Amiloidosi cardiaca Come si diagnostica, come si cura [1 ed.] 9788833392530

Le diverse forme di amiloidosi cardiache sono caratterizzate dall'accumulo nello spazio interstiziale di materiale

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Italian Pages 348 [326] Year 2020

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INDICE

(Le) amiloidosi: conoscere per curare 13
Michele Emdin, Giuseppe Vergaro, Claudio Passino
Giampaolo Merlini e il Centro di Pavia 19
Michele Emdin
Breve storia dell’amiloidosi 25
Alberto Aimo, Assuero Giorgetti, Michele Emdin
Fisiopatologia e nosografia generale delle amiloidosi 37
Michele Emdin, Nur Bedeir, Enrica Manzato, Roberta Poletti,
Alberto Aimo, Martina Chiriacò, Vincenzo Castiglione
Amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline
(amiloidosi AL) 51
Alberto Giannoni, Anas Khalil, Federico Perfetto, Gabriele Buda
Malattia da deposizione di catene leggere.
Uno scompenso di cuore senza amiloide 63
Alberto Aimo, Giuseppe Vergaro, Michele Emdin
Amiloidosi da transtiretina: forme familiari e wild type 73
Andrea Barison, Giancarlo Todiere, Flavia Manzo Margiotta,
Federico Perfetto
Biomarcatori: strumenti per screening,
diagnosi, prognosi e guida al trattamento 89
Vincenzo Castiglione, Laura Caponi, Cristina Zucchinetti,
Aldo Paolicchi, Maria Franzini, Giuseppe Vergaro
ECG: esiste un pattern specifico? 113
Gianluca Mirizzi, Andrea Rossi, Attilio Sica,
Marcello Piacenti Anders
Ecocardiografia nell’amiloidosi cardiaca 139
Valentina Spini, Octavian Vatavu, Claudia Taddei, Elisa Poggianti, Christina Petersen, Emilio M. Pasanisi, Francesco Cappelli, Vladislav Chubuchny
Diagnosi tissutale: ruolo della biopsia 157
Angela Pucci, Veronica Musetti, Luca Tessieri
Indagini proteomiche nella diagnosi e caratterizzazione dell’amiloidosi 171
Vincenzo Castiglione, Maria Franzini, Martina Chiriacò, Giuseppe Vergaro
Advanced imaging: risonanza magnetica cardiaca 185
Chrysanthos Grigoratos, Lucio Teresi,
Gianluca Di Bella, Andrea Barison
Advanced imaging: scintigrafia miocardica 199
Assuero Giorgetti, Giorgia Panichella, Dario Genovesi
Advanced imaging: ruolo della PET 217
Dario Genovesi, Michela Chianca, Assuero Giorgetti
Red flags per il sospetto di amiloidosi cardiaca 229
Giuseppe Vergaro, Michela Chianca, Roberta Poletti, Filippo Quattrone, Alberto Aimo
Terapia cardiologica dello scompenso cardiaco nell’amiloidosi 247
Claudio Passino, Luigi F. Saccaro
Cura e follow-up dell’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline 261
Gabriele Buda, Luigi F. Saccaro
Terapia dell’amiloidosi da transtiretina 275
Alberto Aimo, Giorgia Panichella,
Michele Emdin, Giuseppe Vergaro
Amiloidosi: imparare dai casi clinici 293
Chiara Borrelli, Alessandro Carecci,
Alessandra Gabutti, Michela Chianca
Flow-chart diagnostica per l’amiloidosi cardiaca 311
Giuseppe Vergaro, Yu Fu Ferrari Chen,
Claudio Passino, Michele Emdin
Il lungo viaggio nella conoscenza dell’amiloidosi 317
Claudio Rapezzi
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Amiloidosi cardiaca Come si diagnostica, come si cura [1 ed.]
 9788833392530

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Amiloidosi cardiaca Come si diagnostica, come si cura

Michele Emdin Giuseppe Vergaro Claudio Passino Editors

Amiloidosi cardiaca : Come si diagnostica, come si cura / Michele Emdin, Giuseppe Vergaro, Claudio Passino editors. - Pisa : Pisa university press, 2020. - (Sant’Anna Medical Reviews) 616.12 (WD) I. Emdin, Michele II. Vergaro, Giuseppe III Passino, Claudio 1. Amiloidosi - Malattie metaboliche - Cuore 2. Cardiologia - Amiloidosi CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa

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INDICE

(Le) amiloidosi: conoscere per curare  Michele Emdin, Giuseppe Vergaro, Claudio Passino

13

Giampaolo Merlini e il Centro di Pavia  Michele Emdin

19

Breve storia dell’amiloidosi  Alberto Aimo, Assuero Giorgetti, Michele Emdin

25

Fisiopatologia e nosografia generale delle amiloidosi  Michele Emdin, Nur Bedeir, Enrica Manzato, Roberta Poletti, Alberto Aimo, Martina Chiriacò, Vincenzo Castiglione

37

Amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (amiloidosi AL)  Alberto Giannoni, Anas Khalil, Federico Perfetto, Gabriele Buda

51

Malattia da deposizione di catene leggere. Uno scompenso di cuore senza amiloide  Alberto Aimo, Giuseppe Vergaro, Michele Emdin

63

Amiloidosi da transtiretina: forme familiari e wild type  Andrea Barison, Giancarlo Todiere, Flavia Manzo Margiotta, Federico Perfetto Biomarcatori: strumenti per screening, diagnosi, prognosi e guida al trattamento  Vincenzo Castiglione, Laura Caponi, Cristina Zucchinetti, Aldo Paolicchi, Maria Franzini, Giuseppe Vergaro ECG: esiste un pattern specifico?  Gianluca Mirizzi, Andrea Rossi, Attilio Sica, Marcello Piacenti Anders

73

89

113

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AMILOIDOSI CARDIACA

Ecocardiografia nell’amiloidosi cardiaca  Valentina Spini, Octavian Vatavu, Claudia Taddei, Elisa Poggianti, Christina Petersen, Emilio M. Pasanisi, Francesco Cappelli, Vladislav Chubuchny

139

Diagnosi tissutale: ruolo della biopsia  Angela Pucci, Veronica Musetti, Luca Tessieri

157

Indagini proteomiche nella diagnosi e caratterizzazione dell’amiloidosi  Vincenzo Castiglione, Maria Franzini, Martina Chiriacò, Giuseppe Vergaro

171

Advanced imaging: risonanza magnetica cardiaca  Chrysanthos Grigoratos, Lucio Teresi, Gianluca Di Bella, Andrea Barison

185

Advanced imaging: scintigrafia miocardica  Assuero Giorgetti, Giorgia Panichella, Dario Genovesi

199

Advanced imaging: ruolo della PET  Dario Genovesi, Michela Chianca, Assuero Giorgetti

217

Red flags per il sospetto di amiloidosi cardiaca  Giuseppe Vergaro, Michela Chianca, Roberta Poletti, Filippo Quattrone, Alberto Aimo

229

Terapia cardiologica dello scompenso cardiaco nell’amiloidosi  Claudio Passino, Luigi F. Saccaro

247

Cura e follow-up dell’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline  Gabriele Buda, Luigi F. Saccaro Terapia dell’amiloidosi da transtiretina  Alberto Aimo, Giorgia Panichella, Michele Emdin, Giuseppe Vergaro

261 275

INDICE

7

Amiloidosi: imparare dai casi clinici  Chiara Borrelli, Alessandro Carecci, Alessandra Gabutti, Michela Chianca

293

Flow-chart diagnostica per l’amiloidosi cardiaca  Giuseppe Vergaro, Yu Fu Ferrari Chen, Claudio Passino, Michele Emdin

311

Il lungo viaggio nella conoscenza dell’amiloidosi  Claudio Rapezzi

317

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AMILOIDOSI CARDIACA

Hanno contribuito: Alberto Aimo, Istituto di Scienze della Vita (IdSV), Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Andrea Barison, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Nur Bedeir, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Chiara Borrelli, Università di Pisa Gabriele Buda, Università di Pisa Laura Caponi, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana Francesco Cappelli, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze Alessandro Carecci, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Vincenzo Castiglione, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Michela Chianca, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Martina Chiriacò, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Vladislav Chubuchny, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Gianluca Di Bella, Università di Messina Michele Emdin, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Yu Fu Ferrari Chen, Università di Pisa Maria Franzini, Università di Pisa Alessandra Gabutti, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Alberto Giannoni, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Dario Genovesi, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Assuero Giorgetti, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Chrysanthos Grigoratos, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Anas Khalil, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Enrica Manzato, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Flavia Manzo Margiotta, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Gianluca Mirizzi, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Veronica Musetti, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Giorgia Panichella, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Aldo Paolicchi, Università di Pisa, Pisa Emilio M. Pasanisi, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa

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Claudio Passino, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Federico Perfetto, Università di Firenze Christina Petersen, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Marcello Piacenti Anders, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Elisa Poggianti, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Roberta Poletti, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Angela Pucci, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa Claudio Rapezzi, Università di Ferrara, Ferrara Andrea Rossi, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Luigi F. Saccaro, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Attilio Sica, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Valentina Spini, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Claudia Taddei, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Lucio Teresi, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Luca Tessieri, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Giancarlo Todiere, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Octavian Vatavu, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Giuseppe Vergaro, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa Cristina Zucchinetti, IdSV, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

(LE) AMILOIDOSI: CONOSCERE PER CURARE Michele Emdin Giuseppe Vergaro Claudio Passino

(LE) AMILOIDOSI: CONOSCERE PER CURARE Michele Emdin, Giuseppe Vergaro, Claudio Passino

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’era una volta una “malattia rara” orfana di terapia e gravata da una prognosi infausta, con un nome, amiloidosi, poco comprensibile ai più, tramandato dal grande Virchow a partire da una similitudine istologica con la sostanza amilacea (dal latino amilum e dal greco ἄμυλον, composto di a privativo e mulon, mulino, “sostanza bianca estratta dal frumento mediante la macerazione”), un nome poco associabile ai reperti clinici di una malattia multiforme, con multipli substrati eziologici, connessi con la varietà delle proteine amiloidi1. Nell’immaginario collettivo dei clinici la diagnosi di amiloidosi era riservata a casi estremi, raggiunta sempre tardivamente, spesso dopo numerosi ricoveri nei reparti di cardiologia, pneumologia, medicina interna. La diagnosi era definita sostanzialmente sulla base del reperto istologico che nel caso della localizzazione cardiaca richiedeva una biopsia miocardica, una procedura non priva di rischio in una sindrome associata a scompenso. Questa diagnosi inoltre rimaneva sino a poco tempo fa per lo più un esercizio di stile, dato che nessuna terapia eziologica era a disposizione e le forme dell’anziano si associavano comunque a una ridotta aspettativa di vita legata all’età e alle comorbidità. Quindi pochi riscontri di malattia, raggiunti a fatica, pochi strumenti diagnostici e terapeutici che lasciavano il clinico quasi a mani nude, in un difficile dialogo tra specialisti. L’intervento del nefrologo e dell’ematologo, per cui l’amiloidosi cardiaca era malattia residuale, quasi esotica curiosità sommersa tra le MGUS, le “gammopatie a incerto significato”, si scontrava con uno scarno armamentario terapeutico e con infausti esiti di trattamento. La nozione diffusa di amiloidosi come malattia rara non stimolava la comunità scientifica né l’industria farmaceutica verso la ricerca e lo sviluppo di nuovi presidi diagnostici e terapeutici. Poi è accaduto: per l’intuizione, azione e caparbietà di pochi, tra tutti Giampaolo Merlini (con Palladini, Perlini e collaboratori della sua Scuola Pavese) nella nebbia dei pregiudizi e della mancata cognizione delle cose, il problema è stato messo a fuoco, sono state stilate delle raccomandazioni di intervento, si sono create Società Scientifiche nazionali e internazionali (in Italia la SIA, Società Italiana per l’Amiloidosi, International Society of Amiloydosis2,3, in Europa si sono fondati giornali scientifici4, società di supporto dei family caregivers5, si è avviato un confronto tra i centri e tra gli specialisti. Agli internisti (vogliamo nominare Federico Perfetto e il centro di Ri-

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AMILOIDOSI CARDIACA

ferimento Toscano6) si sono naturalmente affiancati i cardiologi: in Italia tra gli altri meritevolissimo è stato Claudio Rapezzi e la Scuola Bolognese, cui negli anni si è aggiunto il lavoro della nostra Scuola, con Claudio Passino, Giuseppe Vergaro, Andrea Barison, Alberto Giannoni, Alberto Aimo tra tutti gli altri che lavorano nella Fondazione Monasterio, l’“Ospedale Speciale” che Luigi Donato ha voluto come tramite tra Università, CNR, Scuola Superiore Sant’Anna e Sanità Pubblica Regionale Toscana, i cui nomi troverete in questo Libro, opera di divulgazione che si affianca alle numerose iniziative da noi organizzate che hanno visto medici, sanitari, pazienti e familiari riunirsi in questi anni per dibattere gli avanzamenti delle conoscenze nel campo (nel 2017 “Focus on cardiac amyloidosis”, nel 2018 “Care of cardiac amyloidosis”, nel 2019 le due “Amyloidosis masterclass”). Un Libro tra le mani è una cosa diversa da qualsiasi altro strumento di conoscenza, la parola stampata sulla carta, quell’oggetto a noi tutti familiare, da toccare, da leggere, da lasciare, da riprendere, da sottolineare, da fissare in una memoria visiva in un’epoca di memorie digitali, volatili. Così abbiamo pensato insieme con Claudio Passino e Giuseppe Vergaro che potesse essere questo Libro, dedicato ai nostri Pazienti, ai nostri Colleghi, a chi combatte ogni giorno per le vite degli altri, per togliere i sintomi dello scompenso di cuore per guadagnare tempo, mesi, anni di vita di qualità, accanto ai propri cari, con l’autonomia e la libertà più ampia possibile, nel contrasto con la malattia. In questo Libro abbiamo voluto trasmettere la conoscenza ad oggi raccolta sulle amiloidosi e sull’amiloidosi cardiaca in particolare e anche la speranza che nuove flow-chart diagnostiche e di trattamento hanno dischiuso, là dove si lottava quasi a mani nude. Sì, mentre conducevamo una navigazione tempestosa, qualcosa è cambiato quasi ex abrupto, con l’identificazione di biomarcatori cardiospecifici e malattia-specifici, con la chiarificazione di pattern specifici ECG, istologici, ecografici, scintigrafici, PET, di risonanza e con la defizione delle red flags nella guida al riconoscimento e alla diagnosi di malattia e soprattutto con l’affinamento del trattamento dello scompenso in questa sua particolare forma e la disponibilità di nuovi farmaci sia nell’amiloidosi cardiaca AL che in quella da transtiretina3. Questo Libro vuole essere moderno, anche se il tempo aggiungerà nuove conoscenze che potranno essere implementate nelle nuove edizioni, completo, anche se chiaro il più possibile, speciale, perché basato sulla nostra esperienza con presentazioni di casi clinici esemplificativi perché arricchito da una ricerca bibliografica accurata, perché gli estensori sono cardiologi, ematologi, anatomo-patologi, perché hanno contribuito anche gli Allievi di Medicina della Scuola Superiore Sant’Anna. A tutti loro va un grazie sincero, come ai nostri lettori.

(LE) AMILOIDOSI: CONOSCERE PER CURARE

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Bibliografia 1. Giorgetti A, Genovesi D, Emdin M. Cardiac amyloidosis: The starched heart. J Nucl Cardiol 2020;27:133-136. 2. https://www.isaamyloidosis.org/ 3. https://www.isaamyloidosis.org/amyloid-the-journal.php 4. https://arci.org/patients-and-caregivers/ 5. https://malattierare.toscana.it/percorso/presidio/272/ 6. Maurer MS, Schwartz JH, Gundapaneni B, et al.; ATTR-ACT Study Investigators. Tafamidis Treatment for Patients with Transthyretin Amyloid Cardiomyopathy. N Engl J Med 2018;379:1007-1016.

GIAMPAOLO MERLINI E IL CENTRO DI PAVIA Michele Emdin

GIAMPAOLO MERLINI E IL CENTRO DI PAVIA Michele Emdin

U

n concetto che tornerà spesso nelle pagine di questo si libro è che l’amiloidosi sistemica e quella cardiaca, da malattie rare, difficili da diagnosticare e da curare oggi sono divenute una diagnosi consueta e più semplice, suscettibile di cure non solo palliative ma con un grande impatto sulla prognosi. Un tributo è dovuto ai pionieri della Medicina che hanno aperto la strada ai gruppi di ricerca e ai clinici che oggi sono attivi in tutto il mondo in quest’ambito. Tra questi Giampaolo Merlini (Figura 1), un grande medico, un uomo speciale per la sua cultura e la sua modestia, che ha fatto nascere a Pavia un Centro capace di attrarre pazienti da tutta Italia, generare una ricerca innovativa, collegare con le Società Scientifiche nazionali e internazionali i clinici e i ricercatori che hanno trasformato la pratica clinica quotidiana della malattia. Alla sua scuola sono cresciuti Chimici Clinici, Cardiologi, Internisti oggi di fama internazionale come Giovanni Palladini, Stefano Perlini, Laura Obici, Paolo Milani e moltri altri. Anche noi alla Fondazione Monasterio e alla Scuola Sant’Anna a Pisa abbiamo imparato giorno dopo giorno dalle sue parole, quelle scritte dei lavori scientifici e quelle al telefono o a lato di un congresso, che davano sempre il consiglio giusto sul caso più difficile. Giampaolo Merlini è Direttore del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche che si trova a Pavia presso la Fondazione Policlinico San Matteo ed è riconosciuto come presidio della rete regionale lombarda delle malattie rare. “Il centro di Pavia è attivo dal 1986 e dispone dei più avanzati strumenti diagnostici e delle risorse terapeutiche più recenti, anche sperimentali. I medici del centro si dedicano esclusivamente alla cura dei pazienti con amiloidosi e ogni anno eseguono più di 3500 valutazioni di pazienti affetti da questa malattia, erogate tramite il Servizio Sanitario Nazionale. L’attività di ricerca del centro si pone ai primi posti a livello internazionale e ha portato alla scoperta di nuovi tipi di amiloidosi e alla messa a punto di nuove terapie, tecniche diagnostiche e sistemi per la valutazione della prognosi e dell’efficacia della terapia. Il centro di Pavia coordina il Gruppo di Studio Italiano per l’Amiloidosi e ha un’ampia rete di collaborazioni scientifiche internazionali con altri istituti dedicati allo studio e alla cura delle amiloidosi. L’attività di ricerca è finanziata da istituzioni nazionali e internazionali e dal prezioso sostegno dei pazienti e dei loro familiari”1. Giampaolo Merlini dirige inoltre i laboratori di ricerca in biotecnologia dell’Istituto scientifico Policlinico San

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AMILOIDOSI CARDIACA

Matteo, Università di Pavia, Italia. È professore ordinario di biochimica clinica all’Università di Pavia e presidente del corso post-laurea in biotecnologia medica. È stato anche presidente della International Society of Amyloidosis, della Società Italiana per l’Amiloidosi e Chairman of the Committee on Plasma Proteins, International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine. Ha frequentato la Facoltà di Medicina dell’Università di Pavia come alunno del Collegio Ghislieri. Dopo aver conseguito la laurea in medicina, si è formato nelle indagini cliniche e di laboratorio sulle gammopatie monoclonali presso il Malmö General Hospital, Università di Lund, in Svezia, sotto la stretta guida di Jan Waldenström. L’incontro con Waldenström ha lasciato un’impronta permanente sui suoi interessi scientifici, che da allora si sono concentrati sull’indagine sui meccanismi molecolari delle malattie, e in particolare sulle attività biologiche delle proteine monoclonali ​​ e delle relative condizioni cliniche. Ha ulteriormente sviluppato queste linee di ricerca presso l’Institute of Cancer Research, College of Physicians & Surgeons, Columbia University, New York, sotto la direzione esperta di Elliott Osserman e in collaborazione con l’immunochimico Elvin Kabat. Osserman lo ha introdotto nel regno dell’amiloidosi sistemica, e in particolare nell’amiloidosi causata da catene leggere immunoglobuliniche monoclonali mal ripiegate. I suoi principali interessi di ricerca sono la patogenesi, la storia naturale, la diagnosi e il trattamento delle gammopatie monoclonali, in particolare l’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline. La sua ricerca si è concentrata sull’indagine dei biomarcatori per la valutazione della prognosi e della risposta alla terapia e sullo sviluppo di nuovi agenti terapeutici e trattamenti progettati alla luce dei progressi nella comprensione dei meccanismi molecolari di queste malattie. È ricercatore principale di numerosi progetti di ricerca in questo campo finanziati dalla Comunità Europea e da agenzie di ricerca nazionali e internazionali. Il suo record scientifico è straordinario, con un H index di 81 (Scopus, giugno 2020): ha scritto più di 500 articoli, libri, capitoli di libri e recensioni. Il suo contributo nel campo della macroglobulinemia di Waldenström si estende dall’indagine sulle attività anticorpali delle IgM monoclonali alla definizione delle linee guida sulla prognosi e sul trattamento e sullo sviluppo di nuove strade terapeutiche. Ha contribuito a stabilire una collaborazione internazionale per definire un nuovo sistema di punteggio prognostico per la macroglobulinemia di Waldenström. Curiositas felix, inesauribile, cultura profonda, grandissima umanità, capacità di organizzare e di educare sono alcune delle caratteristiche che hanno fatto e fanno guardare a Giampaolo Merlini come un riferimento costante e che sono state trasmesse ai suoi allievi nel Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia, eccellenza clinica e baricentro della ricerca internazionale.

GIAMPAOLO MERLINI E IL CENTRO DI PAVIA

Bibliografia 1. http://www.amiloidosi.it/index.php/it/

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BREVE STORIA DELL’AMILOIDOSI

Alberto Aimo Assuero Giorgetti Michele Emdin

BREVE STORIA DELL’AMILOIDOSI Alberto Aimo, Assuero Giorgetti, Michele Emdin Sommario

L’

amiloidosi è una condizione associata a mutazioni geniche, invecchiamento o patologie sistemiche in cui depositi extracellulari di proteine fibrillari determinano alterazioni morfologiche e funzionali dei tessuti. Il termine “amiloide” fu introdotto nell’800 dal botanico tedesco Matthias Schleiden. Il primo utilizzo del termine “amiloide” relativamente alla fisiopatologia umana va attribuito al medico e fisiologo tedesco Rudolf Virchow (1821-1902), sebbene lesioni riconducibili a depositi di sostanza amiloide siano state descritte a livello del fegato e della milza già nel XVII secolo. Mentre Virchow riteneva che questi accumuli tissutali fossero composti da carboidrati, nella seconda metà del XIX secolo divenne chiaro che essi erano costituiti da proteine. Nel 1922 si scoprì che la colorazione con rosso Congo lega la sostanza amiloide; la congofilia con birifrangenza verde mela divenne il primo criterio, che riveste a tutt’oggi importanza, ai fini della diagnosi di amiloidosi. A partire dagli anni ’50 del XX secolo l’avvento della microscopia elettronica consentì di caratterizzare dal punto di vista ultrastrutturale gli accumuli di fibre amiloidi; in aggiunta, un numero progressivamente crescente di proteine venne identificato come possibile precursore dei depositi di sostanza amiloide. Gli sviluppi più recenti riguardano l’introduzione di nuove tecniche diagnostiche e l’identificazione di terapie capaci di agire su passaggi specifici della cascata amiloidogenica, quali ad esempio nel caso della transtiretina la sua sintesi ovvero la dissociazione dei suoi tetrameri.

Elenco delle abbreviazioni AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline ATTR, amiloidosi da transtiretina ATTR-ACT, Tafamidis in Transthyretin Cardiomyopathy Clinical Trial TTR, transtiretina

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AMILOIDOSI CARDIACA

Scoperta della sostanza amiloide L’amiloidosi è una condizione associata a mutazioni geniche, invecchiamento o patologie sistemiche in cui i depositi extracellulari di proteine fibrillari determinano alterazioni morfologiche e funzionali dei tessuti1. Il termine “amiloide” fu introdotto dal botanico tedesco Matthias Schleiden (1804-1881), che utilizzò per la prima volta una colorazione a base di ioduro e acido solforico per ricercare la presenza di amido nelle piante. Schleiden pubblicò i risultati delle sue ricerche nel trattato Grundzige der wissenschaftlichen Botanik (“Fondamenti di botanica scientifica”), che a partire dalla seconda edizione riportò la dizione “amiloide” per indicare l’amido presente nei suoi preparati2. Il termine deriva dal latino “amylum” e dal greco ἄμυλον, che significano appunto “amido”. Sebbene lesioni riconducibili a depositi tissutali di amiloide fossero già state descritte a livello del fegato e della milza (forse già nel 1639), il primo utilizzo del termine “amiloide” relativamente alla fisiopatologia umana va attribuito al medico e fisiologo tedesco Rudolf Virchow (1821-1902), nella sua pubblicazione Über eine in Gehirn und Rückenmark des Menschen aufgefundene Substanz mit der chemischen Reaction der Cellulose (“Circa una sostanza presente nel cervello e nel midollo spinale dell’uomo con la reazione chimica della cellulosa”), risalente al 18543. In questo testo Virchow descrisse piccoli depositi rotondeggianti riscontrabili nella sostanza grigia cerebrale di soggetti con demenza; il colore di questi depositi passava dal marrone al blu dopo reazione con ioduro e acido solforico. Virchow quindi propose che queste strutture avessero la stessa composizione della cellulosa (la cui distinzione dall’amido all’epoca appariva incerta) e le denominò “corpora amylacea” (Figura 1). Negli anni seguenti Virchow utilizzò la colorazione con ioduro e acido solforico anche su altri tessuti infiltrati da amiloide4,5. Nel 1859, il chimico tedesco August Kekulé (1829-1896) riportò che gli organi infiltrati da sostanza amiloide presentavano un’elevata quota di azoto. Kekulé pertanto postulò che la sostanza amiloide fosse di natura “albuminoide”, anziché analoga all’amido4. Virchow contestò queste affermazioni e sostenne che risultati attendibili circa la composizione biochimica della sostanza amiloide potessero essere ottenuti solo dopo aver individuato metodi efficaci di purificazione della sostanza amiloide dai tessuti4. Virchow contestò altresì l’utilizzo della colorazione metacromatica per individuare la sostanza amiloide, introdotta nel 1875 e utilizzata nel 1876 per individuare depositi di amiloide nel tessuto cardiaco6. Le colorazioni con ioduro e acido solforico e quella metacromatica furono entrambe rimpiazzate dalla colorazione al rosso Congo, sviluppata dal chimico tedesco Paul Böttiger nel 1884 come colorante per tessuti7. Nel 1922 si scoprì che il rosso Congo lega la sostanza amiloide; questa metodica di colorazione, perfezionata nel 1962 da Puchtler8, costituisce tuttora uno dei fondamenti della caratterizzazione istopatologica dell’amiloidosi. I campioni biologici vengono fissati in formalina, sezionati in

BREVE STORIA DELL’AMILOIDOSI

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Figura 1. Corpora amylacea. I depositi, indicati dalle frecce, si colorano di blu con la colorazione ematossilina-eosina (A) e di marrone mediante colorazione con argento metenamina (B). Il campione tissutale proviene da una donna di 104 anni affetta da demenza. Ingrandimento 200x. Adattato da: Tansken M. “Amyloid” - historical aspects.

fette di 5-8 μm, colorati col rosso Congo e visualizzati al microscopio a luce polarizzata; l’amiloide si presenta come un materiale omogeneo con birifrangenza rossa o verde (Figura 2). La congofilia con birifrangenza verde mela costituì il primo criterio diagnostico per l’amiloidosi, introdotto nel 19279.

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AMILOIDOSI CARDIACA

Figura 2. Birifrangenza verde mela. La colorazione rossa (A) della sostanza amiloide nel tessuto miocardico di un paziente con amiloidosi da transtiretina diventa gradualmente (B, C) verde (D) in luce polarizzata. Ingrandimento 400x. Adattato da: Tansken M. “Amyloid” - historical aspects.

Caratterizzazione della struttura e della composizione biochimica dell’amiloide Nel 1959 due ricercatori americani, Cohen e Calkins, condussero studi di microscopia elettronica su sostanza amiloide di varia provenienza (conigli con amiloidosi indotta da caseina, ora nota come amiloidosi AA; biopsie cutanee di pazienti con amiloidosi primaria, attualmente amiloidosi da catene leggere - AL; biopsie renali di un paziente con amiloidosi sistemica, attualmente classificabile come amiloidosi AA)10. Questi studi e successive analisi di sostanza amiloide estratta dai tessuti permisero di comprendere che tutte le forme di amiloide mostrano una ultrastruttura fibrillare simile, con fasci di fibrille di larghezza 6-13 nm e lunghezza da 100 a 1600 nm, orientati in maniera casuale e lineari (ovvero non ramificati). Ogni fascio è costituito da fibrille di diametro 2.5-3.5 nm, disposte longitudinalmente con uno spazio di 2.5 nm fra loro, avvolte a elica con un ampio passo e con pochi punti di contatto fra loro (Figura 3)11. L’ultrastruttura fibrillare venne pertanto incorporata nella definizione istopatologica di amiloide.

BREVE STORIA DELL’AMILOIDOSI

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Figura 3. Ultrastruttura delle fibrille di amiloide. Sinistra: fibrille di amiloide; colorazione negativa con platino-palladio, ingrandimento 370000x. Destra: fibrille di amiloide; colorazione negativa con uranil acetato, ingrandimento 320000x4.

Cohen e Calkins introdussero il primo metodo di isolamento delle fibrille da tessuti e organi, che prevedeva una separazione fisica, un’omogeneizzazione del materiale in soluzione salina e una centrifugazione a bassa velocità12. Un metodo alternativo prevedeva l’utilizzo di una soluzione alcalina di glicinato di sodio13. Nel 1968 Pras descrisse una metodica di estrazione che prevedeva l’omogeneizzazione dei tessuti con soluzione fisiologica e la centrifugazione del composto14. Questa tecnica, meno aggressiva delle tecniche precedenti, permise di estrarre in maniera più efficace le fibrille di amiloide dai tessuti, aprì la strada all’identificazione della configurazione a foglietto beta della sostanza amiloide (scoperta nel 1968 mediante studi di diffrazione a raggi X)15 e alla definizione della composizione biochimica di questa sostanza nelle varie forme clinicamente definite di amiloidosi. Nel 1971, Glenner e collaboratori poterono riportare che frammenti di catene leggere delle immunoglobuline costituivano gli agglomerati amiloidi nell’amiloidosi primaria16. L’amiloidosi associata a malattie infiammatorie croniche, nota anche come “secondaria”, fu associata alla deposizione della proteina amiloide A, una proteina di fase acuta17. Nel 1978, la prealbumina (ora nota come transtiretina - TTR) fu caratterizzata come la proteina costituente dei depositi di amiloide nella polineuropatia familiare amiloidotica18, la condizione clinica descritta nel 1951 da Andrade19. Nel 1980 la TTR fu caratterizzata come proteina responsabile anche dell’“amiloidosi cardiaca senile”20. Negli anni successivi, oltre venti proteine solubili furono identificate a livello dei depositi tissutali di soggetti con amiloidosi, tra cui il peptide Aβ nella malattia di Alzheimer e la β2-microglobulina nell’artropatia da dialisi21. Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare permise inoltre di individuare un numero progressivamente crescente di mutazioni associate alle forme ereditarie (attualmente definite come “varianti”)22 di amiloidosi e di stabilire correlazioni fra genotipo e fenotipo clinico.

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AMILOIDOSI CARDIACA

Nuove tecniche diagnostiche La diagnosi di amiloidosi ha tradizionalmente richiesto la colorazione di un campione tissutale con rosso Congo o tioflavina, seguita dall’identificazione della proteina fibrillare mediante tecnica immunoistochimica. Nel 1988 Hawkins descrisse l’utilizzo di anticorpi diretti contro la siero amiloide P (una proteina costituente di tutti i depositi di amiloide) marcati con 123I in un modello murino di amiloidosi23; due anni più tardi la stessa tecnica venne impiegata con successo in pazienti umani24. Un altro progresso nelle tecniche di diagnostica radiologica è stato rappresentato dalla scoperta del Pittsburgh compound B, un tracciante per tomografia ad emissione di positroni, marcato con 11C, e capace di legare selettivamente il peptide Aβ; questo tracciante ha consentito di identificare in maniera non invasiva i depositi di amiloide nei pazienti con sospetto di malattia di Alzheimer25. La successiva introduzione di un tracciante marcato con 18F con emivita molto più lunga (110 minuti) ha reso più facilmente applicabile questa tecnica diagnostica26. Relativamente all’amiloidosi cardiaca, lo sviluppo delle tecniche di imaging (risonanza magnetica cardiaca e scintigrafia con difosfonati per l’individuazione dei depositi miocardici di amiloide tipo TTR - ATTR) hanno permesso di definire un algoritmo per la diagnosi non invasiva di cardiomiopatia da amiloidosi ATTR27.

Approcci terapeutici Il trattamento delle due forme principali di amilodosi (almeno dal punto di vista dell’impegno cardiaco), cioè amiloidosi AL e ATTR, sarà discusso nei dettagli in capitoli dedicati. La terapia dell’amiloidosi AL ha presentato un’evoluzione parallela a quella della terapia del mieloma multiplo. Si possono considerare come tappe principali di questo percorso l’individuazione del melfalan come terapia efficace (a partire dagli anni ’70 e ‘80)28, il trapianto di cellule staminali autologhe (primi anni ’90)29, l’introduzione di agenti immunomodulanti e degli inibitori del proteasoma (primi anni 2000)30. Per quanto riguarda l’amiloidosi ATTR, l’attenzione si è concentrata per lungo tempo sulle forme ereditarie, in cui la neuropatia periferica costituisce un elemento importante del quadro clinico. Nel 2018, lo studio di fase III Tafamidis in Transthyretin Cardiomyopathy Clinical Trial (ATTR-ACT) ha dimostrato che il tafamidis (un farmaco che stabilizza il tetramero di TTR) migliora la prognosi dei pazienti con amiloidosi ATTR (variante o wild type) e interessamento cardiaco31. In seguito a queste evidenze, nel maggio 2019 il tafamidis è divenuto il primo farmaco approvato dalla Food and Drug Administration per l’amiloidosi cardiaca da deposizione di TTR (Figura 4) .

BREVE STORIA DELL’AMILOIDOSI

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Conclusioni I “corpora amylacea” descritti da Virchow non sono attualmente considerati lesioni amiloidotiche, in quanto corrispondono ad accumuli di carboidrati32. Il riferimento all’amido finisce quindi per essere paradossalmente appropriato, almeno relativamente a queste specifiche lesioni. Nonostante la nostra comprensione dell’amiloidosi sia mutata radicalmente nell’arco degli oltre 150 anni intercorsi dalla pubblicazione di Virchow, il termine “amiloide” viene tuttora utilizzato per indicare la sostanza aberrante il cui accumulo tissutale determina manifestazioni cliniche eterogenee. Il dualismo fra un elemento patogenetico comune e la varietà dei fenotipi di malattia può rappresentare un’utile chiave di lettura dell’approccio diagnostico a questa malattia, che prevede in tutti i casi la dimostrazione, diretta o indiretta, dell’accumulo di sostanza amiloide nei tessuti. In una prospettiva terapeutica, l’esistenza di un minimo comune denominatore è interessante perché lascia ipotizzare la possibilità di agire su bersagli molecolari comuni (ad esempio la siero amiloide P) come strategia alternativa o complementare alla caratterizzazione di ogni forma di amiloidosi per individuare approcci terapeutici specifici.

Figura 4. Terapia della ATTR: una timeline

AMILOIDOSI CARDIACA

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Breve storia dell’amiloidosi Take Home Messages • Il primo utilizzo del termine “amiloide” in fisiopatologia umana risale alla metà del XIX secolo ed è opera di Rudolf Virchow. • La congofilia con birifrangenza verde mela, primo criterio diagnostico per amiloidosi, fu scoperta nel 1922. • Le proteine costituenti i depositi di amiloide furono identificate solo nella seconda metà del XX secolo.

BREVE STORIA DELL’AMILOIDOSI

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AMILOIDOSI CARDIACA

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FISIOPATOLOGIA E NOSOGRAFIA GENERALE DELLE AMILOIDOSI Michele Emdin Nur Bedeir Enrica Manzato Roberta Poletti Alberto Aimo Martina Chiriacò Vincenzo Castiglione

FISIOPATOLOGIA E NOSOGRAFIA GENERALE DELLE AMILOIDOSI Michele Emdin, Nur Bedeir, Enrica Manzato, Roberta Poletti, Alberto Aimo, Martina Chiriacò, Vincenzo Castiglione Sommario

I

ndipendentemente dal precursore proteico, il meccanismo fisiopatologico comune a tutte le forme di amiloidosi è rappresentato dalla deposizione tissutale di fibrille insolubili costituite da aggregati di proteine misfolded (mal ripiegate). Nella nomenclatura vigente delle amiloidosi, viene utilizzata la lettera A per designare la proteina fibrillare amiloide seguita da un suffisso, abbreviazione della proteina originaria da cui essa deriva. Ad esempio, AL denoterà la amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline, mentre ATTR l’amiloidosi da transtiretina. Le varie forme di amiloidosi sono classificate in acquisite/ereditarie o sistemiche/localizzate. Si ipotizza che almeno tre fattori contribuiscano a rendere una proteina potenzialmente amiloidogenica: una propensione intrinseca della proteina, un rimodellamento proteolitico della proteina, mutazioni nella sequenza amminoacidica. Oltre alle fibrille amiloidi, nei depositi di amiloide sono presenti altre componenti proteiche (collagene, glicosamminoglicani e siero amiloide P) che contribuiscono a determinare l’organotropismo dei vari precursori amiloidogenici e a favorire l’ulteriore deposizione di amiloide.

Elenco delle abbreviazioni AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline ATTR(v/wt), amiloidosi da transtiretina (variante/wild type) ISA, International Society of Amyloidosis SAA, proteina siero amiloide A SAP, siero amiloide P TTR, transtiretina

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AMILOIDOSI CARDIACA

Amiloidosi: definizione e nomenclatura Le amiloidosi sono un gruppo di malattie causate dal deposito tissutale, principalmente extracellulare, di proteine misfolded (mal ripiegate), le quali si aggregano in fibrille insolubili costituendo la cosiddetta sostanza amiloide1. Le tecniche di immunoistochimica o di proteomica permettono di classificare le diverse tipologie di amiloidosi sulla base delle specifiche proteine costituenti le fibrille amiloidi. La International Society of Amyloidosis (ISA) riconosce 36 differenti proteine amiloidogeniche nell’uomo. Secondo la nomenclatura stabilita dall’ISA, la proteina fibrillare amiloide è definita dalla lettera “A”, seguita da un suffisso indicante lo specifico precursore amiloidogenico. Questa notazione viene utilizzata anche per designare le diverse patologie. Ad esempio, nel caso di depositi di amiloide costituiti da catene leggere delle immunoglobuline, la proteina fibrillare amiloide viene designata come AL e la patologia è l’amiloidosi AL1.

Amiloidogenesi Tutte le forme di amiloidosi sono accomunate dalla presenza di depositi di fibrille proteiche insolubili derivati da proteine misfolded. Le fibrille amiloidi hanno un diametro di 7-13 nm e sono formate da 2-8 protofilamenti, ciascuno di circa 2-7 nm di diametro, spesso intrecciati l’uno intorno all’altro o associati lateralmente come nastri piatti. I protofilamenti sono costituiti da strutture a β-foglietto antiparallele tenute insieme da legami a idrogeno tra i gruppi carbonili e amminici della catena peptidica2. La struttura estremamente regolare delle fibrille amiloidi è alla della caratteristica birifrangenza giallo-verde osservabile al microscopio a luce polarizzata dopo colorazione con il rosso Congo2. I meccanismi alla base della formazione delle fibrille amiloidi non sono stati ancora del tutto chiariti, tuttavia si ipotizza che il processo amiloidogenesi dipenda da vari fattori come le caratteristiche intrinseche e la concentrazione locale dei precursori amiloidogenici, le loro interazioni con la membrana cellulare e la matrice extracellulare, e la mancata rimozione di proteine misfolded da parte dei sistemi di controllo intracellulari (proteasoma) ed extracellulari (macrofagi)3–5. Il potenziale amiloidogenico di una proteina dipende da almeno tre fattori non mutualmente esclusivi: 1) una propensione intrinseca della proteina a formare depositi di amiloide; 2) un rimodellamento proteolitico della proteina; 3) mutazioni nella sequenza amminoacidica. Alcune proteine sono definite “intrinsecamente misfolded” poiché presentano almeno una regione senza una struttura secondaria o terziaria fissa e sono quindi in grado di cambiare conformazione per interagire meglio con i loro ligandi6. Tali proteine sono spesso coinvolte nella formazione di depositi di amiloide: alcuni esempi sono le apolipoproteine A I, A II e la proteina siero amiloide A (SAA)7,8. La propensione a formare depositi di amiloide può accentuarsi in particolari condizioni, ad esempio in caso di

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elevazione della concentrazione sierica, come per l’amiloidosi da β2-microglobulina9. In alternativa, è possibile che una proteina normale vada incontro a processi di proteolisi sia intracellulare che extracellulare che ne aumentano la tendenza a formare depositi: questo processo avviene in molte forme di amiloidosi3, ed è stato ben caratterizzato nel caso della malattia di Alzheimer10. Infine, è possibile che avvenga una mutazione nella sequenza amminoacidica, come nelle forme familiari di amiloidosi11, che determina una minore stabilità della struttura proteica14 (Figura 1). Il processo di amiloidogenesi è caratterizzato da almeno due fasi. Infatti, è necessario un periodo di tempo estremamente lungo perché si verifichino tutte le interazioni e le modifiche conformazionali necessarie affinché si formi un primo deposito di fibrille (fase di nucleazione). Superato questo ostacolo iniziale, le caratteristiche cinetiche del processo cambiano a favore di un rapido deposito di fibrille, con un intrappolamento di tutte le proteine amiloidogeniche disponibili (fase di elongazione o di crescita sigmoidale). In questa fase è possibile che si verifichino nuovi processi di nucleazione a partire dalla superficie delle fibrille già formate o dalla frammentazione delle stesse3,6.

Figura 1. Caratteristiche principali del processo di amiloidogenesi e del conseguente danno d’organo. Al processo di amiloidogenesi contribuiscono sia caratteristiche intrinseche dei precursori amiloidogenici che aspetti specifici del tessuto bersaglio. Il danno d’organo deriva in parte dalle alterazioni strutturali determinate dalla deposizione di amiloide, in parte da un effetto citotossico diretto degli oligomeri amiloidogenici.

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Oltre alle fibrille amiloidi, nei depositi di amiloide si riscontrano numerose altre componenti proteiche, come il collagene5, i glicosamminoglicani e i proteoglicani (in particolare eparan solfato e dermatan solfato), che formano un’impalcatura che facilita la deposizione di amiloide15 e contribuisce a determinare l’organotropismo dei vari precursori amiloidogenici3. Inoltre, è molto comune riscontrare la siero amiloide P (SAP), una proteina della famiglia di pentrassine che lega con elevata affinità le fibrille di amiloide e le protegge dalla degradazione proteolitica e dalle cellule fagocitiche16.

Fisiopatologia del danno d’organo Il danno d’organo osservabile nell’amiloidosi dipende in parte dal sovvertimento dell’architettura tissutale causata dai depositi di amiloide, ciò ad esempio determina il caratteristico fenotipo restrittivo della cardiomiopatia da amiloidosi17. Tuttavia, vari studi hanno dimostrato che nell’amiloidosi AL la funzione renale e cardiaca e la neuropatia migliorano dopo che la chemioterapia ha interrotto la produzione delle catene leggere, indipendentemente dell’effettiva scomparsa dei depositi tissutali di amiloide18. La disfunzione d’organo sembra quindi dipendere, almeno in alcuni casi, da un effetto citopatico diretto mediato dagli oligomeri di amiloide ancora solubili. Alcune evidenze sperimentali sembrano confermare tale ipotesi: a) nella malattia di Alzheimer, gli oligomeri di proteina Aβ hanno un effetto neurotossico19; b) nella neuropatia tipica dell’amiloidosi familiare da transtiretina (ATTRv), piccoli aggregati di proteina interagiscono con specifici recettori cellulari inducendo stress ossidativo e danno neuronale20; c) nell’amiloidosi AL, le catene leggere inducono stress ossidativo e danno mitocondriale nei cardiomiociti, alterando i livelli di calcio intracellulare e riducendo la capacità contrattile e di rilasciamento21,22. Inoltre, è stato supposto che gli oligomeri, grazie alla loro conformazione a foglietti β antiparalleli, siano in grado di danneggiare direttamente l’integrità della membrana plasmatica mediante la formazione di strutture simili a pori4 (Figura 1). I vari precursori amiloidogenici mostrano un peculiare organotropismo, ad esempio, la β2-microglobulina si localizza principalmente a livello delle articolazioni; mentre la transtiretina (TTR) mutata nel sistema nervoso periferico e nel cuore. I meccanismi alla base di tale organotropismo sembrano essere fattori locali come una maggiore concentrazione della proteina in certi tessuti o variazioni di pH che ne facilitano il misfolding, nonchè interazioni specifiche con proteine della matrice extracellulare23 o con recettori cellulari24. Inoltre, nel caso dell’amiloidosi AL, è stato dimostrato che differenze nei geni codificanti la regione variabile delle catene leggere delle immunoglobuline contribuiscono a determinare l’organo sede dei depositi25.

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Classificazione ed epidemiologia dell’amiloidosi Ad oggi sono state identificate 36 proteine potenzialmente amiloidogeniche nell’uomo. Da un punto di vista clinico, i tipi di amiloidosi sono ulteriormente classificati in base al fatto che siano acquisiti o legati a mutazioni e sistemici oppure localizzati a specifici organi1. La Tabella 1 riassume le caratteristiche di alcune fra le forme di amiloidosi sistemica più comuni. Amiloidosi acquisite Le amiloidosi acquisite includono alcune fra le forme più frequentemente ricontrate di amiloidosi sistemica come la AL, la ATTR, la AA e l’ALECT2. Amiloidosi AL. L’amiloidosi AL è caratterizzata dalla deposizione di catene leggere misfolded provenienti da anticorpi monoclonali. Nel 10-15% si presenta in associazione al mieloma multiplo, ma più comunemente si sviluppa a partire da un clone plasmacellulare indolente (smouldering myeloma, macroglobulinemia di Waldenström, o gammopatia monoclonale di significato incerto). L’amiloidosi AL è la forma più comune di amiloidosi sistemica e i distretti più colpiti sono il cuore, il rene, il fegato ed il sistema nervoso periferico (incluso il sistema nervoso autonomo)26. Amiloidosi ATTR acquisita. L’amiloidosi da transtiretina wild type (ATTRwt), in passato nota come amiloidosi sistemica senile, è una forma di amiloidosi che interessa tipicamente uomini anziani. È causata dall’accumulo, principalmente a livello cardiaco e tendineo, di fibrille amiloidi di TTR. La sua prevalenza nella popolazione è verosimilmente sottostimata, infatti studi autoptici riportano la presenza di fibrille ATTRwt in circa il 25% dei soggetti sopra gli 80 anni17. Amiloidosi AA. Conosciuta anche come amiloidosi infiammatoria o reattiva, si sviluppa come complicanza di patologie infiammatorie croniche, come malattie autoimmuni, infezioni o neoplasie. In questa forma di amiloidosi si ha la deposizione di fibrille di siero amiloide A (SAA), una proteina di fase acuta prodotta dal fegato. È una patologia che interessa prevalentemente rene, milza e fegato, mentre il coinvolgimento cardiaco o neuropatico è di norma tardivo27. Amiloidosi da leukocyte cell-derived chemotaxin-2. Prima ritenuta una forma rara, la ALECT2 rappresenta in realtà una forma comune di amiloidosi renale (seconda solo all’amiloidosi AL e AA) ed epatica con un decorso clinico relativamente indolente. È particolarmente frequente in alcuni gruppi etnici come quello ispanico28.

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Acquisita/ Ereditaria AL

Acquisita

ATTR

Acquisita

Fisiopatologia Discrasia plasmacellulare

Proteina Alterata Cuore Catene leggere delle immunoglobuline

+++

TTR wild type

+++

Ereditaria

Mutazione della TTR

TTR mutata

++

Acquisita

Disordini infiammatori

SAA

−/+

ALECT2 Acquisita

Incerta

LECT2



Aβ2M

Dialisi a lungo termine Mutazione del gene della β2-microglobulina

β2-microglobulina



AA

Acquisita Ereditaria

AFib

Ereditaria

Mutazione della catena alfa del fibrinogeno

Fibrinogeno alterato



AApoAI

Ereditaria

Mutazione nel gene dell’apolipoproteina A1

ApoA1 alterata

+

ALys

Ereditaria

Mutazione nel gene del lisozima

Lisozima alterato



AGel

Ereditaria

Mutazione nel gene della gelsolina

Gelsolina alterata



Tabella 1. Caratteristiche delle amiloidosi sistemiche principali.

AA, amiloide A; AApoAI, amiloidosi da apolipoproteina A I; Aβ2M, amiloidosi da β2-microglobulina; AFib, amiloidosi da catena α del fibrinogeno A; AGel, amiloidosi da gelsolina; AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline; ALECT2, amiloidosi da LECT2; ALys, amiloidosi da lisozima; ASCT, trapianto autologo di cellule staminali; ATTR, amiloidosi da transtiretina; LECT2, leukocyte cell-derived chemotaxin-2; SAA, siero amiloide A; TTR, transtiretina. +++ molto comune, ++ comune, + poco comune, −/+ rara, − non applicabile o non avviene in questa condizione. Adattata da Wechalekar et al., 201629

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Rene

Sistema nervoso

Fegato

Altri organi

Trattamento

+++

++

+

Apparato gastrointestinale, tessuti molli

Chemioterapia, ASCT







Sindrome del tunnel carpale





+++

Di supporto, stabilizzatori di tetrameri Di supporto, trapianto d’organo, stabilizzatori di tetrameri, inibitori della sintesi di TTR

+++

+ (tardiva)



Soppressione dell’infiammazione

+++

++



Di supporto





- /+

+++

−/+



++

++

+/−

Testicoli

Di supporto, trapianto d’organo

+

++



Apparato gastrointestinale, cute

Di supporto

−/+



++

Sindrome del tunnel carpale, articolazioni

Di supporto, trapianto d’organo

Di supporto, trapianto d’organo

Di supporto

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Amiloidosi da β-2 microglobulina. Si sviluppa in pazienti in trattamento cronico emodialitico a causa dell’accumulo di β2-microglobulina prevalentemente a livello articolare28. Amiloidosi ereditarie Le mutazioni presenti in questo insieme eterogeneo di malattie portano alla sintesi di proteine instabili con tendenza a polimerizzare in fibrille. Si tratta di patologie sistemiche spesso associate a neuropatie, cardiomiopatie e nefropatie. L’amiloidosi ATTRv è la più comune, altre forme di amiloidosi sistemica ereditaria sono quella da mutazione della catena α del fibrinogeno, dell’apolipoproteina A I, del lisozima, della gelsolina (Tabella 1). Amiloidosi ATTR ereditaria. Sono state descritte più di 120 mutazioni nel gene TTR, anche se non tutte sono associate ad amiloidosi ATTRv. Le mutazioni patogenetiche hanno una diversa distribuzione geografica e portano alla sintesi di proteine con diverso tropismo tissutale. Le manifestazioni cliniche più comuni sono l’interessamento neuropatico periferico, tipico della polineuropatia amiloide familiare, e quello cardiaco17.

FISIOPATOLOGIA E NOSOGRAFIA GENERALE DELLE AMILOIDOSI

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Fisiopatologia e nosografia generale delle amiloidosi Take Home Messages • Il processo di amiloidogenesi richiede l’interazione tra una proteina con proprietà amiloidogeniche e condizioni tissutali favorevoli. Esso prevede la costituzione di un primo nucleo di fibrille (fase di nucleazione), seguita dal suo rapido accrescimento (fase di elongazione). • Il danno tissutale è mediato sia dall’alterazione strutturale dovuta ai depositi di amiloide che, soprattutto, dall’effetto citopatico diretto degli oligomeri di amiloide tramite vari meccanismi: alterazione delle membrane cellulari, interazione con specifici recettori, induzione di stress mitocondriale e produzione di radicali liberi dell’ossigeno, inibizione dell’autofagia. • L’amiloidosi è una malattia prevalentemente acquisita e le forme più comuni sono, l’amiloidosi AL (da catene leggere delle immunoglobuline), ATTR (da transtiretina) e amiloidosi AA (infiammatoria).

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AMILOIDOSI DA CATENE LEGGERE DELLE IMMUNOGLOBULINE (AMILOIDOSI AL) Alberto Giannoni Anas Khalil Federico Perfetto Gabriele Buda

AMILOIDOSI DA CATENE LEGGERE DELLE IMMUNOGLOBULINE (AMILOIDOSI AL) Alberto Giannoni, Anas Khalil, Federico Perfetto, Gabriele Buda Sommario

L’

amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (AL) è una delle forme più frequenti di amiloidosi. Nella amiloidosi AL, un clone plasmacellulare produce immunoglobuline monoclonali caratterizzate da instabilità strutturale, con frammentazione e rilascio in circolo di catene leggere libere. L’equilibrio tra sintesi e degradazione (proteostasi) si interrompe e le proteine vanno incontro ad alterato ripiegamento, con formazione di protofibrille e fibrille di amiloide, e interessamento prevalente di cuore e rene. Oltre a indurre un’alterazione della struttura tissutale, le catene leggere sono in grado di causare tossicità diretta con morte cellullare soprattutto a livello cardiaco. L’interessamento cardiaco è associato ad una prognosi peggiore, per cui è essenziale una diagnosi precoce. Oltre alla ricerca della paraproteinemia e delle catene leggere libere, l’uso dei peptidi natriuretici e della troponina consentono di porre il sospetto diagnostico nei casi a rischio (ad esempio nelle gammopatie di incerto significato o nel mieloma indolente) o in presenza di sintomi legati allo scompenso cardiaco. La presenza di bassi voltaggi o di onde Q di pseudonecrosi all’elettrocardiogramma, associato al riscontro ecocardiografico di pseudoipertrofia devono indirizzare verso esami di secondo livello come la risonanza magnetica. Nell’amiloidosi AL la combinazione di diversi biomarcatori (troponina, peptidi natriuretici e catene leggere libere), oltre ad essere di fondamentale utilità come indici di sospetto e di supporto alla diagnosi, consente di stratificare la prognosi e di guidare la strategia terapeutica, indirizzando il paziente verso un trattamento chemioterapico più o meno aggressivo (con eventuale trapianto di cellule staminali).

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Elenco delle abbreviazioni AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline ATTR, amiloidosi da transtiretina AUC, Area Under the Curve cTnI, cardiac troponin I cTnT, cardiac troponin T ECOG, Eastern Cooperative Oncology Group hs-Tn, high-sensitivity Troponin MGUS, Monoclonal Gammopathy of Undetermined Significance NCNN, National Comprehensive Cancer Network NT-proBNP, N-Terminal pro-B-type Natriuretic Peptide NYHA, New York Heart Association SAP, Serum Amyloid P ShMOLLI, Shortened Modified Look-Locker Inversion recovery siRNA, small interfering RNA SNP, Single Nucleotide Polimorphism

Introduzione Come già trattato, il termine amiloidosi definisce un complesso di patologie eterogenee accomunate dal misfolding e dall’aggregazione di proteine in depositi insolubili. Nel tempo, tali aggregati proteici possono indurre un’alterazione morfostrutturale dell’architettura dell’organo/tessuto in cui le proteine precipitano e il malfunzionamento e morte cellulare secondo un meccanismo noto con il termine di proteotossicità1. Tra le forme sistemiche, l’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobiline (AL) è considerata la forma più frequente di amiloidosi, sebbene l’amiloidosi da transtiretina (ATTR) stia crescendo in prevalenza, anche grazie ad un significativo miglioramento nella diagnostica dovuto alle tecniche di medicina nucleare. L’amiloidosi AL è caratterizzata da una produzione clonale plasmacellulare di catene leggere con conformazione instabile (non tutte le catene leggere sono, infatti, amiloidogeniche), che determina l’aggregazione di catene misfolded in protofibrille. Queste possono dare danno cellulare diretto oppure formare delle fibrille stabili, con danno d’organo legato all’accumulo a livello interstiziale con conseguente alterazione dell’architettura tissutale. A prescindere dall’eterogeneità biochimica ed eziologica, le manifestazioni cliniche delle diverse forme di amiloidosi si sovrappongono e dipendono essenzialmente dall’organo colpito2. Nel caso dell’amiloidosi AL, i distretti più colpiti sono, appunto, quello cardiaco e quello renale, seguiti da fegato, tratto gastrointestinale, tessuti molli e sistema nervoso periferico2 e di conseguenza le manifestazioni cliniche seguono questa distribuzione topografica (Figura 1).

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Figura 1. Fisiopatologia dell’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline Un clone plasmacellulare produce immunoglobuline caratterizzate da una conformazione instabile, con liberazione di catene leggere che per caratteristiche strutturali, disequilibrio del processo proteostatico e caratteristiche chimico-fisiche organo-specifiche vanno incontro a mal ripiegamento (misfolding) con formazione di protofibrille e in seguito di fibrille di amiloide. Il danno d’organo conseguente è il risultato della precipitazione delle fibrille con alterazione dell’architettura dell’organo o, soprattutto nel caso del cuore (organo più frequentemente colpito insieme al rene e al sistema nervoso periferico), anche di una proteotossicità diretta delle protofibrille o delle stesse catene leggere libere.

Epidemiologia e fattori di rischio L’epidemiologia dell’amiloidosi AL è poco chiara, vista la mancanza di dati su campioni estesi. Uno studio basato sull’Olmsted County Project, svoltosi in Minnesota (USA), riporta un’incidenza normalizzata per sesso ed età di 8.9 casi per milione di abitanti per anno nel periodo 1950-1989. Un successivo aggiornamento della casistica nell’intervallo 1990-2015 riporta un numero di casi di 12 per milione per anno3. L’unico altro studio di popolazione riguardante l’argomento è stato svolto nella regione di Limousin (Francia) dal 2012 al 2016 ed ha riportato risultati simili a quelli ottenuti in Minnesota2. L’incidenza è nota aumentare con l’età, raddoppiando dopo

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i 65 anni, con un’età media alla diagnosi di 63 anni e lieve predominanza nel sesso maschile (55%)2. Vi sono due importanti fattori di rischio per l’amiloidosi AL: la presenza di gammopatia monoclonale e alcuni polimorfismi a singolo nucleotide (SNP). In pazienti con MGUS (monoclonal gammopathy of undetermined significance, gammopatia monoclonale di incerto significato) il rischio di sviluppare amiloidosi AL è di 8.8 volte superiore rispetto alla popolazione generale4, soprattutto nei casi legati alla produzione di IgM. In pazienti con diagnosi di mieloma multiplo circa il 10-15% ha amiloidosi clinicamente evidente, mentre un 30-40% ha amiloidosi silente5. L’altro fattore di rischio citato è un particolare tipo di SNP. Infatti, in uno studio di genome-wide association su una coorte di 1229 pazienti con amiloidosi AL6, sono stati identificati 10 loci associati alla patologia. In particolare, un SNP, la variante rs9344, associata a un gene codificante per una proteina coinvolta nel rimodellamento cromatinico, favorisce una traslocazione dal cromosoma 11 al cromosoma 14, in un sito limitrofo a quello di trascrizione della ciclina D1, regolatore del ciclo cellulare coinvolto in vari tumori. La presenza di questo SNP è associata ad un odds ratio di 1.35 di sviluppare amiloidosi AL. In realtà è stato recentemente osservato un altro SNP favorente la malattia, cioè il rs79419269, che si trova in prossimità del gene SMARCD3, coinvolto anch’esso nel rimodellamento della cromatina6.

Meccanismi fisiopatologici Sebbene tutte le discrasie plasmacellulari possano causare l’amiloidosi AL, questa è in realtà causata nella maggior parte dei casi dalla presenza di un clone di cellule B indolente che produce basalmente catene leggere lambda (nel 70-80% dei casi) o kappa (nel 20-30% dei casi)1,2,7. Spesso si riscontra una traslocazione tra il cromosoma 11 e quello 14 che fa sì che il locus delle catene pesanti si trovi vicino all’oncogene CCND18. Inoltre, mutazioni somatiche nel gene che codifica la regione variabile delle catene leggere (IGLV) possono causare una riduzione della stabilità della proteina, causando incremento dell’endoproteolisi dell’immunoglobulina, aumentando la concentrazione delle catene leggere libere circolanti9. Nel processo di proteostasi, solitamente delle proteine chaperone extracellulari favoriscono il ripiegamento corretto di queste catene e ne inibiscono l’aggregazione; quando questo processo non è sufficiente o la proteostasi è sovrastata dall’eccessiva sintesi di catene leggere, a causa, ad esempio, delle suddette mutazioni, la formazione e la precipitazione di fibrille di amiloide diventa più probabile. In alcuni casi, anche interazioni specifiche con il microambiente (ad esempio componenti della matrice extracellulare, proteasi e metalli), possono favorire la manifestazione della patologia a carico di un particolare organo o tessuto2. Una volta formati oligomeri di catene leggere, il processo di aggregazione in strutture organizzate e stabili inizia ineluttabilmente, anche grazie al legame fra le suddette strutture e la siero amiloide

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P (SAP), che sembra proteggere gli aggregati dalla degradazione2. La formazione di questi aggregati inizia dalla proteina monomerica in forma nativa, che si malripiega parzialmente. Quando la concentrazione di queste proteine semi-malripiegate raggiunge un valore critico, si forma un nucleo fibrillare che catalizza l’aggregazione in fibrille. Questa concentrazione specifica varia di caso in caso e dipende dalla stabilità/instabilità della catena leggera in questione. Le catene leggere più instabili hanno concentrazioni critiche inferiori per l’aggregazione, mentre le catene più stabili hanno valori limite superiori. Superato il valore soglia, la cinetica della formazione di fibrille cambia esponenzialmente, divenendo estremamente più rapida (Figura 1)2. In ogni caso, anche nella loro forma prefibrillare, alcuni complessi possono causare proteotossicità e aumentato stress ossidativo cellulare, risultanti in danno mitocondriale e morte cellulare. I meccanismi alla base della proteotossicità non sono ancora del tutto chiari; è possibile tuttavia che venga indotta la via della proteina chinasi p38 attivata dal mitogeno, con incremento della produzione di radicali liberi dell’ossigeno, compromissione dei flussi di calcio intracellulare ed alterazioni della funzione cellulare fino alla morte cellulare programmata10,11.

Manifestazioni cliniche Le manifestazioni cliniche dell’amiloidosi AL dipendono dagli organi e tessuti interessati. Quelli più frequentemente coinvolti sono il cuore e il rene2. Il tipo di organo coinvolto può dipendere anche dalla catena leggera coinvolta o dall’anomalia genetica che è alla base dell’instabilità della proteina. Ad esempio, la variante IGLV6-57 presenta spesso interessamento renale, mentre quella IGLV1-44 si manifesta più spesso con interessamento cardiaco. Anche mutazioni di catene k, con interessamento di IGKV, mostrano comportamento simile; ad esempio IGKV1-33 è spesso associata a coinvolgimento epatico dell’amiloidosi2,9,12. Nel coinvolgimento cardiaco, il quadro clinico è solitamente quello dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata13. In questo caso la deposizione delle fibrille causa un incremento degli spessori di parete (pseudoipertrofia), con rigidità e incremento delle pressioni di riempimento. Nel caso dell’amiloidosi AL, la rapidità di deposizione dell’amiloide a livello cardiaco è solitamente maggiore rispetto alle altre forme di amiloidosi e questo giustifica la maggiore severità clinica e prognostica. Il rapido deterioramento clinico può in parte derivare dai meccanismi di proteotossicità diretta, con alcuni casi caratterizzati da un minor ispessimento di parete e da maggiore compromissione contrattile, con prevalente disfunzione sistolica. Nelle forme conclamate, i sintomi legati al coinvolgimento cardiaco, sono dunque riconducibili allo scompenso diastolico e/o sistolico, con dispnea da sforzo, ortopnea o bendopnea o sintomi legati al frequente interessamento del ventricolo destro con iporessia/anoressia e adinamia/astenia. Si accompagnano inoltre altri segni di scompenso come la congestione polmonare o sistemica, spesso aggravata dal concomitan-

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te impegno renale, dal malassorbimento (anche legato all’interessamento del tratto gastrointestinale) e dalla polisierosite (versamento pleurico, pericardico e ascitico). Il secondo organo bersaglio è rappresentato dal rene, il cui interessamento si manifesta prevalentemente con sindrome nefrosica, seguito dall’impegno gastrointestinale ed epatico con alterazione della coagulazione. Il sistema nervoso periferico può a sua volta essere coinvolto, spesso con disautonomia. Anche i tessuti molli possono essere interessati, ma di solito la comparsa di alcuni segni patognomonici come la porpora periorbitale o la macroglossia o il segno della spalla imbottita, si osserva solamente nelle fasi più avanzate2.

Diagnosi Una paraproteinemia può essere identificata mediante elettroforesi standard in circa il 50% dei pazienti con amiloidosi AL14, tuttavia un tracciato elettroforetico negativo non esclude del tutto la diagnosi di amiloidosi AL. Risulta dunque sempre necessario effettuare l’immunofissazione sierica e urinaria (esistono rari casi in cui sono positive solo le urine)14. L’immunofissazione può tuttavia risultare a sua volta negativa in circa il 20% dei casi. Per questo motivo è consigliata anche la ricerca diretta delle catene leggere libere o free light chains (FLCs); in questo caso vengono ricercati epitopi delle catene leggere usualmente nascosti per il legame alle catene pesanti15. L’elevazione delle catene kappa o lambda, in presenza di un rapporto k/λ alterato è presente nel 98% dei pazienti con amiloidosi AL, inclusi i pazienti in cui una immunoglobulina monoclonale non può essere identificata con le metodiche standard. Le FLCs non sono specifiche dell’amiloidosi, ma possono essere identificate anche nella maggior parte dei pazienti con mieloma multiplo e nel 50% delle MGUS15. Le FLCs possono incrementare fino a 20 volte nell’insufficienza renale15. Per poter fare diagnosi di amiloidosi la conferma istologica è indispensabile e, quando possibile, dovrebbe coinvolgere l’organo affetto. Le biopsie renale, miocardica o epatica non sono sempre necessarie, in quanto costose, invasive e con potenziale rischio di complicanze per il paziente. Nell’amiloidosi AL, infatti, la combinazione della biopsia del grasso periombelicale con quella osteomidollare risulta diagnostica in circa l’85% dei casi2. Stabilire l’eventuale coinvolgimento cardiaco è tuttavia essenziale, questo perché la sopravvivenza dei pazienti con amiloidosi AL dipende di fatto dal grado di severità dell’impegno cardiaco2,13. Le linee guida NCCN (National Comprehensive Cancer Network) sull’amiloidosi sistemica AL16 consigliano di effettuare come prima indagine un prelievo ematico con dosaggio dei valori dei peptidi natriuretici. Nelle linee guida NCCC la presenza di spessori cardiaci >12 mm con valori di NT-proBNP >322 ng/L in assenza di altre cause (inclusa la fibrillazione atriale e l’insufficienza renale) supporta la diagnosi di coinvolgimento cardiaco. Al contrario, valori di NT-proBNP del tutto normali (ben sotto dei limiti superiori di normalità) consentono di escludere pressoché completamente

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l’impegno cardiaco17. Un altro biomarcatore utile è la troponina ad alta sensibilità (hs-Tn). Esiste un rilascio cronico di troponina nell’amiloidosi AL, e valori normali di troponina rendono la diagnosi di amiloidosi cardiaca poco probabile, mentre valori elevati, oltre a confermare l’impegno cardiaco, consentono di stratificare la severità clinica della malattia, come nel caso dei peptidi natriuretici11,18. La diagnostica strumentale nell’amiloidosi AL è discussa in dettaglio nei capitoli successivi, e si avvale di strumenti tradizionali, come l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma, fino all’imaging avanzato nucleare e di risonanza magnetica19-22. Prognosi La diagnosi precoce è fondamentale, poichè la prognosi della malattia, se non vengono instaurate precocemente le terapie ematologiche, può essere infausta (sopravvivenza mediana di 3-6 mesi) 23. In realtà, si stima che circa il 40% dei pazienti arrivi alla diagnosi in modo tardivo, anche dopo 1’anno dalla comparsa dei sintomi, trovandosi nella condizione di aver già sviluppato complicanze cardiache e renali24, che spesso si realizzano nel giro di pochi mesi dopo dall’esordio della malattia. Al contrario, in assenza di un impegno cardiorenale, l’aspettativa di vita può essere di diversi anni2. La stratificazione prognostica è essenziale anche al fine di calibrare l’approccio terapeutico sul rischio/beneficio del singolo paziente, tenendo in considerazione la probabilità di risposta e la fragilità individuale. Il sistema di stadiazione corrente è basato sull’uso di biomarcatori, che riflettono sia il danno d’organo che il grado di attivazione del clone plasmacellulare. Il sistema di stadiazione originariamente sviluppato presso la Mayo Clinic era basato sull’uso di NT-proBNP e troponina (soglie per cTnT, cTnI, e NT-proBNP 15 cm) in assenza di scompenso cardiaco54. Per quanto riguarda il coinvolgimento del sistema nervoso periferico nella amiloidosi ATTRv, un recente studio ha evidenziato che i portatori di una mutazione della TTR,

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inclusi i soggetti ancora asintomatici, mostrano livelli significativamente più elevati di alcuni marcatori di infiammazione, in particolare l’intereluchina-1β, l’interleuchina-10 e l’interleuchina-33 (IL-33), rispetto a individui di età e sesso corrispondente57.

Biomarcatori per la stratificazione prognostica Il coinvolgimento cardiaco costituisce il principale fattore prognostico nell’amiloidosi. Nonostante il miglioramento degli approcci terapeutici, la prognosi nell’amiloidosi AL rimane infausta, con un tasso di sopravvivenza del 60% a due anni dalla diagnosi58. I pazienti con amiloidosi ATTR, sebbene presentino un decorso clinico più indolente, mostrano comunque una sopravvivenza media di 3-5 anni dalla diagnosi in assenza di interventi terapeutici59. Numerosi biomarcatori si sono rivelati efficaci nella stratificazione del rischio dei pazienti con amiloidosi cardiaca ed alcuni di essi sono stati integrati in score prognostici utilizzati correntemente nella pratica clinica. In uno dei primi studi sull’utilizzo dei biomarcatori cardiaci nell’amiloidosi AL, Dispenzieri et al. evidenziarono che la TnT rappresentava il più potente predittore di prognosi all’analisi multivariata comprendente vari parametri clinici e bioumorali. In tale studio gli Autori proposero un modello prognostico costituito da TnT, picco M nelle urine, età e frazione di eiezione del ventricolo sinistro60. In seguito, Palladini et al. dimostrarono che l’NT-proBNP risultava il migliore parametro, superiore alle misure ecocardiografiche, nella stratificazione prognostica dei pazienti con amiloidosi AL30. Basandosi su queste premesse, nel 2004 è stata sviluppata la prima versione del Mayo Staging System (MAYO2004), il sistema di stadiazione internazionale attualmente utilizzato per la stratificazione dei pazienti con amiloidosi AL. Nello studio di validazione, i pazienti sono stati suddivisi in tre stadi a seconda che nessuno, uno o entrambi i valori di NT-proBNP e TnT (o TnI) fossero superiori alle rispettive soglie di riferimento (NT-proBNP: 332 ng/L; TnT: 35 ng/L; TnI: 100 ng/L). Utilizzando la combinazione di NT-proBNP e TnT, il 33% dei pazienti era in stadio I, il 30% in stadio II ed il 37% in stadio III, con una sopravvivenza media di 26.4, 10.5, and 3.5 mesi, rispettivamente. Studi successivi hanno confermato il ruolo prognostico delle troponine cardiache61 e dei peptidi natriuretici, inclusi il BNP 32 e il midregional pro-atrial natriuretic peptide (MR-proANP)62, nell’amiloidosi AL. Il valore prognostico indipendente dell’NT-proBNP e del BNP si mantiene anche in soggetti con riduzione moderato/severa della funzione renale (VFG compresa fra 2584 ng/L) o troponina (TnT >50 ng/L, TnI >580 ng/L) erano predittivi di ridotta sopravvivenza, sebbene solo i peptidi natriuretici mantenessero un ruolo predittivo indipendente all’analisi multivariata40. Basandosi sui livelli di BNP/NT-proBNP e TnT/I i pazienti venivano efficacemente stratificati in tre gruppi a seconda che entrambi i biomarcatori fossero sopra soglia (stadio A), sotto soglia (B), o discordanti (C)40. Recentemente Gillmore et al. hanno validato un sistema classificativo in pazienti con ATTR analogo a quelli utilizzati per l’amiloidosi AL80. In questa analisi i pazienti venivano suddivisi in tre stadi a seconda che nessuno, uno o entrambi i valori di NT-proBNP e VFG fossero superiori alle rispettive soglie: NT-proBNP ≤3000 ng/L e VFG ≥45 mL/min/1.73 m2. Utilizzando questa combinazione, il 45% dei pazienti era in stadio I, il 38% in stadio II ed il 16% in stadio III, con una sopravvivenza media di 69.2, 46.7 e 24.1 mesi, rispettivamente80. Nell’amiloidosi AA, i valori sierici di SAA costituiscono il predittore più potente di mortalità o progressione verso la malattia renale cronica terminale81.

Risposta terapeutica e guida al trattamento Nell’amiloidosi i biomarcatori rappresentano uno strumento indispensabile anche per il monitoraggio della risposta al trattamento e, in taluni casi, per la scelta della terapia più appropriata. Attualmente il trattamento dell’amiloidosi AL include combinazioni variabili di farmaci chemioterapici associati o meno a trapianto autologo di cellule staminali, anche se sono allo studio nuovi approcci basati su agenti in grado di inibire la sintesi, l’aggregazione e la deposizione dei precursori amiloidogenetici82. Nel 2005 venne pubblicato un consensus paper internazionale in cui venivano definiti i criteri di risposta e progressione ematologica e di risposta e progressione d’organo in seguito al trattamento dell’amiloidosi AL54. I criteri di risposta ematologica si basavano sul

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dosaggio delle FLC e delle proteine M sieriche54. In seguito, Palladini et al. dimostrarono che il livello sierico di FLC era strettamente correlato alla sopravvivenza e alla risposta alla terapia già a 3 mesi, ed era sufficiente per stratificare i pazienti nei seguenti gruppi: a) risposta completa (normalizzazione dei livelli di FLC e rapporto κ/λ, con immunofissazione di siero e urine negativa); b) buona risposta parziale (riduzione della dFLC 50%); d) assenza di risposta (riduzione della dFLC ≤50%)6. Tali criteri sono stati adottati dal successivo aggiornamento del consensus paper sul coinvolgimento d’organo e la risposta alla terapia nell’amiloidosi AL83 e costituiscono un affidabile end-point surrogato di risposta al trattamento nei trial clinici6. Al contrario, la progressione o ripresa di malattia ematologica è definita da uno dei seguenti criteri: a) in caso di precedente risposta completa, l’evidenza di una qualsiasi proteina monoclonale o di un rapporto κ/λ anomalo (le FLC devono raddoppiare); b) in caso di precedente risposta parziale, un incremento della proteina M sierica del 50% con valori >0.5 g/dL o un incremento della proteina M nelle urine del 50% con valori >200 mg/die (deve essere visibile un picco monoclonale all’elettroforesi); oppure c) un aumento delle FLC del 50% con valori >100 mg/L54,83. La malattia è considerata stabile se non si osserva né risposta al trattamento né progressione54,83. Il consensus paper del 2005 indicava variazioni nello spessore medio del SIV o nella classe New York Heart Association (NYHA) quali criteri di risposta terapeutica o progressione di malattia a livello cardiaco, non includendo i biomarcatori54. Tuttavia, nello stesso periodo gli Autori del sistema MAYO2004 avevano già dimostrato che l’NT-proBNP e la TnT mantenevano la capacità di stratificazione prognostica anche nei pazienti che andavano incontro a trapianto di cellule staminali84. In seguito, numerosi studi hanno confermato che una riduzione dell’NT-proBNP >30% e >300 ng/L in risposta al trattamento in soggetti con NT-proBNP al basale ≥650 ng/L predice l’outcome clinico e la sopravvivenza indipendentemente dal tipo di terapia somministrata6,64,85–87. Tali cut-off sono stati pertanto adottati dalla International Society of Amyloidosis come indicatori di risposta d’organo e come end-point surrogato di sopravvivenza83. Al contrario, un incremento dell’NT-proBNP >30% e >300 ng/L o un aumento della TnT/I >33% o una riduzione della frazione d’eiezione del ventricolo sinistro ≥10% sono stati indicati come criteri di progressione di malattia a livello cardiaco83. Nonostante ciò, non è stata dimostrata una chiara correlazione fra la riduzione nei valori di NT-proBNP in risposta alla terapia ed il miglioramento dei parametri ecocardiografici85, il che potrebbe riflettere un decorso temporale differente nei cambiamenti rilevabili nella struttura cardiaca rispetto alla secrezione ormonale e/o un ruolo specifico delle catene leggere nel modulare la produzione di peptidi natriuretici attraverso un meccanismo citotossico diretto. Per quanto riguarda le troponine cardiache, un loro incremento suggerisce certamente una progressione di malattia ed una ridotta sopravvivenza, tuttavia il loro ruolo nella definizione della risposta alla terapia è meno consolidato rispetto ai pep-

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tidi natriuretici6,64,88. In generale, la riduzione consensuale dei biomarcatori cardiaci e delle FLC è associata ad una maggiore sopravvivenza85, tuttavia non sono rare le eccezioni. In particolare, nei pazienti trattati con farmaci immunomodulanti (lenalidomide, pomalidomide) si riscontra frequentemente una discordanza fra la risposta ematologica, indicata dalla riduzione delle FLC, ed i livelli di NT-proBNP, che spesso tendono ad aumentare, forse sottintendendo un effetto cardiotossico o un incremento della ritenzione di liquidi legata a tali farmaci88. Analogamente, è stato descritto un incremento del BNP in risposta alla terapia con lenalidomide, in assenza però di modificazioni nella classe NYHA89. I biomarcatori cardiaci possono servire anche da guida nella selezione della strategia terapeutica82. In uno studio retrospettivo Gertz et al. hanno definito delle soglie di esclusione per i candidati al trapianto pari a >5000 ng/L per l’NT-proBNP e >60 ng/L per la TnT90. I biomarcatori sono utilizzati per definire la risposta al trattamento e la progressione di malattia anche in altri organi. A livello renale, una riduzione del 50% (almeno 0.5 g/die) della proteinuria nelle 24 ore (in soggetti con proteinuria >0.5 g/die prima del trattamento) o una riduzione della creatinina/clearance della creatinina 14 mm ha una sensibilità del 78% e una specificità dell’89% nell’identificare pazienti con coinvolgimento cardiaco. Tuttavia, combinando lo spessore settale con un tracciato elettrocardiografico anormale (scarsa progressione dell’onda R; pattern di pseudo-necrosi; blocco di branca sinistra; QRS 0.5 cm) e un aumento relativo dello spessore della parete posteriore. L’interessamento valvolare non è raro e spesso riguarda tutte le valvole, ma la disfunzione valvolare che ne consegue è spesso lieve e partecipa in minima parte alla manifestazione clinica dello scompenso cardiaco, che è invece principalmente dovuta alla disfunzione diastolica10. Un versamento pericardico di lieve entità è presente nel 50% dei casi ed è associato ad una prognosi peggiore; i casi di esordio della malat-

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Figura 2. Ispessimento della parete libera del ventricolo destro. Proiezione sottocostale in un paziente con amiloidosi cardiaca da transtiretina. In giallo è evidenziato l’ispessimento parietale destro.

Figura 3. Trombosi auricolare dell’atrio sinistro. Vista in due camere da proiezione apicale. La freccia indica una formazione trombotica intra-atriale.

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tia con versamento pericardico tamponante sono descritti, ma estremamente rari23. Tutte le caratteristiche appena menzionate sono, singolarmente, aspecifiche per la diagnosi di AC, ma possono essere altamente suggestive se unite ad altri parametri ecocardiografici, nonchè bio-umorali e clinici. Infine, per quanto non sia possibile distinguere le diverse forme di AC dalla sola analisi delle alterazioni morfologiche riscontrabili con l’ecocardiogramma, la maggior parte delle casistiche ha riportato maggiori spessori parietali del VS e VD nell’ATTR rispetto alla AL, a dispetto di un fenotipo clinico meno aggressivo24.

Funzione diastolica e sezioni destre Per mezzo dell’ecocardiografia 2D-Doppler è possibile analizzare la funzione diastolica nonchè ottenere una stima delle pressioni polmonari. Nei pazienti con AC la disfunzione diastolica costituisce la classica alterazione fisiopatologica conseguente la pseudoipertrofia del miocardio, nonchè la più precoce alterazione evidenziabile all’ecocardiogramma (Figura 4). Nella maggior parte dei casi è documentabile una disfunzione diastolica di grado 2 o superiore; mentre nei casi più precoci è possibile riscontrare un pattern da alterato rilasciamento. È opportuno sempre tener presente che la dipendenza di tali misurazioni dal precarico impedisce la possibilità di generalizzare i risultati. Le pressioni polmonari possono essere elevate (nella maggior parte dei casi la pressione sistolica stimata in arteria polmonare è >35 mmHg), così come si può avere un aumento della pressione dell’atrio destro (>10 mmHg), riscontrabile spesso nelle fasi più avanzate della malattia. L’interessamento dell’atrio destro è associato ad una prognosi peggiore; a tale proposito alcuni Autori raccomandano la misurazione dello spessore delle pareti dell’atrio destro da approccio sottocostale, in telediastole25. Sebbene la presenza di dilatazione del VS sia rara, è possibile osservare la dilatazione del VD, correlata sia ad ipertensione polmonare che a disfunzione sistolica del VD, secondaria all’accumulo di amiloide; anche la dilatazione del VD costituisce un elemento prognostico negativo26.

Tissue Doppler imaging A differenza del Doppler convenzionale, che misura la velocità del flusso ematico, il tissue Doppler imaging (TDI) misura la velocità di movimento del tessuto cardiaco, offrendo parametri che non sono influenzati dalle pressioni di riempimento del VS. Con tale metodica è possibile osservare, per esempio, le curve di velocità sistoliche e diastoliche misurate a livello dell’anulus mitralico. Tali velocità sono significativamente ridotte nella AC rispetto ad altre patologie a fenotipo ipertrofico, come la cardiomiopatia ipertrofica o quella ipertensiva; inoltre le alterazioni evidenziabili al Doppler tissutale sono sproporzionatamente severe, quando rapportate all’entità degli spessori parietali ed al grado di disfunzione sistolica.

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Attraverso l’analisi delle velocità tissutali (a livello dell’anulus mitralico) al TDI, nell’AC spesso si può osservare una riduzione delle velocità sistolica (s’), proto-diastolica (e’) e della contrazione atriale (a’). Se è presente il cosiddetto 5-5-5 sign, ovvero la riduzione di tutte queste tre velocità al di sotto dei 5 cm/s, il quadro è altamente suggestivo per AC. Per quanto molto specifico, tale segno è poco sensibile e compare solo nelle

Figura 4. Principali reperti ecocardiografici nell’amiloidosi cardiaca. Nel pannello A (proiezione parasternale asse lungo) sono evidenziati la pseudoipertrofia del ventricolo sinistro (freccia bianca), il versamento pericardico (freccia gialla) ed il versamento pleurico (freccia rossa). Nel pannello B (proiezione parasternale asse corto) è evidenziabile la pseudoipertrofia del ventricolo sinistro (freccia bianca) ed il versamento pericardico (freccia gialla). Nel pannello C (proiezione apicale 4 camere) è osservabile la dilatazione biatriale e l’ispessimento del setto interatriale (freccia verde). Il pannello D mostra la presenza di ridotte velocità tissutali al tissue Doppler imaging.

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fasi più avanzate di malattia23. Con il TDI può essere inoltre osservato un aumento dei tempi del rilassamento isovolumetrico (IVRT) e della contrazione isovolumetrica (IVCT), con tempi di eiezione del VS ridotti27.

Speckle tracking echocardiography L’ecocardiografia speckle tracking (STE) 2D è una metodica di analisi ecocardiografica in grado di determinare quantitativamente la funzione globale e regionale del miocardio ventricolare e atriale. La STE è basata sull’osservazione che l’interazione degli ultrasuoni con il miocardio genera dei marker acustici, definiti speckle, che possono essere seguiti nel loro spostamento durante il ciclo cardiaco mediante l’applicazione di software dedicati. Una volta eseguito il tracking di una specifica regione di speckle, è possibile calcolarne la migrazione, la deformazione (strain) e la velocità con cui questa deformazione si verifica (strain rate). Per mezzo di questa tecnica è possibile ottenere la misurazione di vari parametri di deformazione miocardica, consentendo così una valutazione oggettiva e quantitativa dell’ispessimento, dell’accorciamento e della rotazione miocardica. Poiché non viene utilizza la tecnica Doppler, l’analisi è indipendente dall’angolo di insonazione e, almeno in parte, dai movimenti di traslazione del cuore.  Koyama et al. hanno dimostrato che la STE è in grado di documentare un’alterata funzione sistolica anche in pazienti con forme precoci di AC, a differenza della ecocardiografia tradizionale; di fatto la funzione sistolica longitudinale del VS può essere alterata già nelle prime fasi della malattia, quando sia l’ispessimento radiale che l’accorciamento circonferenziale sono ancora preservati28-30. Lo strain longitudinale (longitudinal strain, LS) rappresenta l’accorciamento miocardico lungo il suo asse longitudinale; esso viene identificato da curve ad andamento negativo durante la sistole e positivo in diastole. Oltre allo strain di ogni singolo segmento miocardico è possibile calcolare la media degli strain regionali ottenendo così lo strain globale (global longitudinal strain, GLS), che costituisce un importante indice di funzione sistolica del VS. Molti Autori hanno documentato valori diversi di strain longitudinale nelle varie forme di cardiopatia a fenotipo ipertrofico. A tale proposito, per uguali pattern di ipertrofia, i pazienti con cardiomiopatia ipertrofica hanno valori di strain longitudinale più conservati rispetto ai pazienti con AC. Mentre nel cuore sano la contrattilità miocardica aumenta in maniera graduale dalla base all’apice, nell’AC si osserva un’ipocinesia della base associata ad un aumento relativo della contrattilità apicale (apical sparing, Figura 5). Probabilmente la riduzione della contrattilità segmentale è dovuta ad un accumulo preferenziale di amiloide nelle porzioni basali delle pareti del VS. Le patologie che inducono ipertrofia VS (stenosi aortica, cardiopatia ipertrofica) tipicamente presentano una riduzione dello strain longitudinale soprattutto nelle regioni di massima ipertrofia; tale associazione non è rispettata nell’AC31.

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Le curve dello strain atriale sono diffusamente ridotte e rivelano non soltanto un pattern di alterato accorciamento dell’atrio durante la sistole atriale, ma anche un’incapacità di quest’ultimo di distendersi durante la fase di riempimento, divenendo così un mero condotto attraverso il ciclo cardiaco. Infine, i dati sullo strain della parete libera del VD permettono di slatentizzare una possibile disfunzione sistolica del VD, ma gli studi ad oggi disponibili riguardano soltanto casistiche con un numero di pazienti esiguo. Negli ultimi anni, è stata posta una maggiore attenzione sul possibile utilizzo dello STE 3D nella diagnosi dell’AC. Tale tecnica sfrutta dei software di tracking del movimento delle pareti, calcola in modo automatico il volume di una determinata cavità e descrive una curva volume-tempo sfruttando le deformazioni rilevate. La STE 3D permette di semplificare l’acquisizione del STE 2D, che richiede acquisizioni tramite immagini a 2, 3 e 4 camere con tempi di elaborazione piuttosto lunghi32-35. Utilizzando acquisizioni 3D è possibile misurare automaticamente il volume del VS telesistolico e telediastolico, la massa del VS, la frazione di eiezione, gli strain globale longitudinale, circonferenziale e radiale del VS33 (Figura 6). Inoltre, la metodica 3D permette di rilevare alterazioni ancora più precoci nella funzione sistolica di quanto

Figura 5. Ecocardiografia speckle tracking 2D Rappresentazione bull's-eye eseguita mediante ecocardiografia speckle tracking 2D in un paziente con amiloidosi cardiaca da catene leggere delle immunoglobuline, che mostra una riduzione dei valori di strain longitudinale, più marcata a livello delle regioni basali e medie e con relativo risparmio dei segmenti apicali (apical sparing).

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non possano essere identificate con tecniche 2D e di anticipare il rilevamento della disfunzione diastolica nonché le anomalie dello strain longitudinale32. La tecnica 3D permette dunque una possibile diagnosi precoce ed affidabile dell’AC. Vi sono comunque delle limitazioni: la STE 3D ha una risoluzione temporale inferiore rispetto alla tecnica 2D e questo non permette di analizzare in modo ottimale i dettagli anatomici; inoltre, sono necessari software diversi per i due ventricoli affinché si possa avere un risultato affidabile18,22.

Conclusioni L’ecocardiografia offre la possibilità di rilevare diverse anomalie tipiche dell’AC, e rappresenta uno strumento fondamentale nel processo di diagnosi (anche relativamente alla diagnosi differenziale con altre patologie a fenotipo ipertrofico) e di stratificazione prognostica. Le principali caratteristiche ecocardiografiche utili nella diagnosi differenziale delle condizioni associate a fenotipo ipertrofico sono riassunte nella Tabella 1. Alcune società scientifiche americane hanno proposto una classificazione del grado di sospetto di AC basata su diversi parametri ecocardiografici11,12: 1. Quadro non suggestivo: normale spessore parietale del VS, massa VS normale, normali dimensioni atriali, TDI settale o laterale normale, velocità e’ al Doppler >10 cm/s. 2. Quadro fortemente suggestivo: aumento dello spessore parietale del VS, aumento della massa del VS, strain longitudinale del VS tipico, velocità e’ al Doppler 3.3 si otteneva una accuratezza diagnostica del 100% nella diagnosi di AC ATTR. Gli Autori concludevano che la scintigrafia con 99m Tc-HMDP può essere impiegata nella diagnostica differenziale della AC con livelli di accuratezza paragonabili a quelli degli altri radiofarmaci osteofili37. Lo studio più esaustivo in questo ambito è stato condotto da Gillmore, che ha analizzato i risultati scintigrafici ottenuti mediante i 3 radiofarmaci disponibili marcati con 99mTc in 1217 pazienti con sospetta AC38. La scintigrafia ossea aveva una sensibilità diagnostica maggiore del 99% e una specificità dell’86% nell’identificare l’interessamento cardiaco ATTR, con falsi positivi dovuti per lo più a sfumati pattern di captazione nei pazienti con amiloidosi AL. Combinando il risultato scintigrafico (uptake miocardico di grado 2 o 3) con l’assenza di proteina monoclonale sierica ed urinaria si otteneva una specificità diagnostica e un valore predittivo positivo per l’AC ATTR del 100%. Inoltre, lo studio dimostrava una performance diagnostica comparabile tra i diversi radiofarmaci impiegati. Pertanto, gli Autori suggerivano che, in pazienti con sintomi di scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, presenza di (pseudo)ipertrofia miocardica ed assenza di componente monoclonale sierica ed urinaria, la positività dell’imaging scintigrafico può garantire la diagnosi di AC ATTR. In altre parole, era possibile fare una diagnosi di certezza senza il bisogno di ricorrere al prelievo bioptico e all’analisi istologica, con un livello di accuratezza

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difficilmente raggiungibile da altre tecniche di imaging non invasivo. Questi risultati hanno portato ad un recente consensus clinico dove, nell’algoritmo diagnostico non-invasivo, viene attribuita particolare rilevanza all’imaging scintigrafico39. In caso di sospetto clinico o strumentale morfologico, valutazioni plasmatiche ed urinarie volte alla ricerca di una componente monoclonale e la scintigrafia ossea sono considerate indagini appropriate. Se questi test risultano negativi la probabilità di amiloidosi è estremamente bassa. Non bisogna tuttavia dimenticare che falsi negativi scintigrafici possono essere presenti in pazienti con rare mutazioni non-V30M ed in quelli con mutazione V30M in fase iniziale28,40. In assenza di una componente monoclonale sierica/urinaria, una scintigrafia ossea con grado di captazione ≥2 permette la diagnosi di AC ATTR senza ricorrere alla biopsia, con specificità e valore predittivo positivo >98%. In presenza di una discrasia plasmacellulare accertata e scintigrafia ossea positiva, la diagnosi istologica rimane necessaria poiché fino al 20% dei pazienti con AC AL possono presentare una captazione cardiaca significativa (grado 2-3) (Figura 2)38. Nonostante tale successo, i radiofarmaci per la scintigrafia ossea non sono amiloide-specifici. Il meccanismo che permette il legame chimico con la sostanza amiloide da transtiretina rimane ancora non completamente chiarito ed è stato ipotizzato un meccanismo mediato dal calcio41. Ciò potrebbe spiegare i falsi positivi in pazienti con AC AL avanzata. Inoltre, il tipo di mutazione e i conseguenti risultati sulla proteolisi fibrillare (fibrille a lunghezza intera vs. fibrille con frammento C-terminale ATTR) potrebbero modulare il legame del radiofarmaco osteofilo all’osso42.

Conclusioni La medicina nucleare convenzionale offre varie possibilità investigative nei pazienti con sospetta o accertata AC. La disponibilità di vari target molecolari marcati con radioisotopi permette di studiare in modo approfondito le alterazioni organiche determinate dall’infiltrazione di proteine amiloidogeniche che si riflettono nello spettro fenotipico della malattia. Tra tutte, la scintigrafia con radiofarmaci per lo studio del metabolismo osseo ha dato un contributo sostanziale alla diagnostica differenziale di questa patologia non così rara e dall’esito non sempre così infausto se riconosciuta precocemente.

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Figura 2. Scansioni con tracciante osteofilo 99mTc-HMDP a) Scansioni total body ottenute con il radiofarmaco osteofilo 99mTc-HMDP in un paziente di 80 anni con pseudoipertrofia ventricolare sinistra, scompenso a frazione di eiezione preservata ed assenza di componente monoclonale sierica urinaria. Si osserva captazione miocardica del radiofarmaco per la scintigrafia ossea (frecce rosse). b) Immagine statica toracica nella quale si apprezza un grado di captazione cardiaca equivalente alle ossa che indica uno score Perugini 3. c) Rappresentazione bull’s eye di acquisizione SPECT con gamma camera digitale: le immagini tomografiche documentano esteso interessamento cardiaco che risparmia solo la parete antero-laterale del ventricolo sinistro. I reperti scintigrafici permettono la diagnosi differenziale (amiloidosi cardiaca ATTR) ed evitano il ricorso alla conferma bioptica.

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Advanced imaging: scintigrafia miocardica Take Home Messages • La medicina nucleare permette lo studio non invasivo dell’amiloidosi cardiaca mediante radiofarmaci specifici per diversi target molecolari. • Alterazioni dell’innervazione simpatica e del metabolismo osseo, indagate con radiofarmaci specifici, sono marcatori precoci di amiloidosi cardiaca. • Un’elevata captazione miocardica di radiofarmaco osteofilo, in assenza di componente monoclonale, garantisce un’elevata accuratezza diagnostica nell’amiloidosi cardiaca da transtiretina.

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ADVANCED IMAGING: RUOLO DELLA PET

Dario Genovesi Michela Chianca Assuero Giorgetti

ADVANCED IMAGING: RUOLO DELLA PET Dario Genovesi, Michela Chianca, Assuero Giorgetti

Sommario

S

ebbene la scintigrafia con radiofarmaci osteotropi rappresenti un’indagine cardine nel sospetto clinico-strumentale di amiloidosi cardiaca, essa non è in grado, da sola, di consentire una diagnosi definitiva in tutti i pazienti non riuscendo ad individuare l’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (AL); in questo sottogruppo di pazienti, infatti, la diagnosi definitiva non può prescindere da una conferma bioptica. I nuovi radiofarmaci PET per la ricerca di depositi di amiloide cerebrale nel sospetto di malattia di Alzheimer stanno dimostrando di avere buona affinità anche per i depositi di amiloide sistemici, in particolare a livello cardiaco, e rappresentano un promettente strumento per la diagnosi in vivo non bioptica di amiloidosi AL.

Elenco delle abbreviazioni AC, amiloidosi cardiaca AD, malattia di Alzheimer (Alzheimer Disease) AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline ATTR, amiloidosi da transtiretina CT, tomografia computerizata (Computed Tomography) DPD, acido 3,3-difosfono-1,2 propanodicarbossilico HMDP, idrossimetilene difosfonato MV, volume molecolare (Molecular Volume) PET, tomografia ad emissione di positroni (Positron Emission Tomography) PiB, Pittsburgh compound B (Composto B di Pittsburgh) PYP, pirofosfato RI, indice di ritenzione (Retention Index) SUV, valore di captazione standardizzato (Standardized Uptake Value) TBR, rapporto Target/Background (Target to Background Ratio)

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AMILOIDOSI CARDIACA

Introduzione Come descritto nei capitoli precedenti, la diagnosi di amiloidosi cardiaca richiede, oltre alla valutazione dei parametri clinici e bioumorali, anche una serie di valutazioni strumentali e spesso la conferma mediante esame bioptico del tessuto miocardico. Per la diagnosi di amiloidosi cardiaca (AC) da transtiretina (ATTR) è oggi possibile ricorrere alla valutazione scintigrafica mediante l’uso di traccianti osteotropi marcati con tecnezio 99 metastabile (99mTc-PYP, 99mTc-DPD, 99mTc-HMDP) consentendo, in assenza di componente monoclonale plasmatica o urinaria, una diagnosi definitiva senza necessità di ricorrere all’esame istologico. Purtroppo, nel caso di negatività alla scintigrafia con traccianti osteotropi o in presenza di una componente monoclonale, la diagnosi di AC non può prescindere dall’esecuzione di ulteriori indagini strumentali e dalla conferma mediante esame bioptico. Negli ultimi 10 anni lo sviluppo di nuovi radiofarmaci per la ricerca dei depositi di amiloide ha aperto una nuova strada per la diagnosi di AC.

PET-CT La tomografia ad emissione di positroni (PET) è una metodica diagnostica medico-nucleare che consente di valutare in vivo l’accumulo di specifici composti chiamati “radiofarmaci” sfruttando il principio della annichilazione delle particelle. Qualsiasi radiofarmaco utilizzato per studi PET è caratterizzato dal fatto di contenere nella sua struttura molecolare un radionuclide instabile in grado di decadere mediante emissione di positroni; questi, una volta emessi in seguito al decadimento del radionuclide utilizzato, percorrono un brevissimo tratto nella materia fino a collidere con un elettrone formando una particella chiamata positrone che, in una frazione di secondo, si annichila emettendo energia sotto forma di due fotoni da 511 keV che viaggiano alla velocità della luce sulla stessa linea di volo, ma in direzione opposta. La rilevazione “in coincidenza” dei due fotoni emessi è il principio su cui si basa la metodologia PET; i fotoni che non raggiungono il rilevatore in coppia, cioè entro un intervallo di tempo di pochi nanosecondi, non sono presi in considerazione. Al giorno d’oggi tutti i tomografi prodotti sono macchinari ibridi PET-CT che consentono di ottenere immagini di tipo morfologico mediante tomografia computerizzata a raggi X (CT) ed immagini di tipo funzionale mediante scansione PET; il vantaggio della tecnologia ibrida è duplice: da un lato è possibile ottenere immagini fuse PET e CT in modo da riuscire a localizzare in modo più accurato le aree di accumulo del radiofarmaco utilizzato e dall’altro è possibile utilizzare la mappa di attenuazione tissutale basata sulla scansione a raggi X per correggere i dati PET a seconda del grado di attenuazione causato dal tipo e dallo spessore del tessuto attraversato dai fotoni emessi. La misurazione dell’intensità di accumulo del radiofarmaco nel volume di acqui-

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sizione espressa come concentrazione radioattiva (kBq/mL) consente di ottenere una quantizzazione assoluta del grado di captazione del radiofarmaco basata sulla valutazione dell’attività utilizzata e su parametri morfologici del paziente quali peso o superficie corporea. Il parametro più diffusamente utilizzato per la quantizzazione del grado di captazione del radiofarmaco è il SUV (Standardized Uptake Value); questo parametro è calcolato secondo la formula:

dove R è la concentrazione dell’attività kBq/mL misurata dal tomografo PET all’interno di un volume di interesse, A è l’attività di radiofarmaco iniettato corretta per il decadimento kBq e W è il peso del paziente grammi (g). Se tutto il radiofarmaco iniettato fosse trattenuto nel corpo del paziente ed uniformemente distribuito, il SUV sarebbe pari ad 1 g/mL indipendentemente dalla quantità di radiofarmaco iniettato o dalle dimensioni del paziente. Poiché qualsiasi radiofarmaco, sia esso metabolico, recettoriale o di deposito, si distribuisce nell’organismo non in modo uniforme, ma con gradienti di concentrazione diversi a seconda del target specifico del radiofarmaco utilizzato, il valore di SUV risulta direttamente proporzionale all’entità del target (attività metabolica, densità recettoriale o concentrazione della sostanza depositata). Radiofarmaci PET I radiofarmaci utilizzati per la PET contengono radionuclidi con breve tempo di dimezzamento, come, ad esempio, 11C (~20 min), 13N (~10 min) e 18F (~110 min). I radionuclidi come 11C e 13N, in considerazione della loro brevissima emivita, richiedono la presenza in loco di un ciclotrone che consenta di produrli entro pochi minuti dal loro utilizzo e sono, per questo motivo, utilizzati quasi esclusivamente a scopo di ricerca; al contrario il 18F, avendo un’emivita di quasi 2 ore, consente di essere prodotto a distanza e trasportato anche in centri sprovvisti di ciclotrone e, per questo motivo, la stragrande maggioranza degli esami PET-CT a scopo diagnostico utilizzano radiofarmaci marcati con 18F. Radiofarmaci PET per lo studio dei depositi di amiloide I radiofarmaci emettitori di positroni con affinità di legame per la sostanza amiloide nascono tutti come traccianti in vivo dei depositi cerebrali di beta-amiloide per la conferma diagnostica di malattia di Alzheimer (AD); alcuni di questi radiofarmaci hanno successivamente evidenziato affinità di legame anche per altri tipi di amiloide, in particolare per quella depositata a livello miocardico sia nell’ambito di un’amiloidosi sistemica con interessamento cardiaco sia in caso di AC isolata. Il primo radiofarmaco PET per lo studio dei depositi di amiloide è stato brevettato all’inizio degli anni 2000 con il nome di Composto B di Pittsburgh (PiB); questo ra-

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diofarmaco è un derivato della Tioflavina T (un colorante per preparati istologici che si lega specificamente ai depositi di amiloide) ed è marcato con con il 11C. Il primo studio basato sull’utilizzo in vivo di questo radiofarmaco risale al 20041; gli Autori hanno valutato l’entità dell’accumulo cerebrale del radiofarmaco in 16 pazienti con AD confrontandolo con quanto valutato in 9 soggetti di controllo e dimostrando che nelle regioni corticali tipicamente interessate dai depositi di beta-amiloide dei pazienti con AD la ritenzione di PiB risulta significativamente maggiore rispetto a quella misurata nelle stesse aree corticali dei soggetti di controllo, mentre le aree che non sono coinvolte dalla neurodegenerazione in corso di AD non mostrano significative differenze in termini di uptake del PiB fra pazienti e controlli; gli Autori hanno inoltre dimostrato che il grado di uptake del PiB correla in maniera inversa con il grado di uptake corticale del 18F-FDG, il tracciante utilizzato per lo studio del metabolismo neuronale, avvalorando l’ipotesi che neurodegenerazione e deposito di beta-amiloide siano fenomeni strettamente correlati. Negli anni successivi sono stati pubblicati numerosi studi che hanno confermato l’utilità diagnostica del PiB nel sospetto di AD2-5 che consente, di fatto, la visualizzazione in vivo delle placche di beta-amiloide fino a quel momento possibile solo post-mortem all’esame autoptico. Nel 2013 è stato pubblicato il primo studio prospettico, su un ristretto gruppo di soggetti, per la valutazione dell’utilità del PiB nella diagnosi di AC6; in questo studio gli Autori hanno descritto un significativo uptake precoce del radiofarmaco a livello miocardico (circa 15-25 minuti dopo l’iniezione) in tutti i 10 pazienti con amiloidosi ed in nessun soggetto di controllo (n=5) suggerendo un possibile utilizzo di questo strumento per la diagnosi di interessamento cardiaco in corso di amiloidosi sistemica. Come descritto in precedenza, il problema legato ai radiofarmaci PET marcati con 11C è la loro ridotta maneggevolezza dovuta al brevissimo tempo di decadimento del radionuclide impiegato che li rende utilizzabili esclusivamente nei centri in grado di produrli direttamente mediante un ciclotrone. Dalla fine del 2009 sono stati messi a punto dei radiofarmaci PET con elevata affinità per la beta-amiloide marcati con 18F. Il primo di questi nuovi radiofarmaci è stato il 18F-Florbetapir, analogo strutturale dei coloranti stilbenici utilizzati in istologia7; come per il PiB, anche questo radiofarmaco è stato sviluppato per la diagnosi in vivo di AD e gli studi eseguiti nell’uomo hanno dimostrato la sua utilità in tal senso rendendolo il primo tracciante PET per amiloide cerebrale marcato con 18F utilizzabile clinicamente8-11. Anche per questo radiofarmaco è stata dimostrata una possibile utilità per la diagnosi di AC; nel 2014 è stato pubblicato il primo studio pilota in cui è stata dimostrata l’affinità del Florbetapir per i depositi miocardici di amiloide12; gli Autori dello studio hanno valutato 14 soggetti di cui 9 pazienti affetti da AC e 5 pazienti di controllo con cardiomiopatia ipertrofica di natura non infiltrativa. Lo studio prevedeva l’acquisizione di immagini dinamiche per una durata complessiva di 60 minuti da cui ricavare l’indice di ritenzione miocardica (retention index, RI) e ricostruzioni statiche ottenute mediante rielaborazioni dei dati acquisiti fra 10 e 60

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minuti. I risultati di questo studio dimostravano che i pazienti con AC avevano un accumulo miocardico significativamente maggiore rispetto ai controlli sia in termini di SUV che in termini di rapporto target/background; l’analisi delle immagini statiche non consentiva una diagnosi differenziale fra AL e ATTR, tuttavia l’analisi del RI evidenziava una maggiore avidità della forma AL per il Florbetaben rispetto alla forma ATTR. Studi autoradiografici eseguiti successivamente hanno dimostrato la specificità di legame del 18F-Florbetapir ai depositi di AC13. Il secondo radiofarmaco PET marcato con 18F approvato dalla Food and Drugs Administration per la ricerca in vivo dei depositi tissutali di amiloide è il 18F-Flutemetamolo. Questo radiofarmaco è il diretto discendente del PiB del quale conserva la struttura molecolare. Questa similarità strutturale si associa, inevitabilmente, ad una stretta somiglianza al PiB sia in termini di cinetica sia di affinità di legame per la beta-amiloide cerebrale offrendo un’accessibilità molto più ampia sia per uso clinico che di ricerca in virtù della sua maggior emivita fisica14. La prima osservazione di accumulo miocardico di 18F-Flutemetamolo in caso di AC è stata pubblicata nel 201415 e faceva riferimento ad un singolo caso di amiloidosi AL confrontato con due soggetti volontari sani; recentemente uno studio pilota in cui 9 pazienti affetti da amiloidosi sono stati confrontati con 3 soggetti di controllo ha descritto un accumulo miocardico del radiofarmaco significativamente maggiore nei soggetti con AC rispetto ai controlli16. Il terzo ed ultimo radiofarmaco fluorurato prodotto e commercializzato per la ricerca in vivo dei depositi di amiloide è il 18F-Florbetaben17; questo è molecolarmente molto simile al 18F-Florbetapir con cui condivide anche il grado di affinità per la beta-amiloide che risulta nettamente inferiore rispetto a quello calcolato per PiB e 18 F-Flutemetamolo (Tabella 1). Anche questo radiofarmaco ha dimostrato di avere affinità per i depositi di amiloide cardiaca ed il primo studio pubblicato in tal sen-

Radiofarmaco

Ki per β-amiloide (nmol/L)

Peso molecolare (Kda)

Formula molecolare

C-PiB

0.87 ± 0.18

255.32

C1311CH12N2OS

F-Flutemetamolo

0.74 ± 0.38

273.31

C14H1118FN2OS

F-Florbetapir

2.87 ± 0.17

359.42

C20H2518FN2O3

F-Florbetaben

2.22 ± 0.54

358.44

C21H2618FNO3

11

18

18

18

Tabella 1. Caratteristiche molecolari dei radiofarmaci PET per la valutazione dei depositi di amiloide. Ki, costante di affinità di legame per beta-amiloide. Modificata da Vallabhajosula S. Positron emission tomography radiopharmaceuticals for imaging brain beta-amyloid. Semin Nucl Med 2011;41:283-99.

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so risale al 201618; in questo studio pilota gli Autori hanno confrontato un gruppo eterogeneo di pazienti con amiloidosi cardiaca (5 AL e 5 ATTR) con un gruppo di controllo costituito da pazienti con cardiopatia ipertensiva concludendo che una valutazione PET/CT con questo radiofarmaco può rappresentare uno strumento promettente per la diagnosi di AC, ma senza indicare una sua utilità per quanto riguarda la diagnosi differenziale fra AL ed ATTR analogamente a quanto descritto per il tracciante 18F-Florbetapir. Più recentemente, Kircher et al. hanno valutato la performance del 18F-Florbetaben nella diagnosi di AC confrontando i dati ottenuti con quanto valutato mediante ecocardiografia, risonanza magnetica e scintigrafia con tracciante osteotropo; inoltre, hanno cercato di utilizzare i dati quantitativi ottenuti mediante PET/CT con 18F-Florbetaben per valutare il carico amiloidotico e per monitorare la risposta al trattamento. Gli Autori hanno analizzato 14 pazienti con AC (5 ATTR, 8 AL, 1 AA) ed 8 pazienti con sospetta AC e con diagnosi definitiva di cardiomiopatia non infiltrativa che sono stati sottoposti a studio PET/CT con 18F-Florbetaben; i dati PET/CT sono stati valutati sia dal punto di vista qualitativo e quantitativo calcolando il RI in un intervallo di tempo compreso fra 10 e 30 minuti dopo l’iniezione e confrontando i dati ottenuti con i parametri derivati da ecocardiografia, risonanza magnetica e scintigrafia con difosfonati, nonché con i biomarcatori (NT-proBNP, cTnT, catene leggere libere); in 4 pazienti gli Autori hanno potuto valutare anche i dati PET/ CT durante il follow-up. I risultati pubblicati indicano che la PET/CT con 18F-Florbetaben è in grado di discriminare fra AC e cardiomiopatia non infiltrativa e che il RI è maggiore in caso di amiloidosi AL rispetto ad ATTR; inoltre i risultati derivati dalla valutazione del ristretto gruppo di pazienti con rivalutazione PET/CT dopo terapia sembrano suggerire un potenziale ruolo di questo radiofarmaco per la valutazione della risposta alla terapia19. Tutti i lavori finora descritti hanno preso in considerazione dati PET/CT ottenuti a partire da fasi molto precoci della distribuzione tissutale del radiofarmaco ottenendo parametri quantitativi difficilmente applicabili nella pratica diagnostica in quanto vincolati ad un’acquisizione dinamica delle immagini di durata variabile fra 60 ed 80 minuti e che richiede, per questo motivo, un impegno notevole in termini di tempo sia per il laboratorio sia, soprattutto, per il paziente che può non essere in grado, talvolta, di garantire la sua collaborazione per tutta la durata dell’esame. Nel nostro laboratorio è stata valutata l’utilità diagnostica della PET/CT con 18F-Florbetaben in un gruppo di 40 pazienti con CA (20 AL e 20 ATTR) confrontato con un gruppo di controllo costituito da 20 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica di natura non infiltrativa20. Anche in questo caso, sono state valutate immagini ottenute mediante acquisizione dinamica della durata di 60 minuti ed immagini statiche del distretto toracico ottenute dopo 110 minuti dall’iniezione. I dati raccolti dinamicamente sono poi stati ricostruiti retrospettivamente in modo da ottenere tre scansioni statiche, della durata di 10 minuti ciascuna, rispettivamente a partire da 5, 30 e 50 minuti dopo l’iniezione. Il valore di RI è risultato maggiore nel gruppo di pazienti con AL rispetto a quello dei

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pazienti con ATTR, mentre non sono state evidenziate differenze fra ATTR e gruppo di controllo. Inoltre, valutando i parametri quantitativi derivati dall’analisi delle immagini statiche, sia il valore di SUV miocardico, sia il target-to-background-ratio (TBR) risultano significativamente maggiori in caso di amiloidosi AL rispetto a quanto misurato nei pazienti con amiloidosi ATTR e nel gruppo di controllo. Un ulteriore parametro di uso diagnostico, il volume molecolare (molecular volume, MV), ovvero il volume di distribuzione miocardica del radiofarmaco, è risultato pressoché stabile nel tempo nel gruppo di pazienti con amiloidosi AL e soggetto ad una significativa riduzione sia nel gruppo dei pazienti con amiloidosi ATTR sia in quello di controllo; questo dato suggerirebbe una maggiore stabilità di legame del 18F-Florbetaben alla sostanza amiloide da deposito di catene leggere delle immunoglobuline rispetto a quella da transtiretina consentendo, come evidenziato anche dall’analisi qualitativa delle immagini statiche, di confermare o escludere la presenza di amiloidosi AL mediante una singola scansione statica eseguita almeno 30 minuti dopo l’iniezione del radiofarmaco (Figura 1). Un esempio di distribuzione miocardica valutata mediante acquisizione PET/CT statica tardiva del 18F-Florbetaben rispettivamente in un paziente con amiloidosi AL ed un paziente con amiloidosi ATTR è riportato in Figura 2.

Figura 1. Acquisizioni statiche PET con 18F-Florbetaben. Acquisizioni statiche PET con 18F-Florbetaben sono state ricostruite rispettivamente 5, 30 e 50 minuti dopo l’iniezione del radiofarmaco in pazienti con amiloidosi cardiaca da catene leggere delle immunoglobuline (AL), da transtiretina (ATTR) e con cardiomiopatia ipertrofica non amiloidotica (non-CA).

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Figura 2. Acquisizioni statiche PET/CT con 18F-Florbetaben acquisite a 60 minuti dall’iniezione del radiofarmaco. A: paziente con amiloidosi cardiaca da catene leggere delle immunoglobuline; B: paziente con amiloidosi cardiaca da transtiretina.

Conclusioni I dati attualmente disponibili in letteratura, per quanto ancora limitati e da confermare su un numero di osservazioni più ampio, sembrano supportare un ruolo centrale della PET/CT con radiofarmaci per la sostanza amiloide nell’iter diagnostico dei pazienti con sospetta AC. Sebbene la scintigrafia con radiofarmaci osteotropi sia attualmente raccomandata come esame cardine in pazienti con sospetta AC, essa non è in grado, da sola, di consentire una diagnosi definitiva in tutti i pazienti, non riuscendo ad individuare i casi di amiloidosi AL. Sebbene esista una sovrapposizione nella presentazione clinica dell’amiloidosi AL e ATTR, il sospetto è spesso orientato verso uno dei due sottotipi in base all’età del paziente, all’analisi bioumorale ed alle comorbidità. Mentre la scintigrafia con radiofarmaci osteotropi può rappresentare un test diagnostico di primo livello in caso di sospetta amiloidosi ATTR, la PET/CT con radiofarmaci specifici per la sostanza amiloide, in particolare con 18F-Florbetaben, potrebbe essere considerato il primo strumento diagnostico nei pazienti con sospetta amiloidosi AL. Una diagnosi tempestiva è potenzialmente salvavita nei pazienti con amiloidosi AL, in particolare quando è presente un coinvolgimento cardiaco, e può accelerare l’inizio del trattamento specifico per la malattia; in questo senso la PET/CT con 18F-Florbetaben potrebbe rappresentare uno strumento diagnostico non invasivo di primo livello contribuendo a ridurre il tempo necessario per la diagnosi e, potenzialmente, evitando la necessità di ricorrere ad esami invasivi e non privi di complicanze come la biopsia miocardica.

ADVANCED ADVANCED IMAGING: IMAGING RUOLO DELLA PET

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Advanced imaging: ruolo della PET Take Home Messages • Non esiste, al momento, una metodica che consenta la conferma diagnostica non invasiva dell’amiloidosi cardiaca da catene leggere delle immunoglobuline (AL). • Alcuni radiofarmaci PET sviluppati per la ricerca di depositi di beta-amiloide cerebrale in pazienti con sospetta malattia di Alzheimer hanno dimostrato una buona affinità anche per i depositi sistemici di sostanza amiloide, in particolare di quelli miocardici nell’amiloidosi AL. • Recenti evidenze scientifiche dimostrano che la PET/CT con 18F-Florbetaben eseguita dopo almeno 30 minuti dall’iniezione del radiofarmaco mostra captazione in regione cardiaca nei pazienti con amiloidosi AL ma non in quelli con amiloidosi da transtiretina, contribuendo ad ottenere una diagnosi differenziale non invasiva.

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RED FLAGS PER IL SOSPETTO DI AMILOIDOSI CARDIACA Giuseppe Vergaro Michela Chianca Roberta Poletti Filippo Quattrone Alberto Aimo

RED FLAGS PER IL SOSPETTO DI AMILOIDOSI CARDIACA Giuseppe Vergaro, Michela Chianca, Roberta Poletti, Filippo Quattrone, Alberto Aimo

Sommario

I

l coinvolgimento cardiaco nell’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (AL) o da transtiretina (ATTR) influenza la presentazione clinica e determina una prognosi sfavorevole. Fino a poco tempo fa considerata una condizione rara e incurabile, l’amiloidosi cardiaca (AC) è oggi spesso diagnosticata con ritardo oppure non diagnosticata, sebbene per entrambe le forme siano disponibili terapie capaci di migliorare la sopravvivenza, in particolare il trapianto autologo di midollo osseo e i nuovi regimi chemioterapici per l’amiloidosi AL e lo stabilizzatore del tetramero tafamidis per l’amiloidosi ATTR. Una diagnosi tempestiva, che consente di intraprendere terapie salvavita, presuppone il riconoscimento precoce dei segni clinici, laboratoristici e di imaging indicativi di coinvolgimento cardiaco, alcuni dei quali possono comparire molto tempo prima che la cardiopatia diventi clinicamente manifesta. Dato che l’amiloidosi è spesso caratterizzata dall’interessamento di molteplici organi, si rende necessaria una stretta collaborazione tra esperti di diverse specialità, tra cui cardiologi, nefrologi, ematologi, neurologi, radiologi, specialisti in medicina nucleare e internisti. Questo capitolo si propone di fornire al clinico una guida alla diagnosi precoce di AC, riassumendo le red flags che dovrebbero far sorgere il sospetto di questa condizione.

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Elenco delle abbreviazioni AC, amiloidosi cardiaca AL, amiloidosi da catene leggere AS, atrio sinistro ATTR, amiloidosi da transtiretina (ATTRv, forma variante; ATTRwt, forma wild type) cTn, troponine cardiache DPD, acido 2-propanodicarbossilico ECG, elettrocardiogramma FE, frazione d’eiezione GLS, global longitudinal strain HMDP, 99mTc-idrossimetilen difosfonato MDP, 99mTc-metil difosfonato MGUS, gammopatia monoclonale di significato indeterminato PYP, pirofosfato RMC, risonanza magnetica cardiaca VD, ventricolo destro VS, ventricolo sinistro

Caratteristiche cliniche L’amiloidosi cardiaca (AC) è una patologia sottodiagnosticata1. Dal momento che nuove opzioni terapeutiche stanno emergendo per la cardiopatia correlata ad amiloidosi da catene leggere (AL) o da transtiretina wild type o variante (ATTRwt/ATTRv), i professionisti coinvolti nella gestione dei pazienti affetti da amiloidosi (in primo luogo cardiologi, internisti, specialisti di medicina nucleare, nefrologi, neurologi e medici di medicina generale) dovrebbero conoscere le manifestazioni di questa patologia e i dati clinici, bioumorali e di imaging che dovrebbero indurre a sospettare la presenza di un coinvolgimento cardiaco (Figura 1). Il coinvolgimento cardiaco nell’amiloidosi AL o ATTR è in genere identificato nel momento in cui si manifestano segni e sintomi di cardiomiopatia restrittiva e/o scompenso a frazione d’eiezione (FE) preservata, quali dispnea, ridotta tolleranza allo sforzo, edema periferico, epatomegalia, ascite, turgore giugulare. Questi segni e sintomi tuttavia si sviluppano tipicamente nelle fasi avanzate della malattia, mentre negli stadi iniziali il coinvolgimento cardiaco può essere clinicamente silente o pausicintomatico2. L’amiloidosi AL è una malattia sistemica: la metà dei pazienti presenta coinvolgimento renale, il 16% malattia epatica e il 10% neuropatia3. Ciò implica che la coesistenza di

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tali patologie dev’essere adeguatamente considerata in sede di raccolta anamnestica. La ATTRv è caratterizzata da una significativa eterogeneità fenotipica, in relazione alla penetranza della mutazione responsabile, all’etnia e all’area geografica. Alcune mutazioni determinano un fenotipo neurologico e cardiologico, mentre altre determinano una presentazione esclusivamente neurologica o, meno frequentemente, cardiologica4. Una familiarità per amiloidosi o, più comunemente, per ipertrofia miocardica dovrebbe indurre ad eseguire uno screening per amiloidosi, anche in soggetti asintomatici, soprattutto nelle zone endemiche. Nonostante nella ATTRwt il coinvolgimento extra-cardiaco sia meno frequente, la sindrome del tunnel carpale si osserva nella metà dei pazienti e spesso precede le manifestazioni cardiache di diversi anni5; i pazienti con ATTRwt possono anche sviluppare la rottura del capo lungo del tendine del bicipite, che produce il cosiddetto “segno di Popeye”6.

Figura 1. Reperti clinici, elettrocardiografici, bioumorali e di imaging che possono far sorgere il sospetto di amiloidosi cardiaca. La specificità diagnostica aumenta procedendo dalla periferia verso il centro del cerchio. AV, atrio-ventricolare; BNP, peptide natriuretico di tipo B; CMP, cardiomiopatia; HFmr/pEF, scompenso cardiaco con frazione d’eiezione mid-range o preservata; NT-proBNP, frazione N-terminale del peptide natriuretico di tipo B; LGE, late gadolinium enhancement; BBD, blocco di branca destra; BBS, blocco di branca sinistra; VS, ventricolare sinistra Fonte: Vergaro et al., 201949.

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Sebbene la patologia riguardi generalmente soggetti anziani di sesso maschile, recenti studi hanno dimostrato che le donne costituiscono fino al 20% dei pazienti con ATTRwt2. La ATTRwt viene inoltre sempre più spesso riconosciuta come causa di scompenso cardiaco a FE preservata7. È opportuno ricordare che altre possibili cause di ipertrofia miocardica non escludono la diagnosi di AC: ad esempio, i pazienti con ATTRwt sono affetti da ipertensione arteriosa in oltre la metà dei casi, inoltre i pazienti con AC possono presentare valvulopatia mitralica o aortica di entità anche severa2.

Reperti elettrocardiografici L’elettrocardiogramma (ECG) dei pazienti con AC presenta tipicamente complessi QRS con basso voltaggio. Questo fenomeno è attribuibile ad un aumento del volume extracellulare per l’accumulo di fibre amiloidi prive di capacità conduttiva, nonché all’edema miocardico; quest’ultimo elemento potrebbe spiegare perché il pattern a basso voltaggio è più comune nell’amiloidosi AL rispetto alla forma ATTR8. La riduzione di ampiezza dei complessi QRS è un marcatore precoce di malattia e tipicamente si sviluppa prima di un aumento significativo dello spessore della parete ventricolare sinistra. Si riscontra comunemente una discrepanza fra i voltaggi nelle derivazioni periferiche e precordiali, con bassi voltaggi nelle derivazioni periferiche e voltaggi normali o occasionalmente aumentati nelle derivazioni precordiali. Questa discrepanza non si osserva in altre patologie caratterizzate da una riduzione dei voltaggi ECG, quali versamento pericardico o pleurico, obesità, enfisema, pneumotorace o mixedema9,10. In una coorte di 337 pazienti con amiloidosi AL (dei quali 233 con coinvolgimento cardiaco), la prevalenza di bassi voltaggi variava dall’84% (considerando un indice di Sokolow-Lyon ≤15 mm) al 27% quando si considerava un’ampiezza dei complessi QRS ≤5 mm in ciascuna derivazione periferica e ≤10 mm in ogni derivazione precordiale11. In altri studi sull’amiloidosi AL, la prevalenza di bassi voltaggi variava dal 42% al 71% utilizzando diversi criteri diagnostici8-11. Tra i pazienti con AC dimostrata mediante biopsia endomiocardica, solo il 60% dei pazienti con amiloidosi AL e il 35% di quelli con amiloidosi ATTR presentavano bassi voltaggi nelle derivazioni periferiche (55%26. Dato che il GLS si riduce molto più precocemente rispetto alla FE, è stato proposto di valutare il rapporto fra FE e GLS (in valore assoluto), che è risultato significativamente più alto nei pazienti con AC rispetto ad altri soggetti con ipertrofia miocardica, con un cut-off di 4.1 e un’area sotto la curva di 0.91 per differenziare l’AC dalla CMI o da controlli sani27. Analogamente al GLS, i valori di strain circonferenziale e radiale sono risultati significativamente ridotti nei pazienti con AC28. Il reperto tipico è una grave compromissione dello strain longitudinale basale con funzione contrattile dell’apice relativamente preservata. L’apical sparing è presente nella cardiomiopatia AL e ATTR e possiede buona sensibilità e specificità per la diagnosi di AC29. Nelle fasi tardive della malattia si può verificare una dilatazione del VD, attribuibile ad una combinazione di ipertensione polmonare e infiltrazione del VD da parte della sostanza amiloide. La funzione dell’atrio sinistro (AS) è spesso compromessa nell’AC, come dimostrabile valutando parametri che riflettono le funzioni di reservoir, conduzione e funzione contrattile di questa camera cardiaca30. La prevalenza di trombosi dell’AS è notevolmente elevata, anche tra i pazienti in ritmo sinusale31.

Risonanza magnetica cardiaca La risonanza magnetica cardiaca (RMC) consente di valutare la morfologia e le dimensioni dei due ventricoli, la funzione sistolica e la composizione del tessuto miocardico. Nelle forme avanzate di AC la RMC può mostrare reperti quasi patognomonici. È stato dimostrato che la RMC può consentire una diagnosi non invasiva di AC tipo ATTR in combinazione con dati clinici ed elettrocardiografici, scintigrafia con difosfonati e la ricerca di una componente monoclonale32. L’AC è frequentemente associata ad anomalie extra-cardiache, in particolare versamento pleurico (talvolta accompagnato da versamento pericardico) e ascite33. L’ipertrofia asimmetrica è la forma più comune di rimodellamento ventricolare nell’amiloidosi ATTR (79%), seguita dall’ipertrofia concentrica simmetrica (18%) e dall’assenza di ipertrofia del VS (3%). Nell’amiloidosi AL l’ipertrofia asimmetrica è molto meno frequente (14%), mentre l’ipertrofia concentrica è stata riscontrata nel 68% dei casi e l’assenza di ipertrofia del VS nel 18%34. Nell’AC l’ipertrofia è generalmente più pronunciata rispetto a quella osservata nell’ipertensione o alla cardiopatia valvolare. L’ipertrofia è inoltre più evidente nell’amiloidosi ATTR che nella forma AL33. Variazioni degli spessori parietali e della funzione sistolica nell’arco di mesi sono più frequentemente riscontrabili nell’AC tipo AL33 rispetto ad altre forme di ipertrofia miocardica, compresa l’AC tipo ATTR.

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La FE del VS può essere normale anche nella fase tardiva della malattia, mentre la gittata sistolica indicizzata è di solito gravemente ridotta33. Altri reperti comuni sono l’ispessimento e la dilatazione dell’AS, la trombosi in auricola sinistra, nonché l’ipertrofia del VD33. Per quanto riguarda la caratterizzazione tissutale, il pattern tipico consiste in un late gadolinium enhancement (LGE) esteso all’intera regione subendocardica, cui si può associare (specialmente nell’amiloidosi AL) un early darkening del sangue a causa della rapida eliminazione del mezzo di contrasto dal sangue verso l’interstizio miocardico, che è estremamente espanso dalla deposizione di amiloide. Il pattern tipico di LGE è molto più sensibile e specifico della valutazione funzionale mediante ecocardiogramma o RMC e può essere riscontrato precocemente, prima che la massa VS aumenti significativamente33. In una meta-analisi di 7 studi, la RMC con valutazione del LGE ha presentato elevati valori di sensibilità e specificità (85% e 92%, rispettivamente)35. Il LGE può tuttavia presentare una distribuzione differente, ad esempio focale o transmurale36; la presenza di un pattern LGE non caratteristico non consente quindi di escludere l’AC. Dato che l’area di LGE è in genere più estesa nell’amiloidosi AL rispetto alla forma ATTR, ai fini della diagnosi differenziale fra le due forme è stato proposto un sistema di punteggio che tiene conto della presenza di LGE circonferenziale e/o transmurale nelle sezioni basale, mediana e apicale, nonché della presenza di LGE nel VD. Un punteggio ≥13 consente di discriminare l’amiloidosi ATTR dall’amiloidosi AL con una sensibilità dell’82% e una specificità del 76%36. La quantificazione dell’estensione del LGE risulta spesso difficoltosa nei pazienti con AC. Un’ulteriore possibile limitazione consiste nel fatto che l’utilizzo del mezzo di contrasto è controindicato nei pazienti con filtrato glomerulare stimato 12 mm (in assenza di altre cause di ipertrofia) e/o il valore di NT-proBNP >332 ng/L in assenza di malattia renale cronica o fibrillazione atriale46. D’altra parte, livelli circolanti di NT-proBNP anche inferiori non consentono di escludere l’AC, specialmente quando il sospetto clinico è elevato e altre cause di aumento dei peptidi natriuretici sono state escluse. Al momento della diagnosi si riscontra un interessamento renale in due terzi dei pazienti affetti da amiloidosi AL; la nefropatia si può manifestare con proteinuria nel range nefrosico (con escrezione prevalente di albumina, spesso associata a catene leggere monoclonali) e, in alcuni casi, diminuzione del filtrato glomerulare47. Un numero rilevante di casi viene quindi diagnosticato dai nefrologi. Sebbene lo screening per il coinvolgimento cardiaco sia obbligatorio una volta chiarita la diagnosi, la maggior parte dei primi segni di coinvolgimento cardiaco devono essere considerati con attenzione; ad esempio, le concentrazioni circolanti di biomarcatori di danno miocardico sono influenzate dalla funzione renale48 e la malattia renale cronica di per sé promuove lo sviluppo di ipertrofia del VS. La neuropatia autonomica, isolata o associata alla neuropatia sensitivo-motoria, si può associare all’amiloidosi AL o ATTR. Qualora altre cause siano state escluse, la neuropatia dovrebbe richiedere uno screening per l’amiloidosi e per il coinvolgimento cardiaco, in particolare in sottogruppi ad alto rischio, ad esempio i portatori di mutazioni del gene TTR18, i soggetti con segni di interessamento multiorgano o storia familiare di ipertrofia miocardica.

RED RED FLAGS PER IL SOSPETTO DI AMILOIDOSI CARDIACA

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Figura 2. Approccio multidisciplinare come chiave per la diagnosi precoce di amiloidosi cardiaca. AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline; ATTR, amiloidosi da transtiretina; RMC, risonanza magnetica cardiaca; VS, ventricolo sinistro. Fonte: Vergaro et al., 201949.

Conclusioni La diagnosi di AC è spesso complicata dall’eterogeneità fenotipica, dal frequente coinvolgimento sistemico, dalla mancanza di un singolo strumento diagnostico non invasivo e dalla consapevolezza ancora limitata della malattia da parte della comunità medica. Recenti studi hanno messo in discussione la visione dell’AC come malattia rara e incurabile e hanno ridefinito l’epidemiologia e le opzioni terapeutiche di questa condizione. Una diagnosi mancata o tardiva può avere un impatto deleterio sulla prognosi del paziente, in quanto ritarda o impedisce la somministrazione di trattamenti potenzialmente salvavita, come la chemioterapia nel caso dell’amiloidosi AL. I medici che possono trovarsi a gestire pazienti affetti da AC devono quindi essere in grado di riconoscere le red flags di amiloidosi al fine di avviare tempestivamente un iter diagnostico adeguato.

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Figura 3. Approccio multidisciplinare come chiave per la diagnosi precoce di amiloidosi cardiaca. La diagnosi di amiloidosi cardiaca richiede spesso la collaborazione di diverse figure specialistiche, anche in relazione al frequente interessamento multiorgano di malattia AL, ATTR, cTn, HFpEF, HFrEF, NP, VD, VS.

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Red flags per il sospetto di amiloidosi cardiaca Take Home Messages • La diagnosi di amiloidosi cardiaca è spesso complicata dall’eterogeneità del fenotipo, dal frequente coinvolgimento sistemico e da una consapevolezza ancora limitata della malattia. • I medici che possono venire in contatto con pazienti affetti da amiloidosi cardiaca devono saper riconoscere le red flags di questa condizione. • Una diagnosi tempestiva richiede una collaborazione fra diversi specialisti e la capacità di analizzare globalmente dati clinici, laboratoristici, elettrocardiografici e di imaging.

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TERAPIA CARDIOLOGICA DELLO SCOMPENSO CARDIACO NELL’AMILOIDOSI Claudio Passino Luigi F. Saccaro

TERAPIA CARDIOLOGICA DELLO SCOMPENSO CARDIACO NELL’AMILOIDOSI Claudio Passino, Luigi F. Saccaro Sommario

L’

amiloidosi può coinvolgere una varietà di organi, come i reni, il fegato, il sistema nervoso autonomo e il cuore. In particolare, lo sviluppo di cardiomiopatia amiloidotica rappresenta una seria complicanza che richiede un trattamento specifico, affiancato in genere ad una terapia eziologica volta a ridurre la produzione ed il deposito della sostanza amiloide. Il coinvolgimento cardiaco nell’amiloidosi si configura generalmente come una cardiomiopatia restrittiva che può evolvere in scompenso a frazione di eiezione preservata. Inoltre, questa patologia si caratterizza anche per un danno diretto sul cardiomiocita, mediato dalla deposizione di sostanza amiloide o dalla tossicità del precursore amiloidogenico. Per tale motivo, la terapia cardiologica deve essere mirata a migliorare l’omeostasi energetica e del calcio a livello miocardico, a prevenire le aritmie, ad attenuare l’attivazione neurormonale, a migliorare la distensibilità del miocardio e l’emodinamica del paziente. I farmaci impiegati nel trattamento dell’amiloidosi cardiaca comprendono diuretici dell’ansa, agli antagonisti dell’aldosterone e agli antiaritmici. L’efficacia, l’utilità e la tollerabilità di beta-bloccanti, digossina, ACE-inibitori o degli antagonisti del recettore dell’angiotensina sono dibattute nella cardiopatia amiloidotica, ma questi farmaci possono dare un contributo alla stabilizzazione di pazienti con segni e sintomi di scompenso cardiaco. In pazienti selezionati con particolari forme di amiloidosi cardiaca anche il trapianto cardiaco può essere una terapia efficace.

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Elenco delle abbreviazioni ACE, enzima convertitore dell’angiotensina AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline ATTR, amiloidosi da transtiretina ICD, defibrillatore cardiaco impiantabile LVAD, dispositivo di assistenza del ventricolo sinistro SC, scompenso cardiaco

Introduzione Come discusso nei capitoli precedenti, l’amiloidosi può coinvolgere molteplici organi, fra cui i reni, il fegato, il sistema nervoso autonomo e il cuore. La frequenza del coinvolgimento cardiaco varia tra i diversi tipi di amiloidosi, così come la prognosi. Tuttavia lo sviluppo di cardiomiopatia amiloidotica rappresenta una complicanza seria che richiede un trattamento. Fermo restando che la terapia debba, se possibile, essere mirata alla causa eziologica e quindi richieda preliminarmente un corretto inquadramento diagnostico, come discusso in dettaglio nelle sezioni precedenti sulla diagnosi delle amiloidosi, il paziente con cardiomiopatia amiloidotica può giovare anche di terapie volte a trattare e prevenire lo sviluppo e la progressione dello scompenso cardiaco (SC).

Cenni di terapia eziologica L’approccio terapeutico prioritario per la cardiomiopatia amiloidotica resta la terapia eziologica, discussa più nel dettaglio nei capitoli successivi. Il miglioramento della prognosi della cardiopatia amiloidotica è correlato alla riduzione della produzione e dell’accumulo dell’amiloide tramite chemioterapia mirata nel caso dell’amiloidoisi da catene leggere delle immunoglobuline (AL) o il trapianto epatico in alcuni casi di cardiomiopatia da amiloidosi da transtiretina (ATTR) familiare. Sono attualmente disponibili diversi regimi chemioterapici per la terapia dell'amiloidosi AL e, se si arriva a controllare la discrasia plasmacellulare, si ottiene spesso anche una diminuzione relativamente rapida dei biomarcatori sierici di scompenso1. Sono poche, invece, le terapie che permettono di rallentare la progressiva deposizione amiloide, ma ci sono alcune evidenze che dimostrano che la doxiciclina può non solo prevenire la fibrillogenesi, ma anche ridurre gli accumuli di amiloide2.

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Terapie per lo scompenso cardiaco nella cardiomiopatia amiloidotica Non essendoci evidenze scientifiche dell’efficacia della terapia dello SC nella cardiomiopatia amiloidotica (che normalmente è un criterio di esclusione di tutti i trial che hanno portato alla dimostrazione dell’efficacia prognostica delle attuali terapie per lo SC), l’approccio terapeutico si deve basare su considerazioni fisiopatologiche. Per queste ragioni il trattamento dello SC nei pazienti con amiloidosi cardiaca differisce per alcuni aspetti dalla terapia generalmente raccomandata negli altri pazienti. Meccanismi, target terapeutici e obiettivi della terapia cardiologica Esistono meccanismi specifici che conducono allo SC nell’amiloidosi cardiaca e che condizionano l’impostazione della terapia. La deposizione dell’amiloide nello spazio extracellulare cardiaco danneggia sia il miocardio di lavoro che il miocardio di conduzione, oltre a causare un ispessimento e una riduzione della distensibilità delle pareti cardiache. L’ispessimento parietale può essere importante, al punto da assomigliare ad una cardiomiopatia ipertrofica, anche se la comparsa di ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro è un evento raro3,4. Il meccanismo fisiopatologico cardine dello SC nell’amiloidosi è rappresentato dalla riduzione della distensibilità delle pareti ventricolari dovuta ai depositi di amiloide, ovvero da un quadro di cardiopatia restrittiva che, ostacolando il riempimento diastolico dei ventricoli, può condurre ad uno SC a frazione d’eiezione preservata. Le alterazioni conseguenti ad una disfunzione diastolica coinvolgono in primo luogo i ventricoli, la cui pressione diastolica aumenta (la curva pressione-volume diastolica è spostata verso l’alto). I ventricoli si riempiono meno e più lentamente, dunque prevalentemente in telediastole, e la loro capacità di aumentare la distensione diastolica o di utilizzare il meccanismo di Frank-Starling durante l’esercizio diminuiscono. Tuttavia, anche gli atri sono coinvolti, dato che una minore distensibilità parietale rende il riempimento ventricolare maggiormente dipendente dalla contrazione atriale, e aumenta anche la pressione nell’atrio sinistro che spesso va incontro a rimodellamento, favorendo aritmie atriali che sono particolarmente comuni nei pazienti con amiloidosi cardiaca5. La disfunzione ventricolare e la riduzione della gittata cardiaca, tramite un’inibizione dei barocettori e un potenziamento del riflesso dei chemocettori6,7, causano un’iperattivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone, che prevalgono sulla produzione di peptidi natriuretici cardiaci7. Questo squilibrio neurormonale porta dunque a vasocostrizione, ritenzione idrica, aumento del rischio aritmico e ischemico. L’attivazione simpatica cronica favorisce anche lo stress ossidativo e uno stato pro-infiammatorio che caratterizzano lo SC e che aggravano il rimodellamento patologico del miocardio compromettendo ulteriormente il metabolismo energetico dei cardiomiociti a causa di una disfunzione mitocondriale mediata dai radicali liberi dell’ossigeno8,9. Lo stato pro-infiamma-

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torio in particolare sembra centrale nello SC a frazione di eiezione preservata10. Tali meccanismi innescano un circolo vizioso che aggrava progressivamente lo SC riducendo la gittata cardiaca e promuovendo ulteriormente l’attivazione neuroormonale11. In secondo luogo, i cardiomiociti sono sottoposti a compressione e stress meccanico a causa dell’infiltrazione dell’amiloide che ne altera l’architettura. Come descritto nei capitoli precedenti, è stata dimostrata a livello sperimentale un’azione citotossica diretta dei precursori dell'amiloide AL sulle cellule del miocardio12, che sarebbe una delle ragioni che giustificherebbero la prognosi peggiore della cardiomiopatia causata da questo tipo di amiloidosi rispetto all’amiloidosi ATTR. Infatti, anche in assenza di fibrille di amiloide, le sole catene leggere circolanti possono danneggiare il miocardio13, inducendo disfunzione lisosomiale e autofagia, generazione di specie reattive dell’ossigeno14, alterazione del metabolismo del calcio e, infine, morte cellulare15,16. Inoltre, soprattutto a livello atriale, la deposizione di amiloide può risultare non solo in un deficit di contrattilità atriale, ma anche in alterazioni del miocardio di conduzione. Queste ultime spiegano l’alta prevalenza di aritmie nell’amiloidosi cardiaca ed in particolare di fibrillazione atriale e di blocchi atrioventricolari. Inoltre, la sostanza amiloide si deposita non solo a livello del muscolo cardiaco ma anche delle valvole cardiache, dei vasi polmonari e dello spazio perivascolare, e può dunque causare alterazioni anche di queste strutture, diminuendo la reattività arteriolare e causando disfunzione microvascolare a livello coronarico17 o, più raramente, patologie valvolari o ipertensione polmonare e cor pulmonale18. In particolare, la deposizione dell’amiloide è tipicamente diffusa e localizzata a livello di arterie, arteriole ed endocardio nell’amiloidosi AL, mentre assume una distribuzione prevalentemente nodulare nell’amiloidosi ATTR19. Questi differenti pattern di deposizione, assieme alla tossicità intrinseca delle catene leggere delle immunoglobuline, possono spiegare la maggiore severità dell’impegno cardiaco nella forma AL rispetto alla ATTR16, nonostante l’amiloidosi ATTR sia caratterizzata da un maggiore grado di pseudoipertrofia ventricolare sinistra20. I sintomi dello SC insorgono solitamente quando la deposizione di amiloide è significativa. Il primo sintomo è spesso la dispnea da sforzo, associata eventualmente ad epatomegalia, turgore giugulare, ascite ed edemi periferici16. La fibrillazione atriale ed i fenomeni tromboembolici ad essa correlata possono essere manifestazioni della cardiopatia amiloidotica, assieme a sincope da sforzo, angina e claudicatio intermittens (della mandibola o degli arti inferiori) dovute alla ridotta gittata cardiaca e al danno microvascolare21,22.

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Terapia medica dello scompenso cardiaco Per alleviare i sintomi dello SC a frazione d’eiezione preservata che insorge nella cardiomiopatia da amiloidosi è necessario ridurre la pressione polmonare venosa, mantenere la contrazione atriale e prevenire le aritmie ed in particolare la tachicardia. Sono importanti inoltre una adeguata resitrizione idrica e, in assenza di iponatriemia, una dieta iposodica per evitare il sovraccarico di fluidi23. Come nelle altre forme di SC a frazione di eiezione preservata, anche in quello causato dall’amiloidosi cardiaca è indicata una terapia con diuretici per ridurre la congestione periferica e polmonare. In particolare, la combinazione di diuretici dell’ansa e di antagonisti dell’aldosterone (la cui azione è soprattutto antifibrotica24) si è dimostrata efficace25,26. Anche se sono terapie indicate ed efficaci nello SC a frazione di eiezione ridotta, l’utilità di beta-bloccanti, ACE (enzima di conversione dell’angiotensina) inibitori, e bloccanti dei recettori dell’angiotensina è dibattuta nello SC a frazione di eiezione preservata e, di conseguenza, anche il loro impiego nella cardiomiopatia amiloidotica non è univocamente riconosciuto. Per quanto questi farmaci possano contribuire a ripristinare un corretto bilancio neuroromonale, vanno utilizzati con particolare cautela nei pazienti nei quali si sospetti la presenza di neuropatia autonomica subclinica in quanto potrebbero peggiorare l’ipotensione ortostatica27. Inoltre, l’utilizzo dei beta-bloccanti nella cardiomiopatia amiloidotica è ulteriormente limitato dal potenziale rischio di bradiaritmie iatrogene. Ciononostante, in pazienti in cui sono state escluse bradiaritmie, i beta-bloccanti possono essere utilizzati16 al fine di incrementare i tempi di riempimento ventricolare e di ridurre l’attivazione simpatica. Sull’effetto positivo o meno della riduzione della frequenza cardiaca nella cardiomiopatia amiloidotica ci sono evidenze discordanti: infatti, il beneficio di un aumentato tempo di riempimento potrebbe essere vanificato dalla perdita del cronotropismo, unico fattore in grado di sostenere la portata cardiaca nelle fasi avanzate16. Per quanto esistano dei dati che supporterebbero una maggiore tossicità della digossina dovuta al suo legame con le fibrille amiloidi28,29, un suo uso attento ed a basse dosi può essere di aiuto nel controllare la risposta ventricolare media nei pazienti in fibrillazione atriale30. I calcio-antagonisti non diidropiridinici (come diltiazem e verapamil) sono controindicati per il loro effetto inotropo negativo potenziato dalla possibilità di legame con le fibrille amiloidi31–33. Analogamente allo SC cronico, gli obiettivi della terapia dello SC acuto a frazione di eiezione preservata in un paziente con cardiomiopatia amiloidotica includono il controllo del volume intravascolare con diuretici, dell’ipertensione, delle aritmie, la prevenzione e la terapia dell’ischemia miocardica. I diuretici devono tuttavia essere usati con cautela per evitare un’ipovolemia che peggiorerebbe ulteriormente un riempimento diastolico già compromesso. In caso di refrattarietà ai diuretici o di shock cardiogeno, nei pazienti con amiloidosi cardiaca possono

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essere impiegate amine vasoattive, anche se uno studio recente ne ha dimostrato la scarsa efficacia con una mortalità del 50%34. L’ipotensione ortostatica è piuttosto frequente e riconosce come causa la neuropatia autonomica35,36. In questi pazienti può essere utilizzata una terapia con vasocostrittori periferici come la midodrina. La midodrina è particolarmente ben tollerata poiché l’incidenza di ipertensione clinostatica, una complicanza relativamente frequente di questo trattamento, non si manifesta nei soggetti con amiloidosi, che dunque possono tollerare anche alte dosi16.

Terapia anticoagulante, antiaritmica e device Un danno diffuso al miocardio di conduzione, nella forma di blocchi atrioventricolari avanzati o di malattia del nodo del seno è comune nell’amiloidosi, in particolare nella ATTR, e spesso richiede una terapia specifica e/o l’impianto di un pacemaker37,38. Gli episodi di fibrillazione atriale sono frequenti nei pazienti con cardiomiopatia amiloidotica (sino al 44% dei pazienti), ma hanno un impatto limitato sulla mortalità39. La cardioversione elettrica ha la stessa efficacia che nei soggetti non affetti da amiloidosi, ma presenta un maggior rischio di complicanze bradi- e tachiaritmiche40. Il beneficio dell’ablazione transcatetere resta solo sul controllo dei sintomi, dato che uno studio recente non ha identificato effetti sulla mortalità in 26 pazienti con fibrillazione atriale e cardiomiopatia amiloidotica41. La terapia anticoagulante non andrebbe interrotta in considerazione dell’elevato rischio di trombosi auricolare rispetto a pazienti non affetti da amiloidosi42. Va inoltre ricordato che, anche in assenza di fibrillazione atriale, i pazienti con cardiomiopatia amiloidotica, e in particolare nella forma AL, sono maggiormente a rischio per la formazione di trombi intracardiaci a prescindere dallo score CHA2DS2-VASc. L’infiltrazione delle pareti atriali può infatti produrre una disfunzione meccanica dell’atrio in grado di promuovere la formazione dei trombi. Per tale motivo, in caso di riscontro di aritmie atriali o di disfunzione meccanica all’ecocardiografia o alla risonanza magnetica cardiaca, dovrebbe essere considerata la terapia anticoagulante16,42,43. Per quanto sia necessario un maggiore livello di attenzione, con uno screening completo per escludere la presenza di bradiaritmie, un’attenta raccolta anamnestica, ai fini di identificare una sintomatologia suggestiva, ed uno stretto follow-up clinico e strumentale, le indicazioni per l’utilizzo di un pacemaker nei pazienti con amiloidosi cardiaca sono analoghe a quelle per pazienti senza amiloidosi44. I defibrillatori cardiaci impiantabili (ICD) sembrano offrire una minor protezione contro la morte improvvisa nei pazienti con cardiomiopatia amiloidotica. Questa differenza potrebbe essere spiegata dal fatto che la maggior parte delle morti improvvise nei pazienti con amiloidosi cardiaca sembra essere causata da bradicardia dovuta a dissociazione elettromeccanica45,46. In ogni caso, gli ICD restano indicati per la prevenzione secondaria in pazienti con cardiomiopatia amiloidotica resuscitati da un’aritmia potenzialmente

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fatale46,47. L’impianto di un dispositivo di assistenza del ventricolo sinistro (LVAD) laddove vi sia progressione verso lo scompenso refrattario è stato proposto in pazienti con amiloidosi e si è dimostrato di efficacia prognostica pari a quella osservata in pazienti impiantati con LVAD per cardiopatie restrittive non amiloidotiche48.

Trapianto Anche se il trapianto cardiaco potrebbe essere una terapia risolutiva per una malattia strutturale come la cardiomiopatia amiloidotica, non è facile identificare i pazienti potenzialmente candidabili. L’amiloidosi AL è spesso estesa ad altri organi oltre al

Figura 1. Principali meccanismi di progressione dello scompenso cardiaco nei pazienti con amiloidosi cardiaca. I depositi di amiloide possono contribuire ad alterare la funzione sisto-diastolica del ventricolo sinistro, determinare disfunzioni valvolari e alterazioni di tipo ischemico o compromettere la formazione e conduzione dell'impulso elettrico. Questi meccanismi possono promuovere l'insorgenza e la progressione della sindrome clinica dello scompenso cardiaco.

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cuore e richiede una chemioterapia e un trapianto di midollo post-intervento per evitare che l’amiloide si accumuli nuovamente anche nel cuore trapiantato49–51. La combinazione di questi trattamenti sembra dare ottimi risultati anche se mancano dati su follow-up a lungo termine50–56 e studi randomizzati50–56–16. Nella maggior parte dei paziente affetti da amiloidosi ATTR wild type, che non presenta in genere un significativo coinvolgimento extra-cardiaco, il trapianto è controindicato dall’età, ma sono stati descritti alcuni casi in cui il trapianto ha avuto successo in pazienti più giovani57. Nei pazienti con ATTR familiare il trapianto cardiaco può rappresentare un’opzione solo se combinato con un trapianto di fegato, sede della produzione della transtiretina mutata58.

Conclusioni Il coinvolgimento cardiaco da amiloidosi conduce generalmente a quadri di SC a frazione di eiezione preservata. L’evoluzione clinica verso lo SC può essere molto variabile e dipende in primis dal tipo di amiloidosi, con l’amiloidosi che sviluppa la sindrome clinica in tempi molto rapidi e l’amiloidosi ATTR caratterizzata da un decorso più indolente. Ne deriva che l’instaurazione di una corretta terapia eziologica debba essere tempestiva nell’amiloidosi AL. Per quanto non vi siano evidenze da trial clinici randomizzati o da registri di patologia di un beneficio prognostico della terapia cardiologica nell’amiloidosi cardiaca, è opinione di chi scrive che l’utilizzo ragionato di ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti ed anti-aldosteronici, ritagliato sul quadro clinico e di comorbidità del singolo paziente, possa avere un impatto positivo sul mantenimento del compenso emodinamico e sull’evoluzione clinica.

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Terapia cardiologia dello scompenso cardiaco nell'amiloidosi Take Home Messages • L’approccio terapeutico prioritario per la cardiomiopatia amiloidotica, specialmente per l'amiloidosi AL, resta la terapia eziologica. • Mancano evidenze scientifiche dell’efficacia della terapia dello scompenso cardiaco in presenza di cardiomiopatia amiloidotica; pertanto, l’approccio terapeutico si deve basare su considerazioni fisiopatologiche. • Oltre alla terapia per il controllo della congestione, è verosimile che l’utilizzo ragionato di ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti ed anti-aldosteronici, ritagliato sul quadro clinico e di comorbidità del singolo paziente, possa avere un impatto positivo sul mantenimento del compenso emodinamico.

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CURA E FOLLOW-UP DELL’AMILOIDOSI DA CATENE LEGGERE DELLE IMMUNOGLOBULINE Gabriele Buda Luigi F. Saccaro

CURA E FOLLOW-UP DELL’AMILOIDOSI DA CATENE LEGGERE DELLE IMMUNOGLOBULINE Gabriele Buda, Luigi F. Saccaro

Sommario

L’

amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (AL) è una patologia ematologica, caratterizzata da depositi di catene leggere κ o λ delle immunoglobuline (prodotte da un clone di plasmacellule midollari) che si trasformano in fibrille di amiloide e si accumulano progressivamente nei vari organi e tessuti. Gli organi più spesso colpiti sono il cuore, i reni e il midollo osseo. Altre sedi di malattia sono rappresentate dal fegato, dal tratto gastroenterico e dal sistema nervoso. Per le caratteristiche di malattia sistemica e per le modalità di presentazione, la gestione del paziente con amiloidosi AL deve essere multidisciplinare, coinvolgendo specialisti in ematologia, cardiologia, patologia clinica, radiologia, nefrologia, neurologia e gastroenterologia. Prima di impostare la terapia, è importante procedere con la stadiazione della malattia, identificando quali pazienti siano candidabili al trapianto. Generalmente, il trattamento farmacologico consiste in schemi simili a quelli utilizzati per il mieloma multiplo. In caso di recidive si ricorre a terapie di seconda e terza linea anch’esse mutuate dal modello mieloma. Nonostante i recenti avanzamenti terapeutici e diagnostici, l’amiloidosi AL resta una patologia con una prognosi spesso severa.

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Elenco delle abbreviazioni AL, amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline BMDex, schema bortezomib-melfalan-desametasone CyBorD, schema ciclofosfamide-bortezomib-desametasone FISH, fluorescence in situ hybridization FLC, free light chain MDex, schema melfalan-desametasone NT-proBNP, N-terminal fraction of B type natriuretic peptide TC, tomografia computerizzata

Razionale e obiettivi della terapia Diagnosi e terapia precoci hanno permesso di ridurre la mortalità nei pazienti con amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (AL), riuscendo ad ottenere remissioni profonde, anche se le recidive restano comuni1-3. La remissione viene raggiunta riducendo la produzione del precursore amiloidogenico e la deposizione di amiloide per mezzo di terapie mirate al clone plasmacellulare midollare. In ragione della natura multisistemica della malattia, la gestione del paziente con amiloidosi AL è sempre multidisciplinare, coinvolgendo in primis l’ematologo, ma anche specialisti in cardiologia, patologia clinica, radiologia, nefrologia, neurologia e gastroenterologia. Esistono rare forme localizzate di amiloidosi AL (come per esempio quelle che coinvolgono l’apparato genitourinario, tracheobronchiale e le lesioni cutanee non purpuriche) che possono richiedere terapia sistemica o, in casi selezionati, topica, come l’escissione chirurgica o la rimozione laser4,5. Tuttavia, il maggiore determinante prognostico nella amiloidosi AL è rappresentato dalla presenza di interessamento cardiaco. La presenza di danno miocardico è da un lato oggetto di terapia di supporto specifica, dall’altro un elemento di fondamentale importanza nella pianificazione della strategia terapeutica ematologica, in particolare nella selezione dei pazienti da candidare a trapianto di midollo osseo6,7.

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Inquadramento generale del paziente Oltre all’esame clinico, è necessario eseguire esami ematochimici completi di emocromo, funzione epatica, renale, biomarcatori cardiaci, tiroidei e elettroforesi delle proteine sieriche, dosaggio delle singole immunoglobuline e delle catene leggere libere κ e λ su siero ed urine, immunofissazione serica e urinaria. Il completamento della diagnostica può prevedere lo studio del midollo con con mieloaspirato e biopsia ossea, per la valutazione morfologica, la quantificazione dell’impegno plasmacellulare e lo studio del cariotipo con metodica tradizionale o fluorescence in situ hybridization (FISH)8–10. L’imaging ecografico o mediante tomografia computerizzata (TC) è utile per valutare l’eventuale impegno degli organi addominali, in particolare di rene e fegato, sebbene talora richieda il supporto di indagini bioptiche per giungere ad una diagnosi definitiva di coinvolgimento d’organo11,12.

Trapianto autologo di midollo osseo Circa il 20% dei pazienti con una nuova diagnosi di amiloidosi AL è giudicato idoneo a ricevere un trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche13. Per quanto la valutazione di tale trattamento venga effettuata individualmente, le attuali linee guida indicano alcuni criteri per la selezione dei pazienti, in particolare età inferiore ai 70 anni, velocità di filtrazione glomerulare >40 mL/min/1.73 m2, livelli di troponina T 100 mmHg, un valore sulla scala di Karnofsky (indice multiparametrico di autonomia e qualità della vita) ≤2, classe New York Heart Association I o II, non dipendenza da ossigenoterapia, coinvolgimento di non più di due organi, assenza di versamento pleurico significativo6,14,15. Per la terapia di induzione viene usato nella maggior parte dei protocolli il bortezomib, un inibitore del proteosoma di prima generazione, in associazione allo steroide o con l’aggiunta di ciclofosfamide (secondo lo schema CyBorD). Al posto della ciclofosfamide può essere somministrata in prima linea la talidomide, un farmaco immunomodulante di prima generazione16-17. L’utilizzo della talidomide nella terapia di induzione deve comunque essere valutato con attenzione perché, sebbene efficace, risulta meno tollerato nei pazienti con amiloidosi AL18,19. Per il trapianto viene tipicamente utilizzata una chemioterapia mieloablativa con alte dosi di melfalan (in genere 200 mg/m2), un agente alchilante20-24. In pazienti con altre comorbidità o particolarmente anziani è possibile utilizzare una dose ridotta (100-140 mg/m2)25. La finalità del trapianto è quella di consolidare la risposta alla terapia di induzione, ridurre l’impegno d’organo e migliorare la qualità della vita26. Trial clinici che confrontavano la chemioterapia convenzionale con il trapianto hanno dato risultati contrastanti21,27–32. Tuttavia, anche rispetto ai pazienti con mieloma multiplo, per i quali la terapia è molto simile, i pazienti con amiloidosi AL restano più fragili, ma possono comunque godere di un buon outcome a lungo termine se avviati a trapianto dopo accurata selezione (Figura 1)33.

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Terapia nei pazienti non candidabili a trapianto Non c’è consenso generale sulla terapia da utilizzare nei pazienti con amiloidosi AL non candidabili al trapianto. I pazienti meno fragili possono essere trattati sul modello dei pazienti candidabili a trapianto, secondo lo schema CyBorD. In alternativa la ciclofosfamide può essere sostituita dal melfalan orale secondo lo schema BMDex34,35. Anche l’utilizzo di melfalan e desametasone senza bortezomib (MDex) può costituire un trattamento efficace in pazienti particolarmente anziani o fragili 36. Sempre sul modello dei trattamenti per il mieloma multiplo, sono in corso trial clinici sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale specifico anti-CD38, i cui risultati sono assai promettenti ma per il quale ad oggi non vi è indicazione clinica all’utilizzo in prima linea di trattamento.

Valutazione della risposta La valutazione della risposta si basa su criteri ematologici e d’organo stabiliti dalla Roundtable on Clinical Research in Immunoglobulin Light Chain Amyloidosis ed è di cruciale importanza nella stratificazione prognostica dei pazienti13,45,46. La risposta

Figura 1. Target del trattamento della amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline. ASCT, autologous stem cell transplantation. Modificata da Aimo A, Buda G, Fontana M, et al. Therapies for cardiac light chain amyloidosis: An update. Int J Cardiol 2018;271:152-160.

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ematologica può essere valutata tramite la differenza tra le catene leggere libere circolanti (dFLC) coinvolte (involved) e non coinvolte (uninvolved) nel processo amiloidogenico. Se, per esempio, le catene libere anormali sono λ, queste ultime sono le coinvolte (iFLC) e le κ le non coinvolte (uFLC). La differenza (dFLC) in questo esempio sarà data da iFLC-uFLC, cioè λ meno κ. Una risposta completa è definita dalla normalizzazione della dFLC con immunofissazione serica e urinaria negativa. Altre modalità di risposta alla malattia ematologica sono definite come risposta parziale molto buona (dFLC 50%) o assenza di risposta46. Parallelamente alla risposta ematologica, in ciascun paziente può essere valutata, sulla base della distribuzione dell’interessamento d’organo, la risposta cardiaca (definita come riduzione dei valori di NT-proBNP >30% e >300 ng/L se i livelli iniziali di NT-proBNP sono >650 ng/L)46, e la risposta renale, in particolare utilizzando le variazioni nell’entità della proteinuria47. I criteri di selezione dei pazienti per ciascuno degli approcci terapeutici ed i relativi tassi di risposta sono riassunti nella Figura 2.

Figura 2. Opzioni terapeutiche e classe di rischio dei pazienti con amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline. BorMDex, bortezomib, melfalan e desametasone; CT, chemioterapia; CyBorD, bortezomib, ciclofosfamide e desametasone; ECOG, Eastern Cooperative Oncology Group; HDM-ASCT, high-dose melphalan and autologous stem cell transplantation; ICD, implantable cardioverter defibrillator; LVAD, left ventricularassist device; MDex, melfalan-desametasone; NT-proBNP, N-terminal fraction of pro-B-type natriuretic peptide; NYHA, New York Heart Association SBP, systolic blood pressure. Modificata da Aimo A, Buda G, Fontana M, et al. Therapies for cardiac light chain amyloidosis: An update. Int J Cardiol 2018;271:152-160.

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Terapia delle recidive o dei non-responders I pazienti che hanno recidive o non rispondono alla terapia, sia essa il trapianto, o i regimi chemioterapici a base di bortezomib o di melfalan, possono essere trattati con inibitori del proteasoma di prima o seconda generazione (carfilzomib o ixazomib) o con altri immunomodulanti, come la lenalidomide o la pomalidomide48-59.

Conclusioni Anche se i recenti avanzamenti diagnostici e terapeutici hanno rivoluzionato la gestione dei pazienti con amiloidosi AL, questa patologia resta complessa e richiede centri specializzati con adeguate tecnologie ed esperienza. Grazie ai risultati dei recenti trial clinici e ad una migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici di malattia, il trattamento dei pazienti con amiloidosi AL potrà migliorare ulteriormente nel prossimo futuro.

CURA CURA EEFOLLOW-UP FOLLOW-UP DELL’AMILOIDOSI DELL’AMILOIDOSI AL

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Cura e follow-up dell’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline Take Home Messages • L’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline (AL) è una patologia ematologica caratterizzata da depositi di catene leggere di immunoglobuline sotto forma di fibrille amiloidi. La terapia si articola in base ad un’attenta stadiazione del paziente ed è simile a quella per il mieloma multiplo. • La terapia nei pazienti in buono stato generale si basa sulla chemioterapia e il trapianto di cellule staminali autologhe, utilizzando chemioterapia mieloablativa con melfalan. • I pazienti non candidabili al trapianto possono essere trattati con schemi di chemioterapia basati su bortezomib, ciclofosfamide o melfalan, e desametasone.

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TERAPIA DELL’AMILOIDOSI DA TRANSTIRETINA Alberto Aimo Giorgia Panichella Michele Emdin Giuseppe Vergaro

TERAPIA DELL’AMILOIDOSI DA TRANSTIRETINA Alberto Aimo, Giorgia Panichella, Michele Emdin, Giuseppe Vergaro

Sommario

L’

amiloidosi da transtiretina (ATTR) è una patologia spesso misconosciuta e un importante causa di morbidità e mortalità, il che giustifica gli attuali tentativi di sviluppare terapie sicure ed efficaci. Per molti anni, il trapianto di fegato o il trapianto combinato di fegato e cuore hanno rappresentato sostanzialmente le uniche opzioni terapeutiche per i pazienti con malattia legata a mutazioni del gene TTR. Una migliore comprensione della fisiopatologia dell’amiloidosi ATTR ha determinato lo sviluppo di vari approcci farmacologici volti ad inibire la sintesi epatica di transtiretina (TTR), stabilizzare i tetrameri, promuovere la disaggregazione delle fibrille o il riassorbimento dei depositi di amiloide. Un notevole impulso alla ricerca in quest’ambito è stato fornito dai risultati positivi di uno studio clinico di fase 3 sul tafamidis, uno stabilizzatore del tetramero di TTR, e dell’approvazione dello stesso da parte della Food and Drug Administration e dalla European Medicines Agency per il trattamento della cardiomiopatia da ATTR, nonché dei risultati promettenti con altri farmaci (principalmente patisiran, inotersen e AG10).

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Elenco delle abbreviazioni ATTR, amiloidosi da transtiretina (ATTRv, forma variante; ATTRwt, forma wild type) COMT, catecol-O-metiltransferasi EGCG, epigallocatechin-3-gallato EMA, European Medicines Agency FANS, farmaco antinfiammatorio non steroideo FDA, Food and Drugs Administration KCCQ-OS, Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire Overall Summary Score NT-proBNP, frazione N-terminale del pro-peptide natriuretico di tipo B SAP, proteina siero amiloide P siRNA, small interfering RNA TTR, transtiretina TUDCA, acido tauroursodesossicolico VS, ventricolo sinistro

Introduzione Fino a poco tempo fa, la cardiopatia legata ad amiloidosi da transtiretina (ATTR) era una condizione priva di terapie di comprovata efficacia prognostica. La situazione è cambiata nel 2018, quando è stato dimostrato che il tafamidis, uno stabilizzatore del tetramero di transtiretina (TTR), migliora la storia naturale di questa condizione riducendo significativamente la mortalità e le ospedalizzazioni per cause cardiovascolari. Tali risultati hanno condotto all’approvazione del tafamidis per la terapia della cardiopatia da amiloidosi ATTR e hanno fornito un notevole impulso alla ricerca in quest’ambito, con l’avvio di studi clinici su molecole già utilizzate in pazienti con polineuropatia da amiloidosi ATTR (ad esempio, inotersen e patisiran) oppure su farmaci ancora in fase di sviluppo, come lʼAG10. In questo capitolo si fornirà una panoramica delle possibili opzioni terapeutiche per l’impegno cardiaco da amiloidosi ATTR, classificate in base alla tappa della cascata amiloidogenica su cui agiscono (Figura 1). È importante sottolineare che la gestione dei pazienti con interessamento cardiaco non può prescindere da una terapia cardiologica di supporto, come già discusso in dettaglio.

Inibizione della sintesi di transtiretina mutata Trapianto di fegato e trapianto combinato di cuore e fegato Il trapianto ortotopico di fegato è stato il primo approccio terapeutico proposto per la forma ereditaria di ATTR, nel 19901. Il trapianto di fegato rimuove la fonte principale di molecole di TTR mutate e prolunga la sopravvivenza, che a 20 anni risul-

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ta essere del 55%2. Sono stati identificati alcuni indicatori indipendenti di migliore prognosi: elevato indice di massa corporea, età inferiore a 50 anni, minore durata della malattia e presenza della mutazione V30M2. Tuttavia, l’accumulo tissutale di TTR continua anche dopo il trapianto di fegato, probabilmente perché le fibre amiloidi di TTR promuovono il successivo deposito di TTR wild type (TTRwt). Questo è stato dimostrato in uno studio autoptico in cui i pazienti senza trapianto di fegato mostravano nel cuore 60% della variante mutata di TTR (TTRv) e 40% di TTRwt, mentre il rapporto tra TTRv e TTRwt era 25/75% dopo trapianto di fegato3. Inoltre, i pazienti con la mutazione V30M sottoposti a trapianto di fegato hanno mostrato un incremento dello spessore del setto interventricolare all’ecocardiogramma di controllo, ad indicare un costante deposito di TTRwt nel cuore trapiantato4. Il trapianto combinato di fegato e cuore può essere preso in considerazione in pazienti giovani con cardiomiopatia da amiloidosi ATTRv ed è stato associato ad una prognosi migliore rispetto al solo trapianto di cuore in uno studio di piccole dimen-

Figura 1. Cascata patogenetica dell'amiloidosi cardiaca da transtiretina (TTR) e approcci terapeutici mirati. ASO, antisense oligonucleotide; ATTRv: amiloidosi da transtiretina mutata; EGCG, epigallocatechin gallato; siRNA, small interfering RNA; TUDCA, acido tauroursodesossicolico; SAA, siero amiloide A; TTR, transtiretina.

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sioni5. Non è attualmente chiaro se il trapianto di fegato sia efficace nella mutazione V122I (che è quella più frequentemente associata a cardiopatia)5. La limitata disponibilità di organi, l’esclusione dei pazienti più anziani e di quelli con malattie sistemiche in fase avanzata, nonché i rischi legati alla chirurgia e all’immunosoppressione a tempo indefinito rappresentano ulteriori problemi del trapianto combinato di fegato e cuore. Il trapianto di fegato o combinato non costituisce un’opzione terapeutica per i pazienti con ATTRwt5. Inibizione dell’espressione genica di TTR Il patisiran è uno small interfering RNA (siRNA) che blocca l’espressione della TTR, sia mutata che wild type6. È incapsulato in nanoparticelle lipidiche che sono somministrate attraverso infusione endovenosa e vengono internalizzate specificamente dagli epatociti6,7. Uno studio di fase 2 condotto su 29 pazienti con amiloidosi ATTRv e polineuropatia ha dimostrato che 2 dosi di 0.3 mg/kg di patisiran ogni 3 settimane riducono i livelli sierici di TTR dell’80% circa6. Questa inibizione massiva è stata osservata sia per l’amiloidosi ATTRwt che per l’ATTRv (V30M), nonché in pazienti trattati con farmaci stabilizzanti del tetramero di TTR6. Nello studio di fase 3 APOLLO, che ha arruolato 225 pazienti con amiloidosi ATTRv e polineuropatia, quelli curati con patisiran (0.3 mg/kg una volta ogni 3 settimane per 18 mesi) hanno mostrato un significativo miglioramento della neuropatia. È stata riscontrata una incidenza di effetti avversi gravi simile nei pazienti trattati con patisiran o placebo (28% vs. 36%); gli effetti avversi più comunemente riportati con patisiran includono edemi periferici, reazioni legate all’infusione e disturbi visivi8. Questi risultati hanno portato all’approvazione del patisiran per il trattamento di adulti con polineuropatia da amiloidosi ATTRv sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea, sebbene in Europa il patisiran sia stato approvato solo per il trattamento della forma da lieve a moderata (stadi 1-2). Nello studio APOLLO, i pazienti con evidenza ecocardiografica di interessamento cardiaco (56% della popolazione totale) nel gruppo patisiran hanno mostrato una riduzione della gittata cardiaca significativamente inferiore e un aumento del volume telediastolico del ventricolo sinistro (VS). Questi pazienti hanno inoltre presentato una significativa riduzione dello spessore medio della parete VS, dello spessore relativo di parete, della massa VS e della frazione N-terminale del pro-peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP)8,9. Questi risultati mostrano che il patisiran non solo rallenta la progressione del danno funzionale del VS, ma promuove anche un rimodellamento inverso, cioè un recupero della struttura e della funzione del VS; tale effetto non è stato finora dimostrato per l’inotersen ed è attualmente in corso di valutazione per il tafamidis. Lo studio APOLLO-B valuterà l’efficacia del patisiran in pazienti con amiloidosi cardiaca ATTRv o ATTRwt. L’endpoint primario sarà la variazione della performance al test del cammino in 6 minuti, mentre tra gli endpoint secondari ci saranno la combinazione di mortalità per ogni causa, l’ospedalizzazione per scompenso

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cardiaco e i cambiamenti nella qualità di vita, misurata mediante il Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire Overall Summary Score (KCCQ-OS)10. Un altro siRNA, il revusiran, è stato esaminato in uno studio di fase 3 (ENDEAVOUR), inteso a valutare la capacità funzionale e i livelli sierici di TTR in 200 pazienti con cardiomiopatia da amiloidosi ATTRv. I pazienti sono stati randomizzati 2:1 ai bracci revusiran o placebo, con il revusiran somministrato per via sottocutanea, 500 mg al giorno per 5 mesi e poi 1 volta alla settimana per 18 mesi11. Lo studio è stato interrotto a causa dell’eccessiva mortalità cardiaca riscontrata nei pazienti trattati con revusiran11. Nonostante le cause non siano state chiarite, la valutazione farmacologica del revusiran è stata interrotta. L’inotersen è un oligonucleotide antisenso che inibisce la produzione di TTR mutata e wild type12. In uno studio monocentrico con singolo braccio sperimentale sono stati esaminati 15 pazienti con cardiopatia da amiloidosi ATTR (8 ATTRv, 7 ATTRwt), trattati ogni settimana con iniezioni sottocutanee di inotersen (300 mg) per 12 mesi. La riduzione del picco di concentrazione della TTR variava dal 39% al 91% (in media 72%). I pazienti hanno presentato una stabilizzazione della malattia, misurata come spessore della parete VS, massa del VS, test del cammino in 6 minuti e strain sistolico globale all’ecocardiogramma. Il trattamento è stato ben tollerato, senza effetti avversi degni di nota12. Nello studio multicentrico di fase 3, randomizzato, a doppio cieco, controllato con placebo NEURO-TTR, pazienti con ATTRv e polineuropatia (n=172) sono stati randomizzati a terapia con inotersen (300 mg ogni settimana) o placebo per 66 settimane. L’inotersen è stato ben tollerato e ha rallentato la progressione della neuropatia, come dimostrato mediante score specifici13. Gli effetti avversi più frequenti tra i pazienti trattati con inotersen sono stati la glomerulonefrite (3%) e la trombocitopenia (3%), con un caso di morte per trombocitopenia13. Sulla base di questi risultati, l’inotersen ha ricevuto l’approvazione della Food and Drugs Administration (FDA) per i pazienti con polineuropatia da amiloidosi ATTRv, con l’indicazione di controllare la conta piastrinica con cadenza settimanale e la funzione renale e la presenza di proteinuria ogni due settimane13. Nello studio NEURO-TTR, il 63% dei pazienti presentavano interessamento cardiaco, tuttavia l’effetto del farmaco sull’impegno cardiaco non è stato analizzato13,14.

Stabilizzazione del tetramero di transtiretina Il tafamidis è un benzossazolo, una piccola molecola che inibisce la dissociazione dei tetrameri di TTR legandosi al sito di legame per la tiroxina15. L’azione del farmaco non determina nessuna alterazione del metabolismo, dato che il contributo della TTR al trasporto della tiroxina plasmatica è minore rispetto a quello di tireoglobulina e albumina15. Il tafamidis è stato il primo farmaco approvato per l’uso (in Europa e in Giappone) in pazienti adulti con polineuropatia da ATTRv in stadio 1, mentre non è indicato in pazienti con polineuropatia in stadio 2-316,17.

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In un piccolo studio a singolo braccio sperimentale su pazienti con mutazioni nonV30M e amiloidosi ATTR (quindi non solo con polineuropatia da amiloidosi ATTRv), il trattamento con tafamidis (20 mg/die) ha determinato una stabilizzazione dei tetrameri di TTR per oltre 6 settimane. Dopo un anno di trattamento non sono state rilevate variazioni significative in misure di qualità della vita, livelli circolanti di NT-proBNP e parametri ecocardiografici18. Recentemente, i risultati positivi dello studio ATTR-ACT hanno suscitato grande interesse. In questo studio di fase 3'441 pazienti con cardiomiopatia da amiloidosi ATTR (diagnosticata con l’istologia o in maniera non invasiva con l’uso della scintigrafia con tracciante osseo) sono stati randomizzati in rapporto 2:1:2 a terapia con tafamidis 80 mg, tafamidis 20 mg o placebo, per una durata di 30 mesi19. Paragonando i gruppi con tafamidis (80 mg e 20 mg) con il gruppo placebo, si osserva che il trattamento con tafamidis è associato ad una minore mortalità per tutte le cause rispetto al placebo (30% rispetto a 43%; relative risk ratio 0.70, intervallo di confidenza (IC) al 95% 0.51-0.96) e un minore tasso di ospedalizzazioni per problemi cardiovascolari (relative risk ratio 0.68, IC 95% 0.56-0.81)19. Il tafamidis ha inoltre determinato una riduzione della mortalità per tutte le cause, con curve di sopravvivenza divergenti dopo circa 18 mesi di trattamento21. È stato osservato anche un miglioramento della capacità funzionale, come dimostrato dalla migliore performance al test del cammino in 6 minuti, e della qualità di vita, misurata mediante il KCCQ-OS. Il farmaco è stato inoltre ben tollerato, con incidenza e tipo di effetti avversi comparabili nel gruppo tafamidis e in quello placebo19. Un’analisi dettagliata degli effetti del tafamidis su NT-proBNP, troponine e parametri ecocardiografici è ancora in corso. In vari sottogruppi (ATTRwt o ATTRv, classe New York Heart Association - NYHA I-II), i pazienti in terapia con tafamidis hanno presentato costantemente una migliore prognosi rispetto al gruppo placebo, mentre fra i pazienti in classe NYHA III, quelli trattati con tafamidis hanno avuto più alti tassi di ospedalizzazione, probabilmente a causa della più lunga sopravvivenza in una fase avanzata della malattia19. A seguito di questi risultati, nel maggio 2019 il tafamidis ha ottenuto l’approvazione da parte della FDA e, più recentemente dell’European Medicines Agency (EMA), per il trattamento di pazienti adulti con amiloidosi cardiaca ATTRv o ATTRwt. AG10 è un altro stabilizzante della TTR. In seguito ai risultati promettenti di uno studio di fase 120, uno studio multicentrico di fase 2, randomizzato, a doppio cieco, controllato con placebo ha analizzato efficacia e sicurezza di AG10 in 49 pazienti con amiloidosi cardiaca da ATTRv o ATTRwt. Questi pazienti sono stati randomizzati ad AG10 400 mg 2/die, 800 mg 2/die o placebo per 28 giorni. AG10 è stato ben tollerato, ha innalzato i livelli circolanti di TTR (considerato un effetto positivo perché indicativo di minore deposizione tissutale) e ha prodotto una stabilizzazione della quasi totalità delle molecole di TTR. Gli effetti avversi sono stati meno frequenti tra i pazienti trattati con AG10 che nel gruppo placebo21. È stato recentemente avviato uno studio clinico di fase 3 (ATTRIBUTE-CM), che recluterà 510 pazienti con amiloidosi cardia-

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ca ATTR, randomizzati ad AG10 800 mg per os 2/die o placebo. L’obiettivo primario è osservare cambiamenti nella performance al test del cammino in 6 minuti dopo 12 mesi di trattamento e nella mortalità per ogni causa e ospedalizzazioni per cause cardiovascolari nell’arco di 30 mesi dall’inizio del trattamento22. Nel 2016 il tolcapone è stato individuato come potente inibitore dell’amiloidogenesi da TTR23. Il tolcapone è un inibitore dell’enzima catecol-O-metiltransferasi (COMT) a somministrazione orale, approvato in Europa e negli Stati Uniti per il trattamento della malattia di Parkinson. Analogamente a tafamidis e AG10, il tolcapone compete con la tiroxina per il legame con la TTR e stabilizza la forma tetramerica della TTR wild type o mutata, in maniera anche più efficace rispetto al tafamidis, come dimostrato sia in colture cellulari che in modelli murini23. Attualmente non sono disponibili evidenze sull’efficacia e la sicurezza del tolcapone in pazienti con amiloidosi ATTR. Uno studio di fase 1 ha dimostrato che il diflunisal (250 mg per os 2 volte al giorno), un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS), stabilizza i tetrameri di TTR aderendo al sito di legame per la tiroxina, prevenendo così la formazione di fibrille amiloidi in vitro24. In un piccolo studio a singolo braccio sperimentale, il diflunisal non è stato efficace nel ridurre la disfunzione cardiaca (valutata in termini di massa, frazione di eiezione VS e biomarcatori cardiaci), probabilmente a causa della durata limitata del follow-up. Il diflunisal è sembrato sicuro negli stessi pazienti, sebbene gli effetti collaterali dovuti a un trattamento cronico con un FANS, tra cui la disfunzione renale, siano fonte di preoccupazione25.

Interruzione dell’aggregazione e disgregazione degli oligomeri Epigallocatechina-3-gallato (EGCG) L’epigallocatechina-3-gallato (EGCG) è la catechina più abbondante nel tè verde26. EGCG si lega alla TTR solubile, diminuendo la probabilità di dissociazione dei tetrameri, e inibisce l’aggregazione degli oligomeri in fibre amiloidi, promuovendo in questo modo la disaggregazione delle fibrille ATTR26. In uno studio monocentrico a singolo braccio sperimentale, l’EGCG (675 mg/die per os) è stato somministrato a 30 pazienti con amiloidosi cardiaca ATTR (sia mutata che wild type) e i risultati sono stati confrontati con quelli di 35 pazienti con amiloidosi cardiaca da ATTR trattati solo con terapia di supporto per scompenso cardiaco. Dopo oltre 12 mesi di trattamento, l’EGCG non ha migliorato la sopravvivenza e non ha indotto cambiamenti in parametri ecocardiografici né nei livelli circolanti di NT-proBNP27.

Degradazione e riassorbimento delle fibre amiloidi Doxiciclina-acido tauroursodesossicolico (TUDCA) Molte molecole idrofobiche promuovono la disaggregazione delle fibrille amiloidi e il loro riassorbimento da parte dei macrofagi tissutali28. Le tetracicline, in particola-

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re la doxiciclina, si sono dimostrate utili nel causare completa disaggregazione delle fibrille amiloidi in vitro, generando specie molecolari non tossiche28. La combinazione della doxiciclina con l’acido tauroursodesossicolico (TUDCA) può consentire addirittura l’eliminazione completa dei depositi tissutali di amiloide28. Dopo due studi di fase 2 che hanno fornito risultati modesti e difficilmente interpretabili29,30, è stato inoltre avviato uno studio di fase 3 monocentrico, randomizzato, a singolo braccio sperimentale, volto a valutare l’efficacia del trattamento combinato doxiciclina/TUDCA in 102 pazienti con cardiomiopatia da ATTR, paragonando la sopravvivenza a 18 mesi in pazienti trattati con doxiciclina/TUDCA più terapia cardiologica di supporto standard con quella di pazienti trattati con sola terapia di supporto31. Anticorpi diretti con la proteina siero-amiloide P o contro le fibrille amiloidi La proteina siero amiloide P (SAP) è una glicoproteina plasmatica sintetizzata dal fegato, che stabilizza e protegge le fibrille amiloidi dalla degradazione proteolitica32. Il miridesap è una piccola molecola che lega la SAP circolante e ne promuove l’eliminazione epatica32. In 7 pazienti con amiloidosi sistemica, Pepys et al. hanno dimostrato che la somministrazione di miridesap determina una riduzione di oltre il 90% della SAP circolante32. Questi risultati sono stati confermati da uno studio in aperto con 31 pazienti con amiloidosi sistemica avanzata, tra cui 4 con amiloidosi ATTR, trattati con due iniezioni sottocutanee di miridesap al giorno. L’analisi istologica ha mostrato una deplezione significativa, sebbene incompleta, della SAP nei depositi amiloidi33. In uno studio di fase 1 a singolo braccio sperimentale, con aumento progressivo della dose, 15 pazienti con amiloidosi sistemica sono stati trattati con miridesap e successivamente con una dose di anticorpi anti-SAP proporzionale alla quantità stimata di amiloide, mostrando a 6 settimane un miglioramento nella funzione epatica e una riduzione nei depositi amiloidi a livello viscerale; i pazienti con cardiopatia sono stati esclusi34. In una estensione dello stesso studio, si è esaminata la terapia con miridesap in 6 pazienti con amiloidosi cardiaca (3 con ATTR). Non sono stati riportati né effetti collaterali cardiaci né miglioramenti nel coinvolgimento cardiaco35. In seguito a tali risultati è stato avviato uno studio di fase 2 volto a giudicare gli effetti di un trattamento con cicli mensili di miridesap e anticorpi anti-SAP sul burden amiloidotico a livello cardiaco e sulla funzione cardiaca in pazienti con amiloidosi cardiaca ATTR36. L’arruolamento dei pazienti è stato sospeso nell’agosto 2018 per problemi di sicurezza e contemporaneamente è stato interrotto uno studio di fase 137. La valutazione di questo approccio terapeutico è stata quindi interrotta. È stato tuttavia stato sviluppato un anticorpo monoclonale (PRX004) in grado di colpire specificatamente i depositi amiloidi ATTR. Tale anticorpo è entrato nella fase di valutazione clinica in uno studio multicentrico di fase 1 in pazienti con amiloidosi ATTRv38.

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Quale terapia scegliere per la cardiomiopatia da ATTR? La Tabella 1 riassume le evidenze derivanti da studi clinici riguardo la terapia per la cardiomiopatia da ATTR. Fino a poco tempo fa non erano disponibili opzioni terapeutiche basate sull’evidenza, sia perché i pazienti con amiloidosi cardiaca venivano sistematicamente esclusi dai trial clinici sui farmaci per lo scompenso cardiaco e sia perché non venivano eseguiti studi con una dimensione campionaria adeguata. Il trapianto di fegato (da solo o combinato con trapianto di cuore) è stata l’unica strategia ad aver inciso sulla prognosi dei pazienti, ma è stato riservato a una piccola percentuale degli stessi a causa dei limiti legati al trapianto e dei benefici incerti, tranne che per i pazienti con la mutazione V30M. Una maggior comprensione della patogenesi della ATTR ha portato all’individuazione di altre strategie volte a bloccare la sintesi della TTR o a colpire altri passaggi della cascata amiloidogenica. Risultati positivi sono stati ottenuti solo per il tafamidis in uno studio di fase 3 specificatamente per cardiomiopatia da ATTR, il che ne ha permesso l’approvazione da parte della FDA e, solo recentemente, dell’EMA per il trattamento di adulti con cardiomiopatia da ATTR. Altri farmaci promettenti sono l’AG10, che condivide con il tafamidis il meccanismo d’azione, ma anche il patisiran e l’inotersen; questi ultimi potrebbero teoricamente essere anche più efficaci del tafamidis, dato che bloccano direttamente la sintesi della TTR, anziché stabilizzare i tetrameri di TTR. Se in futuro diventeranno disponibili più opzioni terapeutiche, questo renderà possibile adattare la strategia terapeutica ad ogni singolo paziente. Ad esempio, se il patisiran e l’inotersen dovessero essere definiti ugualmente efficaci, il patisiran sarebbe preferibile in un paziente trattato con anticoagulanti per fibrillazione atriale, dato che la terapia con inotersen potrebbe causare trombocitopenia e quindi aumentare il rischio emorragico. Altre prospettive per la ricerca futura sono rappresentate dalle combinazioni di farmaci con meccanismi complementari di azione, da analisi di costi ed efficacia sui nuovi farmaci e da studi ben disegnati per valutare se farmaci con antagonismo neurormonale possano avere qualche ruolo come strategia terapeutica aggiuntiva. Dal punto di vista dell’economia sanitaria, andranno inoltre affrontate le questioni del rapporto costo-efficacia e della sostenibilità economica delle nuove terapie per l’amiloidosi: ad esempio, secondo un’analisi condotta dall’Institute for Clinical and Economic Review, il costo di patisiran e inotersen dovrebbe diminuire di almeno il 90% e il 94%, rispettivamente, affinché la terapia dell’amiloidosi ATTRv con questi farmaci presenti un rapporto costo-efficacia considerato accettabile (100’000150’000 $ per ogni quality-adjusted life year, corrispondente a un anno di vita in condizioni di buona salute guadagnato)39.

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Farmaco

Tafamidis

Autore, anno

Disegno dello studio

Maurer, 201819 • Studio di fase 3, multi(ATTR-ACT) centrico, in doppio cieco, controllato con placebo • Randomizzazione 2:1:2 a tafamidis per os 80 mg/ die, tafamidis 20 mg/die o placebo per 30 mesi

AG10

Judge, 201921

• Studio di fase 2, multicentrico, in doppio cieco, controllato con placebo • Randomizzazione 1:1:1 a AG10 400 mg b.i.d., AG10 800 mg BID o placebo BID per 28 giorni.

Patisiran

Adams, 20188 (APOLLO)

• Studio di fase 3, multicentrico, doppio cieco, controllato con placebo • Randomizzazione 2:1 a patisiran ev (0.3 mg/kg) o placebo, 1 volta ogni 3 settimane per 18 mesi

Popolazione

• Cardiomiopatia da amiloidosi ATTRv/wt • Tafamidis • n=264 • Placebo • n=177

• Cardiomiopatia da amiloidosi ATTRv/wt • AG10 400 mg n=16 • AG10 800 mg n=16 • Placebo n=17

• Polineuropatia da amiloidosi ATTRv • Malattia cardiaca: n=126 (56%)

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Efficacia nel trattamento della cardiopatia Tafamidis vs. placebo: • Mortalità per tutte le cause: 29.5% vs. 42.9%; RR 0.70; IC 95% 0.51-0.96 • Ospedalizzazioni CV: 0.48 vs. 0.70/ anno; RR 0,68; IC 95% 0.56-0.81 • Dopo 30 mesi, minore diminuzione della performance al test 6MWD e del punteggio KCCQ-OS (p