Adelphiana 1971

Una raccolta di inediti di I. Bachmann, D. Barnes, R. Bazlen, T. Bernhard, M. Bortolotto, N.O. Brown, R. Calasso, I. Cal

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Italian Pages 346 [368] Year 1971

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Adelphiana 1971
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Indice
ADELPHIANA 1971
Aby Warburg - Burckhardt e Nietzsche
Mazzino Montinari – L’ultima lettera di Nietzsche a Georg Brandes
Edgar Wind – Tirannia platonica e Fortuna rinascimentale
Karl Kraus – Detti e contraddetti
Roberto Calasso – Dell’opinione
Norman O. Brown – Dalla politica alla metapolitica
Guido Ceronetti – Lettera per Adelphi
Pierre Klossowski – Sade e Fourier
Sergio Quinzio – Occhi moderni guardano il sacro
Giorgio de Santillana – Le grandi dottrine cosmologiche
Giuseppe Trautteur – Il caso o la necessità
Mario Bortolotto – Le vin du voyant
Morton Feldman – Nec/nec
Roberto Bazlen – Tre lettere
René Daumal – Lettera a Jean Paulhan
Alfredo Giuliani – Jarry e le metamorfosi del Doppio
Sergio Solmi – Dal «Quadernetto giallo»
Djuna Barnes – Due poesie
Giorgio Manganelli – Il funerale del padre
J. Rodolfo Wilcock – La caduta di un impero
Ingeborg Bachmann – Occhi felici
Thomas Bernhard – È una commedia? È una tragedia?
Italo Calvino – Dall’opaco
Fleur Jaeggy – L’uomo metodico
Stelio Mattioni – Il testimonio
Giuseppe Pontiggia – Lettore di casa editrice
Roberto Vigevani – Una storia d’amore
Robert Walser – Lettera a un progredito
NOTIZIE
OPERE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
OPERE PUBBLICATE
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Adelphiana 1971

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Adelphiana 1971

ADELPHI · MILANO

lst es eine Komodie? lst es eine 1·ragodie�

©

1967

di Thomas Bernhard

SUHRKAMP VERLAG • FRANKFURT A. M.

Lettre à ]ean Paulhan

©

di Renè Daumal

1971 JACK DAUMAL • HELIOPOLIS

Per i brani tratti dal volume Beim Wort genommen

©

di Karl Kraus

1955 KOSEL·VERLAG K. G .• MUNCHEN

Brief an einen Entwickelten

©

J 967

di Robert Walser

VERLAG HELMUT KOSSODO . GENF UNO HAMBURG

©

1971 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. • MILANO

INDICE

Aby Warburg, Burckhardt e Nietzsche

9

Mazzino Montinari, L'ultima lettera di Nietzsche a Georg Brandes

15

Edgar Wind, Tirannia platonica e Fortuna rinascimentale

23

Karl Kraus, Detti e contraddetti

37

Roberto Calasso, Dell'opinione

51

Norman O. Brown, Dalla politica alla metapolitica Guido Ceronetti, Lettera per Adelphi

71 89

Pierre Klossowski, Sade e Fourier

109

Sergio Quinzio, Occhi moderni guardano il sacro

133

Giorgio de Santillana, Le grandi dottrine cosmologiche

141

Giuseppe Trautteur, Il caso o la necessità

153

Mario Bortolotto, Le vin du voyant

167

Morton Feldman, Nec/nec

189

Roberto Bazlen, Tre lettere René Daumal, Lettera a ]ean Paulhan Alfredo Giuliani, ]arry e le metamorfosi del

D��

193 201

W

Sergio Solmi, Dal « Quadernetto giallo »

219

Djuna Barnes, Due poesie

231

Giorgio Manganelli, Il funerale del padre J. Rodolfo Wilcock, La caduta di un impero

235 253

Ingeborg Bachmann, Occhi felici Thomas Bernhard, È una commedia?

271

gedia?

È una tra-

Italo Calvino, Dall'opaco Fleur Jaeggy, L'uomo metodico Stelio Mattioni, Il testimonio Giuseppe Pontiggia, Lettore di casa editrice

291 299 313 319

Roberto Vigevani, Una storia d'amore

327 335

Robert Walser, Lettera a un progredito

339

NOTIZIE

345

OPERE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

347

OPERE PUBBLICATE

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ADELPHIANA 1971

Aby Warburg BURCKHARDT E NIETZSCHE

Noi dobbiamo riconoscere Burckhardt e Nietzsche quali iniziatori dell'onda mnemica e vedere come la loro coscienza del mondo afferra l'uno e l'altro in maniera affatto diversa. Noi dobbiamo tentare di far sì che essi si illuminino reciprocamente e questa me­ ditazione ci deve aiutare a capire Burckhardt come uomo che patisce del proprio mestiere. Ambedue sono sismografi sensibilissimi, che trema­ no dalle fondamenta quando ricevono e devono tra­ smettere le onde. Ma una grossa differenza: Burckhardt ha ricevuto le onde dalla regione del passato, ha sen­ tito il pericolo di quelle scosse e si è preoccupato di rafforzare la stabilità del suo sismografo. Non ha mai detto pienamente e sconsideratamente sì alle vibra­ zioni estreme, sebbene le patisse. Egli sentiva la pericolosità del proprio mestiere, il fatto che semplicemente sarebbe dovuto crollare. Non è stato vittima del romanticismo. Questo periodo del dire sì a una coazione fatalmente determinata a vibra­ re con altro egli lo ha traversato e vissuto con tale intensità che retrospettivamente lo guardava - senza fare però lo schizzinoso - come un periodo di pericoli interiori, a cui ormai era sfuggito. Se ciò non avesse costituito una parte così importante della sua intera funzione mnemica, anche in seguito egli non avrebbe certo reagito a quel modo. Egli deve vibrare, cosicché nuove regioni erompano dallo strato coperto dei fatti scomparsi. Per opera sua la festività viene recuperata e lo costringe a rispecchiare un frammento di vita elementare, che prima non si mostrava, e a cui egli te­ meva veramente di dare forma. Concetti come morale

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ABY WARBURG

e non-morale sono inadeguati per avvicinarsi a questi processi del formare. Burckhardt era un necromante in piena coscienza; così gli si sono parate dinanzi le po­ tenze, che lo hanno seriamente minacciato. Ad esse è sfuggito costruendosi la sua torre di veggente. La sua veggenza è del tipo di quella di Linceo. Siede nella sua torre e parla. Non ha rinunciato a pronunciare oracoli; era e restò un illuminista, né mai volle essere altro che un semplice professore. Qual è il ruolo di Burckhardt nella vita di Nietz­ sche? Quando Nietzsche fu giunto al crollo - a Torino, che con la sua limpida superficie e la sua aria asciutta aveva prodotto in lui un'euforia che si reggeva su gambe malate - , quando salutò la limpidezza di To­ rino, quando disse sì alla vita, tutto questo contraffa­ ceva un processo di guarigione, che era soltanto una pausa sempre più corta fra la salute e la malattia. È a Torino, traversa la strada e crolla. Abitava presso un venditore di giornali ebreo, di nome Delfino. 1 Torna a casa e comincia a scrivere cartoline a tutti i suoi amici e anche lettere, e le firma « Dioniso il Crocifisso » . Nietzsche è caduto totalmente nella fol­ lia religiosa. L'uomo, il cui carattere unico è la dedi­ zione incondizionata alla fede nella grandezza del futuro, è diventato vittima delle proprie idee nel cor­ so del proprio tentativo di metterle in atto. Non aveva mai veramente sopportato la solitudine, che è la sola atmosfera giusta per colui che prende su di sé tenta­ tivi del genere. Cerca sempre dei compagni, li trova, li perde, e deve dire: non erano quelli giusti. Non ha mai sopportato la profonda solitudine, che sola si accorda con chi chiama gli altri a una nuova creazione. È una atmosfera ideale, in cui non poteva vivere. Si considerava come un vero sovvertitore e questa affer­ mazione giustificava anche le sue preoccupazioni eco­ nomiche, poiché temeva che i suoi libri venissero I. Qui, come anche in due punti successivi, Warburg non ricorda bene: il nome del padrone di casa di Nietzsche era Davide Fino [N.d.T.].

BURCKHARDT E NIETZSCHE

Il

proibiti. Lui, che tanto spesso aveva scritto sulla pas­ sione dell'uomo e il privilegio dello stare al di sopra, è a terra - un timoroso, ritorto verme. I suoi amici in Svizzera nulla sanno di questo suo stato. L'unico che ne viene a sapere qualcosa è .Jakob Burckhardt, che il 6 gennaio riceve una lettera, firma­ ta anch'essa « il Crocifisso » . Non sappiamo che co­ sa contenesse. 2 Presumibilmente erano lamenti di Nietzsche su ciò che lo circondava, ora erompenti in modo violento, lamenti in buona parte giustificati. Burckhardt ha allora settant'anni. Lui stesso non è in grado - anche fisicamente - di fare qualcosa. Va da Overbeck con la lettera, e ora comincia il tentativo di riportare indietro Nietzsche. Overbeck era un animo straordinariamente fine. Si mette in movimento, trova Nietzsche in un angolo, in uno stato di crollo completo. Di conseguenza decide di riportare Nietzsche a casa. La lettera legittima la sua azione. Così trova un infermiere, un tedesco,8 un uomo curiosamente ingegnoso. Riescono a convincere questo superuomo a partire con loro, dicendogli poiché lui afferma di essere chissà chi - che lo aspet­ tano a Basilea come un principe. Il trucco funziona. L'uomo raccoglie le sue forze ed essi riescono a portarlo a Basilea. Per Burckhardt il crollo di questo superuo­ mo è qualcosa che egli da lungo tempo aveva temuto per il suo collega, da lui tanto stimato. Nulla sarebbe più sciocco del credere che egli lo avrebbe liquidato con fredda ironia. A quale tipo di veggente appartiene Nietzsche? t il tipo del Nabi, del profeta antico, che corre per la stra­ da, si strappa i vestiti, urla di dolore e forse riesce a guidare il popolo dietro di sé. Il suo gesto originario è quello della guida col tirso, che costringe tutti a seguirlo. Da ciò le sue osservazioni sulla danza. Con Burckhardt e Nietzsche i tipi primordiali del veggen• 2. In realtà la lettera si è conservata - ed è anzi la più famosa fra le • lettere della follia • [N.d. T.]. 3. Si trattava di un medico, di nome Miescher [N.d.T.].

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ABY WARBURG

te si scontrano sul confine fra romanismo e germani­ smo. Il problema è se il tipo del veggente è in grado di sostenere le violente scosse che gli offre il suo me­ stiere. L'uno tenta di trasformarle nella fama. La man­ canza di un'eco lo logora incessantemente; resta un professore. Due figli di pastori protestanti, che assu­ mono due diversi atteggiamenti in rapporto al senso di Dio nel mondo: l'uno sente il soffio demonico del demone della distruzione e si mette in una torre, l'al­ tro vuole fare causa comune col demone. Burckhardt ha sentito questa temerarietà. Linceo sente un Linceo sopra di sé, « ma io non posso farlo » , chi era nel giusto? Giusto e non giusto non sono i concetti adatti. Ma dov'è l'espressione ade­ guata e una psicotecnica dello strumento? Romani­ smo e germanismo trovano un equilibrio in Burck­ hardt, visto che siamo in Svizzera. In Nietzsche l'or­ giasmo arcaizzante è un fantasma del desiderio, che egli non era in grado di fronteggiare, e così, come poeta, egli ha prodotto delle evocazioni che provengono da una regione musicale mai raggiunta da Burckhardt. Nietzsche ha molto corteggiato Burckhardt. Burck­ hardt si è allontanato da lui, come uno che a Geru­ salemme vede correre un derviscio: Veleda di fronte a un uomo colpito dall'amok. Continuano a fiorire, innestati sullo stesso tronco. Burckhardt era stato a Basilea in un giornale conservatore: « Ho guardato nell'occhio ubriaco della plebaglia » , dice Burckhardt. Ora egli cerca ciò che era l'antitesi di Nietzsche, cer­ ca la misura o la forma esaltata, una forma che fosse insieme vita e dominio della vita: Rubens. Egli ave­ va il mondo degli occhi, che gli presentava la forma già coniata e al tempo stesso gli dava le unità di misura. Poteva restare seduto nella sua torre e agire come specchio per le allodole, perché ciò che agiva su di lui era il processo del formare e non dramma mistico: Veleda e la madre che dilania il figlio. Questo esporsi da solitario alle scosse più tremende è ciò che ha portato alla rovina Nietzsche, con la sua logica supe-

BURCKHARDT E NIETZSCHE

riore del destino. Ed egli ha sofferto in Wagner la reazione contro la formula compiaciuta del pathos. Cosl vediamo insieme l'influsso del mondo antico in ambedue le correnti, quella cosiddetta apollinea e la dionisiaca. Quale ruolo svolge il mondo antico nello sviluppo della personalità veggente? Da una parte Ago­ stino di Duccio e Nietzsche, dall'altra Burckhardt e gli architetti: tettonica contro linea. In Nietzsche e Burckhardt possiamo vedere come la veggenza si biforca nelle sue forme fondamentali. L'una insegna e trasforma, senza esigere, l'altra esige perché trasforma, si serve dell'antico orgiasmo del primo danzatore. « Molti portano il tirso, pochi sono i baccanti ». Non c'è dubbio, Nietzsche e Burckhardt portavano il tirso. Per quest'ultimo siamo giunti con ciò ai limiti delle sue possibilità. Ma egli ha avuto ciò che lo innalza al di sopra di noi e che è per noi un modello: la capacità di sentire, forse anche troppo acutamente, per opera della sua Sophrosyne, i limiti della propria missione, in ogni caso però senza mai scavalcarli. (Trad. di Roberto Ca lasso).

Mazzino Montinari L'ULTIMA LETTERA DI NIETZSCHE A GEORG BRANDES

Nel commento ai testi del volume VI, tomo III, delle « Opere » di Friedrich Nietzsche (Il caso Wag­

ner, Crepuscolo degli idoli, L'anticristo, Ecce homo, Nietzsche contra Wagner, Adelphi, 1970, pp. 448-49)

avevamo riportato alcuni brani di una lettera che Nietzsche scrisse verso il 10 dicembre 1888 a Georg Brandes e il cui testo era rimasto sconosciuto. Essa si trova, allo stato di abbozzo, in un quaderno che contie­ ne appunti preparatori di Ecce homo e dei Ditirambi di Dioniso. Nel momento in cui il commento fu scritto, non ci era ancora riuscito di decifrare per intero questo documento significativo degli ultimi giorni di Nietz­ sche; tuttavia le difficoltà di decifrazione, anche quelle che - come in questo caso - sembravano insormonta­ bili, si lasciano superare col tempo, man mano che l'immedesimazione in quella specie di stenografia che è la scrittura dell'ultimo Nietzsche progredisce. Il testo, oggi completamente decifrato, è questo:

Werther Freund, ich halte fiir nothig, Ihnen ein paar Dinge aller ersten Rangs mitzutheilen: geben Sie Ihr Ehrenwort drauf, daB die Geschichte unter uns bleibt. Wir sind eingetreten in die groBe Politik, sogar in die allergroBte ... Ich bereite ein EreigniB vor, welches hochst wahrscheinlich die Geschichte in zwei Halften spaltet, bis zu dem Punkte daB wir eine neue Zeitrech­ nung haben werden: von 1888 als Jahr Eins an. Alles, was heute oben auf ist, Triple-Allianz, sociale Frage geht vollstandig iiber in eine Individuen-Ge­ gensatz-Stellung: wir werden Kriege haben, wie es kei­ ne gibt, aber nicht zwischen Nationen, nicht zwischen

MAZZINO MONTINARI

Standen: Alles ist auseinander gesprengt, - ich bin das gefahrlichste Dynamit, das es gibt. - lch will in 3 Monaten Auftrage zur Herstellung einer Manuscript­ Ausgabe geben von « Der Antichrist. V mwerthung aller Werthe » ; sie bleibt vollkommen geheim: sie dient mir als Agitations-Ausgabe. lch habe Obersetzungen in alle europaischen Hauptsprachen nothig: wenn das Werk heraus soll, so rechne ich eine Million Exempla­ re in jeder Sprache als erste Auflage. lch habe an Sie fiir die danische, an Herrn Strindberg fiir die schwedische Ausgabe gedacht. - Da es sich um einen Vernichtungs­ schlag gegen das Christenthum handelt, so liegt auf der Hand, daf3 die einzige internationale Macht, die ein Instinkt-Interesse an der Vernichtung des Chri­ stenthums hat, die Juden sind - hier gibt es eine Instinkt-Feindschaft, nicht etwas ' Eingebildetes' wie bei irgend welchen ' Freigeistern ' oder Socialisten ich mache mir den Teufel was aus Freigeistern. Folg­ lich miissen wir aller entscheidenden Potenzen dieser Rasse in Europa und Amerika sicher sein - zu alledem hat eine solche Bewegung das GroBcapital nothig. Hier ist der einzige natiirlich vorbereitete Boden fiir den grof3ten Entscheidungs-Krieg der Geschichte: das Obrige von Anhangerschaft kann erst nach dem Schla­ ge in Betracht gezogen werden. Diese neue Macht, die sich hier bilden wird, diirfte im Handumdrehn die erste Weltmacht sein: zugegeben daf3 zunachst die herrschenden Stande die Partei des Christenthums ergreifen, so ist die Axt ihnen insofern an die Wurzel < gelegt >, als gerade alle starken und lebendigen Man­ ner aus ihnen unbedingt ausscheiden werden. DaB alle geistig ungerathenen Rassen im Christenthum den Glauben der Herrschenden bei dieser Gelegenheit empfìnden, folglich fiir die Liige Partei nehmen wer­ den, das zu errathen braucht man nicht Psycholog zu sein. Das Resultat ist, daB hier das Dynamit alle Heeresorganisation alle Verfassung sprengt: daf3 die Gegnerschaft nicht Anderes constituirt und auf Krieg ungeiibt dasteht. Alles in Allem, werden wir die Offi-

L'ULTIMA LETTERA DI NIETZSCHE A BRANDES

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ziere in ihren Instinkten fiir uns haben : daB es im aller hochsten Grad unehrenhaft, feige, unreinlich ist, Christ zu sein, dies Urtheil tragt man unfehlbar aus meinem « Antichrist » mit sich fort. - Zunachst erscheint das « Ecce homo » , von dem ich sprach, worin das letzte Capitel einen Vorgeschmack gibt, was bevor­ steht, wo ich selbst als Mensch des Verhangnisses auftrete... Was den deutschen Kaiser betrifft, so kenne ich die Art, solche braunen Idioten zu behandeln : das gibt einem wohlgerathenen Offizier das MaB ab. Friedrich der GroBe war besser, der ware sofort in seinem Elemente. - Mein Buch ist wie ein Vulkan, man hat keinen Begriff aus der bisherigen Litteratur, was da gesagt wird, und wie die tiefsten Geheimnisse der menschlichen Natur plotzlich mit entsetzlicher Klarheit herausspringen. Es gibt eine Art darin, das Todesurtheil zu sprechen, die vollkommen iiber­ menschlich ist. Und dabei weht eine grandiose Ruhe und Hohe iiber das Ganze - es ist wirklich ein Weltge­ rich t, obwohl Nichts zu klein und unwesentlich ist, was hier nicht gesehen und ans Licht gezogen werde. Wenn Sie endlich das Gesetz gegen das Christenthum unterzeichnet der « Antichrist » lesen, das den SchluB macht, wer weiB, so schlottern vielleicht selbst Ihnen, filrchte ich, die Gebeine... Das Gesetz gegen das Christenthum hat als Ober­ schrift : Todkrieg dem Laster: das Laster ist das Christenthum

Der erste Satz : Lasterhaft ist jede Art Widernatur; die lasterhafteste Art Mensch ist der Priester : der lehrt die Widernatur. Gegen den Priester hat man nicht Griinde, man hat das Zuchthaus nothig. Der vierte < Satz > Die Predigt der Keuschheit ist eine offentliche Aufreizung zur Widernatur. Jede Ver­ achtung des geschlechtlichen Lebens, jede Verunrei­ nigung desselben durch den Begriff ' unrein ' ist die eigentliche Siinde gegen den heiligen Geist des Lebens. Der 6. Satz heiBt Man soll die ' heilige ' Geschichte mit dem Namen nennen den sie verdient, als verfiuch-

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MAZZINO MONTINARI

te Geschichte; man soll die Worte ' Gott ' ' Heiland ' ' Heiliger ' zu Schimpf machen, zu Verbrecher-Abzei­ chen benutzen. Umwerthung aller Werthe? Da wird erst - - Siegen wir, so haben wir die Erdregierung in den Handen - den Weltfrieden eingerechnet ... Wir haben die absurden Grenzen der Rasse Nation und Stande iiberwunden : es gibt nur noch Rangordnung zwi­ schen Mensch und Mensch und zwar eine ungeheuer lange Leiter von Rangordnung. Da haben Sie das erste welthistorische Papier : Gro­ lle Politik par excellence. NB. Suchen Sie mir einen Meister als ersten Ober­ setzer - ich kann nur Meister der Sprache brauchen. Ed ecco la traduzione :

Caro amico, ritengo necessario metterLa al corren­ te di un paio di cose di primissimo ordine: dia la Sua parola d'onore che tutta la faccenda rimarrà tra noi. Ormai siamo entrati nella grande politica, anzi nella più grande mai vista ... Io preparo un evento che con estrema probabilità spaccherà la storia in due metà, fino al punto che avremo una nuova cronologia: a partire dal 1888 come anno Uno. Tutto quanto oggi è sulla cresta dell'onda, Triplice Alleanza, que­ stione sociale, trapasserà completamente in una posi­ zione di antagonismo tra gli individui : avremo guerre come non ce ne sono, ma non tra nazioni, non tra classi: tutto è andato in frantumi dissolvendosi, - io sono la dinamite più pericolosa al mondo. - Fra tre mesi voglio impartire ordini perché sia stampato come manoscritto : « L'anticristo. Trasvalutazione di tutti i valori » ; questa edizione resterà completamente segre­ ta, mi servirà a scopo di agitazione. Mi occorrono traduzioni in tutte le principali lingue europee: quan­ do l'opera dovrà uscire, calcolo un milione di esem­ plari in ogni lingua come prima tiratura. Ho pensato a Lei per l'edizione danese, al Signor Strindberg per

L'ULTIMA LETTERA DI NIETZSCHE A BRANDES

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quella svedese. - Poiché si tratta di un colpo demolitore contro il cristianesimo, è evidente che l'unica potenza internazionale, che abbia un interesse istintivo all'an­ nientamento del cristianesimo, sono gli Ebrei - qui vi è inimicizia per istinto e non qualcosa di ' immagina­ rio ' come in ' spiriti liberi ' o socialisti qualsiasi - non so che farmene degli spiriti liberi. Di conseguenza dob­ biamo assicurarci tutte le potenze decisive di questa razza in Europa e America: a ciò si aggiunga che un movimento tale ha bisogno del grande capitale. Questo terreno è l'unico naturalmente preparato alla più gran­ de guerra decisiva della storia : il resto dei seguaci potrà essere preso in considerazione solo dopo che il colpo sarà stato sferrato. La nuova potenza che qui si formerà dovrebbe in un batter d'occhio essere la prima potenza mondiale : ammesso che le classi domi­ nanti siano le prime a prendere partito a favore del cristianesimo, sarà posta la scure alle loro radici pro­ prio perché tutti gli uomini forti e vitali si distacche­ ranno assolutamente da loro. Non c'è bisogno di essere psicologi per indovinare che tutte le razze intellettual­ mente malriuscite sentiranno, in questa occasione, il cristianesimo come la fede dei dominatori e, di conse­ guenza, si schiereranno dalla parte della menzogna. Il risultato è che qui la dinamite farà saltare ogni orga­ nizzazione dell'esercito, ogni costituzione : che gli av­ versari non saranno in grado di mettere in piedi qualcos'altro e si troveranno impreparati alla guerra. Tutto sommato avremo dalla nostra parte gli uffi­ ciali nei loro istinti : che è disonorevole, vile, sudicio essere cristiani : questo giudizio lo si ricava infallibil­ mente dal mio « Anticristo » . - Dapprima uscirà «Ec­ ce homo » , di cui Le ho parlato; in esso l'ultimo capi­ tolo dà già un sentore di ciò che è imminente e io stesso vi compaio come l'uomo della catastrofe... Quanto al­ l'imperatore tedesco, so io come trattare questa specie di idioti bruni : e ciò fornisce a un ufficiale bennato il metro per giudicare. Federico il Grande era meglio, egli si sarebbe immediatamente trovato nel suo ele-

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MAZZINO MONTINARI

mento. - Il mio libro è come un vulcano, tutta la letteratura passata non è in grado di dare un'idea di ciò che in esso viene detto, e del modo come i segreti più profondi della natura umana improvvisa­ mente balzino fuori con chiarezza terrificante. Vi è in esso un modo di pronunciare la condanna a morte che è semplicemente sovrumano. Eppure, su tutto ciò è diffusa una calma e sublimità grandiosa - è vera­ mente un giudizio universale, sebbene nulla sia troppo meschino o inessenziale perché qui non possa essere visto e tratto alla luce. Quando infine leggerà la legge contro il cristianesimo, firmata l' « Anticristo », che chiude il libro, chissà, temo che persino a Lei tremeranno le gambe... In testa alla legge contro il cristianesimo sta scritto : Guerra mortale al vizio: il vizio è il cristianesimo La prima proposizione : Viziosa è ogni specie di contronatura; la varietà d'uomo più viziosa è il prete : lui insegna la contronatura. Contro il prete non si ha bisogno di ragioni, bensi del carcere. La quarta < proposizione > : La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni insozzamento della medesima mediante il concetto di ' impuro ' è il vero e proprio peccato contro lo spirito santo della vita. La sesta proposizione dice : La storia ' sacra ' sia chiamata con il nome che merita : storia maledetta ; le parole ' Dio ' ' salvatore ' ' redentore ' ' santo ' siano usate come insulti, come marchi di infamia. Trasvalutazione di tutti i valori? Qui per la pri­ ma volta - - Se vinceremo noi, avremo in mano il governo della terra - compresa la pace mondiale... Avremo superato le barriere assurde di razza nazione e classe : vi sarà solo più una gerarchia tra uomo e uomo, una scala di gerarchia immensamente lunga. Ecco qui la prima Carta di portata storica univer­ sale : grande politica par excellence. NB. Mi cerchi come primo traduttore un maestro

L'ULTIMA LETTERA DI NIETZSCHE A BRANDES

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- solo un maestro del linguaggio può fare al caso mio.

Non risulta che questa lettera abbia mai raggiunto Georg Brandes. Quasi sicuramente Nietzsche rinunciò a ricopiarla in bella copia e a spedirla. Essa contribui­ sce, tra l'altro, a risolvere alcuni problemi filologici che abbiamo trattato nel nostro commento a L'anti­ cristo e a Ecce homo, e che qui non hanno bisogno di essere nuovamente ricordati. Importante, se mai, è sottolineare come in questa lettera Nietzsche esponga la strategia delle sue pubblicazioni, nel quadro visio­ nario della « grande politica » . Ecce homo non è che il preludio di « ciò che è imminente » , vale a dire della Trasvalutazione di tutti i valori, che è l'Anticristo, ma che sarà - soprattutto - la « grande politica » . Gli aspe tti di quest'ultima ci sono noti soltanto in mo­ do frammentario; qui soprattu tto deve avere operato la censura di Peter Cast (prima ancora di quella della famiglia Nietzsche), il quale ne eliminò probabilmente ogni accenno dall'ultimo capitolo di Ecce homo ad eccezione dei primi due paragrafi : il tema dell'allean­ za tra « grande capitale » ebraico e « ufficiali » si tro­ va, ad esempio, trattato in foglietti di appunti che appartengono ad Ecce homo, ma cui non corrisponde nulla nel manoscritto definitivo, così come ci è arrivato. Nel suo impulso devoto di seguace, Cast ritenne di dover salvare in qualche modo la figura del ' maestro ' e di farlo apparire il meno folle possibile. Noi invece preferiremmo conoscere tutta la follia di Nietzsche, perché la censura del discepolo ci ha privato della ' logica ' di questa follia. A questa apparteneva anche la visione del superamento delle « barriere assurde di razza nazione e classe » , una visione che Nietzsche aveva formulato, tre anni prima di piombare nella demenza. Nell'au tunno del I 885, in un piano di continuazione di Così parlò Zarathustra, egli infatti scriveva :

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MAZZINO MONTINARI

Zarathustra è felice che la lotta delle classi sia finita e che finalmente sia venuto il tempo di un ordinamento gerarchico degli individui. L'odio per il sistema livellatore della democrazia non è che la facciata : in realtà egli è molto contento che quel siste­ ma sia arrivato a un punto tale. Adesso può assolvere il suo compito.

Edgar Wind TIRANNIA PLATONICA E FORTUNA RINASCIMENTALE

Benché il realismo politico non sia generalmente associato con l'eredità di Platone, una certa audacia pratica del tipo di quella che Machiavelli doveva por­ tare a perfezione è tuttavia insita nella teoria plato­ nica del caso (,t'.>xTJ) e dell'abilità (,ÉXVTJ ). Tale teo­ ria, che presso i lettori moderni di Platone non ha avuto molta risonanza, fu invece attentamente studiata nella Firenze del Quattrocento, come dimostra una famosa lettera sulla Fortuna indirizzata a Giovanni Rucellai da Marsilio Ficino. 1 In essa il filosofo espone l'inattesa teoria - che deve essere molto piaciuta al maturo principe-mercante e uomo politico - secondo la quale la capacità di previsione umana può cospirare col caso, nonostante l'ovvia disparità che esiste fra loro. Poiché tanto il caso quanto la capacità di previsione, egli argomentava, trovano la propria origine in Dio, il quale provvede misteriosamente al loro accordo fi­ nale, l'uomo prudente dovrebbe cogliere l'accenno divino ed evitare di giudicare il caso come semplice­ mente capriccioso, oppure che il rapporto tra capacità di previsione e caso sia soltanto di inimicizia. Opporsi ai capricci della fortuna può essere nobile e cercare di eluderli, saggio; ma la linea di condotta senza con­ fronti migliore e più prudente è quella di cospirare con la Fortuna mediante la propria abilità. Quando Ficino aggiungeva che questo suo consiglio era conI. Supplementum Ficinianum, ed. P.O. Kristeller, Il, 1937, pp. 1 69 sgg.; A. Warburg, Die Erneuerung der heidnischen A ntike, 1 932 , pp. 147 sg., nota 2; A. Perosa, il quale ha ripubblicato la lettera in Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, I, 1960, pp. 1 14 sgg., ha potuto fissare la data agli anni 1460-62 (p. 1 76).

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forme « alla segreta et divina mente di Platone no­ stro » egli non indulgeva, come si è preteso, a una vuota retorica: 2 aveva in mente invece un passo ben preciso del quarto libro delle Leggi (709A-7 1 2A), dove Platone presenta gli stessi tre poteri, il caso, Dio e l'abilità umana: « Chiunque veda tutto questo [la vicenda del tem­ po, le pestilenze, le guerre e la povertà] corre natural­ mente alla conclusione che nelle cose umane il caso (,ux'l) è tutto o quasi. E questo può dirsi dei rischi del marinaio e del pilota, del medico e del generale, e può anche sembrare che ciò sia ben detto; pure, c'è un'altra cosa che può dirsi con altrettanta verità a proposito di tutti costoro... che Dio (9E6ç) governa tutte le cose e che il caso e l'occasione (n'.>xTJ Kal Katp6ç) lavorano insieme con lui nel governo delle cose umane. C'è però una terza e più moderata opinione, cioè che anche l'abilità (TÉXVTJ) dovrebbe entrare nel gioco; perché in occasione di una tempesta (Katp(Ì) XEtµ&voç) potrebbe esserci, mi sembra, un grande vantaggio nel­ l'avere l'abilità del pilota dalla nostra parte » . 3 Il commento di Ficino a questo passo 4 dovrebbe esser letto insieme con la sua lettera a Rucellai. En­ trambi rivelano la stessa morale: che l'uomo cospiri con la Fortuna invece di cercare di eluderla o di resi­ sterle. E poiché la parola fortuna era usata ai suoi tempi come sinonimo di tempestas per significare, ap­ punto, « tempesta » /' Ficino fece propria l'immagine 2. A. Doren, riferendosi alla lettera, dice che essa fu scritta • im angeblichen Anschluss an Plato • ( Vortriige der Bibliothek Warburg, II, 1 924, p . 1 2 1 , nota 99; il corsivo è mio). Kristeller, The Philosophy o/ Marsilio Ficino, 1 943, p. 298, non parla della fonte. 3. Leggi, 1 09B-C. 4. • In dialogum quartum de Legibus •, Opera, 1561, p. 1497. 5. Nell'uso del tardo latino e dell'italiano; cfr. il dizionario del Ducange e quello dell'Accademia della Crusca. Per un elenco di testi, vedi E. Wind, Giorgione's • Tempesta • , 1 969, pp. 20 sg., note 7-9.

Ste m m,a di G iovanni Rucellai nel cortile del Palazzo Rucellai a Firenze

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platonica della tempesta e del pilota, ampliandola con considerevole zelo nel suo commento: « [Quando Dio] muove il mare con una tempesta e la tempesta spinge la nave, Dio muove la nave anche attraverso la mente del pilota, cioè mettendo in azione l 'abilità del pilota, la quale dipende continuamente da Dio. Quando perciò la nave è diretta dall'abilità verso un certo porto, e vi è anche trascinata dalla tem­ pesta, allora l'abilità è in perfetto accordo con la for­ tuna (tunc ars simul cum fortuna consentit) » . Rucellai aveva di certo in mente questo argomento quando si scelse per emblema la Fortuna nautica che si vede sul cimiero dello stemma posto nel cortile del suo palazzo. 6 Il ciuffo di capelli libero sulla fron­ te indica in lei la volubile dea del Caso, mentre essa funge, ben ferma, da albero maestro della nave, offrendo alta la vela al vento favorevole che essa stessa rappresenta in quanto fortuna. L'abilità del pilota e l a forza trascinatrice del vento appaiono unite, così, nella sua persona, che è insieme mobile e stabile (manens movebo) - fausto emblema di stabilis fortuna, che illustra vividamente la tesi di Ficino che caso e abilità sono in perfetto accordo, tunc ars simul cum fortuna consentit. 1

6. Warburg, op. cit., I, p. 146, fig. 38. 7. La divisa di Giovanni Rucellai fu poi spiritosamente adattata a impresa amorosa popolare (vedi ibidem, p. 1 50, fig. 26; anche A. M. Hind, Early Italian Engraving, 1938, n. A I 6, tav. 6). Questa rozza stampa appartiene alla stessa categoria di arte popo­ lare cui appartengono anche le cosiddette stampe Otto, in cui emblemi personali, in parte originari della famiglia Medici, furono divulgati e smerciati per uso comune (cfr. ibidem, tavv. 1 34-41). La nave, dove in origine trovavamo la Fortuna Rucellai, è qui occupata da una giovane coppia, assistita da venti favorevoli e, nel cielo, da un esultante Cupido - chiaramente, una Fortuna A m oris. È dubbio che sia giusto iden tificare questa coppia felice col giovane Bernardo Rucellai e sua moglie Nannina de' Medici. Il tono della iscrizione sembrerebbe escludere una tale ipotesi : Imi laso portare alla fortuna sperando a/fin daver buona ventura, un motto adatto per una di quelle avventure galanti per le quali le imprese amorose

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Data questa fiducia di Rucellai in una fortuna favorevole alla propria abilità, è indubitabile che egli conoscesse anche la conclusione spettacolosa, nelle Leggi di Platone, del passo citatogli da Ficino. Poiché, secondo Ficino, l'abilità, per essere messa in atto, esi­ ge un caso favorevole e poiché dipende da Dio che questo caso si presenti o no, all'uomo abile si consiglia di trovare « la preghiera giusta » che gli faccia ottene­ re condizioni favorevoli, come il pilota, per esempio, pregherà per avere favorevoli i venti. Quale sarà, al­ lora, la « preghiera giusta » dell'abile legislatore, del­ l'uomo che intenda trasformare uno Stato imperfetto in una repubblica ideale? Quali favori chiederà alla Fortuna sì da poter mettere efficacemente in atto la propria arte? La risposta di Platone è cosi sconcertante che dobbiamo citarla qui per esteso: « Dammi uno Stato che sia governato da un tiranno, e che il tiranno sia giovane e abbia buona memoria; che egli sia svelto nell'apprendere e di nobile e corag­ giosa natura; ... perché non c'è né ci sarà modo mi­ gliore e più rapido di fondare uno Stato che tramite una tirannia » . « Con quali possibili argomenti, o Straniero, può un uomo convincersi di una cosi mostruosa dottrina?... Tu presupponi, come hai detto, un tiranno che sia giovane... ? » . « Sì ; e devi aggiungere fortunato ; e la sua buona fortuna sia quella di essere contemporaneo di un gran­ de legislatore, e che un caso felice li faccia incontrare. Quando questo sia avvenuto, Dio avrà fatto tutto quel­ lo che sempre fa quando vuole favorire uno Stato che egli desidera straordinariamente prospero... Ma io suppongo che tu non abbia mai visto una città che sia sotto una tirannia... » . « No, e non posso dire di avere una gran voglia di vederne una » . venivano fatte, ma difficilmente applicabile a un solido legame matrimoniale che doveva unire le famiglie Rucellai e Medici.

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« Eppure, là dove c'è tirannia, tu potresti certo vedere ciò di cui sto parlando... Potresti vedere come, senza disordini e in un periodo di tempo non troppo lungo, il tiranno, se vuole, può cambiare il carattere di uno Stato... indicando egli stesso con l'esempio le linee di condotta, lodando e ricompensando certe azio­ ni e riprovandone altre, e punendo coloro che disob­ bediscono... Che nessuno, amici miei, ci convinca che esiste un modo più rapido e più facile in cui gli Stati cambiano le loro leggi... La vera difficoltà è di un'altra specie... ma una volta che essa sia stata supe­ rata, diecimila, o meglio, tutte le benedizioni ne seguiranno » . « Di che cosa stai parlando? » . « L a difficoltà sta nel trovare il divino amore per istituzioni temperate e giuste in una forma potente di governo... E questo può dirsi del potere in gene­ rale: quando nell'uomo il potere supremo si combina con la più grande saggezza e temperanza, allora ven­ gono in essere le migliori leggi e la migliore costitu­ zione; e in nessun altro modo. E ciò che ho detto sia considerato una specie di leggenda sacra o di oracolo, e questa sia la nostra prova che se, secondo un certo punto di vista, vi può essere una difficoltà a che una città abbia buone leggi, esiste anche un altro punto di vista secondo il quale non c'è niente che possa esser fatto più facilmente e più rapidamente, una voi ta verificatasi la nostra premessa » . 8 Questo oracolo fu chiaramente inteso, a Firenze, negli « Orti Oricellari » , un circolo platonico di poeti, filosofi e uomini politici presieduto nel tardo Quat­ trocento 9 dal figlio di Giovanni Rucellai, Bernardo, anch'egli amico devoto (amicus suavis) di Ficino, la cui traduzione delle opere di Platone aveva aiutato 8. Leggi, IV, 709E-7 12A. 9. Il giardino di via della Scala fu acquistato da Bernardo Rucellai nel 1482; vedi L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Rucellai, 1 86 1 , p. 128; anche e Degli Orti Oricellari • , Curiosità storico-arti-

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a pubblicare; 10 verso il 1520, invece, quando lo spirito guida del circolo era diventato Cosimo Rucellai, al­ cune di quelle riunioni furono dominate dalla presen­ za di Machiavelli.11 Benché i dibattiti filosofici si estendessero nelle più varie direzioni, la politica re­ stava un argomento ricorrente; e dato un ambiente in cui Machiavelli era ricevuto tra gli eredi di Giovanni Rucellai, sembrerebbe proprio che la preghiera di Platone per un tiranno accettabile avesse adombrato la terribile realtà del Principe di Machiavelli. Questa deduzione è confermata dai Discorsi su Tito Livio, nati dai dibattiti degli « Orti Oricellari » . 12 Nei capitoli sul ' buono ' e ' cattivo ' dispotismo, 18 in cui Machiavelli dimostra come la rigenerazione di uno Stato non può avere successo se non ad opera di « uno solo » , 14 la sua conclusione suona come una nuova versione della preghiera di Platone : stiche Fiorentine, 1 866, pp. 57-87; Felix Gilbert, Bernardo Rucellai and the Orti Oricellari, • Journal of the Warburg and Courtauld

Institutes • , XII, 1 949, pp. 1 0 1 -3 1 . Supporre che la destinazione ad A cademia del giardino (di cui ci parla Pietro Crinito nel suo poema De sylva Oricellaria) non si possa far risalire a una data anteriore al 1498 perché in quell'anno la dichiarazione delle tasse di Bernardo parla del raccolto della frutta e della verdura come appena sufficiente per gli usi della famiglia, significa fraintendere la natura di quel boschetto, che non fu mai compreso negli orti domestici di Bernardo (se non forse ai fini fiscali) e non si può supporre li abbia sostituiti. C. Angeleri osserva, nella sua edizione del De honesta disciplina di Pietro Crinito (1955, p. 15, nota 34), che l'importanza degli Orti Oricellari come luogo di riunione di poeti, filosofi e uomini politici cominciò verso il 1492, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico; una temporanea interruzione si ebbe nel 1 506, quando Bernardo Rucellai andò in esilio volontario per circa quattro anni. IO. Vedi le lettere di Ficino a Bernardo in Opera, pp. 66 1 , 665 sg., 836, 859, 906. La data corretta dell'ultima lettera è il 4 gennaio 1489, e non 1499; vedi, infatti, in proposito le Epistolae di Ficino, Venezia, 1495, fol. 1 64Y. l i . D. Cantimori, Rhetoric and Politics in Italian Humanism, • Journal of the Warburg Institute • , I, 1 937, pp. 83- 1 02; in proposito vedi anche P. Villari, La vita e i tempi di Niccolò Machiavelli, 1 898, II, vii. 12. Vedi la dedica a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai. 13. Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, IX, x; anche XVII, XVIII. 14. Ibidem, I, IX.

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« E veramente cercando un principe la gloria del mondo, dovrebbe desiderare di possedere una città corrotta, non per guastarla in tutto come Cesare, ma per riordinarla come Romolo. E veramente i cieli non possono dare agli huomini maggiore occasione di glo­ ria, né li huomini la possono maggiore desiderare » . 15 Colpisce particolarmente il desiderio perverso di una « città corrotta » in cui il principe-salvatore ab­ bia modo di mettere in atto la propria abilità. Come ' materia prima ' per l'arte di governo, una società decadente, giunta a uno stadio avanzato di disinte­ grazione, sembrava promettere a Machiavelli alcuni di quei vantaggi che egli aveva sognato di trovare in una tribù primitiva di « huomini grossi » o di «huomini montanari, dove non è alcuna civiltà » , un materiale umano supposto informe su cui egli pensava fosse facile imprimere una costituzione concepita ex novo ( « potendo imprimere in loro facilmente qualunque nuova forma » ), come uno scultore « trarrà più facil­ mente una bella statua d'un marmo rozzo, che d'uno male abbozzato da altri » . 16 Questa inequivocabile al­ lusione al David di Michelangelo è preziosa perché, a parte il trionfo per burla del Baraballo nella Stanza della Segnatura, che suggerì a Machiavelli l'idea di un monumento comico, 17 egli non dimostrò mai molto interesse per le opere d'arte. 1 8 I 'i.

Ibidem, I, x. 1 6. Ibidem, I , XI. 1 7 . Varrebbe la pena di mettere a raffronto il delizioso in tarsio del « poeta Baraballo • e della sua processione, finita malissimo, sull'e­ lefan te del Papa (quasi certamente un 'invenzione di Raffaello, che disegnò anche la lapide commemorativa dell'elefante, riprodotta da Francisco d'Ollanda, Cod. Escor. 28- 1-20), coi versi dell 'Asino d'oro di Machiavelli (cap . v1, 1 09 sgg., vedi in particolare il verso l l 8 : « Colui è i l grande Abate d i Gaeta •). 1 8 . Nelle Historie fioren tine, per esempio, quando viene a parlare del regno di Lorenzo de' Medici, i cui meriti come patrono delle arti gli vengono riconosciuti solo di sfuggita in una sola frase, egli non fa alcuna digressione per nominare pittori o scultori, o una qualche loro opera. Neppure l'In troduzione al primo libro dei Di.çcorsi è mol to lusinghiera per quelli che, a grandi spese, si

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Nel Principe, il capitolo sulla Fortuna comincia, come se Machiavelli avesse preso a modello Platone, con una serie di ragioni a sostegno dell'opinione comu­ ne « che le cose del mondo sieno... governate dalla Fortuna e da Dio » ; 19 quando però sostiene, come Platone, che si faccia posto anche all'abilità umana, Machiavelli prende ad esempio non l'arte di pilotare una nave in mezzo a un'improvvisa tempesta, ma il costruire dighe e canali per prevenire inondazioni : affine in spirito a Leonardo da Vinci, egli preferisce l'ingegneria alla navigazione. Il capitolo finale, che segue quello sulla Fortuna, è la famosa Esortazione, dove le condizioni disastrose in cui versava l'Italia son da lui giudicate propizie all'avvento di un nuovo Principe, un despota magnifico che avrebbe impo­ sto la redenzione mediante una tirannia ben con­ cepita.20 Non sarebbe incompatibile col carattere compia­ cente di Ficino, né con la parte di nuovo Platone da lui stesso assegnatasi, che egli sia stato il primo a insinuare nella tirannia mercantile di Firenze questo specialissimo veleno platonico - « la segreta et divina mente di Platone nostro » . Platone aveva certamente stabilito un esempio per quell'esercizio straordinario di sagacia rinascimentale che fu il « Consiglio al princi­ pe » da parte del filosofo. Nel suo commento al passo 709E delle Leggi, Ficino non mancò di osservare che l'idea di mettere al fianco di un giovane tiranno un saggio filosofo rifletteva un episodio molto importante della vita di Platone : il suo tentativo di dare un nuovo indirizzo alla politica di Siracusa sotto Dionigi il Giovane : « Animadverte vero uhi Plato de occasiocircondano dei frammenti della statuaria antica, e li fanno imitare • da coloro che di quell'arte si dilettano • , senza pensare a imitare, invece, l'antica arte di governo. 19. Il Principe, cap. xxv. 20. Ibidem, cap. xxv1. Nei Discorsi (I, x1 ) Machiavelli si esprime in termini più aspri su questo problema: • Perché dove manca il timore di Dio, conviene che o q uel regno rovini , o che sia sostenuto dal timore d'un principe che supplisca a' difetti della religione • .

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ne disputat quam vir magnus novas conditurus leges exoptet, ad id magnopere opportunam, sub illius tyran­ ni nomine iuniorem Dionysium significare, seipsum vero sub appelatione legiferi » . 21 Le spedizioni siracusane di Platone, si è detto, non solo dimostrano la sua mancanza di giudizio politico ma mettono anche in cattiva luce la sua integrità filo­ sofica: come si può, infatti, conciliare la sua disponi­ bilità ad assistere il giovane tiranno di Siracusa con la denuncia della tirannia da lui fatta nella Repub­ blica, dove egli la giudica l'ultimo e più basso stadio di corruzione a cui una repubblica è destinata a scendere se decade dalla sua perfezione originaria? 22 Per comprendere appieno il significato di questa legge del declino, è essenziale prendere in considerazione un mito, attinente alla nostra questione, che Platone espone diffusamente nel Po litico . 28 Quivi Platone dice che « quando Dio lascia andare » , e l'universo, nel suo moto, è quindi abbandonato a se stesso, privato com'è della guida divina, allora « per necessità intrin­ seca » il mondo inverte il suo movimento e corre al­ l'indietro fino a raggiungere uno stato grezzo; a questo punto Dio interviene di nuovo e lo riporta nella giusta direzione. Ora, se il corpo politico, essendo come un microcosmo « che imita e segue la condizione del­ l'universo » , è soggetto alla stessa legge di retrogres­ sione e di inversione, allora la forma di governo peggiore e più retrograda, cioè la tirannia, deve offrire le condizioni più favorevoli per produrre la migliore forma di governo: essa rappresenta infatti lo stadio cruciale in cui « Dio interviene » . Aristotele, nella sua Po litica, trasse proprio questa conclusione, quando riassunse la trattazione che Platone aveva fatto della tirannia giudicandola l'ultima e peggiore forma di governo: « Secondo lui, » egli scrisse « essa dovrebbe 21. 22. 2,.

Opera, p. 1497. Repubblica, VIII sg. , Politico, 269-73.

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ritornare alla prima e migliore forma, e allora si avrebbe un ciclo completo » . 24 Che questa fosse l'o­ pinione di Platone lo si deduce chiaramente dalle affermazioni che egli fa nelle Leggi, e che trovano un perfetto riscontro nel suo modo di agire a Siracusa. La concentrazione di tutti i poteri in un giovane tiran­ no intelligente, per quanto in se stessa indesiderabile, offre all'abile legislatore un'occasione unica per eser­ citare la propria arte, un'occasione per avere la quale egli dovrebbe rivolgere alla Fortuna « il giusto tipo di preghiera » . Difficilmente il paradosso potrebbe essere più ardito. Sarebbe come dire che l'abile pilota dovrebbe pregare che scoppi una violenta tempe­ sta, sapendo che essa potrebbe, si, far naufragare la nave, ma che, sapendone approfittare, essa rappresen­ terebbe per lui un'opportunità unica per raggiungere il porto sano e salvo e in un istante. « Quando la forza che governa è concentrata e molto potente come av­ viene in una tirannia è probabile che il cambiamento sia facile e rapidissimo » . 25 Il modo tortuoso con cui Platone ha espresso la sua opinione che per creare uno Stato perfetto si dovrebbe utilizzare la tirannia, limitandosi ad accen­ narvi due volte prima di dirlo chiaramente, gli era caratteristico tutte le volte che si accingeva a impar­ tire una lezione importante e non desiderava farlo senza opportune cerimonie. Nella Repub b lica, come osservava Aristotele, il passaggio dal peggiore al miglior governo è tacitamente implicato; nel Politico esso è suggerito mediante un mito; nelle Leggi è affermato esplicitamente : ÉK -rupavvlooç àplCTrT]V yEvÉo9m 1t6Àtv « Il miglior governo nasce dalla tirannia » . 26 Ficino avrebbe avuto quindi ragione ad attribuire questa eresia alla « segreta et divina mente di Platone no­ stro ». La storia politica dell'Accademia platonica 24.

Aristotele, Politica, V, xn, 1316A .

25. Leggi, IV, 7 1 I A . 2 6 . Ibidem, 7 1 0D-E.

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mostra con quanta pertinacia sia stato applicato questo precetto: Speusippo e Senocrate, che si erano recati a Siracusa insieme con Platone, condividevano anche le sue simpatie per la Macedonia, che essi continua­ rono a sostenere anche quando, dopo la morte del filo­ sofo, furono a capo dell'Accademia; e Focione, il più influente discepolo politico di Platone, divenne, come nemico di Demostene, il principale statista del partito macedone.27 Ficino non aveva dunque nessun motivo di rimproverarsi di aver servito i Medici con tanta diligenza : egli non faceva che continuare la tradizio­ ne platonica. 28 Spesso ci si è chiesti come mai tanti despoti italiani, condottieri e mercanti-avventurieri, potessero profes­ sare una fede così ardente in Platone, che pure aveva manifestato nella Repu b blica una così bassa opinione per quella forma di governo alla quale essi erano ineluttabilmente destinati. E certo, se Platone avesse scritto soltanto intorno alla repubblica ideale e al suo declino, senza prendere in considerazione le ocJ. Bernays, Phokion und seine neueren Beurteiler: Ein Beitrag wr Geschich te der griechischen Philosophie und Politik, 1 8 8 1 , pp. 27.

35 sgg. : • Die makedonischen Konige und die Philosophen • , una esposizione particolareggiata dei rapporti tra l'Accademia e la corte macedone, preceduta da alcune riflessioni sulla stima di Platone per • die blu tigen Schongeister auf dem sicilischen Thron, Vater und Sohn Dionysios • . Anche H. Berve, Dian, 1 957, p. 34, nota 2. Su altre tirannie amministrate da membri dell'Accademia, ibidem, p. 1 38. 28. Contro la credenza che Ficino • sia morto ammirando ancora il Savonarola • (Gilbert, op. cit., p . 121), vedi Apologia Marsilii Ficini pro multis Florentinis ab antichristo Hieronymo Ferrariense hypo­ critarum summa deceptis ... , in Supplemen tum Ficinianum, Il, pp.

76 sgg., Questo documento fu scritto per il collegio dei cardinali nel 1498 e contiene l'affermazione, verificabile, che Ficino aveva que­ sta opinione negativa del Savonarola già da tre anni. La sua opinione anteriore è rivelata da una lettera al Cavalcanti sulle tribolazioni e la profezia (Opera, pp. 961 sgg.), datata 12 dicembre 1494, giorno in cui Savonarola, in uno dei suoi famosi sermoni su Aggeo, aveva delineato una nuova costituzione per Firenze. Scritta sotto l'impres­ sione diretta di questo sermone, la lettera di Ficino esorta Cavalcanti e l'intera Firenze a seguire i consigli del Savonarola (salutaribus tanti viri consiliis obsequi), ma già prima che quell'anno finisse, come mostra l'Epistolarium, egli si era ritirato, irritatissimo, in campagna, propter hospitum domesticorum turbam, publicos tumultus, eccetera ( Opera, p. 964). 3

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casioni realistiche per il suo rinnovamento, sarebbe veramente difficile spiegarci il fascino che egli esercitò sui despoti del Rinascimento. Tuttavia, poiché co­ noscevano la sua preghiera alla Fortuna (che senza dubbio veniva loro recitata da servili umanisti), essi provavano un certo orgoglio nel far proprio il sogno di una tirannia filosoficamente amministrata. Qual­ cuno di loro era forse disposto a seguire Platone fino al punto di considerare provvisorio il proprio dispo­ tismo? Su questo punto infatti l'opinione di Platone non è affatto ambigua. Egli classificava la tirannia a un livello inferiore a quello della democrazia, ma ciò nonostante la giudicava più utile, perché mentre la democrazia era destinata a deteriorare nella tirannia, la tirannia poteva imporre lo Stato ideale: la peggiore costituzione avrebbe generato la migliore. Di tale natura sono le disperate speranze degli Utopisti; e chi potrebbe negare che una vena utopistica corra at­ traverso le convulsioni politiche dell'Italia rinascimen­ tale? Sigismondo Malatesta, Lodovico il Moro, Cesare Borgia, lo stesso Lorenzo il Magnifico, furono tutti posseduti da illusioni messianiche che guidarono e, insieme, ostacolarono le loro astuzie politiche. Il ter­ reno per tali fantasie era stato preparato fin troppo bene da ciò che Platone aveva scritto a difesa della tirannia, come punto di incontro tra caso e abilità, secondo il piano di una divinità imperscrutabile. Forse era stato lo stile socratico adottato da Platone a permettergli di dare ai suoi pensieri più arditi l'ap­ parenza di luoghi comuni. Niente di più banale del fatto di suggerire che le forze del caso si devono im­ brigliare con l'abilità; eppure da questa banalità egli aveva tratto delle regole politiche per cospirare col potere, regole che potrebbero anche allettare l'oppor­ tunista, ma che devono lasciare il moralista pensoso davanti all'abisso. Come per negare attendibilità a questi precetti, Platone mise bene in rilievo che la Fortuna non può essere sforzata. Ogni tentativo di farlo sarebbe un segno di hybris, un insulto all'imper-

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scrutabile saggezza di Dio che alla fine accorda alla nostra abilità le occasioni che ci ha concesso. Perciò il pil ota abile, colui che conosce « il tipo giusto di preghiera » , non abbandonerà mai il suo senso dei presagi. La sua pazienza nell'attendere il giusto tipo di tempesta è altrettanto importante della sua abilità a dominarla. La lezione fu bene intesa dagli uomini politici rina­ scimentali. Come Machiavelli la espresse, la suprema abilità politica sta non tanto nel complottare attiva­ mente quanto in un giudizioso astenersi da complotti inutil i. La strategia più efficace di un qualsiasi despota rinascimentale era di ostentare poteri terrificanti sen­ za poi usarli. 29 Da questa splendida economia dell 'inti­ midazione Shakespeare derivò un'immagine per il di­ spotismo dell 'amore : They that have power to hurt and will do none, That do not do the thing they most do show, Who, moving others, are themselves as stone, Unmoved, cold, and to temptation slow; They rightly do inherit heaven's graces, And husband nature's riches from expense ; They are the lords and owners of their faces, Others but stewards of their excellence. Eppure, le grazie dell'adorabile tiranno possono perire a causa dei suoi atti : For sweetest things turn sourest by their deeds ; Lilies that fester smell far worse than weeds. 30 29. Il Principe, cap . vm, • crudeltà male usate o bene usate • . 30. Sonnets, xciv: Quei che han potere a ferire e mai non vogliono, / E la cosa non fanno che più a loro si addice, / E altrui movendo, pari a pietra stanno, / Freddi, non tocchi, e a tentazione lenti, / Giustamente posseggono i favori del cielo, / E da sperpero guardano i doni di natura; / Padroni essi e signori dei lor volti, gli altri / Ministri solamente alla loro eccellenza / ... Quel ch'è più dolce, con gli atti più agro diventa, / E putrefatti gigli puzzan ben peggio che erbacce (Trad. di Alberto Rossi).

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« Se questa fosse la sola opera sopravvissuta di Shakespeare, » scrive William Empson « sarebbe ancora chiaro, supponendo che si conoscessero gli altri Eli­ sabettiani, che essa porta con sé, in un certo senso, il loro atteggiamento spirituale nei confronti del ma­ chiavellico, del perverso tessitore di inganni, così ec­ citante e civile e, a suo modo, cosi giusto a proposito della vita » .31 Se in questa frase memorabile noi sosti­ tuiamo al « perverso tessitore di inganni » il « perfet­ to Platonico » la descrizione si adatta benissimo ai filosofi del circolo Rucellai che finirono col dare ascol­ to a Machiavelli. « Io credo » scrisse a Guicciardini Machiavelli stesso « che questo sarebbe il vero modo ad andare in Paradiso, imparare la via dell'Inferno per fuggirla » .82

( Trad. di Piero Bertolucci ).

3 1 . Some Versions of Pastora[, 1935, p. 90. 32. Lettere familiari, ed E. Alvisi, 1 883, p. 423, n. 179 (datata Carpi, 17 maggio 1 521).

Karl Kraus DETTI E CONTRADDETTI

(DA : « DETTI E CONTRADDETTI » , SEZIONE ' STAMPA, STU ­ PIDITÀ, POLITICA '. PRIMA EDIZIONE : MUNCHEN 1 909).

Le istituzioni umane devono innanzitutto diventare talmente perfette da permetterci di riflettere indistur­ bati su quanto sono imperfette le istituzioni divine. Per il filisteo l 'arte è l'orpello delle noie quotidiane. Salta sugli ornamenti come il cane sulla salsiccia. Il filisteo vive in un presente decorato di monumenti, l'artista aspira a un passato fornito di tutti i com­ forts moderni. Il progresso meccanico va a vantaggio soltanto di una personalità che per mezzo di esso riesce a giungere più rapidamente a se stessa, scavalcando gli impedi­ menti della vita esterna. Ma i cervelli della media non sono all'altezza di una ipertrofia del progresso. Oggi non possiamo ancora farci un'idea delle deva­ stazioni prodotte dalla stampa. Si inventa il dirigibile e la fantasia striscia come una carrozza postale. Auto­ mobile, telefono e edizioni colossali dell'ottusità - chi può dire come saranno fatti i cervelli della generazione dopo la prossima? La separazione dalla fonte naturale, che produce la macchina, la repressione del vivere per mezzo del leggere e l 'assorbimento di ogni possibi­ l ità dell 'arte nello spirito pratico compiranno la loro

KARL KRAUS

opera con sbalorditiva rapidità. Solo in questo senso sarebbe da intendere l'irruzione di una nuova èra glaciale. Nel frattempo la politica sociale affronti pure i propri piccoli compiti ; lasciamola pure trafficare con l'educazione popolare e altri surrogati e oppiacei del genere. Passatempi prima della rovina. Le cose evolvono in un modo di cui non si trova esempio in epoche storicamente documentate. Chi non percepisce questo in ogni fibra può tranquillamente continuare con la comoda divisione in antichità, medioevo e età moderna. A un tratto ci si accorgerà che non si va oltre. Perché l 'età modernissima ha cominciato col produrre nuove macchine per far andare una vecchia etica. Ne­ gli ultimi trent'anni sono successe più cose di quante prima succedessero in trecento. E un giorno si vedrà che l 'umanità si è sacrificata alle grandi opere che essa stessa ha creato per facilitarsi la vita. La politica sociale è la disperata decisione di operare i calli di un malato di cancro. Quando brucia il tetto, non serve né pregare né la­ vare il pavimento. Comunque pregare è più pratico. La nostra civiltà è costituita di tre cassetti, di cui due si chiudono quando il terzo è aperto : lavoro, divertimento e istruzione. I giocolieri cinesi domi­ nano la vita intera con un dito. Avranno dunque gioco facile. La speranza gialla ! C'è una oscura regione della terra che manda per il mondo degli esploratori.

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Spirito umanitario, cultura e libertà sono beni preziosi che sono stati pagati col sangue, l'intelligenza e la di­ gnità a un prezzo non sufficientemente alto. La democrazia divide gli uomm1 m lavoratori e fan­ nulloni. Non è attrezzata per quelli che non hanno tempo per lavorare. Lo spirito umanitario è una delusione fisica, che inter­ viene con la necessità delle leggi naturali. Perché il li­ beralismo mette sempre la sua luce sotto una campana di vetro e crede che possa bruciare nel vuoto d'aria. Invece brucia meglio nel turbine della vita. Quando l'ossigeno è consumato la luce si spegne. Ma per for­ tuna la campana è immersa in acqua di frasi fatte e que­ sta sale nel momento in cui la candela si spegne. Solo se si solleva la campana si potranno avvertire le vere pro­ prietà del liberalismo. Puzza di idrocarburi. Tutto il darsi da fare delle cosiddette persone serie di oggi non sarebbe stato possibile nelle stanze dei bambini dei secoli passati. Nelle stanze dei bambini di oggi, per lo meno, fa ancora impressione l 'argo­ mento del bastone. Ma i diritti dell'uomo sono il fragile giocattolo degli adulti, che questi vogliono calpestare e che perciò non si fanno portar via. Se fosse permesso frustare lo si farebbe molto più di rado di quanto ora non si abbia voglia di farlo. E allora in che consiste il progresso? Forse che viene eliminata la voglia di frustare? No, soltanto la frusta. Ai tempi della servitù della gleba la paura della frusta era il contrappeso della voglia di usarla. Oggi quest'ultima non ha più un contrappeso, ma in compenso uno spro­ ne nella fierezza progressista con cui la stupidità pro­ clama i suoi diritti sull 'uomo. Che bella libertà : sem­ plicemente non venir frustati !

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Quando i diritti dell'uomo non c'erano ancora, li aveva il privilegiato. Questo era inumano. Poi fu stabi­ lita l'eguaglianza, in quanto si tolsero al privilegiato i diritti dell'uomo. Il parlamentarismo è l'incasermamento della prostitu­ zione politica. La politica è effetto di scena. Quando Shakespeare traversava il palcoscenico, per qualsiasi pubblico il rumore delle armi copriva i pensieri. La grandezza di Bismarck, che sapeva dar forma creativamente al materiale politico - e perché mai, per un artista, an­ che l'esperienza più terrestre non dovrebbe svilup­ parsi e diventare creazione? - , si misura col metro dell'azione teatrale, sull'effetto delle entrate e delle uscite. E se noi Tedeschi temiamo Dio e null'altro al mondo, perfino lui non lo riveriamo certo per Ja sua personalità ma per il rumore dei suoi tuoni. Poli­ tica e teatro: il ritmo è tutto, niente il significato. Ogni volta che passa una macchina, il cane dà voce, per ragioni di principio, alla sua protesta, anche se da tempo ne è notoria l'inanità. Questo è puro ideali­ smo, mentre l'uomo politico liberale, che abbaia im­ perterrito contro la macchina dello stato, ha sempre un qualche fine egoistico. Il segreto dell'agitatore è di rendersi stupido quanto i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui. Lo sport è un figlio del progresso e contribuisce già per conto suo all'istupidimento della famiglia.

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La missione della stampa è di diffondere lo spirito e allo stesso tempo distruggere la ricettività. Solo in apparenza il giornalismo è al servizio del giorno. In verità esso distrugge nei posteri la capacità di essere fecondati spiritualmente. In un'epoca senza Dio la stampa è la provvidenza, ed essa ha persino elevato a convinzione la fede nella onniscienza e nell'onnipresenza. Tempo e spazio sono diventati forme conoscitive del soggetto giornalistico. I giornali hanno con la vita all'incirca lo stesso rap­ porto che hanno le cartomanti con la metafisica. Il parrucchiere racconta le novità, mentre dovrebbe so­ lo pettinare. Il giornalista è pieno di spirito, mentre dovrebbe solo raccontare le novità. Ecco due tipi che vogliono andare sempre più in alto. Se un sacerdote improvvisamente dichiara che non crede al paradiso e che mai rinnegherà tale dichia­ razione, vediamo entusiasmarsi la stampa liberale, i cui redattori notoriamente non recedono a nessun prezzo dalle loro convinzioni. Eppure un papa edito­ riale non sospenderebbe forse immediatamente a divinis un suo redattore che avesse l'idea di confes­ sare davanti ai lettori la sua fede nel paradiso? È questa la visione più ripugnante che offrono i tempi moderni : un sacerdote invasato dalla ragione getta la costola di Adamo ai botoli della stampa che gli abbaiano intorno.

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Per me è un enigma come un teologo possa venir lodato perché, dopo lunghi sforzi, è giunto a non credere più ai dogmi. Mentre mi è sempre sembrato che meritasse un vero riconoscimento, come per un atto di eroismo, l'impresa di coloro che, dopo lunghi sforzi, sono giunti a credere ai dogmi. A Lourdes si può guarire. Ma quale magia dovrebbe emanare uno specialista in malattie nervose? Lo psichiatra sta allo psicologo come l'astrologo allo astronomo. Fin da tempi lontani il momento astrolo­ gico ha avuto un suo ruolo nella scienza psichiatrica. Una volta le nostre azioni erano determinate dalla po­ sizione degli astri. Poi le stelle del nostro destino si trovarono nel nostro petto. Poi venne la teoria della ereditarietà. E ora le stelle del nostro destino sono al petto della nostra balia; che essa sia piaciuta o no al neonato deve essere decisivo per tutta la vita. Noi rendiamo responsabili di tutto ciò che è suc­ cesso dopo le impressioni sessuali dell'infanzia. È stato lodevole far piazza pulita della credenza che la ses­ sualità cominci soltanto dopo l'esame di maturità. Ma non bisogna esagerare in nessun senso. Anche se ormai sono finiti i tempi in cui la scienza praticava la castità nei suoi rapporti con i fatti della vita, purtuttavia non si dovrebbe perdere ogni inibizione nell'abbandonarsi al piacere della ricerca sessuale. « Mio padre » ghigna il bastardo di Gloucester « si congiunse con mia madre in cauda draconis e la mia nascita cadde in ursa major e da ciò consegue che io debba essere selvaggio e dis­ soluto » . Eppure quanto era più bello dipendere dal sole, dalla luna e dalle stelle piuttosto che dalle poten­ ze fatali dell'intellettualismo!

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Psicopatologia : uno che non ha nulla trova la miglio­ re guarigione quando gli viene detto che malattia ha. I pazzi vengono definitivamente riconosciuti dagli psi­ chiatri per il fatto che dopo l'internamento mostrano un comportamento agitato. La differenza fra gli psichiatri e gli altri psicopatici è un po' come il rapporto tra follia convessa e follia concava. Si dice che religione derivi da " legare ". Ma la reli­ gione è legata nel cosmo e il liberalismo è libero nel quartiere. Una vasta cultura è una farmacia ben fornita : ma non c'è modo di avere la sicurezza che non ci venga porto del cianuro per curare un raffreddore. La cultura gli sta appesa addosso come a un mani­ chino. Studiosi di quel genere sono, nel caso migl iore, delle modelle alla sfilata del progresso. Il valore della cultura si rivela nel modo più chiaro quando una persona colta prende la parola a proposi­ to di un problema che sta fuori dall'àmbito della sua cultura. La natura ci invita a riflettere su una vita che si preoc­ cupa solo dell'esteriorità. Una insoddisfazione cosmi­ ca si fa osservare ovunque ; neve d'estate e caldo d'inverno dimostrano contro il materialismo, che ren-

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de la vita un letto di Procruste, cura le malattie della anima come fossero mal di pancia e vorrebbero sfigu ­ rare il volto della natura ovunque ne scorga i tratti: nella natura, nella donna e nell'artista. Neppure l'inconcepibile fa paura a un mondo che sopporte­ rebbe la propria rovina purché gli fosse concesso di vederla presentata al cinema. Ma noialtri consideria­ mo senz'altro un terremoto come protesta contro le conquiste del progresso e non dubitiamo un momento della possibilità che una dose eccessiva di umana stu­ pidità potrebbe provocare la rivolta degli elementi. Il compito della religione: consolare l'umanità che va al patibolo; il compito della politica: disgustare la umanità della vita; il compito dello spirito umanitario: abbreviare all'umanità l'attesa del patibolo e al tempo stesso avvelenarle l'ultimo pasto.

(DA: « DI NOTTE » , SEZIONE ' 19 15 '. PRIMA EDIZIONE: LEIPZIG 19 18). Una civiltà è finita quando continua a trascinarsi dietro le sue frasi fatte in una situazione in cui ha ancora modo di viverne il contenuto. E allora questa è la prova sicura che essa non lo vive. Sicché nei giorni della battaglia di Lemberg il padrone di un cinquantennale giornale finanziario viene solennemen­ te festeggiato, sul bordo della storia del mondo, anzi, di fronte a essa, come « capo di Stato Maggiore dello spirito » o si glorifica il suo « Stato Maggiore » , per­ ché « tiene alta la bandiera » . Qui lo spirito, che ha la frase fatta, si misura con la remota sfera dalla cui vita l'ha tratta, e in modo passabilmente insolente, per­ ché quella sfera ormai prende vita a una minima distanza nello spazio. Ma si potrebbe pensare che essa stessa abbia ancora questa vita e che in essa il

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contenuto immediatamente vissuto non possa espri­ mersi altrimenti che nella parola immediatamente creata; che non le vengano neppure in mente le frasi fatte, quelle frasi di cui non soltanto è inna­ to in essa il contenuto, ma che ora essa vive di nuo­ vo, e che debba disprezzare quei modi di dire che da tanto tempo ormai sono sparsi per il mondo co­ me gusci sputati di un appetito di tutt'altra specie. Non si vorrebbe pensare che il guerriero possa an­ cora usare proprio quelle circonlocuzioni che il bor­ ghese ha saccheggiato dalla sfera bellica per le sue quotidiane incombenze e deficienze, anzi, che ha saccheggiato lo scansafatiche per adornarne le sue bassezze giornalistiche. È ben strano che proprio gli inabili si siano dati da fare come volontari nel lin­ guaggio bellico. Se un reggimento tiene alta la ban­ diera - in contrasto con la redazione, che non ha mai avuto a che fare con nulla del genere, se non con titoli stampati « a bandiera » , e che ha strappato alla propria pratica di mestiere il glorioso senso secon­ dario della parola - appunto per questo non dovrebbe mai più ammetterlo pubblicamente, e men che mai per mezzo di una redazione. Perché, se è vero che nel corpo a corpo la cosa ritorna quasi a essere lette­ rale, pure continua a valere soltanto come circonlo­ cuzione per indicare la perseveranza e altre simili qualità, che nel corso di una lunga pace si sono appro­ priate di tutt'altri mestieri. Al più si potrebbe dire che la bandiera, la quale è già di per sé un ornamento e nello scontro di opposti poteri tecnici prende già qua­ si l'aspetto di una frase fatta, viene tenuta, non che viene tenuta alta. Ma se qualcuno ha dato prova di perseveranza in una azione di guerra, dove non c'en­ trava affatto il mantenimento della bandiera, si fa­ rebbe bene a dire di lui che ha tenuto alta la bandiera? Ma allora il guerriero non si renderebbe colpevole di una rozza invasione del tesoro linguistico del repor­ ter di guerra, che certo un tempo era terreno suo, ma ormai per prescrizione appartiene al nemico, un

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po' come nel caso dell'Alsazia e Lorena? E si può dire di uno, che si è guadagnato gli speroni in trincea? È una cosa da dire, anche se si tratta di un cavaliere che ha ancora un cavallo e non è costretto a guada­ gnarsi gli speroni in trincea? E ci si può trincerare sulla difensiva in una battaglia navale? O si può dire, del piano di accerchiamento di un battaglione, che è naufragato miseramente? E questa stessa cosa può veramente essere detta persino di una flotta, dato che la si può dire soltanto di una nave, e anche in questo caso esponendosi al sospetto che si tratti di un diret­ tore di banca? Ma se un guerriero parla di un naufra­ gio che mai potrebbe subire, allora potrebbe anche parlare di una bancarotta che sta subendo. Varare un'operazione navale può essere pericoloso. E un eser­ cito dovrà fare in modo che la sua superiorità « colpi­ sca » il nemico? Colpendolo, sì; ma, se lo dicesse, sarebbe un avvocato. O un soldato può forse afferma­ re che il suo superiore è così amato che la truppa « si butterebbe nel fuoco per lui » , visto che deve farlo comunque? E il successo che si può raggiungere grazie a una nuova postazione deve essere definito a prova di bomba? Se così fosse definita la postazione stessa, avremmo ancora un'altra frase fatta, che non si preoccupa di stare a pensare che la postazione deve essere realmente a prova di bomba. Come possono i critici militari dire che il bombardamento di un certo luogo è stato un successo bomba, visto che pur non sono critici teatrali? O se no: « A Londra il siluramento del Lusitania fa una profonda impressione » . Questo è ancora umano. Ma poi: « Anche alla Borsa di New York domina una grande agitazione, tutti i corsi sono caduti » . Perché gli uomini sono affondati, questa è una circostanza secondaria. Ma : « A Washington la no­ tizia è arrivata come una bomba ». Qui si silurano le anime. E in mezzo ai reportages dal fronte si discute della « battaglia contro la censura » , della « campagna contro il prestito » e persino della « guerra contro il servizio militare obbligatorio » . Insomma, giornalisti,

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commercianti e paciocconi hanno parlato per tutta la loro vita come guerrieri. Devono continuare, quando parlano di soldati. Però i soldati dovrebbero parlare in un altro modo : non come giornalisti che parlano come soldati, ma come parlano i soldati. Ma ormai questa separazione non è più attuabile. Proprio per­ ché il « capo di Stato Maggiore dello spirito » ha an­ che uno « Stato Maggiore » , c'è il pericolo che il ca­ po di Stato Maggiore abbia uno staff redazionale, e se i rigattieri fanno i Rodomonti, allora i guerrieri possono lasciarsi gloriare perché hanno « registrato un en plein sul loro conto » . I commessi, che hanno evacuato la lingua tedesca, si muovono come coman­ danti e gli eserciti alleati devono sopportare di essere apostrofati come « azionisti a responsabilità illimita­ ta » . Ciò deriva dal fatto che l'umanità vuol mettere ordine nei suoi problemi di esportazione con le bombe puzzolenti. Che questa guerra dovesse alla fine avere la forza di ricondurre gli uomini alle cose e alle parole e di scacciare tranquillamente gli intermediari? Se noi fossimo in grado di vivere l'azione, la crosta del linguag­ gio sarebbe caduta da sé, lo sterco della mentalità si sarebbe irrigidito. Recentemente ho letto che « le no­ tizie dell'incendio di Hietzing sarebbero arrivate co­ me un fuoco di fila » . Proprio come le notizie della deflagrazione universale. Il mondo brucia, perché la carta brucia. Come si fa a tenere in casa un materiale del genere!

Ora c'è una tromba di Gerico dinanzi a tutte le fortezze, ora, mattina e sera, il mondo dà un suono che non ci si toglierà mai più dalle orecchie. Qualcosa del genere: Il naso di Cleopatra era una delle sue più grandi bel­ lezze. Ieri è stato comunicato che la Polonia ancora non è perduta. Oggi si comunica che la Polonia non è

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ancora perduta. Da tali concordanti comunicati risulta, anche per il semplice profano, l'importante fatto che la Polonia non è ancora perduta. Se confrontiamo il comunicato di ieri con il comunicato di oggi, non sarà difficile constatare che la Polonia, che, come sempre abbiamo saputo, non è ancora perduta, non è ancora perduta. E a questo punto ci colpisce soprattutto la paroletta « ancora » . L'occhio comincia subito a tri­ vellare il bollettino e uno arriva a raffigurarsi come è venuto fuori, e le impressioni sono vivaci e l'immagi­ nazione si eccita e i sentimenti si riscaldano e le spe­ ranze si risvegliano e forse già ora la cosa è vera e forse non è più possibile nasconderla e forse si rivol­ tano già inquieti nei loro letti, se dovranno sentire che la Polonia non è ancora perduta. Ci piacerebbe vedere la faccia del Presidente Poincaré mentre riceve questa notizia. Già lunedi, sulla base di un bollettino ufficiale, che comunicava con sobrie parole che la Po­ lonia non è ancora perduta, noi siamo giunti alla conclusione che deve tuttora sussistere la prospettiva che non sia · ancora perduta. Ciò può essere per altro confermato da un'attenta lettura del bollettino di ieri e anche da quello di oggi e lo si può ben affermare seguendo le più elementari leggi del pensiero. I mi­ gliori esperti militari dicono che le cose vanno be­ ne, il nostro corrispondente dal fronte comunica che l'umore è molto buono. Questo è un momento im­ portante nella nostra situazione. Oggi possiamo consta­ tare la coincidenza di queste conclusioni e impressioni con i reportages del nostro corrispondente dal fronte. Noi ci imbeviamo di questa fiducia con ogni respiro ed essa ci viene dalla più intima certezza dell'istinto. Chi osservi la carta geografica e si immedesimi, sulla base dei bollettini ufficiali, nella concatenazione dei singoli scontri e delle singole battaglie, dovrà anche giungere, stando alle comunicazioni pervenute, alla conclusione che, come per altro risulta dal bollettino, si è autorizzati a supporre che il nostro esercito deve sicuramente aver respinto il nemico. Un memore,

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fedele pensiero per la patria e un augurio per i nostri audaci soldati perché la facciano finita. Ma non vor­ remmo diventare sentimentali e non è nelle nostre abitudini fare i tracotanti, prima che l 'importante comunicato, secondo cui la Polonia non è ancora per­ duta, venga confermato dagli avvenimenti con tutti i particolari e i dettagli. Però, già fin d'ora gli avve­ nimenti debbono far contraccolpo sugli umori e l 'im­ pressione deve essere grande e il dubbio potrebbe diffondersi e le ali sono di piombo e le antiche mura cominciano a sgretolarsi. Chi oggi non vorrebbe gira­ re per i boulevards di Parigi e dare un'occhiata den­ tro l'Elysée, dove si annida l'angoscia. Non può esse­ re che la corruzione e l'arroganza riescano ancora ad affermarsi là dove la comprensione e il pentimento vengono risvegliati da un semplice sguardo alla car­ ta geografica e dove finirà per farsi largo il ricono­ scimento che noi abbiamo fallito. Il vecchio Beli­ sario era un uomo per bene. Talleyrand usava dire, a tavola, che il linguaggio è l'uomo, e quando rice­ veranno questa notizia si diffonderà il terrore, e for­ se allora , dopo che la cattiveria avrà portato i suoi frutti e dopo che hanno avvelenato le fantasie e non hanno risparmiato gli umori e hanno sollevato le passion i, riconosceranno quanto si erano insuperbiti. Annientare ci volevano, distruggere i frutti del talen­ to, e la perfidia non ha trovato idee a sufficienza per infastidire e per mettere cappi al collo e per punzec­ chiare e per stuzzicare e per rendere la vita amara. La famiglia Brodsky è fra le più ricche di Kiev. Og­ gi nessuno può sapere che cosa si celi dietro il ve­ lo del futuro, a proposito del quale Lady Hamilton usava dire che non bisogna lodare il giorno prima che la sera sia passata. Oggi è stato comunicato che la Polo­ nia non è ancora perdu ta . Noi rivolgiamo il nostro salu­ to al l'esercito. Se poi sentiremo che la Polonia, che ha già dovuto sopportare e superare tante perdite, non è ancora perduta, allora la gioia si farà di nuovo strada nei nostri cuori, e allora ecco superati i giorni delle 4

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sterili elucubrazioni. Se l'asciutto bollettino dello Sta­ to Maggiore, che il nostro occhio sta sondando, non aggira una piega così significativa degli avvenimenti, ma accenna in poche parole a ciò che parla al cuore, allora noi possiamo ben immaginarci che cosa ciò debba significare, e anche il semplice uomo della strada può mettersi a contare sulle dita, quando sen­ tirà che la Polonia non è ancora perduta, che effetti­ vamente sussiste la possibilità che tuttora continui a non essere perduta. L'immaginazione gavazza a raffi­ gurarsi come tutto ciò possa essere successo, e spun­ tano giorni allegri e la speranza si ravviva e di nuovo si fa luce intorno a noi. L'imperatrice Caterina ha scritto nel suo diario che è un piacere vivere. L'ultimo comunicato è molto importante. La Polonia non è ancora perduta. ( Trad. di Roberto Calasso ).

Roberto Calasso DELL' OPINIONE

e Im Anfang war die Presse und dann erschien die Welt • • KARL KRAUS, Das Lied van der Presse.

La storia dell'ovvio è la storia più oscura. Niente di più ovvio dell'opinione, termine che l'opinione ritiene innocuo, venuto a comprendere in sé aree immense di ciò che si può dire : i vasti pascoli della opinione sono un vanto della civiltà. Eppure è cosa temibile, che ha seguito vicende tortuose, beffarde, fino al suo trionfo, il presente. Un tempo i filosofi usavano partire dall'evidenza, che ormai è fuggita fra gli unicorni. Resta l'opinione : dominatrice di tutti i regimi, senza profilo, in ogni luogo e in nessuno, l'eccesso della sua presenza è tale da consentire sol­ tanto una teologia negativa. Caduto il reggimento divino e svilito il vicariato della metafisica, l'opinione è rimasta allo scoperto, come ultima pietra di fonda­ zione, a coprire folle di vermi, qualche iguana e pochi, antichi serpenti. Come riconoscerla? O meglio, come riconoscere ciò che non è opinione? Non esiste una carta delle opinioni, né potrà mai esistere, né comun­ que potrebbe avere una qualche utilità. Perché l'o­ pinione è innanzitutto una potenza formale, un vir­ tuosismo che cresce senza fine, che attacca ogni mate­ riale. La beffa dell'opinione è di accettare qualsiasi senso, impedendo perciò di farsi riconoscere per le tesi che presenta. Indiscriminata, perinde ac cadaver, • • In principio era la Stampa / e dopo apparve il Mondo • , dalla ' operetta magica ' Literatur oder man wird doch da sehn (1921).

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l'opinione inghiotte il pensiero e lo riproduce in termini simili, soltanto con qualche lieve modifica. Karl Kraus è il « costruttore di proposizioni » che ha passato la sua vita a segnalare quelle modifiche. Per trentasette anni, dal 1 899 al 1 936, pubblicò a Vienna il bollettino rosso della sua guerra, « Die Fackel » , non tanto rivista quanto giornale sui giornali, paras­ sita dei parassiti, che si leggeva in tram o al caffè. Kraus aveva scoperto appunto questo: che l'opinione può dire di tutto, ma non può dire tutto. Perché l'opinione ha uno stile, e solo studiando le sue minime peculiarità di dizione si potrà avere accesso ai crimini smisurati, ai veleni familiari, al ghigno sulla propria morte, insomma - come appunto dice l'opinione - alla realtà quotidiana. Seguiamo ancora la retorica della opinione, continuiamo a usare una sua capitale figura : la frase fatta. Qual è l'organo dell'opinione? La stam­ pa - e oggi, l'intera, immensa rete della comunicazio­ ne. Così Kraus dedicò il suo giornale e gran parte della sua esistenza alla stampa, in quanto luogo depu­ tato dell'opinione, dove si può avere l'agio di contem­ plare, finalmente rappresa in lettere, la superficie flui­ da in cui ogni momento ci muoviamo. E non voleva certo la cosa principale che interpreti insensibil i han­ no trovato da lodare in lui : migliorare la stampa. Fin dal 1 904, Kraus non aveva lasciato dubbi su questo punto, che è il centro della sua polemica con Maximi­ lian Harden : « Una volta scrissi: " Harden, che misu­ ra il giornal ismo col metro di un'etica relativa, vuole migliorare la stampa ". Io voglio peggiorarla, voglio renderle pii'1 difficile l'operare delle sue infami inten­ zioni al coperto di pretensioni spirituali, e considero più pericolosa la stampa stilisticamente migliore » . 1 Concentrandosi sulla stampa Kraus ebbe grandi visio­ ni, quali spesso non visitarono anche grandi poeti che si erano concentrati sulla parola pura. Per esempio quella che ho posto in epigrafe : il mondo, la sua mateI.

• Die Fackel • , n. 1 67 , 26 ot tobre 1 904, p. 9.

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ria, è, in un'ottica industriale, un sottoprodotto, in un'ottica neoplatonica una emanazione della stampa. I fatti superfetano dalle opinioni. « La stampa è un messaggero? No: l'avvenimento. Parole? No, la vita. Essa non soltanto ha la pretesa che i veri avvenimenti siano le sue notizie sugli avvenimenti, ma produce anche questa sinistra identità, per cui sempre l'appa­ renza dice che i fatti diventano notizie prima di esse­ re fatti » . 2 Immaginiamo una grande civiltà teologica: chi vi nasce eredita un pensiero totale, precedente al dato, che poi si articola e si manifesta in un linguaggio, più stretto della sua origine, rimando a qualcosa di ante­ riore e immobile. Per chi nasce nella civiltà teologica della post-storia il pensiero è un deposito da cui si può attingere tutto, salvo l'esperienza da cui ogni sin­ golo pensiero è nato, mentre la di ,ponibilità del pas­ sato come deposito è essa stessa l'esperienza sconvol­ gente comune a tutte le forme della nuova età. Se l'il­ luminismo avesse realizzato la sua utopia, il soggetto dovrebbe veramente essere una tabula rasa, capace di sopportare quella total e abrasione del significato prodotta dal divorante nominalismo, dal metodo che dissolve senza fine la sostanza. E dovrebbe anche ave­ re una inaudita agil ità. Ma così non è - e perciò alla post-storia non appartiene l'utopia, ma la parodia e l'inversione. Una volta esaurita la sostanza, il meto­ do fila dal la propria bava sostanze artificiali: gli edi­ fici ormai non hanno fondamenta, ma stanno ancora più saldi, come crescessero dalla terra. E nel soggetto non troviamo certo la fittizia tabula rasa, né il recepi­ mento di un pensiero precedente, ma il continuo del l e opinioni, un vorticare omeostatico di enunciati, che pul l ulano dal presente e dal passato, una foresta cartesiana di binari mentali, esposizione permanente 2. K arl Kraus, In dieser grossen Zeit ( 1 914), in Weltgerich t, Miin ­ chen -Wien, 1 965, p . 13.

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della storia, prefigurata nella sterminata fiera specula­ tiva, o A cadémie des ]eux, descritta da Leibniz: 8 ma il soggetto non ne sa nulla. Una opinione vale l'altra : come in ogni luogo comune, anche in questo si spa­ lanca l'abisso. In quelle poche parole è racchiusa la formula paralizzante dell'algebra post-storica. Il continuo delle opinioni è il materiale che Karl Kraus ha scelto nella sua opera in prosa, migliaia di pagine, novecentoventidue numeri della « Fackel ». È caratteristica essenziale della prosa di Kraus quella di portare in sé uno spettro: può essere un passo esplicitamente citato, da un giornale o da uno scrittore, la composizione di una parola, una frase fatta che viene rielaborata, un segno di punteggiatura. In ogni caso, finché non si è individuato l'elemento-spettro non si può leggere esattamente la proposizione di Kraus. Questo procedimento si impone una volta ri­ conosciuto che il mondo è diventato un giornale. Con­ seguenza di tale procedimento, a cui Kraus ha capar­ biamente obbedito, è che l'autore deve rinunciare a un pensiero proprio, enunciabile in una serie di pro­ posizioni, secondo l'uso. Il primum è ora il continuo delle opinioni, una totalità linguistica in perenne proliferazione. Lo scrittore finge e ammette di essere occupato solamente dalle opinioni per farsi strada nel loro intrico e catturare il pensiero. Arianna sarà il linguaggio. Di fatto, i rapporti di Kraus col linguag­ gio potrebbe essere raccontati soltanto come epos erotico : « Io non domino la lingua; ma la lingua mi domina totalmente. Per me lei non è la servitrice dei miei pensieri. Vivo con lei in una relazione che mi fa concepire dei pensieri e lei può fare di me quello che vuole. Perché dalla parola mi balza incontro il pensiero giovane e forma retroattivamente la lingua che lo ha creato. Una tale gravidanza di pensieri ha 3. Cfr. Leibniz, Dr6le de pensée touchant une nouvelle sorte de Re­ présentations, in Politische Schriften, I, Darmstadt 1 93 1 .

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una grazia che costringe a inginocchiarsi e impone ogni specie di tremanti attenzioni. La lingua è una sovrana dei pensieri e, se qualcuno riesce a capovolgere il rap­ porto, lei gli si renderà utile in casa, ma gli sbarrerà il suo grembo » . 4 (In questo passo l'elemento-spettro è la donna, con la fraseologia che tradizionalmente le compete: si sottintende una equivalenza donna-lin­ guaggio, ricorrente in tutto Kraus, resa tanto più evi­ dente dal fatto che la parola die Sprache linguaggio, lingua è femminile. In considerazione di ciò, Sprache è qui tradotto con lingua e i vari pronomi sono stati riferiti a un rapporto fra persone). L'opera del « costruttore di proposizioni » è un ab­ bandonarsi al linguaggio, nel quale si suppone una forza propria, un pensiero latente, l'unico capace di spezzare la magia dell'opinione. « Il pensiero mi viene perché lo prendo in parola » . 11 Ma, sottratto all'eserci­ zio immediato, alla cattura per opera del linguaggio, il pensiero si allontana. Un patto di indissolubile co­ niugio lo lega alla parola che lo ha chiamato. Quando Kraus scrive : « Il progresso fa portamonete di pelle umana » , 6 lo vediamo fondare, col massimo risparmio di parole, la 'dialettica dell'illuminismo '. Ma Kraus non avrebbe mai voluto descrivere quella dialettica. E se abbiamo ragione di essere grati a Adorno per averlo fatto, riconosciamo insieme che le implicazioni delle metafore di Kraus continuano a moltiplicarsi ancora oltre il punto in cui la macchinosa esplicitazione di Adorno comincia a girare a vuoto. Così il pensiero di Kraus può essere raccontato sol­ tanto da chi non lo capisce: « Molti che sono rimasti indietro nel mio sviluppo possono enunciare in modo più comprensibile quali sono i miei pensieri » . 7 Kraus

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4. Karl Kraus, Spriiche und Widerspriiche, ripubblicato in Beim Wort genommen, Miinchen 1955, p. 1 34. 5. Pro domo et mundo, anch'esso ripubblicato in Beim Wort ge­ nommen, cii., p. 236. 6. Ibidem, p. 279. 7. Ibidem, p. 285.

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stesso, invece, che non ama « immischiarsi nelle pro­ prie faccende private » , 8 non sarebbe certamente altret­ tanto chiaro e sicuro. Per lui non si sa da dove vengano i pensieri, perciò suppone che siano preformati e va­ ganti; li accoglie soltanto chi ha formato il loro lin­ guaggio. Scrittore sarà colui che « crede nel cammino metafisico del pensiero, che è un miasma, mentre l'opinione è contagiosa, e perciò ha bisogno dell'in­ fezione immediata, per essere accolta, per essere dif­ fusa » . 9 Ma perché non considerare anche tutti gli aforismi di Kraus come una sequenza di opinioni? Nulla sem­ bra impedirlo. Come tali sono un insieme bizzarro e contraddittorio, insolente e incongruo, dove l'autore sembra spesso aiutare con una mano ciò che con l'al­ tra distrugge. Alla fine si constaterà trattarsi delle opinioni di qualcuno che non tiene in alcun conto la ' coerenza con le proprie opinioni '. Ma si consta­ terà anche questo: ciò che Kraus dice diventa irrico­ noscibile appena viene enunciato in altre parole, per­ ché « se un pensiero può vivere in due forme, non si sentirà altrettanto a suo agio quanto due pensieri che vivono in una forma sola » . 10 Se, a questo punto della sua storia, il pensiero non è più sovrano ordina­ tore di un linguaggio, ma deve necessariamente passare ogni volta per l'inferno dell'opinione, proprio il lin­ guaggio gli offrirà la freccia della bilancia: « . . . la diffe­ renza fra un modo di scrivere in cui il pensiero è di­ ventato linguaggio e il linguaggio pensiero, e uno in cui il linguaggio rappresenta semplicemente l'involu­ cro di una opinione » . 1 1 L'opinione ha l'aspetto di un continuo formalmente omogeneo, tende a abrogare la potenza mimetica del linguaggio; Kraus all'inverso 8. Ibidem, p. 293. 9. Heine und die Folgen ( 1910), in Untergang der Welt durch schwarze Magie, Miinchen 1 960, p. 205. I O. Karl Kraus, Pro domo et munda, cit., p . 238. 1 1 . Sprilche und Widersprilche, cit., p. 122.

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esaspera la differenziazione, fa del linguaggio teatro, tanto da definire la sua opera « recitazione scritta » , 12 muove sempre l'elemento più imprendibile e leggero : il tono. « Se devo presentare una richiesta liberale, la presento in modo che la reazione obbedisca e il progresso mi rinneghi. Ciò che importa è l'accento dell'opinione e la distanza con cui la si dichiara » . 13 Là dove qualunque uomo dell'opinione è pronto a suggerire il suo de gustibus non est disputandum, Kraus parla come un matematico o come un giudice infero. Ma qual è il suo codice - o il suo Euclide? Non li troveremo mai, però troviamo, altrettanto violento, l'imperativo di rettificare il linguaggio. Rettifica dei nomi era chiamata questa impresa nella Cina antica; ma se Confucio poteva riferirsi a una potente etichetta onnicomprensiva, per ristabilire l'ordine nelle parole e perciò nella Cina, Kraus, nella bizantina ma estenua­ ta Kakania, poteva disporre solo di una metafora musicale: parlare come riferendosi a un orecchio asso­ luto per il linguaggio. E il linguaggio che gli arriva all'orecchio ha solo la parola in comune con ciò che la comune opinione intende per linguaggio. Nella società dell'informazione la pagina della « Fackel » delimita una enclave dove il linguaggio si presenta con caratteri irriducibili a quelli che il giornale ha impresso sul mondo: non vi troviamo l'ottundente chiarezza della parola come strumento di comunicazio­ ne, ma l'illuminante complessità del linguaggio come « mezzo per intendersi con la creazione » . 14 Lo sguar­ do di Kraus è rivolto all'indietro, verso un'origine che rifiuta di specificarsi: « l'origine è la meta » , 15 que­ sto è il suo primo assioma. Parole in cui suona la grande eredità ebraica, la memoria del nominare ada­ mico. E quell'origine ha uno specchio in una fine mes­ sianica, dove - secondo una leggenda che tanto potere 12. 13. 1 4. 15.

Pro domo et mundo, cit., p. 284. Sprilche und Widersprilche, cit., p. 121 . Die Sprache, Miinchen 1 954, p. 381 . Der sterbende Mensch, in Worte in Versen, Miinchen 1959,

p . 59.

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ha avuto anche su Benjamin e Adorno - il Regno si stabilirebbe lasciando tutto come è, salvo alcune lie-oi modifiche. La Sacra Scrittura e la sua contraffazione, il giornale, possono trapassare l'una nell'altra, 16 nei due sensi, per opera appunto di lievi modifiche: su ciò si fonda, per Kraus, la teoria della citazione, cul­ mine della sua satira, se è vero che « suprema impresa stilistica [della satira] è la disposizione grafica » . 17 Quella lieve modifica può anche essere solo l'aggiunta delle virgolette a un testo e la sua riproduzione, senza commento, sulla pagina della « Fackel » ; perché quel­ la pagina è un'ordalia: la citazione ne uscirà viva o morta, comunque trasformata, avrà parlato un'altra lingua. Sulle soglie della prima guerra mondiale, Kraus scriveva: « È mio dovere mettere la mia epoca fra vir­ golette, perché so che soltanto essa stessa può esprimere la sua indicibile infamia » . Così, a volte, il semplice accostamento tipografico di due citazioni da giornali sul bianco eloquente di una certa pagina basta perché il linguaggio dell'infamia faccia giustizia di se stesso. Sommando l'esoterismo ebraico e l'ossessione del formalismo moderno, per cui il linguagggio viene equiparato al materiale musicale, Kraus ha raggiunto una furia della parola che, secondo miopi previsioni, avrebbe dovuto condurlo alla cabbala o alla lettera­ tura assoluta. Lo ha condotto invece, come suo demo­ ne, ad applicare l'una e l'altra su un terreno ostico e selvaggio: la stampa, parola cifrata, allora come oggi, per dire qualcosa di sopraffacente e troppo vicino, il mondo trasformato in « universel r e p o r t a g e » , se­ condo la formula di Mallarmé. Nessun altro fra i grandi scrittori del secolo ha osato intrecciare in una trama così fitta la magia della parola alla magia nera della società. La polemica politica di Kraus è la più esacerbata art pour l' art18 e la sua art pour l'art dà 16. Cfr. Karl Kraus, A n meinen Drucker, in op. cit., p. 463. 1 7. Karl Kraus, Herbstzeitlose (1915), in Untergang der Welt durch schwarze Magie, cit., p. 4 1 3. 1 8. Cfr. Karl Kraus, Die Sprache, cit., p. 341 .

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alla polemica una forza che la parola politica non co­ nosce. L'opinione si presenta per la prima volta, come o6t;a, in cinque versi di Parmenide (fr. 1, 28-32) * su cui tutte le vie esegetiche sono state e saranno tentate. Così parla la dea �[K11: « Bisogna che tu impari tut­ to / sia il cuore che non trema, bella sfera, della Verità / sia le opinioni dei mortali, dove non è vera certezza. / Ma ugualmente anche questo studierai, come le ap­ parenze / devono gloriosamente affermarsi passando per tutto attraverso tutto ». L'enigma di queste parole è forse nella loro imponente chiarezza, nel gesto di­ menticato di dire insieme i due regni separati della 'MfJ8ELa e della o6t;a, la coappartenenza di essere e apparire, il più grave peso, di cui il pensiero succes­ sivo non ha mai cessato di scaricarsi. La o6t;a di Parmenide è ancora, simultaneamente e in tutta l'am­ piezza del senso, opinione-apparenza, l'ordalia fra parola e cosa non è stata ancora spezzata. In quattro versi tre parole (56E;aç - BoKoOvra - OOK[µwç) se­ gnano variazioni dell'apparire, in singolare corrispon­ denza con il fr. 28 di Eraclito, dove in due righe si propone una variazione analoga (BoKÉOVTa - OOKL· µC:,TaTo ç). Cammino dei nomi e delle opposte forze - di fatto a essa appartiene tutta la cosmologia - la o6t;a ci lascia presagire il discontinuo del discorso, che prende forma sul fondo dell'indiviso, cuore della • AÀfJ8ELa. (La resistenza da parte dei filologi a rico­ noscere in Parmenide una doppia affermazione della o6t;a e della 'AÀ.f] 8ELa, e non la loro insanabile op­ posizione, può essere spiegata soltanto se si compie un'anamnesi di tutta la storia del pensiero occidentale, di cui essi sono stati gli ignari esecutori). La o6t;a è in­ sieme immagine e discorso dell'apparenza, in essa il tutto si dice negli sprazzi dei nomi e delle forme. Nel• Tutte le citazioni dai Presocratici si riferiscono a Diels-Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, I l• ed., Berlin 1 964.

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la 'Mft0ELa il tutto si riconosce « da molti segni > (fr. 8, 2-3) per ciò che incrollabilmente è, nella pienez­ za del continuo. Sono le due q> uoELc; che il tutto ac­ coglie (v. Plutarco, adv. Colot., l l 14 D): sfere sovrap­ poste, entrambe conchiuse, ma l'una nell'interezza (oÙÀov) illesa, senza parti, della 'AÀft 0ELa, l'altra nella completezza enumerativa ('rà 1téxv-ra), perennemente rimescolata, della 66l;a (v. fr. 8, 38). Dottrina traspa­ rentemente iniziatica, riconducibile - come variazione che già prefi gu ra il futuro nullificante della filosofia al primordiale divario fra la manifestazione e il suo principio: termini non certo corrispondenti a intelli­ gibile e sensibile, secondo vorrebbe tutta la tradizione greca da Aristotele in poi, applicando a Parmenide una coppia di opposti che non gli è pertinente. Ciò che tie­ ne insieme la 'AÀft0ELa e la 66l;a, e impedisce che l'una travalichi nell'altra, è la comune obbedienza alla stessa dea, 6lKTJ -'AvéxyKT) - dichiarata, rispettivamen­ te, nei fr. 10, 6 e 8, 30. Il vincolo della necessità è indissolubile, sicché l'apparire « non reciderà mai l'es­ sere dall'essere » (fr. 4, 2). Gorgia è la grandiosa fi gura che segna la recisione del nesso fra opinione e apparenza, subdolo e rovinoso corollario della debolezza che impedisce all'apparenza e alla 'AÀft0ELa di tenersi congiunte. Con Gorgia prende la parola la terribile sobrietà occidentale: « L'essere, [perché] immanifesto, non ha in sorte l'ap­ parire (ooKEi:v) ; l'apparire, [perché] impotente, non ha in sorte l'essere » (fr. 26). Questa crepa non può essere valicata e la mancanza di contatto abroga il criterio, che è rimando alla 'AÀft0ELa : ora l'opinione, il discor­ so dell'apparenza, diventa discorso sull'apparenza e manipolazione di essa: entriamo nel regno combi­ natorio del moderno, nelle forze svincolate del discor­ so, l'algebra del potere. Ma tutta la storia del nichili­ smo, cioè la nostra storia, ci mostra un nichilismo timido, che non osa pensarsi fino in fondo: caduto il criterio della verità non è caduta anche la verità, come

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i l pensiero avrebbe imposto. Quella timidezza è pro­ prio l'atto più astuto e sopraffacente della ragione, che ha visto nel mantenimento della nozione di verità il primo strumento del dominio sociale. Nel Teeteto Platone ha descritto con meravigliosa ferocia, una volta per sempre, questo processo : « Ma nelle cose di cui io dico, e cioè nelle questioni di giusto e ingiusto e sacro e empio essi vogliono sia saldamente affermato che quelle cose non hanno né una natura né un'essen­ za, mentre l'opinione della società diventa la verità di esse, se tale opinione sussiste e per tutto il tempo in cui sussiste » ( l 72 b). Qui, ormai, l'opinione si è emancipata, diventando una potenza autonoma, che non si commisura a nulla di esterno se non alla so­ cietà come viluppo di opinioni, mentre si svela uno fra i sensi di una antica sentenza, attribuita a Simoni­ de di Ceo : « L'apparire (-rò 6oKetv) fa violenza alla verità (Tàv aÀéx0emv) » (Repu b b lica, 365 b-c). Al vincolo della necessità affermato da Parmenide si sostituisce, in Platone, quello della proporzionalità fra regioni categorialmente divise, secondo un processo di assimilazione - rapporto copia-modello - di cui si ha lo schema nella Repu b b lica (509 b-e). E nella ine­ sauribile ambiguità platonica non sorprenderà il passo del Parm enide ( 1 30 b) dove si accenna brutalmente che tale proporzionalità non ha la forza, né l'audacia, di estendersi a tutto. Di fronte ai ridicoli e sudici detriti dell'apparire si arresta la corrispondenza : « E di cose, o Socrate, che sembrerebbero essere ridicole, quali il capello, il fango, la sporcizia, o quante altre possono sembrare spregevoli e infime, ti domandi se di ciascuna sia necessario dire che esiste una forma (dooç) separata, distinta da quella che tocchiamo con mano? » . Socrate non osa, e forse la sua titubanza non è l'ultima delle sue ironie : ma la degradazione dell'apparenza comporta la rovina anche di ciò che, di là dall'apparenza, non voleva congiungersi, neppure in metafora, con essa. D'ora in poi la grande analisi

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nichilistica, quella che traversa tutta la storia della filosofia e culmina nel Nietzsche degli anni 1884-1888, svelerà ogni volta le successive essenze come apparenze camuffate. Al mezzogiorno della storia, annunciato da Zarathustra, suonano parole inaudite: « con il mondo vero abbiamo abolito anche il mondo apparente ». 111 Questo ultimo passo del nichilismo, che ricondurrebbe la ruota del pensiero occidentale al punto precedente al suo primo movimento, è proprio ciò che la storia, uscendo da se stessa, non ha concesso. Tutto il reti­ colo delle opposizioni che hanno formato fino a oggi grammatica e sintassi del pensiero, rischiando alla fine di essere esautorate, si è depositato nei fatti e lì rivive gloriosamente, senza fondamento e come per gioco. Il suo potere immenso è diventato forse ancora mag­ giore: anche se nessuno credesse più ai teoremi, tutti ne praticano il teatro. La compagine ha raggiunto la sua massima saldezza da quando non si dichiara, ma semplicemente si mette in scena. Ora opinioni turrite occupano il T61toc; iperuranio, sono gli dèi dell'ope­ retta, controfigure parodiche e terrestri scaraventate nel regno dell'essere, ad abitare il luogo che le idee dileguate hanno ironicamente preparato per loro. L'opinione, dal momento in cui diventa, non pm abito momentaneo, ma dessous dell'apparenza, usur­ pa senza dichiararlo un'autorità che era del pensiero e si sottrae al gioco stesso dell'apparire. E gli uomini dell'opinione sono adulti, non hanno più bisogno di proiettare la fonte dell'autorità nella troppo remota Pianura della 'AAfJ8ELa, « dove le ragioni e le forme e i modelli di ciò che è avvenuto e di ciò che avverrà giacciono immobili » (Plutarco, De de/. orac., 422 b-