosso dalla Charity Organisation Society. Fondata a Parigi nel 1896 riunirà, all’inizio del XX secolo, una cinquantina di studenti dell’École Normale Supérieure e il nostro autore nel 1899 ne diventerà vicepresidente. In qualità di “visiteur des pauvres”, si reca al domicilio delle famiglie povere segnalate alla Société o che ne hanno sollecitato l’intervento, e partecipa alle “letture popolari” organizzate nei quartieri in cui la Société interviene. Quest’insieme di attività lo metterà in contatto con un universo sociale a lui sconosciuto, e scoprirà alcune zone della capitale che gli erano del tutto ignote, in particolare quelle collocate a est e a nord e alcuni quartieri periferici della rive gauche. L’incontro di Halbwachs con una “scuola originale” Il breve soggiorno a Chicago gli permette di entrare in contatto con la sua “scuola di sociologia” [in11

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fra], e al suo ritorno si propone di favorirne la conoscenza in Francia [Roncayolo, 1994: 13; Huet, 2000: 57-84]7. Tuttavia è solamente alla fine degli anni Settanta, quando Y. Grafmeyer e I. Joseph pubblicano un’antologia di testi della scuola ecologica, in cui compare anche il saggio di Halbwachs su Chicago [Grafmeyer, Joseph, 1979], che si può parlare, nel paese d’oltralpe, di una sua vera e propria scoperta. Halbwachs esprime un giudizio in parte positivo su quel settore della sociologia americana (rappresentato in particolare da R. Park e E. Burgess) che si propone di studiare direttamente sul campo i social problems urbani. Il sociologo francese mostra infatti interesse per le inchieste monografiche “sul ghetto, le gang, gli slum, le aree disorganizzate” della città (lettera alla moglie del 18 dicembre). Se Halbwachs sembra apprezzare la meticolosità con cui i colleghi americani raccolgono e schedano i fatti, il giudizio sui loro metodi è severo: le monografie realizzate sono «libri indubbiamente descrittivi, piuttosto che scientifici, disuguali, deludenti qualche volta, ma più frequentemente molto pittoreschi, con immagini prese dal vivo e documenti inaspettati e preziosi» [infra]. Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti e nel confronto con i colleghi americani, come tenteremo di evidenziare, non viene mai meno la distanza tra la tradizione di ricerca francese e quella nordamericana. Halbwachs non si rende disponibile a negoziare i modelli di lettura dello sviluppo urbano che aveva appreso dal magistero durkheimiano. Consiglia quindi ai sociologi di Chicago di superare l’orizzonte di ricerca meramente descrittivo e di prestare maggiore attenzione alla formulazione delle ipotesi e all’uso 12

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dei dati statistici. In una recensione, pubblicata nell’anno del saggio su Chicago, Halbwachs osserva: «Tanto i sociologi tedeschi non escono dalla teoria, quanto quelli americani non sembrano troppo preoccuparsi delle idee» [Halbwachs, 1932: 81]. Il giudizio di Halbwachs inaugura una lettura europea della sociologia di Chicago che, nelle sue linee essenziali, verrà periodicamente riproposta, almeno fino agli anni Ottanta. A questi sociologi si riconosce il merito di aver contribuito alla definizione della sociologia urbana come disciplina specifica [Pizzorno, 1967: XII] e l’apporto decisivo sul piano metodologico. Al contempo, si imputa loro una produzione sociologica puramente descrittiva, e pertanto non scientifica, in quanto avrebbero separato la ricerca empirica dal lavoro teorico, trascurando quest’ultimo. La denuncia delle presunte carenze teoriche dei sociologi di Chicago non sembra tenere conto del contesto in cui si colloca la definizione della sociologia come forma superiore di giornalismo, elaborata da R. Park. Il sociologo americano intendeva liberare la nuova disciplina da ogni attitudine speculativa per fondarla sull’osservazione e la conoscenza diretta della realtà sociale, e delle situazioni problematiche proprie del mondo urbano. Quando Park promuove e incoraggia il lavoro sul campo non intende ridurre la sociologia ad una raccolta di dati “di prima mano”8, ma assume la ricerca empirica come condizione preliminare dell’attività scientifica. Dobbiamo inoltre ricordare che, oltre alle numerose monografie che hanno reso famosa questa scuola, e che Halbwachs in gran parte dimostra di conoscere e di apprezzare9, Park e Burgess sono gli autori del volume Introduction to 13

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the Science of Sociology, citato nel saggio, dove espongono, in oltre mille pagine, le loro opzioni teoriche sull’interazione sociale, destinate a rendere conto delle relazioni tra gli individui e i gruppi. Questa critica di fondo alla Scuola di Chicago è dovuta, come ha sostenuto A. Huet [2000: 67], al debole impatto del pragmatismo in Europa [Pizzorno, 1967: XIV], all’interno del quale si collocherebbe invece la ricerca sviluppata dal Dipartimento di sociologia e antropologia della città dei laghi [Joas, 2002: 14-49]. Halbwachs non solo non riconosce quello che potremmo definire, sulla scorta di I. Lakatos, il “programma di ricerca” [Huet, 2000: 65] dei sociologi di Chicago, ma nutre numerose riserve anche sui loro metodi e tecniche di lavoro sul campo. I giudizi espressi dal sociologo francese su alcune delle loro monografie sono abbastanza severi. La stessa definizione della scuola di Chicago come “originale”, va probabilmente letta ricordando la doppia accezione dell’aggettivo: “nuova”, ma anche “bizzarra”. Più in generale Halbwachs, sulla scorta delle Règles durkheimiane, si mostra scettico sul “genere” monografia, cui imputa una scarsa attendibilità e rappresentatività. Per ovviare ai limiti delle ricerche dei colleghi americani, nella sua presentazione della città di Chicago si avvarrà sistematicamente e prioritariamente del materiale statistico raccolto durante il suo soggiorno americano. Alla costruzione del saggio potrebbero aver contribuito anche i numerosi scambi con W.F. Ogburn (1886-1959). È questi che lo accoglierà al momento del suo arrivo nell’università americana, in quanto membro del Dipartimento deputa14

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to a mantenere i rapporti con i colleghi stranieri [Topalov, 2006: 568-569]10. Ogburn collabora con Park e Burgess, riconosce la qualità dei dati raccolti nel corso delle loro numerose ricerche sul campo, ma è ugualmente convinto che le loro analisi sociologiche avrebbero acquisito maggiore credibilità scientifica se il trattamento dei dati fosse stato più rigoroso. Nell’auspicare un ricorso più sistematico ai dati statistici, Ogburn non poteva non incontrare la simpatia e l’approvazione di Halbwachs. Questi, sebbene convinto che sociologia e statistica non siano sovrapponibili, e pur sviluppando una critica radicale dell’utilizzo spesso azzardato e riduttivo dello strumento statistico [Baudelot, Establet, 1994: 48], non ha mai del tutto cessato, nella sua produzione scientifica, di ricorrere ai numeri per analizzare i fatti sociali. Morfologia sociale e migrazioni La distanza di Halbwachs dalla tradizione di ricerca nordamericana emerge, in particolare, nella costruzione del saggio su Chicago. Qui, l’utilizzo dei dati statistici è sistematico e serve a documentare quelle realtà che l’osservazione etnografica non può cogliere: lo spostamento progressivo verso Ovest del “centro della popolazione” statunitense; la crescita della popolazione di Chicago in rapporto all’estensione del suo territorio; la presenza straniera negli Stati Uniti; la distribuzione degli immigrati per gruppi nazionali nella città di Chicago; il numero dei matrimoni misti, ecc. Questa ampia documentazione stati15

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Introduzione

stica rientra in ciò che nel 1938 Halbwachs definirà «morfologia stricto sensu o scienza della popolazione», «fatti di popolazione puri e semplici» [Halbwachs, 1970 (1938): 12]. Come osserva Roncayolo, rispetto alle ricerche dei sociologi di Chicago, la morfologia sociale halbwachsiana propone un’identificazione più puntuale non solo dei gruppi sociali, ma anche del tessuto urbano, delle sue linee di separazione interne e delle sue rotture fisiche [Roncayolo, 2002: 175]. Nel saggio su Chicago è possibile infatti cogliere una particolare attenzione al ruolo degli elementi fisici e infrastrutturali – strade, parchi, fiumi, lago, aree dismesse – nella distribuzione delle popolazioni all’interno della città. Halbwachs è particolarmente attento a quegli aspetti morfologici che obbediscono a “disposizioni collettive” [Halbwachs, 1970 (1938): 175176]. È proprio a queste che fa riferimento quando affronta quello che sembra ritenere il problema sociologico più rilevante della Chicago degli anni Trenta: l’assimilazione degli immigrati. È forse utile ricordare che, sebbene questa costituisca una delle linee di ricerca privilegiate da Park già dal 1913 [Rauty, 1999: 132-138], nel saggio di Halbwachs non vi è alcun riferimento alla riflessione e alle ricerche del sociologo americano, in particolare al “ciclo delle relazioni razziali”. Non viene neppure citato il dibattito intorno alla legislazione restrittiva sull’immigrazione negli Stati Uniti11. Come nota Montigny [1992: 199] Halbwachs non si propone primariamente, nel suo saggio, di presentare esaustivamente ai lettori francesi le ricerche del Dipartimento di sociologia e antropologia di Chicago, ma piuttosto di sviluppare il proprio personale percorso di analisi sullo sviluppo della grande 16

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città. La tesi di fondo avanzata nel testo sembra confermare questa ipotesi di lettura. Halbwachs non si confronta direttamente con le acquisizioni teoriche dei sociologi americani, ma si limita ad utilizzare quanto, all’interno della loro produzione saggistica, può essergli utile per argomentare e sostenere il suo punto di vista sullo sviluppo della città americana. Quando si tratta di spiegare la presenza degli stranieri ai margini dello spazio urbano (ampiamente documentata nel saggio, ma anche in diverse monografie della scuola ecologica), il sociologo francese sostiene che questa non sia primariamente imputabile né a fattori etnico-culturali, né alla loro condizione di immigrati, ma che sia soprattutto riconducibile alla loro posizione sociale. «Non è perché stranieri, ma perché operai, soprattutto manovali e operai della grande industria, che la massa degli immigrati, autorizzata a risiedere in città, è tuttavia separata dalla vita urbana, esclusa dalla corrente tradizionale che veicola solamente gli elementi veramente “borghesi”, o in relazione e in contatto stretto e familiare con la borghesia» [infra]. Non dunque perché immigrati, ma in quanto parte di una classe operaia multinazionale, essi si trovano “separati dalla vita sociale” [infra] e vivono nei quartieri più degradati e disorganizzati della città. Lo straniero di Halbwachs, a differenza di quello simmeliano [Simmel, 19913 (1908)] o dell’uomo marginale di Park [19913 (1928)], non vive sospeso tra due mondi e due culture, non è definito da una doppia appartenenza non integrata, ma è piuttosto collocato in un universo a parte, del tutto separato dalla “civiltà”12 urbana, al di fuori delle “correnti sociali” del tempo. 17

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Se la condizione di marginalità sociale della classe operaia era già stata evidenziata in lavori precedenti [Halbwachs, 1912], nel saggio su Chicago Halbwachs introduce il “fattore urbano”: riprendendo il modello dei cerchi concentrici di Burgess, mostra che all’isolamento sociale – proprio di questo gruppo – corrisponde una segregazione sul piano spaziale. Come i sociologi di Chicago, considera invalicabili le frontiere che separano le diverse aree della città poiché «la distanza sociale sopperisce a quella fisica» [Pizzorno, 1967: XIX]. Le relazioni si producono quasi esclusivamente all’interno del gruppo di appartenenza e l’iscrizione fisica della comunità, che ne supporta le rappresentazioni collettive, concorre all’isolamento dei diversi segmenti della popolazione. Su quanto si genera, all’interno di queste aree segregate, sul piano della socialità e più in generale su quello culturale, una distanza rilevante separa il sociologo francese dai suoi colleghi americani. Park ritiene che “ogni parte distinta della città”, ovvero ogni area naturale, sia caratterizzata «da propri sentimenti, da proprie tradizioni e da una propria storia» [Park, 1967 (1925): 9], e dunque da forme di socialità e da una cultura, o subcultura, peculiari che necessitano di essere studiate e documentate. Nell’approccio di Halbwachs, viceversa, la classe operaia, che occupa queste aree, è completamente assorbita nella produzione materiale, e pertanto “separata dalla società”. A questa classe che vive esclusivamente “a contatto con la materia inerte”, che occupa pressoché tutto il suo tempo, non viene attribuita alcuna capacità di costruire una propria cultura, in quanto deprivata sul piano relazionale e deso18

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cializzata dal proprio lavoro. Il dualismo di origine filosofica che oppone “materia” e “società” [Amiot, 1991], presente sistematicamente nella sua ricerca sulla classe operaia, gli preclude la possibilità di intravedere in questo gruppo sociale un punto di vista soggettivo, forme di socialità e di solidarietà, eccetto quelle che nascono dal comune sentimento di esclusione ed isolamento. È all’interno di questa linea di ricerca che Halbwachs rifiuta anche l’immagine, cara ai sociologi di Chicago, del mosaico delle comunità etniche, delle aree omogenee dal punto di vista etnico-culturale, che sebbene immediatamente percepibili, sottendono una divisione della città in classi, osservabile anche sul piano spaziale. Sul piano analitico, la stratificazione sociale prende il posto e viene prima del fattore etnico. A Chicago, come a Parigi, è possibile osservare «tutte le sfumature delle diverse condizioni sociali e non vi è paesaggio urbano sul quale questa o quella classe non abbia impresso il proprio segno» [infra]. La città contemporanea, rispetto a quella antica o a quella medioevale, risulta socialmente più eterogenea, ma una parte della sua popolazione è «in città senza esservi realmente» [infra]. Sebbene inclusi sul piano spaziale, alcuni gruppi si trovano esclusi su quello sociale. Anche quando, nella città americana, i gruppi svantaggiati si trovano a vivere nei quartieri più centrali, questi diventano l’equivalente funzionale delle periferie operaie del continente europeo, e come queste ultime non sviluppano una propria cultura e socialità. In generale, solo la prolungata permanenza sul territorio americano, e la crescita del tenore di vita 19

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degli stranieri, ne rendono possibile l’assimilazione, attestata dalla diffusione dei matrimoni misti e dalla dispersione degli insediamenti nel territorio urbano. Studiando i dati relativi alla concentrazione spaziale dei diversi gruppi nazionali, alla frequenza dei matrimoni misti, alla stratificazione del “mercato etnico del lavoro” [d’Eramo, 1995: 139], ai diversi livelli salariali, Halbwachs evidenzia il rapporto diretto tra il tempo di permanenza nel territorio americano e il processo di assimilazione nel nuovo contesto di insediamento. È nel tempo che si producono il lento cammino ascendente degli immigrati lungo la gerarchia dei livelli di vita e soprattutto una maggiore partecipazione alla vita urbana. Come nella ricerca del 1912 su La classe ouvrière et les niveaux de vie, al centro della riflessione di Halbwachs non vi è, primariamente, il diverso accesso alla ricchezza dei gruppi sociali, ma piuttosto la loro distanza dalle rappresentazioni collettive elaborate laddove la “vita sociale è più intensa”. La distanza viene progressivamente colmata quando gli stranieri guadagnano una nuova e più avanzata posizione nella gerarchia sociale che struttura lo spazio urbano. Rispetto ai sociologi di Chicago, Halbwachs sposta pertanto l’attenzione dai fattori etnico-culturali alla stratificazione sociale: «Gli immigrati si differenziano tra di loro e dagli americani, più che per la lingua o la religione, per la loro situazione o il loro livello sociale» [infra]. Se questa è l’ipotesi di fondo, il fattore etnico sembra giocare un ruolo solo nel caso degli ebrei e soprattutto dei “negri”13. Sebbene non sia oggetto di un approfondimento specifico, il sociologo francese denuncia l’impossibile assimilazione degli afroameri20

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cani che non rimanda però, è bene puntualizzarlo, ad una concezione biologica della razza [Jaisson, Brian, 2005: 44]. Secondo Halbwachs sono i fattori economici ed etnici che, combinati, rendono “inassimilabili” gli afroamericani. I “costumi” sociali, inoltre, costantemente ricostruiscono quelle frontiere che il riconoscimento dei diritti civili tende ad abbattere. Da qui la specificità della black belt rispetto ad altri “quartieri etnici”: «i negri formano una società al cui interno vi sono tutte le distinzioni sociali che ritroviamo nella nostra, ma questa è del tutto separata» ed essi «accettano interamente il loro destino, rassegnati all’inevitabile» (lettera alla moglie, 1 novembre). Negli anni Venti-Trenta, la black belt è ancora eterogenea sul piano sociale e dotata di una sua coesione e coerenza interna14. Solo nell’ultima nota del testo (n. 42) Halbwachs avanza una possibile spiegazione della sua separatezza, riportando una conversazione con una cittadina americana. La sua interlocutrice riconduce la separazione degli afroamericani agli anni della schiavitù, che proiettano nel presente una condizione di discriminazione e marginalità. È nelle pagine in cui si parla della formazione e dello sviluppo della black belt che la riflessione di Halbwachs sembra, almeno in parte, riprendere alcune linee di ricerca sviluppate dai colleghi americani: le categorie di “successione” ed “invasione”, sebbene non esplicitate, sono sottintese nella spiegazione della strutturazione della “cintura nera” a Chicago. È necessario però evidenziare che, mentre per il sociologo francese la descrizione di questo processo di “successione-invasione” si colloca nel quadro di una ricerca di morfologia sociale, per i suoi colleghi 21

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americani essa trova spazio nell’approccio ecologico, da cui Halbwachs prende le distanze. Il sociologo francese, anche in questo passaggio del testo, rimane dunque fedele al suo programma di lavoro che individua, nella morfologia sociale, il punto di partenza di una ricerca più ampia concernente le trasformazioni economiche e sociali di una data realtà territoriale. Benché ammiri le intuizioni dei sociologi americani e tenti di integrarle nel saggio su Chicago, Halbwachs non riconosce alcun valore scientifico all’approccio ecologico alla città. Pur apprezzando il rapporto diretto che questi studiosi intrattengono con la realtà e “l’osservazione di prima mano”, Halbwachs sottolinea soprattutto i limiti del loro percorso di ricerca “privo com’è dell’appoggio che può offrire una tradizione di ricerca e di analisi scientifica” [infra]. I loro resoconti etnografici sono assimilabili, come scrive alla moglie nella lettera del 18 dicembre, alle testimonianze di viaggiatori e missionari quando entrano in contatto con culture lontane dalla propria: a suo parere, i sociologi americani non sono ancora passati, nella ricerca sociologica, dallo “stadio soggettivo” alla “fase oggettiva” [Durkheim, 1979 (1895): 46]. Sebbene i dati statistici e le osservazioni “etnografiche” contenuti nel saggio siano numerosi e puntuali, Halbwachs, uno dei primi lettori europei di Park e Burgess, non è interessato alla produzione di una «monografia puramente descrittiva» [Durkheim 1979 (1895): 81] su Chicago. «Penetrare un po’ più in profondità nella struttura sociale della città» dei laghi [infra], grazie all’utilizzo sistematico dei “dati numeri22

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ci”, serve soprattutto a ricondurre le specificità estrapolate dalle numerose ricerche consultate e dalle personali osservazioni “etnografiche” alle “leggi” generali che governano i grandi agglomerati urbani moderni. Pur sottolineando la «crescita [che a Chicago] è avvenuta ad una velocità senza precedenti» [infra], la diversità di origine dei suoi nuovi abitanti, e la grande varietà delle aree abitate da essi formate nei vuoti urbani, nella conclusione del saggio riconosce che «a Parigi, come a Chicago, i quartieri si differenziano a seconda della predominanza più o meno accentuata di questa professione o quella industria, del livello di povertà o ricchezza. Una grande città sviluppa, davanti agli occhi di chi la percorre, tutte le sfumature delle diverse condizioni sociali e non vi è paesaggio urbano sul quale questa o quella classe non abbia impresso il proprio segno. Più contrastato e ricco di colori, il quadro che offre Chicago rappresenta in fondo lo stesso soggetto visibile in tutti gli agglomerati moderni ove gruppi diversi si scontrano» [infra]. Nel momento in cui l’analisi della città si fa più puntuale e approfondita, la specificità della straordinaria crescita di Chicago e dei suoi imponenti flussi migratori tende a sfumare. Halbwachs la riconduce all’interno di quello schema unitario di lettura dello spazio urbano che egli stesso aveva predisposto, già all’inizio del secolo, a proposito di Parigi e di altre grandi città europee (in particolare Berlino e Istanbul, a cui dedicherà due articoli pubblicati dopo il 1932). Nonostante l’ammirazione e la simpatia per i sociologi di Chicago, e in particolare per la «miniera di fatti […] portati alla luce da esploratori che non han23

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no timore di scendere e di spingersi fino in fondo nelle gallerie più sotterranee» della città [infra], Halbwachs resta ancorato al magistero durkheimiano [Verret, 1971: 313]. Questo stretto legame scientifico con il maestro gli preclude la possibilità di comprendere il percorso di ricerca dei colleghi di Chicago, nonostante «lo spirito di straordinaria curiosità»15 e la sensibilità mostrata nei confronti del dibattito nordamericano. In occasione del soggiorno statunitense di Halbwachs, la morfologia sociale francese incontra l’ecologia umana americana, ma all’interno del laboratorio urbano di Chicago le due tradizioni di ricerca restano del tutto separate e impermeabili l’una all’altra.

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NOTE

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Per un profilo biografico di Halbwachs si rimanda a Arcangeli, 1996: 79-81 e a Montigny, 2005: 5-12. Un’ampia bibliografia delle sue opere, curata da V. Karady, è riportata in appendice al volume M. Halbwachs, 1972: 411-444. 2 L’interesse in Italia per le ricerche sulla memoria di M. Halbwachs è attestato, oltre che dalle diverse nuove traduzioni [Halbwachs 1996 (1925); 1997 (1925); 20012 (1950)], da numerosi saggi pubblicati negli ultimi quindici anni [Jedlowski, Rampazzi, 1991; Nisio F.S., 2000; Jedlowski, 2001; Jedlowski, 20022; Bartoletti, 2007: 3745]. 3 Si veda, all’interno della vasta bibliografia del nostro autore, in particolare: Halbwachs, 1910 : 655-658 e 770-772 ; Halbwachs, 1942 : 16-43 ; Halbwachs, 1970 (1938) ; Halbwachs, 1972 ; Halbwachs, 1988 (1941); Halbwachs, 1989 (1920): 93-118; Halbwachs, 1997 (1925); Halbwachs, 20012 (1950); Halbwachs, 2002 (1930). 4 Risposta di Halbwachs all’invito fattogli da E. Faris, chairman dell’Università di Chicago, cit. Craig, 1979: 286. 5 Questi articoli sono stati scoperti e ripubblicati da C. Topalov, cfr. Topalov 2005a: 132-150; id., 2005b: 131150. Durante il soggiorno americano scrive anche un articolo su Les budgets des familles ouvrières aux EtatsUnis, in «Bullettin de la statistique générale de la France», n. 3, 1931, pp. 395-430. 6 Sulla figura di J. Addams cfr. L. Bellatalla, 1990 e Bortoli, 2006: 205-217. Una raccolta di scritti di J. Addams è stata recentemente tradotta in italiano [Addams, 25

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Introduzione

2004], vedi anche l’introduzione al volume di B. Bianchi, 2004: 7-67. 7 Per un diverso punto di vista sulla ricezione in Francia dei sociologi di Chicago, si veda Topalov, 2006: 562-565 e Chapoulie, 2001. 8 Sulla raccolta diretta dei dati si veda Céfäi, 2001: 261-274. 9 Nel 1930, anno del soggiorno di Halbwachs a Chicago, erano già state pubblicate sette monografie di allievi di Park e Burgess. Nell’articolo ne vengono citate cinque: N. Anderson, The Hobo (1923); F.M. Thrasher, The Gang (1927); L. Wirth, The Ghetto (1928); H. Zorbaugh, The Gold Coast and the Slum (1929). Non cita: E.R. Mowrer, Family disorganization (1927) e R.S. Cavan, Suicide (1928) [Topalov, 2006: 581]. 10 Ogburn viene accolto nel Dipartimento di Sociologia di Chicago nel 1927 per le sue competenze in campo statistico e dal 1936 al 1951 ne occuperà la carica di direttore. Il suo curriculum scientifico e professionale ne evidenzia le competenze: dal 1918 al 1919 impegnato come esperto di statistica al National War Labor Board e al Bureau of Labor Statistics, consulente negli anni successivi del National Resources Committee e del Resettlement Administration, riceve la presidenza dell’United States Census Advisory Committee e nel 1930 la direzione del President’s Research Committee on Social Trends [Huet, 2000: 73; Iorio, 2006: 7-48, 95112]. 11 Un riferimento alla legislazione sull’immigrazione negli Stati Uniti si trova invece in uno degli articoli pubblicati nel Progrès di Lione [Topalov, 2005b: 131]. All’interno dell’ampia produzione di Halbwachs è rintracciabile una netta divisione tra pubblicazioni scientifiche 26

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e testi politici, che non verrà mai meno [Montigny, 1992: 201]. 12 Sull’utilizzo da parte di Halbwachs della categoria di “civiltà”, ha probabilmente influito il rapporto con gli storici della scuola degli «Annales» di Strasburgo [Topalov, 2005a: 139]. 13 Sia nel saggio pubblicato negli «Annales», sia negli articoli per il «Progrès» di Lione, Halbwachs usa sistematicamente il termine “négre” (piuttosto che “noir”). Topalov [2005a: 148] ha mostrato che questo termine era sistematicamente utilizzato dagli intellettuali francesi degli anni Venti-Trenta che scrivevano sugli Stati Uniti. Si può considerare questo termine come una traduzione dell’inglese “negro” (la cui connotazione razzista rispetto a “nigger” era minima). 14 Sulle trasformazioni intervenute nella “cintura nera” negli ultimi decenni si veda il recente contributo di L. Wacquant, 2006. 15 Con queste parole lo ricorda lo storico L. Febvre, cit. in Bourdieu, 1987: 167.

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Introduzione

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Introduzione

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Introduzione

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I. Crescita e caratteristiche generali della città Supponiamo che la superficie degli Stati Uniti sia formata da un piano rigido privo di spessore e che tutti gli abitanti abbiano il medesimo peso: il centro di gravità di tale superficie rappresenta quello che gli esperti di statistica americani chiamano centro della popolazione. Si conosce la sua posizione ad ogni censimento, ogni dieci anni, a partire dal 1790. In quel periodo si trovava a 23 miglia (circa 35 chilometri) a est di Baltimora, nel Maryland. Seguendolo, nel suo movimento continuo, lo vediamo spostarsi verso ovest. Attraversa Baltimora e si trova a 18 miglia ad ovest di questa città nel 1800. Nel 1810 lo ritroviamo a 40 miglia a nord-ovest di Washington. Avanza di 50 miglia verso ovest, da questa data al 1820, e di 40 miglia, nel decennio successivo; di 55 miglia tra il 1830 e il 1840 e ancora di circa 55 miglia fino al 1850. Prima del 1860 copre ancora 80 miglia: in questa data ha attraversato le rive dell’Ohio e si avvicina alla longitudine di Columbus e Detroit. Dal 1860 al 1870, durante la guerra di secessione e negli anni successivi, si sposta ancora, sempre verso ovest, di 44 miglia, fino a raggiungere e oltrepassare Cincinnati, nel 1880, dopo un percorso di 58 miglia. Nel 1890, guadagna ancora 48 miglia; nel 1900, 15 mi37

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Chicago

glia; nel 1910 altre 39 miglia: si trova a Bloomington, una piccola città dell’Indiana, a sud di Indianapolis. Ancora 10 miglia, e nel 1920 raggiunge quasi l’Illinois e la longitudine di Chicago: avrebbe investito la città se, in questa sua marcia verso ovest, non fosse rimasto un po’ al di sotto della sua latitudine iniziale e non si ritrovasse adesso vicino a Saint-Louis. Complessivamente 573 miglia in 130 anni; 6 o 7 Km ogni anno, sempre nella stessa direzione, verso ovest. Sarebbe stato necessario seguire questo cammino, e a questa velocità, per rimanere nel punto in cui si è fissato, nei diversi periodi, il risultato complessivo degli spostamenti di milioni di uomini. Chicago occupa dunque una posizione centrale. Non c’è città, negli Stati Uniti, il cui sviluppo non intrattenga rapporti più evidenti con la crescita di questa popolazione, con il movimento di espansione che l’ha portata non solamente verso ovest, ma in tutta la regione intermedia, in particolare nel Middlewest, paese di pionieri e di coloni, dove le fattorie sono state costruite nelle praterie, dal lago Michigan al Mississipi. Questa crescita è avvenuta ad una velocità senza precedenti. «Chicago – scriveva dieci anni orsono Walter D. Moody – non era, ottant’anni fa, che il luogo di insediamento di poche tende indiane. Oggi è la quinta città del mondo. Non vi è fatto più sorprendente nella storia della formazione delle città»1. Alla fine del 1830, infatti, vi era solo un villaggio che comprendeva dodici case e tre residenze sub-ur1

What of the City? America’s Greatest Issue. City Planning, etc., Chicago, 1919.

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Maurice Halbwachs

bane, con circa cento abitanti. Nel 1821, in seguito alla firma di un trattato concluso con le tribù del Nord-ovest (gli Ottawa, i Chippewa, ecc.), gli Stati Uniti avevano acquistato in questa regione cinque milioni di acri di terreno. Vennero poi costruite le strade verso Detroit e Fort Wayne. L’ultima guerra indiana di Winnebago scoppia e termina nel 1827. In quell’epoca, non si potevano avere notizie che da Niles (Michigan), ove si inviava ogni due settimane un indiano meticcio, che vi si recava generalmente a piedi in una settimana2. Il forte Dearborn, costruito nel 1804, distrutto dagli indiani e poi ricostruito nel 1820, era allora il centro del commercio delle pellicce del nord ovest. Nella tabella seguente troviamo alcuni dati che mostrano il ritmo di crescita della città. Riportiamo a fianco la popolazione di New York negli stessi anni3. 2 Chicago as it is. A Stranger and Tourist Guide to the City of Chicago contaning Reminiscences of Chicago in the Early Day, an Account of the Rise and Progress, etc., Chicago, 1886. 3 La popolazione di New York ammontava nel 1790 a 49.401 abitanti; nel 1800, a 60.489; nel 1810, a 96.373; nel 1820, a 123.706; nel 1830, a 203.007. Nel 1860, Chicago occupava l’ottava posizione, superata da Philadelphia (565.529), Brooklyn (279.122), ecc. Nel 1900 Brooklyn viene unita a New York, e da ciò dipende la forte crescita della popolazione della città in quel periodo. Chicago ha di poco superato Philadelphia nel 1890, e da quell’anno occupa la seconda posizione.

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Chicago

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Anni

1840 1850 1860 1870 1880 1890 1900 1910 1920 1930

Chicago Popolazione

4479 28269 108206 298977 503298 1099850 1699575 2185283 2701705 3373753

New York Valori relativi Popolazione Valori relativi (1860=100)(1900=100) (1860=100) 5 26 100 276 465 1020 1570 2020 2500 3110

100 129 159 198

312710 515547 805651 942292 1206299 1515301 3437202 4766883 5620048 6959000

39 64 100 118 150 188 427 593 700 864

(1900=100)

100 139 164 203

Dal 1860 al 1930, la popolazione di Chicago è aumentata di 31 volte, mentre nello stesso periodo quella di New York non è aumentata che di 9 volte. Per comprendere come si sia potuto produrre questo movimento è necessario considerare che, dopo il 1860, la superficie della città si è considerevolmente estesa, in seguito ad una serie di annessioni successive. Come termine di comparazione, pensiamo che Parigi, nel suo perimetro attuale, copre una superficie di 78 Km2. Nella tabella successiva viene riportata quella che è stata la superficie di Chicago nelle diverse date indicate4. 4 Gli studiosi di statistica del Census fanno rientrare nel “distretto metropolitano” il nucleo urbano e la periferia. Quest’ultima comprende le località che, situate a meno di 10 miglia (16 Km) dai confini della città, hanno una densità uguale o superiore a 150 abitanti per miglio quadrato

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Maurice Halbwachs Anni

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1860 1870 1880 1890 1900 1910 1920

Superficie di Chicago In Km2 Numeri relativi 46,5 90 92 440 490 490 520

100 194 198 950 1060 1060 1120

Popolazione Numeri Tasso di relativi crescita della popolazione (%) 100 276 176 465 68 1020 120 1570 54 2020 29 2500 24

La popolazione è aumentata oltre due volte più velocemente della superficie. Si può dire che, grossomodo, metà dell’aumento del numero degli abitanti di Chicago sia dovuto all’estensione della superficie, mentre l’altra metà dipende dall’innalzamento della densità della popolazione. A Parigi, in un perimetro che non è cambiato, la popolazione è aumentata, tra il 1861 e il 1921, da 100 a 172. A Chicago, la densità della popolazione, sulla superficie attuale, è certamente aumentata da più di 100 a 1000. Dal 1880 al 1890, e più esattamente nel triennio 1887-1889, la superficie di Chicago è quadruplicata. In questi anni la città annette il villaggio di Jefferson, a nord-ovest di Chicago (Milwaukee Avenue, a nord della North Avenue); la città di Lake View, a est di (58 abitanti per Km2). Il distretto metropolitano di Chicago si estende su una superficie di 1900 Km2 e comprende (nel 1920) 317.9000 abitanti. Il Dipartimento della Senna, nello stesso periodo, si estende su una superficie di 480 Km2 e conta 4.154.000 abitanti. Vedi H. Baulig, La population des Etats-Unis en 1920, «Annales de géographie», 1924, t. XXXIII, p. 543 e successive.

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Jefferson e del braccio nord del fiume, fino al lago Michigan a est, quasi sino a Evanston a nord; Cicero (che fu a lungo il feudo del famoso Al Capone), all’estremo ovest, all’altezza del loop; la città del Lago, a sud della 47a strada, a ovest; il villaggio di Hyde Park, a sud della 70a strada, a sud-est della città, fino al lago Michigan a est e al lago Calumet a sud5. Nello stesso periodo anche la popolazione di Chicago quadruplica (poco più tardi, nel 1900, Brooklyn verrà incorporata a New York: da qui una popolazione più che raddoppiata). Tra il 1890 e il 1900, la superficie di Chicago aumenta ancora, ma solamente di 50 Km2 (i due terzi della superficie di Parigi), contro i 348 Km2 registrati nel periodo 1887-1889 (più di quattro volte la superficie di Parigi). Tra il 1890 e il 1897 ingloba tutto il sud-ovest della città attuale, ovvero l’area a sud della 87a strada; nel 1895 si estende, a sud-est, fino al lago Michigan a est e alla 138a strada a sud, incorporando l’intera regione del lago Calumet: la superficie della città aumenta di un decimo, la popolazione di metà. Riassumendo, dal 1887 al 1897, in dieci anni, la superficie della città quintuplica, e la popolazione quadruplica. Tuttavia, nel corso degli ultimi tre decenni, a partire dal 1900, la superficie non è aumentata che di un decimo, mentre la popolazione è raddoppiata, aumentando di quasi un terzo ogni decade. Questa volta il fattore decisivo non è più l’aumento della superficie, ma la crescita della densità della popolazione. 5

Il lago Calumet si trova a sud-est, tra la 103a e la 130a. strada.

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È come se intorno al 1890 ci fosse stata a Chicago una improvvisa estensione del perimetro urbano, comparabile a quella di Parigi nel 1860. Prima di questa estensione, a Chicago come a Parigi, la popolazione è aumentata, in proporzione, molto più velocemente che in seguito. Esaminiamo, nella tabella riportata in precedenza, il tasso di incremento degli abitanti senza tenere conto di quello relativo al decennio 1880-1890 (120%), periodo in cui la superficie della città è quadruplicata. Osserviamo che dal 1860 al 1880, cioè prima di questa estensione, la popolazione è aumentata, in proporzione, più velocemente che negli ultimi decenni e che il tasso di incremento è diminuito costantemente. È esattamente ciò che è avvenuto a Parigi6: negli anni che precedono l’ampliamento del 1860, il tasso di incremento è molto più alto che in seguito, e diminuisce regolarmente da allora. Le proporzioni sono indubbiamente molto più elevate, la velocità con la quale la popolazione cresce è più rapida, in tutti i periodi, a Chicago che a Parigi. Tuttavia, in entrambe le città, l’estensione della superficie si realizza nel momento in cui la popolazione cresce maggiormente. Negli anni che seguono, l’aumento rallenta, ma si mantie6

Vedi il nostro libro La population et les tracés de voies à Paris depuis un siècle, Paris, Presses Universitaires de France, 1928, p. 237, 264. La popolazione di Parigi è aumenta del 62%, dal 1841 al 1861; del 35%, dal 1861 al 1881; del 18%, dal 1881 al 1901; dell’8%, dal 1901 al 1921. L’estensione del perimetro ha luogo nel 1861, ma l’aumento della popolazione è calcolato, dal 1841 al 1861, in relazione al perimetro attuale.

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ne su valori ancora elevati. Sembra che l’estensione della superficie sia indotta dall’incremento demografico, che continua anche dopo l’ampliamento del perimetro urbano, sebbene con forza via via decrescente. Osserviamo del resto che, dopo il 1890 e il 1900, la crescita della popolazione (in percentuale) è molto meno rapida a Chicago che a New York. Chicago è il maggior centro ferroviario degli Stati Uniti: vi si incrociano 39 linee. Secondo il Chicago City Manual, vi sono 2840 miglia (4650 Km) di binari all’interno dei confini della città. La lunghezza dei binari di tutta la Svizzera, o di tutto il Belgio, non è più elevata. In poche parole, serve più di mezzora per uscire dalla città: non si vedono intorno che linee ferroviarie, binari morti, cantieri immensi, officine, ecc. e si arriva a pensare che non vi sia altro. Tuttavia in questa rete a maglie molto larghe, tra queste linee, e al di sotto di esse, la città si estende in tutte le direzioni: più di trecento strade parallele e numerate da nord a sud, per una lunghezza di circa 40 Km e una larghezza da 15 a 20. Tuttavia, con le sue strade ampie, i suoi parchi immensi, isole d’erba che mantengono vivo il ricordo dei tempi in cui tutto il suo territorio era prateria, Chicago possiede in proporzione meno spazi pubblici di Parigi. A Parigi, le case private e i terreni annessi (giardini e parchi privati compresi) occupano il 52% della superficie; a Chicago, il 65%. La città è estremamente vasta: è oltre sei volte e mezzo più estesa di Parigi. Poiché la sua popolazione non supera che di poco quella parigina (del 15% dopo il 1930; era inferiore del 7% nel 1920), ne consegue che, nel complesso, è molto me44

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no densa: 6.500 abitanti per Km2, anziché i 37.000 di Parigi. Ciò è imputabile a tre cause. Innanzitutto, gli stabilimenti industriali sono numerosi ed estesi. Occupano 26 miglia quadrate, circa 62 km2, quasi quattro quinti della superficie di Parigi. Se, per ipotesi, fossero divisi in lotti di cubatura uniforme, formerebbero una strada lunga 865 Km, contro una strada di 2440 Km per le abitazioni (non comprendendo né gli spazi privati non edificati, né i locali commerciali). Si osservi la figura riprodotta a pagina 66 dove sono rappresentati, in colore nero uniforme, i terreni occupati dalle industrie e dalle ferrovie. Formano un vasto semi-cerchio che corre lungo due bracci del fiume, e sulle due rive, che racchiudono strettamente tra due bande larghe e parallele. Più a sud spicca una vasta zona compatta, formata da rettangoli stranamente accostati e fusi, che formano una croce massiccia e schiacciata: sono gli stock yards (macelli). L’insieme si presenta come una gigantesca armatura, che le linee ferroviarie collegano ancora alle fonderie e agli stabilimenti metallurgici, 12 Km più a sud; la sera, ai bordi del lago, quando si guarda in questa direzione si intravedono, in lontananza, fuochi ardenti e fornaci arroventate. La seconda ragione è che moltissime famiglie abitano in case unifamiliari. Ci sono 135.840 abitazioni di questo tipo, 96.000 formate da due appartamenti, 36.630 in media da 5. Le case unifamiliari formano una strada di 1.240 Km (che arriverebbe in linea retta fino a New York); le altre, una strada di 1.190 Km. Una parte di Chicago è occupata da case di legno a un solo piano, o che si sviluppano interamente a pia45

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no terra secondo il tipo tradizionale delle case antiche. Dopo il grande incendio del 1871, che ha distrutto 17.500 case su una superficie di quasi 10 km2, la zona devastata è stata ricostruita in mattoni e in pietra. Tuttavia, le case del tipo che conosciamo nelle nostre grandi città non sono numerose: i grandi caseggiati lo sono ancor meno, eccetto che nel loop e nei dintorni o ai bordi del lago. Infine, in tutta la città vi sono aree non edificate: 124 Km2, quasi due volte la superficie di Parigi, tali da formare una strada di oltre 2.500 Km, che arriverebbe fino a San Francisco; uno spazio più esteso di quello occupato dalle abitazioni. Come i grandi caseggiati sarebbero impensabili senza gli ascensori, così una simile espansione sarebbe inconcepibile senza i treni, i tram elettrici e le automobili7, tanto più che la città, estendendosi, ha conservato una forma unitaria senza disperdersi interamente. Agli omnibus (la prima linea risale al 1853), ai tram trainati da cavalli (introdotti nel 1859), si sostituiscono, dal 1882, i cable car e, dal 1890, i tram elettrici, soprattutto nel biennio 1893-1894 e nel 1906. La prima linea ferroviaria sopraelevata (elevated railways) a vapore comincia a funzionare negli anni 1892-1893 (dal centro arriva alla 39 strada, poi viene prolungata fino a Stony Island Avenue, a nord del lago Calumet). Nel 1897 si inaugura la linea che 7 L’11 agosto 1923, sul Michigan Boulevard Bridge, sono state contate, tra le 7 del mattino e mezzanotte, 53.014 vetture, ovvero, in media, 3.118 all’ora; 4.360 tra le 5 e un quarto e le 6 e un quarto di sera.

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fa il giro del loop, l’elettricità sostituisce il vapore nel 1898, mentre la linea del nord-ovest entra in funzione nel 1900. Tutte queste linee vengono unificate nel 1913. Infine, dal 1916, gli autobus percorrono le aree ai bordi o nei dintorni del lago Michigan e, dal biennio 1922-1923, le strade del South Side e del West Side. Il periodo decisivo, da questo punto di vista, è quello degli anni 1892-1894 (tram elettrici e elevated o metropolitana), subito dopo l’estensione che ha quadruplicato la superficie della città, intorno al 1890. A Chicago si calcolano, per ogni abitante, 164 viaggi su tram e treni metropolitani (surface and elevated lines), nel 1890; 215 nel 1900; 320 nel 1910 e 338 nel 1921, vale a dire un incremento, rispettivamente, del 31% nel 1900, del 49% nel 1910, del 6% nel 19208. Quanto alle automobili, il numero di vetture, nell’Illinois (la cui popolazione non è che il doppio di quella di Chicago, sola grande città di questo Stato), è passato da 131.140 nel 1915 a 833.920 8 Report of the Chicago Subway and Traction Commission, p. 81; Report on a Physical Plan for a Unified Transportation System, p. 391. Nel 1860, i tram a cavallo di New York City trasportavano circa 50 milioni di viaggiatori. Nel 1890, i tram elettrici (e i pochi tram a cavallo che ancora sopravvivevano) ne trasportavano 500 milioni. Nel 1921, sulla metropolitana (elevated e subway), e sulle linee suburbane elettriche e a vapore, il numero supera i due miliardi e 500 milioni; si alza da 100 nel 1860 a 1.000 nel 1890, a 5.000 nel 1921, quando la popolazione passa da 100 a 188 e a 700 (W.B. Munro, Municipal Government and Administration, t. II, p. 377).

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nel 1923, ossia da 100 a 635, mentre, nello stesso periodo, la popolazione di Chicago aumentava circa del 25%. Da un’inchiesta sul livello di vita degli operai occupati nella fabbrica Ford di Detroit, città non lontana da Chicago e che come questa si è molto estesa negli ultimi decenni, risulta che il 47% di essi possiede un’automobile. Un’inchiesta fatta uno o due anni prima, in città meno popolose, aveva raggiunto lo stesso risultato (relativamente agli operai)9. II. La struttura e i gruppi Se esiste, all’Università di Chicago, una scuola di sociologia originale, ciò è probabilmente dovuto al fatto che questi osservatori non hanno dovuto cercare molto lontano un soggetto di studio. Sotto i loro occhi si sviluppano, ogni dieci anni, e quasi di anno in anno, nuove fasi di un’evoluzione urbana senza precedenti. Che ci si accosti a un quartiere, o semplicemente ad un isolato di case, o che si abbracci tutta l’estensione di questa grande città, i problemi si moltiplicano: cambiamento o mantenimento del tipo etnico e delle abitudini di vita tra uomini di razze europee trapiantati nell’ambiente americano; giustapposizione, mescolanza, relazioni tra immigrati di nazionalità diverse stanziati là da più o meno tempo; fusione di questi elementi entro la massa indigena, con 9 Standard of Living of Employees of Ford Motor Co. in Detroit. Monthly Labor Review of the Bureau of Labor Statistics, june 1930; S. Robert e Helen Lynd, Middletown. A Study of Contemporary Culture, New York, 1929.

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transizioni visibili nelle caratteristiche distintive dei quartieri d’immigrazione di prima, seconda, terza generazione; invasioni operaie che investono le zone urbane ove si trovavano in precedenza case piccole ma confortevoli, abitate da una popolazione benestante e d’altra parte, un’invasione di negri che cacciano i bianchi da intere vie. All’interno di un agglomerato tanto vasto si determinano differenziazioni multiple, secondo la razza, la nazionalità, la professione, il livello sociale, il genere di vita, le caratteristiche morali, così che gli ambienti più diversi si giustappongono e si scontrano qualche volta senza alcuna mediazione. Tra i problemi che si offrono all’osservazione sociologica vi sono inoltre: le relazioni tra la metropoli e le città e i villaggi del Middlewest, da dove arrivano e a cui ritornano ogni anno migliaia di lavoratori, generalmente non sposati, homeless men che vivono quattro, cinque, sei mesi in vie ove le case ammobiliate si susseguono indefinite e monotone; gruppi disintegrati, o in formazione, vita collettiva dispersa, concentrata, sospesa e rallentata, oppure ansimante e densa di conflitti, ove le caratteristiche più anormali si manifestano con grande chiarezza: criminalità giovanile, vagabondaggio o, in forme che non si trovano altrove, accampamenti di operai di passaggio, momentaneamente senza lavoro, in terreni abbandonati nei pressi dei binari ferroviari; piccole società effimere con una disciplina rigida in cui sembra sopravvivere lo spirito dei pionieri della prateria; gangs, gruppi indefinibili e quasi inafferrabili che rispondono, dandosi le finalità più disparate, al bisogno forte di associarsi, proprio di individui un po’ sfasati e disorientati, e che vanno dalle associazioni 49

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ludiche infantili fino alle bande criminali che si disputano, a colpi di rivoltella e mitragliatrici, il monopolio del contrabbando e del vizio. Su molti di questi aspetti sono già state condotte delle ricerche, e voglio segnalare alcuni dei libri che ne presentano i risultati: libri indubbiamente descrittivi, piuttosto che scientifici, disuguali, deludenti qualche volta, ma più frequentemente molto pittoreschi, con immagini prese dal vivo e documenti inaspettati e preziosi. Un’intera miniera di fatti, insomma, portati alla luce da esploratori che non hanno timore di scendere e di spingersi fino in fondo nelle gallerie più sotterranee. I due ispiratori di questi lavori sulla vita urbana, Park et Burgess, sono molto diversi. Il primo ha studiato filosofia in Germania; si è dedicato per un po’ di tempo al giornalismo e ha scritto, nell’opera di cui parleremo, una “storia naturale dei giornali”. È una forte personalità sul piano intellettuale: da lui vengono le idee, le suggestioni e le categorie che devono guidare i ricercatori. Burgess, molto anglo-sassone di spirito e di temperamento, non distingue l’aspetto teorico dall’interesse pratico delle ricerche che conduce. Ha scritto le conclusioni del voluminoso Illinois Crime Survey (1.108 pagine in 8o, 1929), che è l’opera della Illinois Association for Criminal Justice. Di recente ha trascorso un anno nella Russia sovietica per studiare la criminalità giovanile. Questi due intellettuali si completano e ci si poteva aspettare che, da una tale collaborazione, venisse fuori un libro suggestivo da diversi punti di vista. È questa l’impressione che si evince dalla lettura di The City, i cui due principali capitoli hanno come titolo: “La città. 50

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Indicazioni per lo studio del comportamento umano nell’ambiente urbano”, di Robert E. Park, e “Lo sviluppo della città: introduzione a un progetto di ricerca”, di Ernest W. Burgess10. Evidentemente si tratta di una bozza, ancora necessariamente imperfetta. Ma conviene, almeno per il momento, essere più curiosi che critici: si tratta di un genere di lavoro molto difficile, che esige un insieme di qualità estremamente diverse, privo com’è dell’appoggio che può offrire una tradizione di ricerca e di analisi scientifica, e con un oggetto di studio che è stato appena scoperto. Riproduciamo un diagramma dei tratti generali che, secondo Burgess, presenterebbe una grande città in crescita già arrivata ad uno sviluppo avanzato. È una città di immigrazione, dove vi è anche una percentuale importante di negri e, se si fissa come limite la linea irregolare che la attraversa dall’alto al basso e che riproduce la costa del lago Michigan (che si estenderebbe a destra), non è altra città che la stessa Chicago. Tuttavia, rappresentando le zone successive di espansione urbana mediante una serie di cerchi concentrici, si possono evidenziare le diverse funzioni che assolvono e si comprendono meglio le relazioni che intrattengono l’una con l’altra. La prima zona rappresenta la parte più animata della città, quella in cui si trovano gli edifici, gli uffici, i grandi magazzini, gli alberghi. La si chiama il 10 R. Park, E. Burgess, The City, with a bibliography by L. Wirth, University of Chicago Press, 1925, in-12, XI-239 p. È in questo libro che si trova il diagramma che riproduciamo a pagina 53.

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loop, perché una linea ferroviaria elevated la circonda. «Più di mezzo milione di uomini ogni giorno entra nel loop e ne esce»11. Ci sono, inoltre, dei loops satelliti, prodotto di molteplici comunità locali che, sviluppandosi, si sono in un certo qual modo sovrapposte o, come dice Burgess, “innestate l’una nell’altra” in modo da formare una più vasta unità economica: da qui l’esistenza di zone d’affari di secondo ordine, subbusiness areas, dominate, in modo visibile o invisibile, dal distretto commerciale principale. Di fatto, una caratteristica specifica di queste grandi città americane è che, a fianco e attorno al centro principale, dove tutta la vita e il movimento sembrano concentrati, si è formata una quantità di centri secondari. Più esattamente, a intervalli, ogni 5 o 6 strade (andando da sud a nord), separate da isolati abbastanza estesi, si trova una strada principale, main street. Non si tratta semplicemente di un analogo delle arterie popolose delle nostre periferie, ma piuttosto di una riproduzione tale e quale delle grandi strade del centro; lo stesso tipo di negozi, di ristoranti, di cinema, ecc…, gli stessi droghieri, gli stessi barbieri, le stesse linee di tram e elevated. Ogni quartiere ha così una strada in cui si vanno a fare gli acquisti, shopping street, e dove, uscendo dagli spazi in cui la calma avvolge le case e la vita, si ritrova l’animazione delle parti più centrali della città. Centralised decentralised system: correnti secondarie che 11

Su 920.000 persone attive a Chicago nel 1920, si contavano 70.367 clerks (impiegati) negli uffici (escludendo i negozi dove ve ne erano 14.189) e 20.262 contabili e cassieri.

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dialogano con quella principale e si strutturano in relazione ad essa.

Fig. 1. Aree urbane di una grande città (da R. Park, E. Burgess, The City, University of Chicago Press, 1925)

La seconda zona, o zona di transizione, oltre ad essere la residenza delle famiglie più agiate, è stata abitata, non troppo a lungo, dagli independent wage earners, ovvero da operai americani benestanti. Dopodiché gli operai si sono spostati nella terza zona; a nord, sempre nella III zona, sulla riva del lago, si estende ora la Gold Coast, il quartiere dorato dei milionari o dei miliardari. Tra il loop e questa terza zo53

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na si sono ormai insediati i più poveri tra gli immigrati ebrei, italiani e i negri. È sempre in questa zona che, quasi a contatto con la Gold Coast, si trova il rooming house district, il quartiere delle camere ammobiliate12. L’intera area, dice Burgess, è una zona di “deterioramento”, una parte disorganizzata della città, dove gli slums, le colonie d’immigrati, le missioni e i settlements stanno accanto al “quartiere latino”, alla comunità degli artisti e ai centri radicali: la “Piccola Sicilia”, popolata da italiani, è una zona poco sicura, dove si conta il più alto numero di omicidi premeditati. Altrove si apre il “Rialto”, via affollata che si spinge verso ovest: è là che si concentra questa popolazione vagabonda di uomini senza casa, homeless men, venuti da fuori e che vi ritornano: sono gli hobos, termine da cui è nata la parola hobohemia13. 12

Harvey W. Zorbaugh, The Gold Coast and the Slum, University of Chicago Press, 1929, in-12, XII-287 p. Dello stesso autore The Dweller in Furnished Rooms. An Urban Type, «American Journal of Sociology», Papers and Proceedings of the 20th Annual Meeting, XXII, n. 1, Part II, 1926. L’autore ha studiato la zona del North Shore, a est del braccio nord del fiume, dove sono in contatto due quartieri che presentano un forte contrasto: quello dei milionari, al bordo del lago, e una zona dove 23.000 persone (di cui il 62% non sposate, soprattutto uomini) vivono in camere ammobiliate in 1.139 case. Molti sono impiegati nel loop, studenti nelle scuole di musica del North Side, artisti di tutte le categorie: una popolazione molto mobile, che si rinnova in media ogni quattro mesi. 13 Nels Anderson, The Hobo. The Sociology of the Homeless Man, University of Cicago Press, 1923, in-8°, XV-

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La popolazione della terza zona appartiene ad un livello sociale più elevato. Vi si trovano, prevalentemente, operai americani. Deutschland è il nome dato, ironicamente, a una zona in cui risiedono soprattutto gli ebrei che sono riusciti ad uscire dal ghetto e che imitano il modo di vivere degli ebrei tedeschi. «Ma l’abitante di questa zona aspira a stabilirsi negli alberghi (residential hotels), in grandi case divise in appartamenti, nei loops satelliti, nei quartieri dei locali notturni(bright light areas)». La quarta zona, a Chicago, corrisponde alla linea dei parchi, da Jackson Park a sud, fino a Lincoln Park a nord. A sud questa comprende la “comunità universitaria”, che è una piccola città molto vicina ai grandi alberghi, non lontana dal lago. I quartieri situati al di là sono grandi sobborghi che non hanno ancora assunto una forma definita. Sebbene si diffondano anche in altre parti della città, è nella seconda zona che troviamo il numero più alto di gangs.14 Si tratta di gruppi, formati da giovani o da adulti, di solito tra i 16 e i 25 anni, de302. Descrizione della vita bohémienne dei vagabondi, dei loro accampamenti, delle loro regole (che riguardano in particolare la proprietà comune e l’uso collettivo degli utensili per cucinare), dei loro incontri all’aperto, ecc. 14 Frederic Thrasher, The Gang. A Study of 1.313 Gangs in Chicago, University of Cicago Press, 1927, XXI-571. Vedi anche Clifford R. Shaw, Delinquency Areas, University of Cicago Press, 1929, XXI-214; dello stesso autore, The Jack-Roller. A delinquent Boy’s Own Story, ibid., 1930. Il jack-rolling è l’atto consistente nell’attaccare e derubare ubriachi.

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finiti localmente, che perseguono le mete più diverse: atletica, svago, e talvolta rapine e crimini. «Le gangs, dice Thrasher, cercano le zone più o meno pittoresche dove la loro attività può esercitarsi in condizioni un po’ fantasiose: le vie dove ci sono mercati, bottegai, parchi, spazi liberi, bordi di canali, ferrovie, depositi di merci, quartieri mal frequentati». Si infiltrano nelle zone “interstiziali”, in tutte le fessure e le crepe che presenta la struttura dell’organismo sociale. Abbandonate da coloro che vanno ad abitare in quartieri meno disorganizzati e meglio situati, a metà invase dall’industria e dal commercio, queste zone sono caratterizzate da vasti spazi vuoti, dove la vita sociale assume forme irregolari e instabili. Si osserverà, nel diagramma che abbiamo riprodotto, un rettangolo molto allungato da sud a nord, che si estende dalla seconda alla quarta zona, che comincia non lontano dal ghetto e finisce circa all’altezza del parco Washington. È la Black Belt, la cintura nera, il quartiere nero che scende talmente in basso che il parco Washington viene ormai chiamato Booker Washington15, ad indicare che gli uomini di colore ne hanno quasi preso possesso. C’è stata, dopo la guerra, una vera e propria invasione di negri a Chicago: conseguenza di un’ondata che ha portato e porta ancora gli uomini di colore da 15

Booker Washington era un educatore (1856-1915), figura prominente della comunità afroamericana all’inizio del secolo (N.d.t.).

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sud verso nord16. La popolazione negra di Chicago è quindi aumentata molto velocemente: da 44.103 nel 1910 a 109.594 nel 1920, ovvero un incremento del 148% in 10 anni. Oggi supera sicuramente i 150.000: anziché il 2%, si avvicina al 6%. Questi uomini di colore, arrivati da poco tempo, hanno incontrato diverse difficoltà a trovare un alloggio. Da quando gli americani del nord hanno contatti più stretti e frequenti che in precedenza con i negri, i costumi ristabiliscono le barriere soppresse dalle leggi, e si sforzano di tenerli a distanza, ma non hanno potuto privarli del diritto di affittare o comprare case. Si è prodotto, allora, un fenomeno molto curioso: non appena i negri sono riusciti a prendere piede in qualche casa (dopo negoziazioni segrete con uno o più proprietari, nei quali il desiderio di guadagnare prevaleva sui pregiudizi), allora, in tutta la via, per una lunghezza di 4 o 5 km, qualche volta di 7 o 8, le case si sono svuotate, gli appartamenti si sono liberati, i bianchi sono spariti, cedendo il posto ai nuovi arrivati. Così si spiega la formazione della Black Belt. Si direbbe che una grossa goccia d’olio è caduta, spandendosi, da questa se16

Si contano circa 10 milioni di negri negli Stati Uniti, su una popolazione totale tra i 100 e i 110 milioni di abitanti, ossia quasi un decimo. Prima della guerra, i nove decimi di questa massa nera si trovavano nel Sud, e solamente il 10% nel Nord. Le migrazioni dei negri verso il Nord sono cominciate nel 1916. Ci sono state due principali ondate, una tra il 1916 e il 1920, l’altra tra il 1922 e il 1924.

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conda zona, dove si concentrano i nuovi immigrati, ha attraversato tutta la terza zona ed è penetrata nella quarta. Nulla è più sorprendente dell’aspetto di queste vie, come la Drexel Avenue, che in qualche mese, sono state colpite da una sorta d’ostracismo17. Il corso è largo, con alberi e prati. Le case, tutte moderne, costruite un tempo da americani di classe agiata, hanno generalmente un atrio, con una scala esterna e gradini di pietra, la veranda, il giardino. Quando la stagione lo permette si vedono, riunite nell’atrio o sedute sui gradini, famiglie di negri, genitori e figli, che si riscaldano al sole. Quando la si percorre in autobus si vedono scorrere templi e scuole loro riservati, alberghi dove non entrano i bianchi, cinema per uomini di colore, negozi, banche dove i negozianti, gli impiegati, la clientela hanno la faccia nera. Da un’estremità all’altra del viale non s’incontrano che negri. Se almeno i negri restassero dove sono adesso! Mentre al sud erano ammassati in quartieri dove la rete viaria e l’igiene erano del tutto trascurati, qui hanno potuto insediarsi immediatamente nelle case abitate da individui di razza bianca, dove non manca nulla di quello che si chiama comfort moderno. Ciò ha suscitato il risentimento dei tanti americani cacciati dalla loro home, o che, proprietari, hanno dovuto subire una svalutazione di un nuovo tipo; ma è anche causa d’inquietudine per gli americani nel loro insieme. Si può seguire, sul diagramma, il movimento dei negri verso sud, a ovest di Washington 17

Drexel Avenue, disposta da nord a sud, comincia all’angolo nord del Washington Park.

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Park: accerchiano a poco a poco la comunità universitaria che, al di là del parco e dei viali di Hyde Park e di Midway, è separata dalla Black Belt solo da una sorta di scudo ebraico. Nel 1920, su 109.458 negri, 67.176, cioè il 62%, risiedevano in uno solo dei 35 distretti, il secondo, che si estendeva tra la 26a strada a nord e la 39a strada a sud, il lago Michigan a est e la Stewart Avenue a ovest (la Stewart Avenue è parallela alla Halsted Street e alla State Street: è situata tra le due, a uguale distanza dall’una e dall’altra). In questo distretto erano presenti anche 900 russi (ebrei), 751 irlandesi, 677 tedeschi, 428 italiani, 414 svedesi, per un totale di circa 6.000 stranieri. Il resto dei negri (38%) si distribuiva in questo modo: il 26,5% in 4 distretti, il 5,25% in 4, il 6,25% in 2618. Nel diagramma qui sopra riportato, nella seconda zona è indicata l’ubicazione del ghetto che, in 18

Gli omicidi sono molto più frequenti fra i negri che nel resto della popolazione: «Il tasso di omicidi più elevato si riscontra nell’area conosciuta come black belt (dalla 16a strada a nord alla 60a a sud, tra South State Street a ovest e Cottage Grove Avenue a est)». Nel 1926, su 739 omicidi, ve ne sono stati 575 nei quali le vittime erano bianchi, 164 nei quali le vittime erano uomini o donne di colore; nel 1927, stessa osservazione: rispettivamente 560 e 139. Ossia 25 omicidi di negri per 100 di bianchi. Ora la proporzione fra negri e bianchi è del 6% circa. «L’intossicazione da bevande alcoliche e le risse che ne conseguono sono la causa principale degli omicidi nella comunità nera» (The Illinois Crime Survey, The Illinois Association for Criminal Justice, 1929, in-8°, 1.108 p.).

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realtà, è situato nella medesima zona ma un po’ più a sud. La storia del ghetto di Chicago è stata raccontata da Wirth in un libro molto brillante, che ricostruisce anche la storia generale del ghetto19. Con questo termine, a Chicago, si indica il luogo in cui risiede abitualmente la maggioranza degli ebrei, ed in particolare quelli che sono arrivati da poco tempo. Un giorno domandai a un ricco commerciante ebreo di Chicago se il ghetto non fosse per loro che un luogo di passaggio: «Certamente, mi disse, ci sono quelli che ne escono in fretta ed entrano in sfere sociali più elevate, ma la maggior parte si ferma: lì vivono e lì muoiono. Ce ne sono molti che non hanno mai lasciato il loro quartiere, che non hanno mai preso un tram per andare nel loop». Tutti i giorni, in Maxwell Street, c’è un mercato dove tutti i commercianti sono ebrei e che mostra uno degli aspetti più straordinari di questa grande città. Qui si incontrano anche bohémiennes, indovine, che recitano una melopea bizzarra, sedute sulla soglia di una bottega o all’ingresso di un corridoio, avvolte in scialli dai colori vivaci, la testa cinta da un fazzoletto scarlatto. Qui si sentono parlare tutte le lingue d’Europa e si vendono o rivendono tutte le merci immaginabili, frutta, berretti, vestiti, mobili. Qui si trovano, inoltre, tutti i tipi di semiti conosciuti. L’ebreo di White Chapel sta accanto a quello di Varsavia o di Pietroburgo. Ce n’è di tutte le classi: riven19

Louis Wirth, The Ghetto, University of Chicago Press, Sociological Series, 1928 (tr. it. Il ghetto, Comunità, Milano, 1968).

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ditori, poveri diavoli che stanno dietro alle vetrine dei bazar, fino ai giovani distinti ed eleganti che gesticolano come gli orientali. Tutti indossano un vestito europeo. Pronunciano l’inglese a modo loro, con accenti inaspettati: – What d’ye want, sir? – Come hié, ladyen, come hié! Quanto ai clienti, molti sono negri e italiani. Qui, un italiano contratta il prezzo delle arance o delle banane. Là una donna negra prova delle scarpe basse. Ci sono anche dei polacchi. «Il tipo di rapporti esistenti a Chicago tra polacchi ed ebrei, dice Wirth, presenta un interesse particolare. Questi due gruppi si detestano cordialmente, ma vivono fianco a fianco nel West Side, e più generalmente nel Northwest Side. Hanno un profondo sentimento reciproco di disistima e di disprezzo, alimentato dalla loro vicinanza e dalla situazione storica di frizione nella zona russa; tuttavia commerciano tra loro in Milwaukee Avenue e in Division Street. Lo studio di numerosi casi mostra che non solo molti ebrei stabiliscono i loro commerci in Milwaukee Avenue e in Division Street proprio perché sanno che i polacchi costituiscono la popolazione predominante in questi quartieri, ma che i polacchi vengono da tutta la città a fare acquisti in Maxwell Street perché sanno che, lungo i suoi marciapiedi, possono trovare i ben noti banchi tenuti dagli ebrei. Avendo vissuto fianco a fianco in Polonia e in Galizia, questi due gruppi di immigrati sono abituati gli uni ai metodi commerciali degli altri: c’è stato tra loro un adattamento reciproco, e questo permane in America. Il polacco non è abituato al “negozio con prezzi fissi”, e per lui andare a fare la spesa non è un’esperienza che dia soddisfazione se 61

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non può mercanteggiare con il venditore, riuscendo a “far abbassare i prezzi al Giudeo”»20. A New York, i primi ebrei (mayflower stock) arrivarono dalla Spagna e dal Portogallo e hanno sempre rappresentato l’élite della comunità. Gli ebrei tedeschi sono arrivati due secoli più tardi, successivamente i russi e i polacchi, alla fine del XIX secolo. A Chicago, al contrario, i primi ebrei erano tedeschi. L’elemento ispano-portoghese è arrivato solo recentemente dalla Turchia e dalla Palestina, piuttosto che dalla Spagna. I tedeschi rappresentavano l’aristocrazia, fino alla guerra e alla rivoluzione in Russia, che ha liberato gli ebrei russi. Approssimativamente, ci sono a Chicago 300.000 ebrei: nel 1920, 159.518 di questi hanno dichiarato di avere quale lingua madre lo yiddish o l’ebraico. Più della metà di essi è dunque costituita da russi o orientali. Ci sono quelli che vivono all’ombra della loro sinagoga come se non avessero mai cambiato paese e continente. Un commerciante di Maxwell Street racconta di aver fatto venire suo padre, molto anziano, dal sud della Russia: «Alla prima occasione che ebbi gli procurai il biglietto. Mentre egli era in viaggio mi venne qualche preoccupazione; pensavo: “che cosa farà quando arriva qui? Io sarò al lavoro, e lui, non conoscendo nessuno, si troverà molto solo; e io che voglio rendergli felici i suoi ultimi giorni!”. Ma quando arrivò, risolse per me il problema, domandandomi per prima cosa: “dov’è la sinagoga di Odessa?” E quando vi andò, fu felice come un bambino; un sacco di Landsleut, e l’America e Chicago non gli sem20

Op. cit., p. 182.

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brarono poi tanto male. Andò alla sinagoga mattino e sera fino a una settimana prima di morire, ormai conosceva meglio di me gli affari di ogni membro della congregazione»21. Un venditore ambulante ebreo di Chicago si esprime in questi termini: «Ogni giorno, eccetto il sabato, vado con il carro e il cavallo alla sinagoga, e ne ritorno in tempo per la preghiera serale (ma’ariv): l’ho fatto per molti anni, e penso che lo farò per il resto della mia vita. Non potrei dormire di notte né lavorare di giorno se non avessi pregato e indossato i filatteri (la tphillin). È questione solo di poco tempo, ma quando esci fuori senti di essere un uomo: un mezzo-ebreo non è un ebreo affatto»22. Tuttavia, gli ebrei di seconda e terza generazione tendono generalmente ad allontanarsi dal ghetto. Si raggruppano in altre zone, in particolare a Lawndale (“Deutschland”, si veda sopra). Era, prima dell’arrivo degli ebrei, nel primo decennio del secolo, una zona abitata in gran parte da tedeschi e irlandesi di livello sociale medio. Siccome ci si rifiutava di affittare agli ebrei, hanno comprato numerosi blocks (isolati). Nel 1915, Lawndale era ebrea. Lo stesso fenomeno si è verificato nel Bronx, a New York23. 21

From Odessa to Chicago. An Account of the Migration and Settlement of a Jewish Family (citato da Wirth, op. cit., p. 166). 22 The Experiences of a Maxwell Street Chickendealer, manoscritto (citato da Wirth, op. cit., p. 166). 23 La popolazione ebrea di New York ammontava, nel 1925, a 1.728.000 persone, ovvero un terzo del totale della popolazione di questa città. In un decennio (1916-1925),

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Più tardi ancora, si spostarono in altre zone, più esterne (area di terzo insediamento): a Rogers Park, Ravenswood, Albany Park, The North Shore, The South Shore e infine in periferia. Insomma, la caratteristica degli insediamenti ebraici a Chicago, è che sono separati gli uni dagli altri e ognuno corrisponde ad una generazione. Gli ebrei arrivati per primi sono adesso i più lontani dal quartiere chiamato il ghetto, dove si installano soprattutto i nuovi immigrati24. Se si vuole penetrare immediatamente nel cuore dei quartieri abitati da immigrati, bisogna seguire la Halsted Street che li attraversa da nord a sud. Jane Addams, che fondò Hull House, il più grande settlement di Chicago, descriveva così queste vie e questi quartieri, 15 anni fa: «Halsted Street, lunga 32 miglia (51.5 km), attraversata a metà da Polk Street nel tratto tra gli stazzi dei mattatoi a sud e i cantieri navali sul ramo settentrionale del Chicago River. Lungo la strada, nelle 6 miglia (9,5 km) tra queste due industrie, si allineano macellerie e drogherie, locali pubManhattan ha perso 200.000 ebrei. Washington Heights è la sola parte della città dove la popolazione ebrea è aumentata, tanto che Coney Island è diventata ebrea nella percentuale del 96% (Jewish Communal Survey of Greater New York, I sezione: Studies in the N. Y. Jewish Population, New York, 1928). 24 Wirth osserva tuttavia che molti ebrei, dopo esser passati da una zona all’altra, sia perché hanno fatto cattivi affari, sia perché sono stanchi di vivere in un ambiente estraneo nel quale non riescono ad inserirsi, ritornano infine al loro punto di partenza. È il “ritorno al ghetto”.

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blici squallidi o sfarzosi, e pretenziosi empori per la vendita di abiti confezionati. Spostandosi ad occidente di Halsted Street, Polk Street diventa rapidamente più ricca; andando un miglio a oriente, verso State Street, diventa sempre peggiore, attraversando un quartiere di prostitute agli angoli di Clark Street e della 5a Avenue. La Hull House una volta si trovava nei sobborghi, ma la città è continuamente cresciuta intorno ad essa, sicché ora il suo sito ha gli angoli in tre o quattro colonie straniere. Tra Halsted Street e il fiume vivono circa 10.000 italiani – napoletani, siciliani e calabresi e occasionalmente qualche lombardo o veneto; a sud, nella 12a Street, vi sono molti tedeschi, mentre le strade laterali sono state abbandonate quasi completamente agli ebrei polacchi e russi; ancora più a sud, queste colonie ebraiche si fondono in un’enorme colonia d’immigrati della Boemia, così estesa che Chicago è la terza città boema del mondo. A nord-ovest, vi sono molti franco-canadesi – pieni di spirito di clan, nonostante risiedano negli Stati Uniti da tempo – e a nord vi sono irlandesi e americani di prima generazione. Nelle strade immediatamente a ovest e in quelle a nord vi sono famiglie benestanti di lingua inglese, molte delle quali sono proprietarie della loro casa e sono vissute per anni in quel quartiere». «Le abitazioni di questo distretto, in legno per la maggior parte, furono costruite in origine per accogliere una sola famiglia, ma ora ve ne abitano parecchie. Somigliano a quelle scomode casette in legno prefabbricate che si trovavano venti anni fa nei sobborghi più poveri. Qualcuna è stata trasportata qui su rulli, perché nel luogo dove si trovavano pre65

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Fig. 2. Mappa etnica di Chicago (scala 1: 150.000) 1. Parchi, viali - 2. Industrie e ferrovie - 3. Tedeschi - 4. Svedesi - 5. Cecoslovacchi - 6. Polacchi-Lituani - 7. Italiani - 8. Ebrei - 9. Negri - 10. Popolazione mista - G. C.: Gold Coast.

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cedentemente si dovevano costruire delle fabbriche. Le poche costruzioni in mattoni a tre o quattro piani che si incontrano risalgono ad un’epoca relativamente recente e ci sono pochi appartamenti di grandi dimensioni. Molte case non hanno l’impianto dell’acqua (tranne un rubinetto nel cortiletto posteriore). Immondizia e cenere sono gettate in recipienti di legno assicurati al fondo stradale»25. Quando Jane Addams fondò Hull House a Polk Street e Halsted Street nel 1889, i residenti erano soprattutto tedeschi e irlandesi, ma queste presenze si sono poco a poco assottigliate in seguito all’invasione di italiani, russi, ebrei e greci (senza contare i negri e i messicani). Dietro gli stock yards ci sono soprattutto i polacchi con, a nord, una zona di slums e di accatastamenti. Trasferiamoci adesso in tutt’altra zona, a est del braccio nord del fiume Chicago. La Costa dorata (Gold Coast) si estende a nord, lungo il lago, e a sud si trova Bohemia, colonia d’artisti. A ovest si incontra un distretto cosmopolita composto di appartamenti ammobiliati: è l’arteria nord di Hobohemia. Viene poi la “Piccola Sicilia”, ormai invasa dai negri, con una chiesa da questi frequentata a due isolati dall’angolo della morte (death corner), dove una ventina di gangster furono uccisi, qualche anno fa, da una banda nemica (siciliani per la maggior parte). A sud e a ovest del braccio nord del fiume Chicago, a ovest del loop, a nord e a ovest del braccio sud del fiume, ci sono ovunque canali, depositi di 25

Jane Addams, Twenty Years at Hull House, New York, 1916, pp. 97-100.

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merci, officine, fabbriche di birra, depositi e cantieri, con i muri anneriti dal fumo delle ciminiere e delle fabbriche. Si contano più di 50.000 abitanti per miglio quadrato. Bucktown è una colonia polacca che raggiunge il braccio nord del fiume e si prolunga a sud, lungo la Milwaukee Avenue, la grande strada commerciale dei polacchi. Verso ovest si estende Madison Street, dove i 2/3 dei residenti sono di passaggio: è l’arteria principale di Hobohemia. Vi si trovano Bum Park e Slave Market, dove si concentrano gli uffici di collocamento ed inoltre ospedali, cliniche, succursali delle scuole di medicina. A ovest della zona industriale è situata una colonia di negri. A sud di questa, vi è un’area detta americana che si estende a ovest fino a Garfield Park. Niente, certamente, sostituisce il contatto diretto con la vita dei gruppi. La scuola sociologica di Chicago e i residenti dei settlements si sono sforzati di descrivere i principali aspetti di questa città, dove interagiscono tanti individui di tutte le nazionalità e di tutte le classi, dove si producono tante combinazioni e reazioni di chimica sociale che non sarebbero osservabili altrove. Altre inchieste sono in preparazione: una di Ernest R. Mower, su La disorganizzazione della famiglia a Chicago; un’altra di Walter C. Reckless sulla Storia naturale delle aree di corruzione [vice areas] a Chicago. Era importante dare un’idea di questi lavori, interessanti soprattutto, come si è potuto vedere, in quanto si occupano di casi particolari. Disponiamo tuttavia di dati statistici che permettono di porre altri problemi, per esempio di esami68

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nare in quali condizioni avvenga l’assimilazione di questi gruppi d’immigrati, in che misura siano atti a fondersi con gli americani, e quale sia l’atteggiamento di ciascuno di loro a questo riguardo. Vorremmo presentare ciò che i dati numerici ci hanno insegnato su tali questioni: sarà il miglior modo per penetrare un po’ più in profondità nella struttura sociale della città. Tale sarà l’oggetto delle due ultime parti del nostro studio. III. Chicago, città d’immigrati26 Nel 1920, a Chicago, gli immigrati erano almeno 805.482 su una popolazione di 2.700.000 abitanti, ovvero circa un terzo27. Si contavano, d’altra parte, 1.143.896 abitanti nati da stranieri (erano stranieri entrambi i genitori), cioè il 42,5% della popolazione totale, e 642.871 americani, cioè il 23,7%. Confrontiamo queste proporzioni con quelle che troviamo, alla stessa data, in tutti gli Stati Uniti e a New York (sono figli di stranieri quelli che hanno almeno un genitore nato fuori dagli Stati Uniti). 26

La pianta riprodotta a pagina 66 è stata da noi disegnata. Abbiamo utilizzato quella che Thrasher ha pubblicato nell’opera citata in precedenza, con il titolo Chicago’s Gangland: 1923-1926. Esprimiamo i nostri ringraziamenti a Baulig per il prezioso aiuto che ci ha dato in questa occasione. 27 Ci siamo attenuti ai dati del 1920, gli ultimi disponibili. Il Census del 1930, così come lo Statistical Abstract corrispondente, non sono ancora stati pubblicati.

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Chicago Percentuale della popolazione totale

Stranieri Figli di stranieri

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Americani

Chicago 29,8 42,3

Stati Uniti 13 21,5

27,9

65,5

  

New York 15,5 64,5

La categoria “americani” comprende i negri: senza di essi, gli americani a Chicago non rappresenterebbero che il 23,7% della popolazione totale. Ricordiamo che, tra i figli di stranieri, la maggior parte (circa i tre quarti) ha entrambi i genitori nati fuori dagli Stati Uniti: se li si aggiunge agli stranieri, risulta che 1.693.978, cioè circa il 63% di tutta la popolazione, non ha una goccia di sangue americano nelle vene. Chicago contiene, in percentuale, un numero di stranieri 2,3 volte superiore a quello degli Stati Uniti e un numero doppio di figli di stranieri. Limitiamoci agli stranieri e analizziamone la composizione nel 1920 negli Stati Uniti, a New York e a Chicago. Li ordineremo in base alla loro presenza percentuale crescente negli Stati Uniti. I polacchi e i russi sono proporzionalmente più numerosi a Chicago che negli Stati Uniti. I russi tuttavia sono molto più numerosi a New York che a Chicago, due volte tanto (la percentuale più alta di essi è costituita da ebrei), mentre i polacchi sono meno della metà. Gli italiani sono meno numerosi a Chicago che negli Stati Uniti (di oltre un terzo) e soprattutto che a New York (di oltre due terzi). C’è, infine, una maggior percentuale di svedesi e cecoslo70

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vacchi a Chicago che negli Stati Uniti e soprattutto rispetto a New York, dove sono in numero minimo. Percentuale di stranieri nel 1920

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Stati Uniti New York Chicago Tedeschi Italiani Russi Polacchi Irlandesi Svedesi Austriaci Ungheresi Cecoslovacchi Altre nazionalità Totale

12,3 11,7 10,2 8,3 7,5 4,7 4,2 2,9 2,6 35,6 100

9,7 19,6 24 7,3 10,2 1,7 6,4 3,2 1,3 16,6 100

13,9 7,4 12,7 17,1 7 7,3 3,7 3,2 6,3 21 100

Posizione Stati Uniti New York Chicago 1 4 2 2 2 4 3 1 3 4 5 1 5 3 6 6 8 5 7 6 8 8 7 9 9 9 7

Sebbene i tedeschi siano in seconda posizione a Chicago, essi vi rappresentano una percentuale della popolazione straniera che è un po’ più elevata di quella degli Stati Uniti. I polacchi, che occupano il primo posto insieme ai tedeschi, rappresentano in questa città il 31% degli stranieri, circa un terzo (contro il 20% negli Stati Uniti, e solamente il 17% a New York). Quantunque gli immigrati non siano distribuiti negli Stati Uniti per gruppi nazionali compatti e separati, è possibile considerare una grande città quale Chicago come formata, almeno in parte, dalla sovrapposizione di grandi zone di stranieri dell’una o dell’altra nazionalità. Per esempio, i polacchi sono abbastanza concentrati, negli Stati Uniti. Il 61% di es71

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si si raggruppa in soli quattro stati: New York, Pennsylvania, Illinois e Michigan. Gli ultimi due, che sono contigui, contengono il 23,5% di tutti i polacchi, circa un quarto. D’altra parte, i due stati quasi contigui, Minnesota e Illinois, comprendono circa il 35% di tutti gli svedesi immigrati negli Stati Uniti. Infine, il 30% dei cecoslovacchi si raggruppa in due stati, ugualmente molto vicini l’uno all’altro: Illinois e Ohio. Chicago fa parte di tutte e tre queste zone. Per questo motivo, vi si trova una maggiore proporzione di stranieri di queste nazionalità che negli Stati Uniti in generale: «Gli scandinavi, dice Baulig, sono essenzialmente coltivatori, stabiliti negli stati settentrionali, tra i Grandi Laghi e la costa del Pacifico; ma se i norvegesi si relegano, come i finlandesi, lungo la frontiera canadese, la zona di diffusione degli svedesi e dei danesi si estende più lontano verso sud. I cechi, anch’essi agricoltori, occupano una fascia nordsud tra i Grandi Laghi e il Mississippi a est, e il bordo delle grandi pianure a ovest. I loro compatrioti slovacchi, come i polacchi, sono, invece, occupati nelle miniere di carbone della regione degli Appalachi, e come manovalanza nei centri industriali vicini»28. Gli Stati del Wisconsin e dell’Illinois comprendono il 21% dei tedeschi residenti negli Stati Uniti, il 28% se consideriamo il vicinissimo Ohio. Altri due Stati, New York e Pennsylvania, ne raggruppano il 25%. Gli altri sono dispersi. Se i tedeschi sono tuttavia meno numerosi a Chicago dei polacchi, è evi28 Baulig, La population des Etats-Unis en 1920, «Annales de géographie», art. cit.

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dentemente perché in questi Stati sono arrivati da più tempo e molti di loro non sono né operai né manovali. Più di metà dei tedeschi vive in quattro Stati, ma ha avuto il tempo di disperdersi su tutto il loro territorio e di distribuirsi fra tutti gli strati sociali. «La distribuzione degli italiani, dice ancora Baulig, è la più complessa: i maggiori contingenti si trovano nelle regioni manifatturiere e minerarie del nord-est, dal Massachusetts alla Virginia occidentale, ma superano la percentuale media negli stati del Golfo, dalla Florida alla Louisiana, così come in California, dove ritrovano, con qualche sfumatura, il clima della loro patria d’origine». Così si spiega che gli italiani siano relativamente poco numerosi a Chicago, dove vengono tuttavia attirati dalla grande industria. Il 63% dei russi si concentra in quattro Stati: più di un terzo in quello di New York; gli altri in Pennsylvania, New Jersey e Illinois. Un po’ più dell’8% dell’insieme forma un isolotto nell’Illinois; quasi tutti vivono a Chicago: l’87% (la percentuale è appena un po’ più bassa per i polacchi; è del 63% per gli italiani, del 55% per i tedeschi, del 56% per gli svedesi). Nell’insieme degli Stati Uniti, ribadisce Baulig: «mentre l’elemento urbano, per gli Scandinavi, varia tra il 47 e il 63%, raggiunge presso i polacchi e gli italiani l’84,4%; presso i russi l’88,6%». È che «i nuovi arrivati si ammassano nelle città e nei centri industriali». Ma chi sono esattamente questi russi? Si tratta in gran parte di ebrei: erano 102.095 nel 1920. Ora, secondo Wirth, ci sono approssimativamente, a Chicago, 300.000 ebrei. Nello stesso anno 159.518 di loro hanno dichiarato di avere, quale lingua madre, lo yiddish o l’ebraico: più della metà di essi sarebbe 73

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quindi costituita da russi o orientali. Sarebbero quindi circa 150.000, 110.000 secondo un’altra stima29. C’è una percentuale minima di orientali a Chicago, sebbene il numero di ebrei russi sia quasi uguale al numero totale di russi (ebrei e non ebrei)30. Gli irlandesi sono attratti dai centri urbani dell’est e sono molto numerosi nel Massachusetts. In questo Stato e in quello di New York si trova il 45,5% del totale e se ci si aggiunge la Pennsylvania e il New Jersey, il 63%. C’è n’è tuttavia un gruppo ancora numeroso nell’Illinois (più consistente di quello del New Jersey), che viene attratto da un centro urbano quale Chicago. Benché nel loro paese d’origine vivessero in campagna e fossero occupati nei lavori agricoli, gli irlandesi che arrivano negli Stati Uniti si stabiliscono soprattutto nelle città. Di tutti quelli che si trovano nell’Illinois, il 77,5% vive a Chicago. In questo Stato c’è una percentuale un po’ più alta di inglesi, gallesi e scozzesi, ma solo il 49% di essi si trova a Chicago: la metà, invece dei tre quarti del totale. Solo i russi (ebrei per la maggior parte) fanno registrare una proporzione più elevata. 29

Secondo Cahn, executive director of the Jewish Charities of Chicago, la popolazione ebrea di questa città ammonterebbe a 225.000. 30 C’è tuttavia un’importante colonia di russi non ebrei a Chicago. A nord della città, abbiamo visitato una chiesa russa ortodossa: «Una folla compatta assiste alla funzione in piedi, si prostra davanti alle icone. Due pope risplendenti d’oro e di pietre vanno e vengono. Luci, canti, bei canti profondi e commoventi. Se la vecchia Russia è scomparsa, sopravvive in questo angolo di Chicago, intatta».

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Qui di seguito riportiamo una tabella che abbiamo costruito sulla base del Rapporto del commissario per l’immigrazione sugli immigrati entrati negli Stati Uniti nell’anno che termina il 30 giugno 191231 (Tutti questi numeri sono stati calcolati per mese).

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Percentuale d’immigrati per nazionalità Professioni Operai Operai Manovali Domestici Senza Numero di liberali* qualificati agricoli professione** immigrati Inglesi 5,3 25,5 2,3 5,6 10,4 41 49.689 Irlandesi 2,1 14,3 7 20,7 32,8 16,8 33.922 Tedeschi 2,7 18,6 13 5,9 16 37 65.343 Scandinavi 1,7 18,9 14,1 17,5 25,8 17 31.601 Italiani del nord 1,4 14,4 8 37 11,1 25,2 26443 Italiani del sud 0,4 11,6 32 17,2 8,9 28,5 135.830 Ebrei 0,97 42,5 1,4 3,3 6,5 41 80.595 Cechi 0,7 22,8 10,6 8 21,2 33,5 8.439 Russi 0,56 5,9 56 21,6 5,6 10 22.558 Polacchi 0,23 5,5 43,7 9,7 24,5 19,4 85.163 * **

Compresi architetti, ingegneri, funzionari, musicisti, attori, clero, ecc. Compresi donne e bambini

Queste professioni sono quelle che gli immigrati esercitavano nel loro paese d’origine. Possiamo distinguere innanzitutto tre gruppi nazionali, sulla base della percentuale di immigrati che esercitavano le professioni liberali: più del 2% tra inglesi, irlandesi, e tedeschi; tra lo 0.9% e il 2% per gli scandinavi, gli italiani del nord e gli ebrei; cechi, russi, italiani del sud 31 Dati riportati in appendice a The Immigration Problem, di J.W. Jenks e W.J. Lauck, New York and London, 4a edizione, 1917, pp. 493-501.

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Chicago

e polacchi: meno dello 0,9%. Considerate secondo il loro peso percentuale, le professioni liberali esercitate dal maggior numero d’immigrati sono le seguenti: inglesi: ingegneri, professori (teachers), attori; tedeschi: professori, ingegneri, musicisti; ebrei: professori, musicisti; irlandesi: professori, clero; italiani del nord: musicisti, scultori e artisti; italiani del sud: musicisti, clero; cechi e polacchi: musicisti; russi: clero, musicisti. La percentuale più elevata di operai qualificati si riscontra tra gli ebrei (più di un terzo degli operai qualificati ebrei sono sarti, dal 13 al 14% di essi lavora nell’industria delle confezioni); successivamente tra gli inglesi (clerks e contabili, minatori); poi tra i cechi e i tedeschi (falegnami, clerks e contabili); gli irlandesi (clerks e contabili); gli italiani del nord (minatori e muratori). Se si riuniscono infine in un’unica categoria gli operai agricoli, i manovali e i domestici (assunti all’interno di fattorie per la maggior parte) si trovano le seguenti proporzioni: meno del 20%, inglesi ed ebrei; dal 20 al 40%, tedeschi e cechi; dal 40 al 60%, irlandesi, scandinavi e italiani; più del 75%, russi e polacchi. Naturalmente, non tutti gli immigrati trovano, dopo il loro arrivo, un’occupazione che corrisponda a quella esercitata nel vecchio continente. Più di un osservatore è stato colpito dal fatto che alcune nazionalità sembrano avere il monopolio di certi lavori specificamente urbani: i belgi sono portinai (janitors), i negri sono facchini nelle stazioni, i cinesi lavandai, i greci servono negli ice cream parlors. Per quanto riguarda gli irlandesi, in gran numero sono policemen, anche se progrediscono velocemente verso posizioni più elevate. Sono una le76

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gione in politica (sia sulla scena, sia dietro le quinte) e nel giornalismo. Buoni oratori, dotati di temperamento e d’immaginazione, danno colore e movimento alle campagne elettorali e di stampa, scuotono gli americani, introducendo un elemento di fantasia in un ambiente un po’ spento. Gli irlandesi sono facilitati dalla loro conoscenza dell’inglese, ma rappresentano un’eccezione. La massa degli altri immigrati è impegnata in attività lavorative che non sono molto diverse dalle occupazioni alle quali erano abituati: gli agricoltori, in particolare, e soprattutto gli italiani del sud, svolgono lavori pesanti. Gli artigiani e gli operai qualificati possono lavorare nel loro settore, tanto più che si produce molto velocemente una differenziazione tra i nuovi arrivati e coloro che sono in America da più tempo. Questi ultimi passano a lavori più redditizi e lasciano quelli meno lucrativi ai nuovi arrivati. Le attività che si rendono disponibili sono ormai svalutate, in parte perché esercitate prevalentemente da stranieri, soprattutto da stranieri portati dalle correnti d’immigrazione più recenti. IV. La distribuzione locale delle nazionalità Cerchiamo adesso di farci un’idea più precisa e di misurare, per quanto possibile, fino a che punto questi gruppi d’immigrati si concentrino in alcune parti della città, anziché distribuirsi in maniera uniforme nella popolazione di tutti i quartieri. Otterremo così un indice affidabile della loro ineguale velocità di assimilazione. 77

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La statistica americana indica, per ogni nazionalità, il numero di stranieri che risiedono nei singoli ward (distretto). Questi numeri fanno riferimento all’anno 1920, quando Chicago comprendeva solo 35 distretti (nel luglio 1921 la città è stata nuovamente divisa, questa volta in 50 distretti). Questi distretti non registrano lo stesso numero di abitanti. Nel 1910 (non disponiamo dei dati relativi al 1920), 24 distretti, su 35, avevano una popolazione compresa tra i 45.000 e i 75.000 abitanti. 4 di essi ne avevano meno di 45.000 e 7 più di 75.000. Cercheremo comunque di trarre profitto da questi valori, osservando che: 1) quando dividiamo i distretti in due gruppi, all’interno di ognuno di essi le disuguaglianze notate si devono bilanciare; 2) quando consideriamo un ridotto numero di distretti, le nostre conclusioni possono essere corrette nel caso in cui la popolazione di questo o quel distretto si allontani troppo dalla media. Distribuzione degli immigrati nei distretti di Chicago nel 1920 (35 distretti) Numero d’immigrati In migliaia

Polacchi 137,6 Tedeschi 112,3 Russi 102,1 Italiani 59,2 Svedesi 58,6 Irlandesi 56,8 Cecoslovacchi 50,4

Numero di distretti contenenti

% La metà del totale Più di una volta degli immigrati e mezzo la media per distretto di ciascun gruppo nazionale 17,1 5,5 11 13,9 8,5 6 12,7 4,5 5 7,4 4 6 7,3 6 9 7 8 8 6,3 2,66 4

Scarti relativi

1,72 1,30 2,73 2,64 1,64 1,23 5

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Nella tabella qui sopra riportata indichiamo (colonne 3, 4 e 5), per ogni gruppo nazionale di immigrati: 1) il numero di distretti che comprende la metà del loro totale. È questo un primo indice del loro grado di concentrazione; 2) il numero di distretti, per ogni nazionalità, che comprende più di una volta e mezzo la quantità media per distretto degli immigrati considerati; 3) lo scarto relativo per ogni nazionalità, tra il numero di immigrati presenti nei distretti (2) e la media32. Quest’ultima indicazione è essenziale: è la sola che permetta di risalire, per quanto possibile, al grado di concentrazione nei distretti in cui gli immigrati di questa o quella nazionalità sono più numerosi. Più si riduce il numero dei distretti che contengono la metà del numero degli immigrati (colonna 3), più sono concentrati gli immigrati della nazionalità considerata. Da questo punto di vista, la concentrazione sarebbe più marcata per i cecoslovacchi; in seguito verrebbero i russi e gli italiani, poi i polacchi e gli svedesi e infine gli irlandesi e i tedeschi. Avremmo lo stesso risultato, con una sola inversione di posizione (russi e svedesi), se considerassimo il numero di distretti in cui risiedono i 3/4 degli immigrati. 32

Abbiamo calcolato la somma aritmetica degli scarti tra il numero di immigrati di ciascuno di questi distretti e la media, e diviso questa somma per il numero dei distretti. Abbiamo così ottenuto lo scarto medio. Poiché la popolazione media degli immigrati non è la stessa, per tenere conto di questa differenza abbiamo diviso lo scarto medio per il numero medio di immigrati di ogni gruppo nazionale per distretto. Abbiamo così ottenuto lo scarto relativo.

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Le cifre della colonna 5 (scarti relativi) ci indicano quanto le popolazioni immigrate, nei distretti in cui sono più numerose, si allontanino dalla media. Ritroviamo gli stessi risultati ottenuti inizialmente: lo scarto è nettamente più elevato per i cecoslovacchi, poi per gli italiani e i russi, in seguito per gli svedesi e i polacchi, infine per i tedeschi e gli irlandesi. Tuttavia i distretti che compariamo non hanno lo stesso numero di abitanti e ciò potrebbe offuscare o falsare i nostri risultati: supponiamo che i distretti in cui il numero d’immigrati supera abbondantemente la media (per questa o quella nazionalità) siano molto più popolati, vale a dire abbiano una popolazione molto più numerosa degli altri. In questo modo si spiegherebbe il fatto che vi siano più immigrati della media, senza alcun bisogno di aggiungere che gli immigrati sono più concentrati qui che altrove. Per valutare se subentri tale causa d’errore, abbiamo calcolato quale fosse la popolazione media (americani e immigrati di tutte le nazionalità) nei distretti in cui gli immigrati di ogni nazionalità erano più numerosi33. Essendo la popolazione mediana34 di 62.000, troviamo: cecoslovacchi, 73.000; russi, 60.000; italiani, 50.800; polacchi, 71.000; svedesi, 76.000; tedeschi, 66.800; irlandesi, 68.000. Lo scarto medio tra questi numeri e la mediana è di 7.000: non è uno scarto considerevole. Queste ci33

Per quanto concerne la popolazione, abbiamo fatto riferimento ai dati del 1910. 34 Abbiamo calcolato la mediana (che ha un valore molto simile a quello della media) tenendo unicamente conto dei 31 distretti compresi nella colonna 4.

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fre sono ordinate in base al valore decrescente dello scarto relativo, cioè cominciando dai distretti che contengono i gruppi d’immigrati che ci sono sembrati più concentrati. Se questo ordine si spiegasse con le differenze tra i distretti, relative alla loro popolazione, le cifre indicanti tali variazioni dovrebbero decrescere regolarmente. Ora, non si riscontra niente del genere: tali cifre talvolta diminuiscono, a volte aumentano. Consideriamo adesso i diversi gruppi individuati in precedenza: tedeschi e irlandesi sono più numerosi nei distretti di media dimensione, che non sono tuttavia mai gli stessi per le due nazionalità; per gli uni e gli altri, la dimensione media dei distretti in questione è circa la stessa (e di poco superiore alla mediana). Dove si trovano questi distretti? Quelli in cui i tedeschi sono più concentrati si trovano innanzitutto a nord-ovest. Il primo di essi è il 27o distretto: si tratta di un vasto quadrilatero delimitato a nord da Devon Avenue e a sud da Belmont Avenue, a est dal braccio nord del fiume e dal North Shore Channel, e ad ovest dai confini della città35. A contatto con questa prima zona, ma situati a est del North Shore Channel e del braccio nord del fiume, si trovano poi, nel 24o e nel 26o distretto, degli insediamenti tedeschi più densi, delle vie con alti edifici che formano isolati compatti, a nord e a sud della Roscoe Street, tra Howard Street a nord e Cortland Street a sud. Questo quartiere s’inserisce come un cuneo tra la “Piccola Sicilia” e la Costa dorata; a est, è separato dal lago dalla zona degli appartamenti ammobiliati e 35

Non è compreso nella nostra pianta.

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dalla linea sottile delle abitazioni dei milionari; a nord-est, tocca gli insediamenti svedesi. Gli irlandesi sono più concentrati in due distretti (il 35° e il 13°) delimitati a nord dal Washington Boulevard e a sud da Roosvelt Road (a ovest da Crawford Avenue, quasi ai confini della città). Gli altri due distretti in cui sono maggiormente concentrati (il 30° e il 31°) sono compresi tra la 43a e la 63a strada, che li delimitano a nord e a sud, e si estendono fino alla State Street e alla Black Belt a est, a nord e a sud del Garfield Boulevard (a sud-ovest e a ovest della Comunità universitaria e di Washington Park). Svedesi e polacchi sono insediati soprattutto nei distretti in cui la popolazione è molto numerosa, ma non si discosta di più di un sesto dalla media. Vi sono molti svedesi all’estremo nord di Chicago, tra la Howard Street (vicino a Evanston) e la Devon Avenue e fino alla Belmont Avenue a sud, sulle due rive del braccio nord del fiume e del North Shore Channel, ovvero a est degli insediamenti tedeschi36 e fino al lago Michigan (23o e 25o). Per quanto riguarda gli insediamenti polacchi, i più densi si trovano a nord e a sud di Division Street, a ovest del braccio nord del fiume, a sud degli insediamenti tedeschi e svedesi, a contatto con l’angolo nord-ovest del Loop (16o e 17o, tra la Fullerton Avenue a nord e la Kinzie Street a sud)37. I distretti in cui gli italiani e i russi sono più nu36

Anche questi insediamenti, situati a nord oltre Belmont Avenue, non sono compresi nella pianta. 37 Kinzie Street è equidistante da Chicago Avenue e Madison Street (che le sono parallele).

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merosi hanno una popolazione abbastanza inferiore alla media per i russi, inferiore alla media di 1/6 per gli italiani. Da questo punto di vista si distinguono nettamente dagli altri distretti caratterizzati da un’elevata presenza di immigrati. Poiché gli italiani sono più numerosi in un contesto in cui la popolazione è ridotta rispetto a quella degli altri distretti, si può concludere che il loro livello di concentrazione sia più elevato di quanto non indichi lo scarto relativo (colonna 5). Gli italiani sono più concentrati dei russi. I russi, a loro volta, sono numerosi soprattutto in due distretti: uno (il 15o), che è anche un grosso centro d’insediamenti polacchi, si estende tra la North Avenue a nord e la Chicago Avenue a sud, ad est della Ashland Avenue. Si tratta in realtà di una grande zona ebraica, situata a est di Humboldt Park, a contatto con i polacchi ad est e gli italiani a sud. L’altro (il 34o) si trova a sud di Roosvelt Road e del primo gruppo di irlandesi, e arriva fino ai confini occidentali della città. Situato a ovest di Douglas Park, è un insediamento ebraico. Relativamente agli italiani si osservano tre principali insediamenti: in primo luogo, nel 19o distretto, il quartiere compreso tra Van Buren Street a nord, Roosevelt Road a sud, il braccio sud del fiume a est, l’Hermitage Avenue a ovest. È il quartiere che segnalavamo: attraversato da Halsted, separato dal ghetto dalla Roosevelt Road, al centro della zona più popolata di Chicago dopo il loop. Il secondo insediamento italiano si trova in un altro quartiere, situato a nord ma a contatto con il loop. Delimitato da Center Street a nord, dall’ansa del fiume a sud e a 83

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ovest e dalle vie d’Orléans e di Sedgwick, sorge dietro la Costa dorata che lo separa dal lago Michigan. La “Piccola Sicilia” si trova in questo quartiere. La zona italiana si estende peraltro in un terzo distretto (il 17o), situato sull’altro lato del fiume, a ovest, a contatto con i polacchi a nord e i russi (ebrei) a nordovest. Questi tre insediamenti italiani, i primi separati solo dal fiume e il terzo situato più a sud, ma molto vicino agli altri due, formano un insieme ben caratterizzato. L’unità dell’insieme è garantita dalla Halsted Street che, venendo da sud, attraversa il primo e passa successivamente lungo il confine ovest del terzo e il confine est del secondo. I distretti in cui risiede la maggior parte dei cecoslovacchi hanno una popolazione di un sesto superiore alla media. Uno di questi (il 12o) si trova a ovest, vicino alla periferia: è un quartiere che ospita anche molti polacchi e ebrei, a sud della Roosevelt Road, vicino a Central Park. L’altro (il 34o) prolunga il precedente fino al confine ovest della città: è qui che abbiamo localizzato il secondo gruppo d’immigrati russi (ebrei). Sebbene vi siano piccoli gruppi di cecoslovacchi (da 300 a 600 abitanti) in tutti gli altri distretti, i 3/4 di questo gruppo nazionale si distribuiscono in soli quattro distretti. Il fatto che questi quattro distretti siano, mediamente, più popolati rispetto agli altri non spiega che in minima parte l’elevata concentrazione di cecoslovacchi che li caratterizza. Questi gruppi d’immigrati sono in contatto non solo con gli americani, ma anche tra loro: si passa talvolta bruscamente dall’uno all’altro, qualche volta vi sono infiltrazioni e transizioni impercettibili. L’esame della pianta che riproduciamo, e le indicazioni 84

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che abbiamo appena dato sui rapporti di prossimità tra i distretti studiati, permetteranno di rendersene conto. I tedeschi e gli irlandesi si mescolano solo con gli svedesi e i polacchi: sono i gruppi meno concentrati. Polacchi e svedesi, invece, si confondono, negli stessi distretti, da una parte con i gruppi meno concentrati (tedeschi e irlandesi), dall’altra con quelli più concentrati. Questi due tipi di combinazione, tuttavia, si realizzano in distretti distinti. D’altra parte, mentre gli svedesi non sono in contatto, in questi stessi distretti, che con gli italiani (tra i gruppi meno concentrati), i polacchi sono in contatto con tutti i gruppi nazionali (esclusi gli svedesi), e ciò può dipendere almeno in parte dal fatto che i polacchi sono i più numerosi. Se si ammette che più una popolazione di immigrati è concentrata, meno è assimilata, sembrerebbe che i contatti si stabiliscano progressivamente: 1) tra coloro che sono più assimilati (tedeschi e irlandesi) e quelli che lo sono mediamente (polacchi e svedesi); 2) tra questi ultimi e coloro che sono meno assimilati (italiani, russi e cecoslovacchi). La tendenza più netta all’isolamento si manifesta tra gli italiani, che sono soli due volte su tre e non entrano in contatto che con i polacchi e gli svedesi. Questa tendenza è successivamente più marcata tra i tedeschi, che sono soli circa una volta su tre e non si mescolano che con gli svedesi e i polacchi. I cecoslovacchi e i russi (salvo una eccezione) non sono in contatto che con gli slavi. Queste differenze si spiegano in larga misura con il fatto che questi diversi gruppi d’immigrati sono ar85

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rivati da più o meno tempo. In un libro che abbiamo citato in precedenza, Jenks e Lauck hanno rappresentato con un ottimo grafico l’immigrazione di ogni paese verso gli Stati Uniti dal 1820 al 1916. Vi si osservano le tre ondate italiana, austro-ungarica, e russa diffondersi ampiamente sin dal 1900. L’immigrazione tedesca, dopo tre grosse ondate, intorno al 1854, dal 1865 al 1874 e dal 1880 al 1893, si contrae. L’immigrazione scandinava, già significativa nel 1869, registra successivamente quattro picchi, 1882, 1888, 1892 e 1902, ma in seguito decresce in modo continuo, come se a poco a poco le sue fonti si prosciugassero. L’immigrazione irlandese è vecchia quanto quella tedesca: in entrambe si trovano, nei medesimi periodi, gli stessi picchi. Si è abbassata progressivamente, tra il 1905 e il 1917, da 54.000 a 17.000. Questo spiega perché gli irlandesi e i tedeschi ci siano sembrati più assimilati rispetto a italiani, russi e polacchi. Ma gli svedesi sono tanto concentrati quanto gli austro-ungarici e i russi, sebbene siano emigrati prima e siano arrivati in numero inferiore dopo il grande flusso italiano del dopoguerra. D’altra parte gli ebrei e i polacchi (compresi nell’emigrazione russa e austro-ungarica) sono arrivati nello stesso periodo, ma i primi sono più concentrati dei secondi. Infine se si calcolano, per i 30.000 austriaci e i 26.000 ungheresi di Chicago, gli stessi indici rilevati per le altre nazionalità, si trova uno scarto relativo pari allo 0,75 per i primi (che indicherebbe un grado di dispersione più elevato rispetto a quello della Germania e dell’Irlanda) e a 1,80 per i secondi (grado di dispersione grossomodo identico a quello dei polacchi e degli svedesi). Eppure, austriaci e ungheresi sono 86

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arrivati nello stesso periodo: gli uni e gli altri sono immigrati recentemente. Ne risulta che il grado di concentrazione non è sempre un indice sufficiente della resistenza degli immigrati all’assimilazione. Bisognerebbe studiare la frequenza relativa dei matrimoni tra immigrati di ogni nazionalità e americani. Abbiamo distinto le nazionalità in due categorie: paesi di vecchia immigrazione – Irlanda, Inghilterra, Germania, Paesi Scandinavi, ecc. – e paesi di recente immigrazione. Per il periodo 1899-1909, su cento immigrati, si contano nei primi 41,5 mogli e nei secondi solo 27. Quando gli immigrati arrivano con la moglie, si può supporre una più ferma intenzione di restare negli Stati Uniti38. Ma, sulla base della nostra tabella, gli irlandesi vengono molto spesso senza la moglie, mentre gli ebrei arrivano prevalentemente con la loro famiglia. Eppure, i primi si assimilano molto più velocemente rispetto ai secondi. D’altra parte, gli immigrati che trovano un numero minimo di donne della loro nazionalità, se decidono di restare, hanno più possibilità di sposare delle americane39. Su questo punto non disponiamo di da38

Dal 1908, si registrano gli immigrati che ritornano in Europa. Se distinguiamo i paesi di antica e recente immigrazione, su 100 immigrati si trovano, per i primi, 16 ritorni in Europa, e 38 per i secondi, 8% per gli irlandesi e 7% per gli ebrei (Jenks e Lauck, op. cit., p. 38 e ss.). 39 Riportiamo alcuni passaggi di una lettera indirizzata in Polonia da un immigrato di questo paese, suggestiva da diversi punti di vista. Non sembra intravedere la possibilità di un matrimonio fuori dal proprio gruppo nazionale. «Cari genitori, vi prego di non essere arrabbiati e di non

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ti sufficienti, ma possiamo affrontare indirettamente lo stesso problema, a Chicago, e ottenere così, attraverso il numero dei matrimoni misti tra americani e stranieri, un indice più preciso della velocità d’assimilazione nei diversi gruppi nazionali. Nelle statistiche americane, con la denominazione Foreign White Stock, si individuano quelli che possiamo chiamare immigrati di seconda generazione, ovvero i figli degli stranieri. È possibile suddividerli in due categorie: quelli che hanno entrambi i genitori stranieri (foreign parentage) e quelli con un solo genitore straniero (mixed parentage). Negli Stati Uniti, nel 1920, a 100 persone nate da due genitori stranieri, ne corrispondevano 44,5 aventi un solo genitore straniero; questo numero scende a 23 per New York, e a 28,5 per Chicago. Abbiamo calcolato questo rapporto nei 35 distretti di Chicago, nel 1920.

volermene quando leggerete quanto vi scrivo. È faticoso vivere solo. Allora, per piacere, trovatemi una ragazza, una ragazza onesta, perché in America non vi è una sola polacca che sia tale. - 21 dicembre 1902). Vi ringrazio di cuore della vostra lettera, perché sono stato contento di riceverla. Per quanto concerne la ragazza, benché non la conosca, per lo meno il mio amico, che la conosce, dice che è alta e carina (stately and pretty) e ho fiducia in lui, tanta quanta ne ho in voi, miei genitori. Vi prego di dirmi quale delle due sorelle deve venire, la maggiore o la più giovane, Aleksandra o Stanislawa?» (Thomas, Znaniecki, The Polish Peasant, t. II, p. 259).

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Maurice Halbwachs Numero di persone con un solo genitore straniero, per 100 persone nate da due genitori stranieri.

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10 20 30 40 50 60 70 80 90

distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto

25,8 39,5 47,4 16,8 20,5 51 55 22,4 24,7

100 110 120 130 140 150 160 170 180

distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto

10,2 11,6 16,2 38,2 28 15,8 13,4 7,2 32

190 200 210 220 230 240 250 260 270

distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto distretto

10 6,7 36,6 18,5 40 30 51,6 42,6 35,7

280 distretto 290 distretto 300 distretto 310 distretto 320 distretto 330 distretto 340 distretto 350 distretto Totale

27 21,8 25,5 37,8 48,5 38 19 38,7 28,5

Non conosciamo il valore di questo rapporto per nazionalità, né per Chicago, né per i suoi distretti, e siamo obbligati ad attenerci ai numeri qui sopra riportati. Siamo a conoscenza, tuttavia, del numero di stranieri di ogni nazionalità presenti in questi distretti. Possiamo dunque focalizzare l’attenzione su quelli che registrano una presenza più elevata di stranieri di questa o quella nazionalità, e supporre che i rapporti corrispondenti agli stessi distretti riguardino soprattutto i discendenti di questi stranieri. In questo modo, avremo un indice della maggiore o minore velocità con la quale i diversi gruppi nazionali si assimilano. Questa velocità risulterà maggiore quando la percentuale delle persone aventi un solo genitore straniero sarà più elevata. Nel 19o distretto (caratterizzato dalla presenza di insediamenti italiani a nord del ghetto) troviamo il più alto numero di italiani: più di 15.000. Vi sono anche 1.800 greci, 1.200 russi e 3.700 polacchi; le altre nazionalità non raggiungono le 1.000 unità. In nessun altro distretto (salvo che nel 17o) la resistenza all’assimilazione è più forte. Il rapporto di cui so89

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pra assume, in effetti, il valore 10. Nel 14o e nel 22o gli italiani sono numerosi, ma vi sono un po’ più polacchi; nel 22o, tuttavia, si riscontrano anche forti contingenti tedeschi e ungheresi (rispettivamente: 6.000, 4.000 e 4.500). La media dei numeri indicati nella tabella qui sopra, per questi 3 distretti, è di 18,8. Nel 20o, c’è una forte maggioranza di russi (6.800 ai quali si aggiungono 2.900 immigrati dalla Lituania). Il rapporto di cui sopra scende a 6,7, in questo caso. Ci troviamo nel ghetto. Nel 34o sono presenti soprattutto russi (17.600) e cecoslovacchi (10.500). Il rapporto è 19. Siamo all’altezza del ghetto, ma all’estremo ovest della città. Nel 10o, a sud del ghetto, ci sono due contingenti equivalenti di russi e di cecoslovacchi: il rapporto scende a 10,2. Nel 13o, un po’ più a nord, i russi sono mescolati agli irlandesi (rispettivamente 6.000 e 4.000): il rapporto risale a 38,2. Gli irlandesi si assimilano molto velocemente. Nel 15o, ancora più a nord, all’altezza di North Street, ci sono 16.000 russi e 11.000 polacchi: il rapporto ridiscende, ma solamente a 15,8. Mentre i russi del ghetto sono tutti ebrei, questi ultimi sembrano essere, almeno in parte, di razza slava autentica40. Nel 4o, 8o, 11o, 16o si può dire che vi siano quasi solo polacchi. Il rapporto che studiamo è abbastanza basso in questi quattro distretti: in media il 16,1. Nell’11o, oltre a 10.700 polacchi vi sono 3.600 russi e 1.600 cecoslovacchi (quartiere eccentrico, nel centroovest); il rapporto è il più basso: 11,6. Nel 16o, dove 40

È qui che si trova la chiesa russa ortodossa.

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insieme ai polacchi vi è solo un piccolo gruppo di russi, è di 13,4. Nel 4o e nell’8o, dove ci sono piccoli gruppi di numerose altre nazionalità, si innalza a 16,8 e a 22,4. In tutti questi distretti, abitati prevalentemente da italiani, russi (e cecoslovacchi), polacchi, la percentuale di immigrati di seconda generazione aventi un genitore americano è molto bassa. Gli ebrei russi sembrano i meno assimilati; non è facile dire se siano più assimilati gli italiani o i polacchi: sembra che non più del 10-15% siano nati da una “coppia mista”. Forse, nell’insieme, la percentuale è leggermente più bassa per i polacchi che per gli italiani. Il distretto caratterizzato dalla più elevata presenza di tedeschi è il 24o: qui il rapporto è 30, un po’ più elevato, ma di poco, rispetto alla media. Nel 26o, oltre a 8.600 tedeschi, ci sono 5.600 svedesi. Il rapporto risale a 42,6. È il segno che gli svedesi si assimilano più rapidamente dei tedeschi? Nel 27o, dove troviamo 10.000 tedeschi, 5.000 svedesi e 5.900 polacchi, scende a 35,7. Ciò dipende dalla resistenza opposta dai polacchi all’assimilazione. Veniamo ora agli svedesi. Nel 25o ci sono 5.300 svedesi, 4.400 tedeschi, 2.200 canadesi inglesi e 1.600 inglesi. Il rapporto sale a 51,6: è vicino al massimo. Siccome era intorno al 30 per i soli tedeschi, si può supporre che gli svedesi si assimilino velocemente (o tanto quanto gli inglesi). Nel 23o, dove ci sono 5.600 svedesi e 6.100 tedeschi, il rapporto è di 40. Deve essere più elevato per i soli svedesi. Gli irlandesi non sono in maggioranza in alcun distretto (come gli stranieri delle nazionalità non stu91

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diate finora). Sembra che per loro si possa fissare tra 40 e 45 il rapporto che stiamo calcolando: dovrebbe essere un po’ più elevato che per i tedeschi. Saremmo dunque indotti a rettificare le conclusioni cui eravamo pervenuti studiando il grado di concentrazione dei gruppi stranieri. Dicevamo che cecoslovacchi, russi e italiani erano i più concentrati e dovevano assimilarsi più lentamente di tutti gli altri gruppi nazionali. Dicevamo inoltre che tedeschi e irlandesi erano i gruppi meno concentrati, e che polacchi e svedesi occupavano una posizione intermedia. In realtà, i polacchi sembrano resistere all’assimilazione quanto i cecoslovacchi, i russi e gli italiani mentre, al contrario, gli svedesi e gli irlandesi si assimilano più velocemente dei tedeschi. Queste nazionalità potrebbero quindi essere riordinate come segue, in base al grado decrescente di assimilazione: irlandesi e svedesi, tedeschi, italiani, polacchi, cecoslovacchi e russi (ebrei). Questi risultati corrisponderebbero all’incirca a quelli cui eravamo pervenuti tenendo conto del tempo trascorso dalla probabile data di arrivo di questi immigrati. Conclusioni Chicago si è sviluppata molto diversamente dalle grandi città europee. Qui ci riferiamo in particolare a Parigi, città che abbiamo avuto modo di studiare in altre occasioni. Parigi è una vecchia città ingranditasi lentamente, nonostante la crescita accelerata dell’ultimo secolo, ma con un movimento continuo; con crisi di sviluppo corrispondenti alle fasi di un’evolu92

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zione organica ben regolata; con una configurazione antica, risultato di un intero passato storico; con un insieme di parti che, collegate l’una all’altra da legami deboli, hanno preso coscienza a poco a poco della loro unità. La città è cresciuta sotto la pressione di nuovi bisogni, sviluppatisi in una popolazione più numerosa e mobile, che hanno stimolato la creazione di nuove vie – più lunghe, più larghe, meglio collegate le une con le altre – in modo tuttavia da aver riguardo per le transizioni, e tenendo conto delle abitudini tradizionali. Il problema è stato quello di adattare vie antiche e irregolari, ma che costituivano una sorta di quadro vivente e resistente, ai bisogni di una popolazione più omogenea i cui elementi, mescolati gli uni con gli altri, si trovavano ormai fusi in una massa collettiva più uniforme e dotata di maggiore coesione interna. Chicago invece è una città immensa, disegnata e costruita in cinquanta anni su un terreno pianeggiante, in una terra vergine; una creazione artificiale, volontaria e quasi brutale, dove tutto viene sacrificato all’estensione, alla velocità e alla comodità della circolazione; una struttura urbana regolare e geometrica, formata da strade dritte e infinite che si incrociano ad angolo retto. Le strade non sono vie di comunicazione che congiungono i quartieri, gruppi di abitazioni che esistono da tempo: in genere, il disegno delle strade è definito in anticipo e le case sono costruite successivamente, formando isolati talvolta compatti ma, più frequentemente, caratterizzati da vasti spazi vuoti. La città aspetta e chiama gli abitanti, non si piega alle loro abitudini: impone loro quelle che scaturiscono dalla sua struttura. All’interno di questo contesto urbano 93

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omogeneo si è distribuita una popolazione proveniente dall’esterno, da tutto il paese e da tutte le nazioni. Si tratta di una popolazione alla cui composizione concorrono apporti estremamente diversi, formata da gruppi che per il tipo etnico, le tradizioni nazionali, il genere di vita e le condizioni sociali, si dividono e si scontrano. Tali gruppi, tuttavia, si trovano giustapposti, vincolati l’uno all’altro, e le loro componenti si incrociano e si incontrano incessantemente, senza mai fondersi realmente. A Parigi troviamo quindi una popolazione unica ed omogenea, una struttura urbana irregolare e fuori dal comune, che è stato necessario rimaneggiare lentamente sulla base dei bisogni dell’organismo collettivo che vi si era insediato. A Chicago, invece, un contesto unitario e regolare, ed una popolazione eterogenea che ci si sforza di piegare alle regole di un conformismo urbano impietoso. Ma questo, forse, non è che un aspetto della realtà. Innanzitutto, benché le strade che attraversano Chicago siano prive di curve e formino una rete di una regolarità perfetta, la configurazione di questa città è molto più tormentata di quanto non appaia. Le superfici occupate dalle ferrovie e dagli stabilimenti industriali sono estese e irregolari. Formano al centro un’armatura massiccia, che estende bracci o antenne gigantesche in tutte le direzioni. Poiché si tratta di vere e proprie barriere, esse dividono la città in altrettante sezioni che spesso non coincidono con i limiti disegnati dalle strade. È un piano industriale, determinato da ragioni tecniche, che si sovrappone al piano urbanistico. Ora, lungo questi muri di fabbrica o di cantiere, queste linee 94

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ferroviarie sopraelevate, e questi recinti che cingono tanti spazi abbandonati, si estendono zone che ricordano, per il loro aspetto, le strade e i boulevard interni che costeggiano o costeggiavano, a Parigi, le fortificazioni. La vita urbana in questi luoghi muore, o piuttosto vi si sviluppa una vita sociale originale, disintegrata e disordinata. Sono quello che i sociologi americani chiamano i quartieri “deteriorati”. Si constaterà facilmente che molte colonie di immigrati si sono insediate negli spazi così delimitati, al riparo di questi lunghi muri e di queste vie sopraelevate ai cui contorni hanno aderito, e che servono talvolta da frontiere. Ne risulta che la struttura materiale di Chicago è molto accidentata e diversificata e che, nonostante le vie diritte, i quartieri sono forse più separati e isolati che a Parigi, soprattutto se non si dimentica che con una popolazione non più numerosa questa città occupa una superficie sei volte più estesa. Quanto ai contrasti netti, alle opposizioni sorprendenti che si percepiscono nel corso di una escursione, anche rapida e superficiale, attraverso le vie di Chicago, in questa popolazione che comprende tanti stranieri recentemente immigrati, i contrasti tra le nazionalità e le opposizioni tra le razze, si presentano con un rilievo singolare. Ricordiamo che, in questa città in cui non vi è che il 28% di americani, il 24% se si escludono i negri, vive il 30% di stranieri e il 42% di figli di stranieri (di cui più di tre quarti hanno entrambi i genitori stranieri). I tre quinti della popolazione sono costituiti da europei, che non annoverano tra i loro antenati alcun cittadino americano. Dai paesi di antica immigrazione (In95

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ghilterra, Scozia, Irlanda, Germania, paesi scandinavi), proviene circa il 40% degli stranieri. Pressoché tutti gli altri, più del 55%, sono italiani del nord e soprattutto del sud, contadini polacchi, artigiani e operai cecoslovacchi, infine il fiume degli ebrei russi, numerosi quasi quanto gli italiani. È l’ultima versione del melting pot americano. Ma non lasciamoci impressionare dall’aspetto esteriore, dai tratti superficiali, che cambiano velocemente insieme all’abbigliamento e sotto l’influenza di un ambiente umano omogeneo. Analizziamo nei suoi elementi questa nozione di razza: essa non presenta in fin dei conti nulla di persistente. Questi gruppi si differenziano per la lingua, ma in realtà apprendono l’inglese molto velocemente41. Si differenziano per la religione, ma chi più, chi meno. Questa non impedisce agli irlandesi di assimilarsi velocemente (anche se, in verità, gli irlandesi pretendono piuttosto di assimilare gli americani… ma, in ogni modo, mettono radici), benché restino rigorosamente cattolici. Le assemblee 41

I polacchi, che sono i più restii, presentano le percentuali seguenti: parla inglese il 21% di quelli che vivono negli Stati Uniti da meno di cinque anni; il 50% di quelli che vi sono stati per un periodo che va dai cinque ai nove anni; il 77% di quelli che vi risiedono da più di 10 anni (questi valori sono molto più bassi per le donne: rispettivamente 6,20 e 56). Gli ebrei apprendono molto più velocemente: parla inglese il 64,5% degli uomini (e il 65,5 delle donne) che vi ha soggiornato per meno di cinque anni. Dopo 10 anni, non vi è alcun gruppo nazionale in cui si trovi più del 20% di uomini che non sono capaci di parlare inglese.

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religiose sono certamente un’occasione per gli immigrati di mantenersi in contatto con i loro connazionali. L’influenza americana penetra tuttavia i muri delle chiese. In una chiesa cattolica italiana ho visto un pubblico veramente popolare, che non ha ancora preso l’abitudine del bagno quotidiano, tanto che un odore acre vi prende alla gola. Il prete, in pianeta verde, faceva grandi gesti, come al di là delle Alpi, e predicava in una lingua grandiloquente e sonora, ma in inglese. La religione in quanto tale non è un ostacolo all’assimilazione, non più che in tutti gli altri paesi dove si giustappongono gruppi con confessioni diverse. Gli immigrati si differenziano tra di loro e dagli americani, più che per la lingua o la religione, per la loro situazione o il loro livello sociale. A seconda che annoverino soprattutto lavoratori rozzi e incolti, agricoltori sradicati che possiedono e possono vendere la sola forza fisica, operai più o meno qualificati, uomini e donne in grado di lavorare nei negozi e negli uffici, gli immigrati si suddividono in categorie che si possono definire economiche. Lo stesso fenomeno può tuttavia essere osservato in molte città europee, dopo lo sviluppo della grande industria. A Parigi, come a Chicago, i quartieri si differenziano a seconda della predominanza più o meno accentuata di questa professione o quella industria, del livello di povertà o ricchezza. Una grande città sviluppa, davanti agli occhi di chi la percorre, tutte le sfumature delle diverse condizioni sociali e non vi è paesaggio urbano sul quale questa o quella classe non abbia impresso il proprio segno. Più contrastato e ricco di colori, il quadro che offre Chicago rappresenta in fon97

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do lo stesso soggetto visibile in tutti gli agglomerati moderni ove gruppi diversi si scontrano. Se le razze non spiegano sufficientemente le classi, non è meno vero che le classi creano tra gli uomini divisioni tanto profonde e a volte tanto pittoresche quanto le differenze che distinguono i tipi e i generi di vita etnici. Se si esamina da questa prospettiva il gruppo urbano che abbiamo studiato, non si potrà più ammettere senza riserve che lo sviluppo di Chicago sia stato un’operazione artificiale, dipesa dall’annessione e dall’incorporazione meccanica di gruppi principalmente stranieri che hanno riempito poco a poco i vuoti di questa città. Quando si iscrivono i nomi delle razze o delle nazionalità sui diversi quartieri, Chicago appare in effetti come un mosaico. Cancelliamo questi nomi, e diciamo semplicemente che qui ci sono molti manovali legati alla grande industria, là artigiani, operai qualificati, commercianti, clerks, impiegati, ecc. Invece di una serie di quartieri giustapposti, vedremo una successione di posizioni sociali sovrapposte: ma i più sedentari, i meglio insediati, quelli che costituiscono realmente il cuore e la sostanza dell’organismo urbano, sono al di sotto degli altri, che li ricoprono e che impediscono, in parte, di vederli. Quelli che restano all’esterno, realmente e nonostante le apparenze, più o meno vicini alla superficie, più o meno lontani dalla zona veramente organica e interna, sono i più mobili e i meno legati alla città, nonostante si trovino all’interno del suo perimetro. Non fanno veramente parte della città, almeno 98

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non ancora. Non vi penetrano che lentamente e partecipano alla sua vita sociale in modo molto diseguale. Non conviene dunque lasciarsi troppo impressionare dal numero di stranieri in percentuale così elevato, che Chicago registra: 28% di stranieri, 70% di stranieri e figli di stranieri, contro il 24% di americani e il 35% di americani e figli di almeno un americano. Gli stranieri, infatti, sono sempre “estranei”. Nelle città antiche e anche in alcune città medievali restavano fuori, non abitavano all’interno delle mura. Qui, entrano nel perimetro urbano e vi si installano: ciò accade perché lo spazio urbano è molto ampio, perché la città, per metà, non è costruita, racchiude spazi vuoti, fabbriche, linee ferroviarie, “zone interstiziali”, ove si è nella città senza esservi realmente, senza confondersi ancora con la sua carne e il suo sangue: come accade in quegli organismi semplici, tutti fatti di cavità che, per quanto interne, sono immerse nell’ambiente e nel liquido esterno. Non è perché stranieri, ma perché operai, soprattutto manovali e operai della grande industria, che la massa degli immigrati, autorizzata a risiedere in città, è tuttavia separata dalla vita urbana, esclusa dalla corrente tradizionale che veicola solamente gli elementi veramente “borghesi”, o in relazione e in contatto stretto e familiare con la borghesia. Tra le diverse categorie di immigrati, da questo punto di vista, ci sono differenze, precisamente perché le condizioni del loro lavoro le legano meno naturalmente alla città che alla sua struttura tecnica, alla quale, peraltro, le associano solo temporaneamente. 99

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Ecco, per esempio, gli operai assunti dalle gangs per la costruzione delle ferrovie. Partono da Chicago in primavera e si dirigono verso il nord-ovest. In ottobre, cominciano a ritornare nella grande città, dove passeranno l’inverno, se hanno messo da parte un po’ di denaro; altrimenti andranno a lavorare nel sud. Questi lavoratori migranti, homeless men, abitano in un quartiere loro riservato, che è in un certo senso una dépendance delle grandi stazioni e dove non ci sono che camere ammobiliate e alberghi economici. Non si immergono nella vita urbana, non conoscono che le vie affollate dei quartieri centrali. Nei periodi di disoccupazione una parte della popolazione operaia, una popolazione fluttuante che non fa veramente parte del gruppo urbano, si accalca nelle grandi città, proprio come avviene in Europa. Quanto alle masse di operai stranieri, che ogni giorno si spostano dalla propria abitazione alla fabbrica, che abitano in quartieri di stranieri e lavorano in mezzo a stranieri, cosa conoscono della vita americana se non i suoi aspetti più superficiali? Quali rapporti hanno con gli americani, se non, forse, durante il lavoro, ovvero sul piano tecnico? Accadrebbe la stessa cosa nei nostri paesi, ad operai per i quali si costruissero baracche, file di case, quartieri operai nelle periferie di una grande città borghese e ricca: non si distinguerebbero da questi immigrati. Se disponessimo gli stranieri di Chicago in base all’ammontare crescente dei loro salari, essi si distribuirebbero nell’ordine che abbiamo ricostruito facendo riferimento alla velocità di assimilazione: i negri in fondo alla scala, poi gli italiani, quelli del nord decisamente al di sopra di quelli del sud, i polacchi 100

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al livello degli italiani del nord, nettamente al di sopra degli ebrei russi, poi gli irlandesi, e un po’ più in alto i tedeschi. Gli ebrei formano una categoria a parte: il fattore propriamente etnico gioca in questo caso, certamente, un ruolo specifico42, ma si osserverebbe lo stesso fenomeno in molte città europee. Nella maggior parte dei casi, i gruppi immigrati sembrano assimilarsi tanto più velocemente quanto più elevato è il loro livello di vita. Così a Chicago (considerata come emblematica dei grandi agglomerati urbani americani) si pone pressappoco lo stesso problema che deve risolvere ogni grande città europea: adattare, l’una all’altra, due comunità molto diverse, prive di rapporti stretti; coordinare due strutture che rispondono a necessità distinte e quasi opposte, un insediamento urbano che è come un organismo, un insieme di stabilimenti industriali e la popolazione operaia ad essi associata. È vero che i dati del problema non erano esattamente gli stessi a Chicago: perché l’organismo ur42 Ciò si verifica anche nel caso dei negri, ma con una significativa differenza. L’assimilazione degli ebrei, che potrebbe essere facilitata dal loro livello sociale mediamente elevato, è ritardata dall’influenza della razza. Nel caso dei negri, invece, i due fattori, economico ed etnico, si rafforzano reciprocamente (nel senso che entrambi ostacolano la fusione). Un’americana mi diceva che un americano non può sposare una negra, né un’americana un negro, perché ciò equivarrebbe a sposare la propria cuoca o il proprio autista. Ciò non si verifica nelle unioni con uomini o donne aventi sangue indiano: «Questi ultimi non sono mai stati schiavi».

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bano era piccolo e non esisteva che da poco, perché la popolazione operaia è arrivata rapidamente e aveva un volume considerevole. È stato dunque necessario, in qualche decennio, tracciare il piano di una città gigantesca a misura di questa popolazione. Il piano era tuttavia troppo artificiale per esercitare una qualsiasi azione sulla circolazione e sui processi di popolamento. I gruppi si sono preferibilmente adattati agli ostacoli e ai punti di appoggio costituiti dalle fabbriche, i cantieri, le linee ferroviarie, che li separavano gli uni dagli altri. In questo modo si è formata una serie di quartieri indipendenti, tanto più che le distanze erano considerevoli. La città si è differenziata attraverso una serie di reazioni spontanee. I gruppi di abitanti ricchi o benestanti hanno cercato zone estese e lontane dalle fabbriche e dai depositi di merci. Gli immigrati si sono stabiliti nelle aree rimaste libere, sia vicino al centro, sia verso la periferia. Una situazione di attesa, come accade quando una metà della popolazione deve sottoporsi ad una sorta di apprendistato, prima di fondersi con l’altra. Malgrado ciò, l’abbiamo visto, l’assimilazione procede attraverso continui cambiamenti. La compenetrazione fra i gruppi avviene lentamente, sia che alcuni di loro, essendo molto estesi, si trovino in contatto con molti altri, sia che una determinata parte degli abitanti, il cui livello di vita si è alzato, lasci il suo posto ai nuovi arrivati. Se la distribuzione degli immigrati cambia al punto che bisognerebbe, quasi da un censimento all’altro, correggere e rifare il piano urbanistico sul quale è indicata, è perché è in corso una continua ridefinizione della loro posizione economica. Malgrado la rigidità apparente del suo sche102

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ma urbanistico, non c’è città, in realtà, che si trasformi più velocemente, nella sua composizione interna e nel suo equilibrio.

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1877

La famiglia di origine alsaziana nel 1871, al termine del conflitto franco-prussiano e la conseguente annessione dell’Alsazia alla Germania, opta per la Francia, trasferendosi a Reims dove l’11 marzo 1877 nasce Maurice Halbwachs. Nel 1879 il padre, stimato professore di tedesco, viene chiamato ad insegnare a Parigi. Dopo gli studi superiori al liceo Michelet, frequenta il corso propedeutico all’École Normale Supérieure al liceo Henri IV, dove è allievo del filosofo Henri Bergson, che eserciterà un’importante e durevole influenza sulla sua riflessione.

1898

In un clima politico-intellettuale dominato dall’affaire Dreyfus, entra all’Ècole Normale Supérieure e intrattiene relazioni con intellettuali di diverso orientamento: il pensatore Charles Péguy, il responsabile della biblioteca dell’École 107

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Nota bio-bibliografica

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Normale Lucien Herr, il futuro leader del Partito Socialista e fondatore de «L’Humanité» Jean Jaurès. 1905

A partire dal 1905 l’attività di Halbwachs si divide tra l’insegnamento in diversi licei (Reims, Tours, Nancy), la collaborazione con l’«Année Sociologique» e l’impegno politico all’interno del Partito Socialista.

1907

Collabora ad una commissione francotedesca che studia i manoscritti di Leibniz e pubblica un volume su questo filosofo (Leibniz, Delaplane, Paris).

1909

Pubblica la sua tesi di diritto dal titolo Les expropriations et les prix des terrains à Paris (Rieder et Cornely, Paris).

1909-1910

Ottiene una borsa di studio per un soggiorno di un anno a Berlino da cui però verrà espulso per aver inviato a «L’Humanité» un articolo in cui denunciava l’intervento repressivo della polizia imperiale contro uno sciopero. Il caso venne discusso anche alla Camera.

1912

Consegue il dottorato in Lettere discutendo una tesi principale dal titolo La classe ouvrière et les niveaux de vie. Recherches sur la hiérarchie des besoins dans les sociétés industrielles contempo108

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Nota bio-bibliografica

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raines (Alcan, Paris, 1913) e una complementare su Quételet et la théorie de l’homme moyen (Alcan, Paris, 1913). Alla vigilia del primo conflitto mondiale è tra i principali collaboratori de l’«Année Sociologique». 1915-1917

Riformato al servizio di leva per la sua miopia, Halbwachs lavora al Ministero della Difesa con Albert Thomas (collega all’École Normale Supérieure e deputato socialista).

1918

Viene nominato Maître de conférence in filosofia alla Facoltà di Lettere dell’Università di Caen e nel 1919 professore di Sociologia e pedagogia in quella di Strasburgo, fondata lo stesso anno dopo la riannessione dell’Alsazia da parte della Francia. In questa sede universitaria intrattiene scambi intellettuali molto stretti e continui in particolare con gli storici Lucien Febvre e Marc Bloch, fondatori degli «Annales d’histoire economique et sociale», e lo psicologo Charles Blondel.

1925

Pubblica Les cadres sociaux de la mémoire (traduzione italiana I quadri sociali della memoria, Ipermedium, Napoli & Los Angeles, 1997).

1930

Viene invitato come visiting professor al Dipartimento di Sociologia dell’Univer109

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Nota bio-bibliografica

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sità di Chicago, dove incontrerà Robert Park e Ernest Burgess. In seguito a questo soggiorno nel 1932 pubblica il saggio “Chicago, expérience ethnique” negli Annales d’histoire économique et sociale. Pubblica Les causes du suicide (Alcan, Paris). 1933

Pubblica L’évolution des besoins dans les classes ouvrieres (Alcan, Paris).

1935

Si trasferisce a Parigi quando gli viene concessa una supplenza alla Sorbonne (cattedra d’Histoire d’économie sociale). A partire dal 1939 occupa la cattedra di Sociologia della prestigiosa università parigina sostituendo Paul Fauconnet.

1938

Viene nominato presidente dell’Insitut français de sociologie e nel 1943 vicepresidente della Société de psycologie. Entra a far parte come esperto per la Francia del Bureau international du Travail (1936) e della Società delle nazioni (membro del Comitato misto sull’alienazione dei lavoratori nel 1937) e di altre importanti commissioni internazionali. Pubblica Morphologie sociale (Colin, Paris) e Analyse des mobiles qui orientent des individus dans la vie sociale (traduzione italiana La psicologia delle classi sociali, Feltrinelli, Milano, 1963).

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Nota bio-bibliografica

1940

Pubblica Sociologie économique et démographie (Hermann, Paris).

1941

Pubblica La topographie légendaire des Evangiles en Terre Sante (Presses universitaires de France, Paris) (traduzione italiana Memorie di Terrasanta, Arsenale, Venezia, 1988).

1944

Halbwachs corona la sua carriera accademica il 14 marzo 1944 con l’elezione al College de France (cattedra di Psycologie collective), ma non avrà l’onore di ricoprire questa carica in quanto il 26 luglio dello stesso anno viene arrestato a Parigi dalla Gestapo. Imprigionato a Fresnes, il 20 agosto viene deportato nel campo di Buchenwald, dove vi ritrovò uno dei figli.

1945

Muore il 16 marzo.

1950

Pubblicazione postuma de La mémorie collettive (traduzione italiana La memoria collettiva, Unicopli, Milano 20012).

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